Il Re Enrico V/Atto secondo
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ATTO SECONDO
Entra il Coro.
Ora tutta la gioventù d’ingnilterra avvampa d’ardor marziale, la divisa del lusso e del piacere giace dimenticata; gli armaiuoli solo arricchiscono, e l’onore empie tutti i cuori: molti vendono il campo che li nudriva per comprare un cavallo di battaglia, e più rapidi di Mercurio volano sui passi del loro re, sublime modello d’ogni principe cristiano. La speranza si asside nell’aere, brandendo una spada, il di cui ferro dalla punta agli elsi è nascosto da corone: corone d’imperatori, di duchi e di re, promesse a Enrico e ai prodi che lo seguono. Il Franco, che certe notizie hanno istruito di questo formidabile apparecchio, trepido e dubbioso cerca di allontanare colle ambagi della politica l’uragano che gli va sopra. Oh Inghilterra, i tuoi angusti limiti simboleggiano la tua grandezza! un corpo di nano tu sei che racchiude un cuore di gigante! Di quante geste non arricchiresti tu la tua gloria, se tutti i tuoi figli avessero per madre la tenerezza, e i sentimenti di natura! Ma vedi la tua sventura! La Francia ha trovato nel tuo seno molti cuori mendaci, che il suo oro ha riempito di delitti e di tradimenti. Essa ha trovati tre uomini corrotti, Riccardo di Cambridge, Scroop, Grey, che pel di lei oro nemici divennero della loro madre terra; ed è per le loro mani che questo re, onore dei re, deve perire, se l’inferno e il tradimento mantengono quanfhan promesso. La somma è pagata; i felloni si accordano. — Il re è partito da Londra, e la scena è ora a Southampton. Prima che il sovrano s’imbarchi per la Francia, degnatevi, o spettatori, di porre un freno alla vostra impazienza, e varcate senza fastidio l’intervallo dei luoghi, secondando i nostri sforzi per racchiudere tanti avvenimenti in un angusto spazio. È a Southampton che il teatro s’apre: è là che dovete assidervi. Da quel luogo vi faremo passar poscia in Francia, e ve ne ricondurremo, promettendovi sempre un mare tranquillo e placido: perchè, per quanto potremo, cercheremo che alcuno di voi non provi durante lo spettacolo nè noia, nè malcontento. Ma fino a che il re non se ne vada in Southampton è forza il rimanere.
(esce)
SCENA I.
Eastcheap.
Entrano Nym e Bardolfo.
Bard. Ben trovato, caporale Nym.
Nym. Buon giorno, luogotenente Bardotto.
Bard. L’antico Pistol è anche amico vostro?
Nym. Non lo curo: io poco dico, ma quando l’occasione si presenterà, sarò veduto afferrarlo sorridendo: avvenga poscia che mole. Io non oso combattere, ma vuo’ dare un colpo d’occhio e tener alto il mio ferro. Questo ferro non ha imprese: ma che importa? ei se ne trarrà bene quanto quello d’ogni altro.
Bard. Pel Cielo bisogna che io profonda la spesa di una colazione per farvi ritornare amici; e tutti tre andremo come fratelli in Francia, lascia che ciò segua, buon caporale Nym.
Nym. In fede, vivrò quanto posso, ciò è sicuro; e quando non potrò più vivere, farò come saprò. A ciò son risoluto; e di più non dico.
Bard. È sicuro, caporale, ch’ei s’è accoppiato con Nell Quickly, e certamente ella vi fece oltraggio, poichè voi eravate impegnato prima con lei.
Nym. Non so; bisogna che le cose siano come sono; gli nomini possono dormire, e aver le loro gole tagliate; alcuni dicono che i coltelli han la punta. Bisogna sia come deve essere; e quantunque la pazienza simigli a una cavalla stanca, pare va. La conclusione? L’ignoro. (entrano Pistol e mistress Quickly)
Bard. Tiene l’antico Pistol con sua moglie: — buon caporale, siate paziente. — Ebbene, oste Pistol?
Pist. Vil buffone, mi chiami tu oste? Ora, lo giuro so questa mano, detesto tal titolo: la mia Nell non alberga più alcuno.
Quick. No, in verità; non oserei prendere più in pensione femmine che si procacciassero la vita col loro lavoro, perchè sarei sicura che la gente direbbe tosto che è un luogo sospetto. — (Nym sfodera la spada) misericordia! che vuol dir ciò? Il caporale Nym è qui? Signore! sta per commettersi un adulterio volontario, e un omicidio. Buon luogotenente Bardotto... buon corporale, desistete.
Nym. Bah!
Pist. Bah a te, cane d’Irlanda! vil levriero dalle lunghe orecchie!
Quick. Buon corporale Nym, mostra il valore di un uomo, rimettendo la tua spada.
Nym. Volete ritirarvi? Vorrei fosse qui Solus.
(rimettendo la spada)
Pist. Solus, infame cane? Vipera indegna! Che vuoi tu dire col tuo solus? Nei denti, in faccia, in gola, nelle mascelle e nei polmoni, io te lo ricaccio: perocchè io posso abbruciarti, ed ho già accesa l’esca.
Nym. Non sono Barbasson1; voi non potete esorcizzarmi. — Mi prende voglia di schernirvi: se incominciate a lordare le vostre parole con me, potete esser sicuro ch’io vi trincierò colla mia durindana, per insegnarvi a parlar netto. Se venite soltanto a quattro passi da me, vi frugherò negli intestini, come soglio fare, e ne avrete buon solletico.
Pist. Oh vil millantatore che la fai da furioso! La tua tomba sbadiglia, e la morte già ti vagheggia; manda l’ultimo sospiro.
(tornando a sfoderare la spada)
Bard. Uditemi, udite quello che dico: quegli di voi che vibrerà il primo colpo, sarà da me trafitto cento volte, quant’è vero che sono un soldato. (sguaina egli pure la spada)
Pist. Tremendo è il giuramento; ma tal furia scemerà. Dammi il tuo pugno, o il tuo piede dinnanzi: ammiro il tuo coraggio.
Nym. Per parlar chiaro ti taglierò la gola fra non molto.
Pist. Tagliarmi la gola? Questo mi dici? Ti sfido mille volte, volume di creta. Credi tu impadronirti di mia moglie? Vattene all’ospitale, e togli all’infamia la tua Doll-Tear-Sheet disposandola. Per me ho ed avrò sempre la mia quondam Quickly per moglie. Ciò basta. (entra il garzone del loro seguito)
Gar. Mio caro Pistol, correte dal mio padrone, e voi pure ostessa, egli è infermo e adagiato. Mio buon Bardolfo, vieni a porre il naso fra le sue lenzuola, e riempivi l’uffizio di scaldaletto. In buona fede è assai infermo.
Bard. Via, malandrino.
Quick. Sull’onor mio, non gli do molti giorni prima ch’ei se ne vada ad apprestare uno splendido pasto ai corvi. Il re gli ha trafitto il cuore. — Buon marito, andiamocene a casa.
(esce col garzone)
Bard. Su via, vuo’ farvi ritornare amici, dobbiamo andar in Francia insieme; e perchè diavolo impiegheremmo queste coltella per tagliarci l’un coll’altro la gola?
Pist. Lasciam prima scorrere le acque, e i diavoli urlare per il loro pascolo.
Nym. Mi pagherete gli otto scellini che vi guadagnai l’altro giorno?
Pist. No, non v’è che il vulgo che paghi.
Nym. Così non andrà, ve ne assicuro.
Pist. Vedremo chi di noi due è più valente: mano alla spada.
Bard. Pel Cielo! quegli che dà il primo colpo lo uccido: sì, per questa spada, farò come dico.
Pist. Diavolo! i giuramenti devono essere rispettati.
Bard. Caporale Nym, vuoi tu riconciliarti con costui? Lo vuoi, e no? No? Ebbene siate miei nemici ancora. Te ne prego, desisti.
Nym. Voglio i miei otto scellini che guadagnai scommettendo.
Pist. Ti darò una ghinea, e ti pagherò anche da bere: l’amicizia e la fratellanza regneranno per l’avvenire fra di noi: io vivrò per Nym, e Nym vivrà per me. E ciò giusto? Io sarò vivandiere del campo, e i nostri profitti cresceranno. Dammi la tua mano.
Nym. Avrò la mia ghinea?
Pist. L’avrai.
Nym. Sia dunque; sia così. (rientra mistress Quickly)
Quick. Quanti vero che furono donne che vi partorirono, correte presto da sir Giovanni. Il pover uomo è così consunto di una quotidiana-febbre-terzana, che desta commiserazione. Miei buoni amici, venite da lui.
Nym. Il re gli ha fatto passar la bile nel sangue; così è lì storia.
Pist. Dici il vero; ha il cuor rotto, e corroborato.
Nym. Il re è un buon re; ma ei pure ha le sue fisime.
Pist. Andiamo a condolerci col cavaliere, e pensiamo almeno noi a vivere. (escono)
SCENA II.
Southampton. — Sala del Consiglio.
Entrano Exeter, Bedford e Westmoreland.
Bed. Ne attesto Iddio; Sua Grazia è ben ardita fidandosi a quei traditori.
Ex. Non tarderanno ad esser presi.
West. Qual calma! qual contegno dolce e sereno simulano! Si direbbe che la fedeltà posasse nei loro cuori, fra l’obbedienza e l’onestà. Bed. Il re è istruito di tutte le loro trame per lettere intercettate, senza che essi ne dubitino.
Ex. Come! L’uomo che divideva talvolta il suo letto, che arricchito egli aveva, e colmato di favori degni di un principe, ha potuto così per una borsa d’oro straniero vendere la vita del suo sovrano! (squillano le trombe; entrano il re Enrico, Scroop, Cambridge, Grey, lôrdi e seguito)
Enr. Ora i venti soffiano propizi, e noi c’imbarcheremo. — Milord di Cambridge, e voi mio caro Marsham, e voi, prode cavaliere, dichiaratemi i vostri pensieri. Non sperate voi che l’esercito, che ci segue sui nostri vascelli, si aprirà un passaggio in Francia, e compierà la impresa per la quale lo abbiam radunato?
Scroop. Nulla è più certo, mio sovrano, se ognuno fa il suo dovere.
Enr. Non ne dubito: noi siamo ben convinti che alcuno non vien con noi che non ci ami, e che alcuno non ci lasciam dietro che non innalzi voti per la nostra vittoria.
Camb. Non mai alcun sovrano fu più amato, e più temuto di Vostra Maestà; nè credo siavi un solo suddito malcontento, all’ombra benigna del vostro governo.
Grey. Quelli anche che furono nemici di vostro padre hanno perduto tutto il fiele della loro anima per sentimenti più dolci; essi vi servono con cuori pieni di sommessione e di zelo.
Enr. Per tali beni vi dobbiamo una grande riconoscenza, e dimenticheremo gli uffici e l’uso di questa mano prima che dimenticare di retribuire il merito e i servigi, a seconda della loro importanza.
Scroop. È il mezzo di prestare allo zelo forze indomabili: ma la sola speranza di rendere a Vostra Maestà novelli servigi basterebbe a sollevarci sempre dalle fatiche passate.
Enr. Meno non ci aspettiamo da voi. — Mio zio di Exeter, fate porre in libertà quell’uomo che fu ieri imprigionato, perchè ardi farsi beffe della vostra persona. Noi crediamo che fosse l’eccesso del vino, che lo spinse a tanta licenza; ora che i suoi sensi raffreddati lo han reso più placido, gli perdoniamo.
Scroop. È un atto di clemenza; ma è anche un eccesso di sicurezza. Ch’ei sia punito, mio sovrano: è a temersi che la vostra indulgenza, e l’esempio della sua impunità non ingenerino altri colpevoli.
Enr. Ah! lasciateci esercitare la clemenza.
Camb. Vostra Maestà può esercitarla, e nondimeno punire.
Grey. Sarà mostrare ancora molta bontà il fargli dono della vita, dopo avergli inflitto un castigo rigoroso.
Enr. Ah! è il vostro troppo zelo e la vostra affezione per me, che vi costringe a sollecitare il supplizio di quel tapino. Se non ti chiudono gli occhi sopra falli leggeri, prodotti dall’offuscata ragione, come converrà riguardare i delitti capitali, concepiti, meditati e statuiti nel cuore, allorchè compariranno innanzi a noi? Vogliamo si ponga in libertà quell’uomo, sebbene Cambridge, Scroop e Grey, nel loro tenero zelo, e nella loro alacre sollecitudine per la conservazione nostra, desiderino il contrario. — Passiamo ora alla nostra spedizione di Francia. — Chi sono quelli che debbono ricevere una commissione da noi?
Camb. Io, milord; Vostra Maestà m’ha ingiunto di chiederla oggi.
Scroop. A me pure, mio sovrano, comandaste la medesima
Grey. Nè me avete obbliato.
Enr. Eccovi adunque, conte di Cambridge, la vostra incumbenza. — Eccovi la vostra, lord Scroop di Marsham. — Eccovi la vostra, cavaliere Grey di Northumberland. (dà a ciascuno uno scritto in cui sta esposto il loro tradimento) Leggete, e apprendete che conosco tutto il vostro merito. — Questa notte vi imbarcherete..... ma che avete, miei lórdi? Qual cosa leggete in quegli scrìtti che possa così farvi mutar colore? — Cielo! qual commozione si dipinge sopra i loro volti! Le loro guance son colore del foglio che stringono! Ebbene, che avete voi dunque, che vi sgomenti, che vi agghiacci, che vi scolori?
Camb. Confesso il mio delitto, e mi abbandono alla vostra misericordia!
Grey. e Scroop. È alla vostra clemenza che abbiamo ricorso.
Enr. La clemenza albergava nel mio petto, ma i vostri consigli ne l’han cacciata: è un’onta per voi l’osar parlare di clemenza! I vostri stessi argomenti si ritorcono contro di voi, come un cane furioso contro il seno del suo signore per istradarlo. — Vedete voi, miei principi, e miei nobili pari, questi mostri nati in Inghilterra? Lord Cambridge, che là sta, sapete quanto da me fosse amato, e come la mia amicizia lo colmasse di tutti i doni che potevano onorarlo; ebbene, quest’uomo per alcune vili ghinee ha vilmente tramato con infami agenti di Francia di assassinarci in questo medesimo luogo; e questo cavaliere che non mi doveva meno di lui, gli era secondo nell’empio giuramento. — Ma che dirò io di te, lord Scroop? Crudele, inumana creatura! Tu che volgevi la chiave de’ miei consigli più segreti; tu che conoscevi il fondo del mio cuore; tu che avresti potuto fondermi in oro, se intrapreso avessi per tuo conto ad impiegarmi in tal uso, tu pure per una vile mercede avevi giurata la mia perdita? La tua condotta è così strana per me, che, malgrado l’evidenza del tuo delitto, visibile ai miei occhi come la luce del dì, stento ancora a darvi fede. Il tradimento e l’omicidio stanno insieme come due furie devote l’una all’altra, attaccate al medesimo giogo; e la loro unione è così naturale come quella che lega la causa all’effetto; essa non eccita alcuna sorpresa: ma tu,..... il tuo delitto spreme un grido di meraviglia, mostrando tradimento e omicidii uniti in te contro natura, con sovvertimento di tutte le leggi ordinarie! Qual che sia il demone artificioso che ha inspirata al tuo cuore sì inaspettata atrocità, ei deve aver tolti tutti i suffragi all’inferno, e ottenuta la palma della scelleranza. Gli altri demoni che suggeriscono delitti non consigliano che opere barbare che rivestono di colori e di forme piacevoli; ma il genio infernale che ha sì bene soffiato nella tua anima non ha fatto che comandarti la rivolta, senza darti altro motivo per essa che l’onore di abbellirti del nome di traditore. Quel demonio che ti ha subornato potrebbe percorrere superbo l’universo, e rientrando in fondo al Tartaro, dire alle legioni infernali: «non mai potrò guadagnare un’anima con tanta facilità, con quanta ho guadagnata l’anima di quell’inglese». — Oh! di quali orrendi sospetti tu hai avvelenato i dolci sentimenti dell’amicizia! V’hanno uomini che attaccati sembrino ai loro doveri? tu pure lo sembravi. Sono essi austeri e dotti? tu pure lo eri. Appartengono ad illustre casato? tu pure v’appartenevi. Paiono religiosi? e tale tu parevi. Son sobrii nella vita, esenti da vili passioni, da accessi di folle gioia, da impeti di collera; mostrano un’anima costante che vincer non si lasci mai dalla foga del sangue; son sempre modesti nel loro abbigliamento, periti d’ogni gentilezza, cauti e incontaminati? Tu offrivi le apparenze di tutte queste egregie qualità. Perciò la tua caduta lascia una macchia che brutta anche l’uomo più perfetto, e dubbio lo rende. Piangerò sopra di te; perocchè mi pare che questo tuo tradì mento sia come un secondo peccato originale. — I loro delitti son manifesti; arrestateli perchè ne rendano conto alle leggi: e Dio voglia assolverli dalle pene dovute alla loro sconoscenza.
Ex. Ti arresto per delitto di alto tradimento, tu il di cui nome era Riccardo conte di Cambridge.
— Ti arresto per delitto d’alto tradimento, tu il di cui nome fu Enrico, lord Scroop di Marsham.
— Ti arresto per delitto d’alto tradimento, tu che ti chiamasti Tommaso Grey, cavaliere di Northumberland.
Scroop. È con giustizia che Dio ha svelati i nostri disegni. Sono meno afflitto della mia morte, che del mio fallo, e scongiuro Vostra Maestà di perdonarmelo, sebbene lo sconti col capo.
Cam. Per me..... non fu l’oro che mi sedusse, quantunque accettato lo abbia come motivo apparente per affrettare l’esecuzione de’ miei propositi: ma ringrazio il Cielo che li ha prevenuti, ed è per me un sentimento di gioia sincera, che mi consolerà fra gli orrori del mio supplizio. Prego Dio e voi, mio re, di obbliarmi.
Grey. Non mai suddito fedele vide con maggiore allegrezza la scoperta di un tradimento pericoloso, di quella che io stesso ora non ne provi, veggendomi preservato da un fallo esecrabile. Mio sovrano, escusate il mio fallo, e toglietemi la vita.
Enr. Dio vi perdoni nella sua misericordia! Ascoltate la vostra condanna: voi cospiraste contro la nostra sacra persona, vi uniste ad un nemico aperto, e riceveste l’oro de’ suoi scrigni per mercede della mia morte: con tale delitto consentivate a vendere il vostro re al sepolcro, i suoi principi e i suoi pari alla servitù, i suoi sudditi all’oppressione e al disprezzo, e tutto il suo regno alla distruzione. Per l’oltraggio a noi fatto non ne chiediam vendetta, ma è un dovere per noi il pensare alla sicurezza del nostro regno, di cui tutti e tre voi avete macchinata la ruina, e costretti siamo ad abbandonarvi alle sue leggi. Escite da questi luoghi colpevoli, o sventurate vittime, e andate a morte. Dio voglia nella sua clemenza accordarvi la forza di subirne l’amaro con pazienza, e v’ispiri un pentimento sincero del vostro fallo! — Guidateli lungi di qui. (escono i cospiratori fra le guardie) Ora, miei lórdi, in Francia! Questa impresa promette a voi e a noi sicura gloria. Più non dubitiamo dell’esito fortunato di questa guerra, dappoichè Dio si è degnato nella sua bontà svelare questa fatale congiura, che attraversar ci voleva la via, e abbatterne sul nostro inizio. All’opera adunque, miei compagni: riponiamo le nostre forze fra le mani dell’Onnipossente, e non differiamo più oltre l’esecuzione dei nostri disegni. Andiamo allegramente sui vascelli: le insegne di guerra si spieghino minacciose, e muoia il re di Inghilterra se non diviene ancora re di Francia.
(escono)
SCENA III.
Londra. — La casa di mistress Quickly in Eastcheap.
Entrano, Pistol, mistress Quickly, Nym, Bardolfo e il Garzone.
Quick. Te ne prego, dolce miele di marito, lascia che ti riconduca a Staines.
Pist. No, il mio gran cuore dà sangue. Animo, Bardolfo, risveglia il tuo umore gioviale; Nym, rianima il tuo cervello; e tu, mariuolo, fatti coraggio, perocchè Falstaff è ito, e conviene che gli serbiamo lungo tempo il nostro dolore per onorare la sua memoria.
Bard. Vorrei essere con lui in qual si fosse luogo, o in Cielo o in inferno.
Quick. Pel Cielo! ei non è in inferno, ne son sicura: è in seno d’Arturo, se mai uomo vi fu. Ei fece il più bel fine: passò come un fanciullo pieno d’innocenza che esce dal battesimo. Passò fra il mezzogiorno e l’ora propriamente al rifluire della marea; e quando ho veduto che cominciava a strofinar le lenzuola, a scherzar coi fiori, e a ridere guardandosi la punta delle dita, ho tosto compreso che non vi era più per lui che un cammino da prendere: perocchè egli aveva il naso aguzzo come il becco di una penna temperata per iscrivere sopra lo zigrino. — «Come mai, cavaliere, gli ho detto: che v’è? Fatevi amico;» ma ei si mise gridare, mio Dio, mio Dio, mio Dio! tre o quattro volte, e per confortarlo gli ho soggiunto che non doveva pensar tanto al buon Dio, e che non credevo fosse per anche necessario di avvilupparsi in tai pensieri; ma per tutta risposta mi disse di cuoprirgli di più i piedi. Posi la mano nel letto per toccarlo, ed era freddo come il marmo. Gli palpai le ginocchia, il petto e su, su, su... ma tutto era ghiaccio.
Nym. Dicono chiedesse vino.
Quick. È vero.
Bard. Ed anche donne.
Quick. Questo non è vero.
Gar. È vero, pel Cielo! e aggiunse che erano diavoli incarnati.
Quick. Ei non potè mai soffrire l’incarnazione; era un colore che non gli piaceva.
Gar. Diceva un giorno che il diavolo l’avrebbe portato a motivo delle donne.
Quick. Qualche volta per verità soleva declamare contro le femmine; ma allora era reumatico, e parlava della prostituta di Babilonia.
Gar. Non rammentate quel giorno in cui vide una mosca sol naso di Bardolfo, e disse che era un’anima nera che bruciava all’inferno?
Bard. L’alimento che intratteneva quel fuoco è andato al diavolo. Questo mio naso rubicondo è tutto ciò che tesoreggiai stando a’ suoi stipendi.
Nym. Ce ne andremo alfine? Il re sarà partito da Southampton.
Pist. Partiamo noi pure. — Mio amore, dammi le tue labbra. Bada a’ miei mobili, e il buon senso ti sia di guida. La parola d’ordine che ti lascio è scegliete, e pagate. Non far eredito ad alcuno; perocchè i giuramenti son di paglia, e l’obblio gli abbrucia: mantieni un buon cane di guardia, mia anitra, e caveto si mostri il tuo consigliero. Va ora a nettare i tuoi cristalli2. — Amico, amico, compagni, all’armi: partiamo per Francia, e come mignatte compiamo i nostri uffici.
Gar. Avrete cattivo cibo.
Pist. Sfiora la sua dolce bocca, e va.
Bar. Addio, ostessa. (baciandola)
Nym. Non posso baciarla: ma addio.
Pist. Mostrati buona massaia; sii casta, te lo raccomando.
Quick. Addio, addio. (escono)
SCENA IV.
Francia. — Una starna nel palazzo del Re.
Entra il re di Francia con seguito; il Delfino, il duca
di Borgogna, il Contestabile ed altri.
Re. Gl’Inglesi si avanzano con esercito poderoso. È necessario raddoppiare sforzi e cure, per fare una difesa onorata e degna della maestà del nostro trono. I duchi di Berry, di Brettagna, del Brabante e d’Orleans partiranno, e voi anche. Delfino, per visitare, riparare e fortificare le nostre citta, provvederle di soldati e di munizioni, perocchè l’Inghilterra nelle sue aggressioni investe colla violenza, con cui le acque precipitano in un dirupo. È necessario usare tutte le cautele che la previdenza e il timore ci consigliano, alla vista delle orme recenti che lasciò nelle nostre pianure l’Inglese, fatale alla Francia che lo ha troppo disprezzato.
Del. Mio augusto padre, conviene senza dubbio che ci armiamo contro il nemico. La pace stessa, quando la guerra fosse dubbiosa, e alcuna contesa non tenesse svegliati gli spiriti, la pace non dovrebbe mai immergere un regno in un sonno tanto profondo, da farlo astenere da tutti gli apparecchi che divengono necessari in guerra. È per questo principio, ch’io dico che bisogna che partiamo tutti per visitare le parti deboli di Francia; ma lo dobbiamo fare senza mostrar alcun sgomento. Noi possiamo essere così placidi, come se ci venisse detto che l’Inghilterra fosse in moto per una danza moresca; perocchè, mio rispettabile sovrano, quell’isola ha sul suo trono un re sì leggero, sì balzano e nullo, che non può ispirar alcun timore.
Con. Oh! non dite così, Delfino: troppo errate sul carattere di quel monarca. Interroghi Vostra Altezza gli ambasciatori tornati ora da Londra, ed essi vi dicano con qual maestà egli ha accolto il loro messaggio; da quanti savi consiglieri era attorniato; quanto modesto e discreto; ma in pari tempo come è temibile per la sua costanza, per le sue risoluzioni; e allora vi convincerete che le sue follie passate non erano che la maschera del romano Bruto che celava la prudenza sotto il pallio della follia.
Del. No, nobile contestabile, così non è: ma sebbene la vostra opinione non sia la nostra, essa pure ne giova. Allorchè si parla di difesa, il meglio è supporre il nemico più forte che non lo sembra; è questo un modo sicuro per provvedere alle proprie cose largamente. Un disegno angusto non soddisfa a tutti i bisogni; è come un avaro, che per ritenere un po’ di panno guasta un vestito.
Re. Vediamo in Enrico un nemico potente, e pensiamo a disporre di tutte le nostre forze per combatterlo. La sua schiatta s’è arricchita colle nostre spoglie, ed egli deriva da quella famiglia crudele che venne come notturno fantasma ad atterrirci fino in seno ai nostri focolari. Rammento il dì, troppo memorabile! di nostra vergogna, in cui i campi di Crecy furono testimoni! di quella battaglia sì fatale alla Francia, quando tutti i nostri principi vennero incatenati dal braccio di quel potente Eduardo il Nero, che suo padre dalla gigantesca statura, stando sulla cima di una montagna, colla testa innalzata nelle regioni dell’aere, e coronata da un’aureola di sole, contemplava sorridendo, inebbriato dell’eroe che mutilava le opere di natura, e mietava la più bella gioventù che Dio e la Francia avessero data al mondo in venti anni. Questo Enrico è un rampollo di quella pianta vigorosa: temiamo la sua forza nativa e i suoi alti destini. (entra un messaggiere)
Mess. Gli ambasciadori di Enrico, re d’Inghilterra, chieggono udienza a Vostra Maestà.
Re. L’abbiano. Andate e introduceteli. (esce il mess. con alcuni signori) Voi vedete, miei amici, con qual ardore è seguita questa caccia.
Del. Volgete il capo e ne fermerete il corso. I cani più vili mandano i loro più clamorosi latrati, allorchè la preda, che intendono a minacciare, corre lungi da loro. Mio rispettabile sovrano, domate tosto questi Inglesi, onde imparino di quale monarchia siete capo. Un eccesso di presunzione, mio principe, non è difetto sì vile, sì pericoloso come lo è un basso disprezzo di sè. (rientrano i signori con Exeter e il seguito)
Re. Venite per parte del nostro fratello d’Inghilterra?
Ex. Sì; ed ecco il saluto ch’egli indirizza a Vostra Maestà. Ei vi chiede, in nome di Dio, di deporre questo scettro, che per dritto a lui solo appartiene; vi esorta a rendergli questa corona, dovuta soltanto ai suoi figli. E perchè siate fatto accorto che non è una inchiesta ingiusta e temeraria, ricavata da statuti logori e da trattati avvolti fra le tenebre dei secoli, vi manda quest’albero genealogico di cui ogni ramo chiarisce una discendenza certa e dimostrata. (dandogli un foglio) Ei vi prega di gettar gli occhi su questa pianta, e dopo che avrete veduto ch’ei discende direttamente dal più famoso de’ suoi grandi antenati, da Eduardo III, v’ingiunge di scender tosto da questo trono, che avete usurpato a lui, che ne è il vero possessore.
Re. E non aderendo io, che avverrà?
Ex. Una guerra sanguinosa che vi costringerà a farlo; perocchè quand’anche nascondeste la sua corona nelle pieghe più recondite del vostro cuore, ei saprebbe trovarla: per tal fine si avanza guidando con sè le tempeste, come un Dio circondato da folgori e uragani. Se la sua pacifica inchiesta non è ascoltata, viene egli stesso a corroborarla coll’armi. Ei vi comanda in nome dell’Eterno di dargli la sua corona e di commiserare a tutte le infelici vittime che il mostro insaziabile della guerra minaccia di distruggere; ei ricaccia sopra di voi le lagrime delle vedove, i gridi degli orfanelli, il sangue del popolo, i gemiti delle vergini, che vi chiederanno de’ loro sposi, de’ loro padri, de’ loro fratelli immolati in questa contesa fatale. Questa è la sua dimanda, la sua minaccia, il mio messaggio, a meno che il Delfino non sia presente. S’ei v’è, ho un’ambasciata anche per lui.
Re. Esamineremo con più agio il suo reclamo; e domani porterete la risposta al nostro fratello d’Inghilterra.
Del. Io qui rappresento il Delfino: qual messaggio avete per lui?
Ex. La sfida, il disprezzo più profondo, e tutto ciò che può esprìmerlo senza avvilimento, ecco il saluto che Enrico vi indirizza: e se vostro padre non sconta, soddisfacendo senza riserva tutte le sue dimande, l’amaro scherno con cui voi insultaste Sua Maestà, ei ve ne punirà così severamente che gli echi delle caverne e dei sotterranei di Francia risuoneranno del vostro castigo: i suoi cannoni faranno ammenda della vostra insultante ironia.
Del. Ditegli che se mio padre gli dà una risposta mite, ciò è contro il mio volere; poichè nulla più desidero che giuocar una partita col re d’Inghilterra, ed è alludendo a ciò e ai falli di sua giovinezza che gli mandai quelle palle da Parigi.
Ex. In ricompensa ei farà tremare fino le fondamenta del vostro Louvre, vi si annidasse la corte, nonchè di Francia, di Europa. Siate convinti che rimarrete assai stupiti, come noi suoi sudditi restammo, trovando tanta differenza fra quello che imaginato ci eravamo dovesse essere e quello che egli è. Ora ei profitta del tempo fino all’ultimo minuto; e le vostre perdite vel diranno, s’ei si ferma in Francia.
Re. Dimani sarete pienamente istrutto delle nostre risoluzioni.
Ex. Rimandatene prestamente, per tema che il nostro re non venga qui egli stesso a chiederci ragione de’ nostri indugi: egli è già approdato a queste sponde.
Re. Fra poco sarete licenziati e con proposte ottime. Una breve notte appena basta per maturar negozi di tanta importanza.
(escono)