I puntigli domestici/Atto II
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ATTO SECONDO.
SCENA PRIMA.
Sala che corrisponde a diversi appartamenti.
Brighella solo.
Oh! cossa me despiase aver desgustà Corallina! E tanti anni che semo insieme, ho sempre avù per ela della inclinazion, e adess per una freddura de niente semo in rotta. Ma avemo crià dell’altre volte, e l’avemo giustada; l’aggiusteremo anca adesso. L’averia da passar de qua. A st’ora brusada, che tutti dorme, se la capita, da galantomo vôi far un sforzo e giustarla1, se credesse de remetterghe tre o quattro mesi de salario. La sol andar a sta ora in te la so camera: aspetterò che la passa. Zitto, i averze la porta della siora Contessa, la doverave esser ela. Da galantuomo che l’è ela2.
SCENA II.
Corallina dalla camera davanti, e detto.
Corallina. (Che cosa fa colui in questa sala? Mi dispiace avergli da passar dinanzi). (da sè)
Brighella. (Par che la gh’abbia suggizion). (da sè)
Corallina. (Quando lo vedo, mi si rimescola il sangue).
Brighella. (Se savesse come far).
Corallina. (Or ora torno in camera della padrona).
Brighella. (Tira fuori una scatola d’argento e prende tabacco.)
Corallina. (Ha la tabacchiera d’argento! Se non fosse in collera, potrei sperare d’averla).
Brighella. (Sternuta.)
Corallina. La testa.
Brighella. Obbligatissimo alle so grazie.
Corallina. (Maledetto! A me insolente!)
Brighella. (Tira fuori un fazzoletto di seta, e mostra volersi con quello soffiare il naso.
Corallina. (Che ti venga la rabbia! Con quel fazzoletto si soffia il naso? Se lo avessi io, me lo metterei sulle spalle).
Brighella. (Sospira.)
Corallina. (Sospira. È buon segno).
Brighella. (Mostra di fare un atto di disperazione, e getta il fazzoletto verso Corallina.)
Corallina. Chi vi ha insegnato le creanze?
Brighella. La compatissa.
Corallina. Colle fanciulle onorate non si tratta così. (guardando il fazzoletto)
Brighella. Non ho preteso d’offenderla.
Corallina. Perchè gettar così questo fazzoletto?
Brighella. Per la mia maledetta fortuna.
Corallina. Un fazzoletto di questa sorta gettarlo via? Si vede che siete un pazzo.
Brighella. L’aveva tolto per donarlo via; el diavolo gh’ha messo la coda. No ghe ne vôi saver; che el vada.
Corallina. Non so chi mi tenga, che non gli metta i piedi sopra.
Brighella. La se comoda pur.
Corallina. (È peccato, è tanto bello!) (da sè)
Brighella. Za a chi l’aveva da dar, no gh’ho più coraggio de darghello; la ghe zappa suso, la lo taggia in tocchi, che no ghe penso.
Corallina. È un signor grande vossignoria3. Butta via un fazzoletto che costerà un ducato.
Brighella. In quanto a questo po, el costa un felippo4.
Corallina. E lo butta via?
Brighella. Cossa m’importa a mi? Che el vada.
Corallina. Doveva averlo destinato per qualche signora di merito.
Brighella. L’aveva destina per una persona che merita; ma sta persona con mi l’è in collera, e mi lo butto via.
Corallina. L’avete buttato via, ma poi lo piglierete5.
Brighella. Ghe farò veder a trarlo zoso dalla fenestra. (vuol riprenderlo)
Corallina. Lasciatelo lì. (lo ferma con collera)
Brighella. No son miga un puttelo.
Corallina. I filippi non si trovano per le strade.
Brighella. Mi per un pontiglio butterave via tutto quel che gh’ho.
Corallina. Tutto?
Brighella. M’intendo quel che se pol buttar.
Corallina. Bisogna che siate pazzo.
Brighella. Quando son in collera, son cussì.
Corallina. Peccato! Gettare un fazzoletto di quella sorta in terra, che è piena di polvere.
Brighella. Eh! la sala è netta, no gh’è polvere.
Corallina. Guardate, da questa parte è impolverato.
Brighella. La va via subito.
Corallina. È rovinato. (si abbassa per prenderlo)
Brighella. No la s’incomoda. (vuol prenderlo)
Corallina. Lasciate.
Brighella. Farò mi. (si chinano a prendere il fazzoletto)
Corallina. Guardate; è tutto polvere.
Brighella. Se la lo sbatte, la va via.
Corallina. (Lo pulisce bene, poi lo piega come nuovo) Tenete. (lo vuol dare a Brighella)
Brighella. Eh! via.
Corallina. Tenete il vostro fazzoletto.
Brighella. Cossa vorla che ghe ne razza?
Corallina. Fatene quello che volete.
Brighella. Lo butterò zoso dalla fenestra.
Corallina. Datelo a chi lo avete destinato di dare.
Brighella. Benissimo. (accennando che ella lo tenga)
Corallina. Via.
Brighella. Eccolo. (come sopra)
Corallina. Come?
Brighella. A lei.
Corallina. A me?
Brighella. Sì signora.
Corallina. E lo gettate per terra?
Brighella. Ma!
Corallina. Non lo voglio, (mostra buttarlo via, ma lo ritiene per un lembo)
Brighella. La prego.
Corallina. Vi vuole altro per iscontare le impertinenze che mi avete detto. (lo mette via)
Brighella. Se bastasse una lira de sangue, ghe la offeriria volentiera.
Corallina. Che cosa volete che io faccia del vostro sangue?
Brighella. Vôi mo dir che la xe patrona de tutto.
Corallina. Datemi una presa di tabacco.
Brighella. La servo, (tira fuori la scatola d’argento, e le dà tabacco)
Corallina. La tabacchiera non la buttate via?
Brighella. Me despiaseria de maccarla.
Corallina. La vostra collera è giudiziosa.
Brighella. Ma se la se degna, senza che la butta via, la xe patrona.
Corallina. Oh, mi maraviglio. Io non tendo a queste cose; ho preso il fazzoletto, perchè l’ho ritrovato in terra.
Brighella. La veda, la fazza conto de trovar sta scatola in terra. (pone in terra la scatola)
Corallina. Io non sono una, che vada cercando le spazzature.
Brighella. Eh, una scatola d’arzento l’è una spazzadura che se pol tor suso.
Corallina. Vi ricordate che mi avete detto insolente? (avanzandosi con calore verso Brighella; e resta fra lui e la scatola)
Brighella. Eh! in atto de collera.
Corallina. Non mi è mai stato detto tanto.
Brighella. Via, giustemola con una presa de tabacco. Tolè mo su quella scatola.
Corallina. Vada al diavolo anche la scatola. (con un calcio la getta in distanza dalla sua parte)
Brighella. Piuttosto mo che buttarla via... (vorrebbe andare a prenderla)
Corallina. La padrona, la padrona. (lo ferma)
Brighella. La torrò suso mi.
Corallina. Andate via, che non vi veda.
Brighella. La torreu suso vu?
Corallina. Signor no, presto, andate via.
Brighella. (Ho da perder una scatola d’arzento cussì miseramente? Sior no. La torrò su co no ghe sarà più nissun). (si ritira)
Corallina. E andato via. Ora prenderò la tabacchiera. Ho piacere d’averla, ma senza obbligo di ringraziarlo. (la prende)
Brighella. Brava! (si fa vedere)
Corallina. Che cosa fate qui?
Brighella. Niente. Ho gusto che la scatola...
Corallina. Eccola, eccola... (mostra volergliela dare)
Brighella. No la la vol?...
Corallina. Eccomi, signora. Sentite? La padrona....
Brighella. Vado via.
Corallina. Presto, presto.
Brighella. Vado, vado. (E andà el fazzoletto, è andà la scatola; ma fin adesso ho avù poco gusto). (da sè, parte)
SCENA III.
Corallina, poi Beatrice.
Corallina. Povero Brighella! È pentito d’avermi ingiuriata, e ha pagato la pena con un fazzoletto di seta e con una tabacchiera d’argento. Non vi è male; a questo prezzo mi lascerei strapazzare una volta al giorno.
Beatrice. Che cosa fai qui in sala? Perchè non vai nella tua camera?
Corallina. Ho levato da terra certe spazzature.
Beatrice. Hai fatto male, non tocca a te.
Corallina. (Ne venissero spesso di quelle spazzature!) (da sè)
Beatrice. Tocca ai servitori del conte Ottavio, e quel temerario di Brighella non vuol far nulla.
Corallina. Egli bada alla camera del suo padrone; la sala tocca a spazzarla ai lacchè.
Beatrice. Serva pure il suo padrone, lo servirà per poco.
Corallina. Dice davvero?
Beatrice. Ho ritrovato il modo di farlo andar via, non solo da questa casa, ma da questa città.
Corallina. Anche dalla città? Come?
Beatrice. Ho saputo che egli era soldato, e che ha disertato. Il conte Ottavio lo protegge; ma io farò che lo sappia chi l’ha da sapere, e sarà rimandato al suo6 reggimento in ferri.
Corallina. Poveruomo! Perchè gli vuol far questo male?
Beatrice. Poveruomo tu dici ad un briccone, che mi ha perduto il rispetto?
Corallina. È vero, ha fatto male; ma un tal gastigo mi pare un poco troppo.
Beatrice. Per quel che vedo, ti è passato quel gran zelo che tu avevi per la tua padrona.
Corallina. Sono così anche nelle cose mie. Nel primo impeto vorrei conquassare il mondo; ma poi ci penso sopra, e mi passa.
Beatrice. Se passa a te, a me non succede il medesimo. Brighella mi ha offesa, e voglio che me la paghi.
Corallina. Non ha detto il signor Pantalone, che egli è pronto a levarsi la livrea, e venirvi a dimandar perdono?
Beatrice. Tu stessa hai detto che sono freddure.
Corallina. Avete promesso al signor Pantalone di riceverlo.
Beatrice. Ci ho pensato sopra e non lo voglio ricevere.
Corallina. Oh, questa è bella! Quando io ci penso, divento buona; quando voi ci pensate, diventate cattiva.
Beatrice. Tu non ti devi metter con me.
Corallina. (Mi dispiacerebbe ora che il povero Brighella se ne andasse via). (da sè)
Beatrice. Orsù, Corallina, va a chiamare due de’ miei servitori.
Corallina. Ora non ci è nessuno, signora: questa è l’ora che ciascheduno va a desinare a casa.
Beatrice. Abbasso ci sarà qualcheduno. Voglio due uomini.
Corallina. Per che fare, signora?
Beatrice. Voglio far levare quel quadro, e portarlo nelle mie camere. Il ritratto di mia madre non lo voglio in sala.
Corallina. Sa pure quante contese ci sono state per quel quadro.
Beatrice. Sì, per compiacere il conte Ottavio, l’ho lasciato metter qui: ma ora non ce lo voglio più.
Corallina. So che diceva che l’aveva fatto far egli stesso7.
Beatrice. S’egli lo ha fatto far lui, è il ritratto di mia madre, lo voglio io. Vuoi trovar questi uomini, sì o no?
Corallina. Adesso, signora, li cercherò. (parte)
SCENA IV.
Beatrice, poi Corallina con un Garzone di stalla, poi Brighella.
Beatrice. Questa volta si ha da rompere certamente! Si pentirà d’avermi perduto il rispetto. Tutto quello che posso immaginarmi gli rechi dispiacere, tutto voglio far per dispetto.
Corallina. Ho trovato il garzone di scuderia, e in mancanza... non trovando altri... verrà a servirla questo galantuomo.
Brighella. Se la comanda...
Beatrice. Va via di qua, disgraziato.
Corallina. Senta, signora padrona...
Beatrice. Mi maraviglio di te, che hai avuto l’imprudenza di farmelo venire dinanzi.
Corallina. Ma senta, in grazia, una parola.
Beatrice. Briccone! Che cosa vuoi dirmi? (a Corallina)
Corallina. È pentito di quello che ha detto.
Beatrice. Vada al diavolo.
Corallina. Tiene da lei...
Beatrice. Non gli credo.
Corallina. Ha da dirle delle belle cose del signor conte Ottavio.
Beatrice. Che cosa ha da dirmi?
Corallina. Parlate, galantuomo. Dite tutto alla mia padrona; ella è una dama di buon cuore, vi perdonerà. (Portatevi bene, se non volete andare al reggimento). (piano a Brighella)
Brighella. Lustrissima, ghe domando perdon. Se ho dito qualche cossa, se non son vegnudo a servirla, l’è sta per causa del me padron.
Beatrice. Ti ha proibito di servirmi?
Brighella. Lustrissima sì.
Beatrice. Che cosa dice di me?
Brighella. El dis cussì che l’è altiera, ustinada...
Corallina. (Aggiungete qualche cosa). (piano a Brighella)
Brighella. Che l’è collerica...
Beatrice. E non altro?
Corallina. Non avete detto a me, che egli ha detto che ella non ha giudizio?
Brighella. È vero.
Beatrice. Indegno!
Corallina. Che alleva male la sua figliuola? Che le dà dei cattivi esempi?8
Beatrice. Così ha detto?
Brighella. Me par de sì.
Corallina. Non occorre fingere, bisogna dire la verità. L’ha detto, o non l’ha detto? (Dite di sì).
Brighella. El l’ha dito, siora sì9.
Beatrice. Sempre più mi accendo di collera.
Corallina. Raccontatele quello che ha fatto stamattina di quei due vasi di garofani.
Brighella. (Quei che el vento ha buttadi zo?) (piano a Corallina)
Corallina. Perchè erano vostri, il signor Conte li ha gettati nella strada.
Beatrice. Presto, levate quel quadro, e portatelo nelle mie camere.
Brighella. La servo.
Beatrice. Corallina, vieni meco. Voglio fargli tagliare tutti i frutti del suo giardino. (parte)
Corallina. Vedete? Per causa mia siete tornato in grazia. Sappiatevi mantenere. (parte)
SCENA V.
Brighella, il Garzone di stalla, poi Ottavio.
Brighella. La m’ha fatto dir tre o quattro busie, senza voggia. Animo, amigo, tiremo zoso sto quadro.
Garzone. Vi vorrà una scala.
Brighella. Oibò, el se tira zo benissimo; vegnì qua. (si accostano, e levano il quadro)
Ottavio. Che cosa fai di quel quadro?
Brighella. (Oh diavolo!) (da sè) L’è pien de polvere, voleva nettarlo.
Garzone. Lo portiamo dalla signora Contessa.
Ottavio. Dalla Contessa? (a Brighella)
Brighella. Mi no so gnente.
Ottavio. Non saresti già tu d’accordo con lei?
Brighella. Lustrissimo, no gh’è pericolo. Son un galantomo. (Caro camerada, agiuteme per carità). (piano al garzone)
Ottavio. Come c’entri tu a levar questo quadro?
Brighella. Sto zovene m’ha dito che ghe daga una man, n’è vero?
Garzone. Illustrissimo sì, è vero. (Qualche volta mi dà della minestra). (da sè)
Ottavio. Dove lo devi portare?
Garzone. Dalla padrona; lo vuole in camera.
Ottavio. Bene. (dà un calcio nella tela e la sfonda) Portatelo da parte mia alla Contessa.
Brighella. Sior sì, porteglielo alla siora Contessa. (con caricatura)
Garzone. Così rotto non glielo porto.
Ottavio. Portalo, o ti rompo il ventre come ho fatto del quadro.
Garzone. Aiutami. (a Brighella)
Brighella. Mi servo el me padron, non me n’impazzo.
Garzone. Sia maledetto! Che cosa dirò alla padrona?
Ottavio. Dille che io l’ho fracassato.
Garzone. Questa volta o da una parte, o dall’altra, ho da esser bastonato. (parte col quadro)
Ottavio. Si è piccata che non vuole quel quadro in sala? Sarà contenta.
Brighella. Lustrissimo, bisogna che ghe avverta una cossa.
Ottavio. Che cosa?
Brighella. L’ha dito cussì la siora Contessa, che la vol far taiar tutti i frutteri del so zardin.
Ottavio. Per qual motivo?
Brighella. Perchè stamattina el vento ha buttà zo do vasi de garofoli, e la crede che vussustrissima ghe li abbia rotti per dispetto.
Ottavio. Toccarmi le mie frutte? L’unico mio diletto? Giuro al cielo, non anelerebbe esente della mia collera! Fa che il giardino sia ben chiuso, e avvisa il giardiniere che invigili con attenzione.
Brighella. Vado subito. (Corallina m’ha imbroià colla siora Contessa, ma mi me preme el patron). (da sè, parte)
SCENA VI.
Ottavio e Pantalone.
Ottavio. I miei frutti? Le mie pere? La mia spalliera? Si provi, e se ne avvedrà.
Pantalone. Sior Conte, son qua da ela; la perdona se son sta un pochetto tardi a vegnir. Gh’aveva un interesse de premura. L’ho fatto, ho disnà, e adesso son qua co la resposta de siora Beatrice.
Ottavio. M’immagino sarà una risposta piacevole. (con ironia)
Pantalone. In verità, che no ghe xe mal.
Ottavio. Vi ha detto che vuol farmi tagliare i frutti del mio giardino?
Pantalone. Eh! chi gh’ha contà ste fandonie?
Ottavio. Lo so di certo. Ma giuro al cielo, non lo farà.
Pantalone. Mi ghe digo, che no la gh’ha sti sentimenti.
Ottavio. E il quadro di sala, il ritratto di sua madre che sapete averlo fatto far io per accompagnare quegli altri, lo vuole in camera.
Pantalone. A mi no la m’ha dito sta cossa.
Ottavio. Sapete quante volte si è conteso per questo.
Pantalone. Xe vero. Me l’arrecordo.
Ottavio. Ora non si contenderà più.
Pantalone. No? per cossa?
Ottavio. Io stesso gliel’ho mandato in camera.
Pantalone. Bravo! l’ha fatto ben.
Ottavio. Ma10 fracassato nel mezzo.
Pantalone. Oimei! l’ha fatto mal.
Ottavio. Pretende di voler tutto a suo modo? S’inganna.
Pantalone. Mo me despiase; me despiase assae. Mi l’aveva ridotta a contentarse de poco. Un atto de respetto de Brighella, una parola de bon amor de sior Conte, bastava a metterla a segno, e tutto giera giusta. Vardè cossa fa la collera, cossa fa i trasporti. Adesso tutto xe sconcerta, bisogna tornar da capo, e far una fadiga da bestia.
Ottavio. Sono arrivato in tempo che faceva levare il quadro.
Pantalone. Chi sa per cossa che la lo fava levar? La m’ha dito una volta, che la ghe ne voleva un piccolo da tegnir in camera; e ho visto stamattina che la parlava con un pittor. Poi giusto darse che la volesse farlo copiar. (Voi veder se podesse tacconar11 anca questa). (da sè)
Ottavio. Se voleva farlo copiare, doveva parlare con me.
Pantalone. Finalmente el xe el retratto de so siora madre; no la xe mo sta gran colpa. Cossa dirà el mondo de sta bella scena? Credela de esser loda per sta bravura? I trasporti de collera fa sempre mal, e quell’omo che xe capace de frenar el primo impeto, el xe l’omo più felice del mondo. Non ostante, co s’ha fatto el mal, bisogna, se se pol, remediarghe; anderò mi da siora Contessa, dirò che el xe sta un accidente, che el quadro xe cascà, lo faremo giustar, metteremo la cossa in taser. Do parole d’un bon amigo xe l’acqua più attiva e più valida per stuar12 el fogo tra do persone irritade.
Ottavio. Ma caro signor Pantalone, spicciamola una volta. Venghiamo a qualche dichiarazione. O mia cognata vuole la mia amicizia, e son pronto ad accordargliela, o si è posta meco in puntiglio, ed io lo sosterrò sino all’ultimo sangue.
Pantalone. No, sior Conte, la vederà che siora Beatrice fa stima de ela. Qualche paroletta xe stada reportada. Ma la lassa far a mi, che tutto se giusterà.
SCENA VII.
Florindo e detti.
Pantalone. Sior Marchese, ghe son servitor... Me consolo...
Florindo. Schiavo suo. (bruscamente)
Pantalone. (Cossa gh’alo?) (da sè)
Ottavio. Marchesino, siete sollecito.
Florindo. Ho piacere d’avervi ritrovato.
Ottavio. Che cosa avete da comandarmi?
Florindo. Siccome non mi son servito di terza persona per chiedervi la signora Rosaura, così vengo io stesso a protestarvi, che se mi si mancherà di parola, saprò farmene render conto.
Ottavio. Che linguaggio è questo? Intendesi mancar di parola dandovi questa sera la sposa?
Florindo. Vostra cognata non parla come parlate voi.
Ottavio. Che dice ella?
Florindo. Che la Contessina non sarà mia, che ella altrui l’ha promessa, e che non vale il nostro posteriore contratto.
Pantalone. (Adesso stemo freschi). (da sè)
Ottavio. Ah, mia cognata è una pazza! Pretende ella vendicarsi meco, opponendosi a queste nozze da me a voi promesse, e con voi stabilite.
Florindo. Voi siete cavaliere, tocca a voi a farmi render ragione.
Ottavio. Sì, ve lo prometto. O Rosaura sarà vostra sposa, o darò un esempio, che sarà degno di me.
Pantalone. (Strepiti, precepizi, cosse grande!) (da sè)
Ottavio. Vedete, signor Pantalone? Sono ben fondate le vostre speranze di un facile accomodamento? Mia cognata ha della stima per me?
Pantalone. No so cossa dir; me par ancora impussibile...
Florindo. Mettereste in dubbio quello che io dico? Mi maraviglio di voi.
Pantalone. No digo in contrario, sior Marchese, sarà vero tutto; ma delle volte se pol equivocar.
Florindo. Ella mi ha detto chiaramente...
Pantalone. Se contentela ci’aspettar un momento, tanto che vaga a parlar mi co siora Beatrice?
Ottavio. Sì, andate. Raccogliete i suoi sentimenti, e ditele per parte mia, che se non avrà giudizio, perderò io la prudenza; ditele che non guarderò di precipitare me stesso, per rovinar lei e tutti quelli che le aderiscono.
Pantalone. La lassa far a mi. So cossa che gh’ho da far. Torno subito. (Oh se podesse giustar anca questa! Ma la vedo difficile), (da sè, parte)
SCENA VIII.
Ottavio, Florindo, poi Brighella.
Ottavio. Come vi ha parlato la Contessa?
Florindo. Voleva ella darmi ad intendere, che la Contessina non fosse di me contenta.
Brighella. Lustrissimo, è sta portà sta polizza con premura.
Ottavio. Chi l’ha portata?
Brighella. Corallina, la cameriera.
Ottavio. Quella disgraziata ha l’ardire di entrare nelle mie camere? La caccerò giù dalla scala.
Brighella. Poverazza, no la ghe n’ha miga colpa.
Ottavio. Tu la difendi?
Brighella. Ho scoverto tutto. Corallina no ghe n’ha colpa.
Ottavio. Trattienla fin che io leggo il viglietto.
Brighella. (Magari fusselo un viglietto longo!) (da sè; parte, poi torna)
Ottavio. Compatite.
Florindo. Accomodatevi.
Ottavio. Sarà un viglietto di mia cognata. Sentiremo che cosa sa dirmi. (apre)
Florindo. Voi non vi lascerete sedurre.
Ottavio. Marchesino, il viglietto non è di mia cognata, ma di mia nipote.
Florindo. Sentiamo... se mi è permesso.
Ottavio. Sì, leggiamolo. (legge)
Amatissimo signore zio. La mia signora madre è meco in collera, nè so perchè: ella non acconsente più alle mie nozze, e minaccia di mettermi in un ritiro. Ricorro a voi, amabilissimo signore zio, siccome a quello che ha sempre avuto dell’amore per me, e che avendo stabilito li miei sponsali col marchesino Florindo, ha tutto il diritto di pretenderne l’esecuzione. Dal canto mio sono disposta a far tutto ciò che voi mi consiglierete di fare. Mi getto nelle vostre braccia, vi supplico di soccorrermi, prima che la disperazione giunga ad impossessarsi dell’afflitto cuor mio.
Florindo. Povera giovine! non l’abbandonate.
Ottavio. No, non l’abbandonerò. Chi è di là?
Brighella. (L’ha finio de lezer molto presto). (da sè) La comandi.
Ottavio. Corallina è ancora nelle mie camere?
Brighella. Lustrissimo sì. No m’hala dito che la trattenga?
Ottavio. Falla venir qui.
Brighella. La me creda, lustrissimo, che l’è innocente.
Ottavio. Falla venir qui. Io non voglio gridare.
Brighella. (Poverazza! no vorria che el me la spaventasse). (da sè, parte)
SCENA IX.
Florindo, Ottavio, poi Corallina.
Florindo. Che cosa rispondete alla signora Rosaura?
Ottavio. Or ora, lasciatemi parlare colla cameriera.
Corallina. (Se la padrona mi vedesse, povera me!) (da sè, spaventata)
Ottavio. Vieni avanti.
Corallina. Signore, ho paura.
Ottavio. Di chi?
Corallina. Della padrona.
Ottavio. Non temere di nulla. Il padrone sono io.
Corallina. L’ho sempre detto. La padrona è collerica, un giorno o l’altro mi manda via. Ma il padrone, che è tanto buono, non mi abbandonerà.
Ottavio. Dimmi, la Contessina ti ha detto di dirmi nulla in voce?
Corallina. Poverina! se la vedeste! Fa compassione. Ha scritto quel viglietto, bagnando la carta colle lacrime. Mi ha detto che compatite13 se ha scritto male. Ha chiesto alla padrona di poter desinare nella sua camera, e invece di mangiare, poverina, scriveva con un occhio sul tavolino e l’altro alla porta, per timore di non esser sorpresa14.
Ottavio. Ci rimedierò io. Permettete che vada a rispondere al viglietto di mia nipote.
Florindo. Sì, fatelo, ma con qualche risoluzione.
Ottavio. Lasciate il pensiero a me15.
Florindo. Posso io sapere?...
Ottavio. Saprete tutto opportunamente. Attendimi colla risposta. (a Corallina, e parte)
SCENA X.
Florindo e Corallina.
Corallina. Meschina me, se la padrona sapesse che io fossi qui!
Florindo. Fidatevi del conte Ottavio.
Corallina. E poi quello che io faccio, lo faccio per l’amore che porto alla signora Contessina, che mai nessuno si può vantare che io abbia portato un viglietto di ragazze, nè fatta un’ambasciata amorosa. Il cielo me ne liberi, morirei piuttosto che fare una cosa simile.
Florindo. Vi supplico, Corallina, dite alla signora Rosaura che seguiti ad amarmi, e soffra pazientemente.
Corallina. Ma, signore, ho pur detto che di queste ambasciate io non ne faccio.
Florindo. Se amate tanto la signora Rosaura, non ricuserete di dirle queste mie innocenti parole.
Corallina. Via, gliele dirò, perchè sono innocenti.
Florindo. E poi, Corallina mia, vi regalerò.
Corallina. Oh, io non mi lascio allettare dalle promesse.
Florindo. Dalle promesse no, ma dai regali forse sì.
Corallina. Dai regali? Non so, perchè non ne ho mai avuti.
Florindo. Vorreste provare?
Corallina. Dicono che prima di morire, è bene provare un poco di tutto; cioè16 che non offenda il buon costume.
Florindo. Eccovi un piccolo regaletto di due zecchini.
Corallina. (Li prende sorridendo.)
Florindo. Che effetto vi fanno?
Corallina. Non saprei: un certo movimento interno, che mi fa ridere...
Florindo. Bisognerebbe che comunicaste un poco della vostra allegria alla signora Rosaura.
Corallina. Mi proverò.
Florindo. Che cosa le direte per rallegrarla?
Corallina. Le dirò che il signor Marchesino l’adora, che sia fedele, e non dubiti che sarà contenta.
Florindo. Non le direte altro?
Corallina. Le dirò... Sentite che spirito mi ha messo in capo quel picciolo regaietto. Le dirò che in caso di disperazione, si fidi di me, che mi basterà l’animo di farle sposare il signor Florindo, anco a dispetto di sua madre.
Florindo. Bravissima. Ecco altri due zecchini.
Corallina. In verità, voi mi fate giubbilare a segno, che or ora vi travesto in qualche maniera, e vi conduco alle sue camere.
Florindo. No, Corallina, non venghiamo per ora a questi passi. Attendiamo le risoluzioni del conte Ottavio.
Corallina. Ma io, quando mi ci metto, non mi ci metto per poco.
SCENA XI.
Ottavio e detti.
Ottavio. Tieni, portale questo viglietto.
Corallina. Come volete che io glielo dia?
Ottavio. Cautamente.
Corallina. Voglio dire, allegra o malinconica?
Ottavio. Come tu vuoi.
Florindo. Se volete che lo porti con allegria, donatele qualche cosa.
Corallina. Bravo: egli sa le buone regole.
Ottavio. Tieni, eccoti un testone.
Corallina. (Vogliamo star poco allegri). (da sè)
Ottavio. Portalo subito, e non tardare.
Florindo. Via, che io poi ti farò brillare.
Corallina. Che siate benedetto! Voi sapete che cosa ci vuole a far brillare le donne17. (parte)
SCENA XII.
Florindo, Ottavio, poi Pantalone.
Florindo. Ebbene, signor Conte, come vi siete voi contenuto?
Ottavio. Ho detto che si fidi di me; che se le nozze si differiranno, non per questo tramonterà il trattato. Che sentirò sua madre, e quando ella voglia persistere...
Pantalone. Son qua.
Ottavio. Che ci recate di nuovo?
Pantalone. Comoderemo tutto.
Florindo. Lo voglia il cielo.
Ottavio. Voi fate tutto facile, signor Pantalone.
Pantalone. La me permetta che diga tutto, e po la vederà se le cosse va ben. Siora Contessa ha confessà d’aver dito a sior Marchese, che no la vol più darghe so fia. Ma sala per cossa che la l’ha fatto?
Florindo. Perchè mai?
Pantalone. Per una frascheria da gnente.
Ottavio. Per vendicarsi di me.
Pantalone. Oh giusto! l’ha crià colla putta, e la xe andada in sto boccon de contrattempo. La sa de che temperamento caldo che la xe. In quel momento capita el sior Marchese. La vol dir, e no la sa cossa dir; orbada dalla collera, la principia a metterghe in desgrazia la putta; la s’ha inventà d’averla a un altro promessa, tutto per superar el so punto; tutto per sti maledetti pontigli, che intra in te le fameggie, che se cazza in tel sangue, e che fa che i parenti più stretti deventa tra de lori i più crudeli nemici.
Ottavio. Se la cosa fosse così, si accomoderebbe facilmente.
Florindo. Io spero che sarà così senz’altro. Non vi ricordate, che nel viglietto diceva: la mia signora madre è meco in collera?
Pantalone. Ghe digo che la xe cussì; la se fida de mi. (Ghe n’ha volesto a ridur siora Contessa; ho fatto una fadiga da can; ma spero che tutto sarà giustà). (da sè)
Florindo. Come abbiamo da contenerci?
Pantalone. Vorle che andemo da siora Contessa?
Ottavio. Andar da lei ci ho le mie difficoltà.
Pantalone. Via, sior Conte, la lassa i pontigli, e andemo.
Ottavio. Ha detto nulla del quadro?
Pantalone. La xe persuasa che el sia sta un accidente.
Ottavio. E i frutti che voleva farmi tagliare?
Pantalone. La l’ha dito in atto de collera. La sa che el vento ha buttà zoso i pitteri18; no gh’è pericolo de altro.
Ottavio. Del servitore parla più niente?
Pantalone. Anca per questo la xe giustada. El gh’ha domandà scusa, e la xe fenia.
Ottavio. Senza mio ordine ha domandato scusa? Lo caccerò via.
Pantalone. Ma, caro sior Conte, per carità, no la me daga in ste debolezze. No la destruza el merito delle mie fadighe. Ho fatto tanto, grazie al ciel ghe ne son riussio. Andemo da siora Contessa, e destrighemose.
Ottavio. Marchese, andiamo.
Florindo. Vi seguo con tutto il giubbilo.
SCENA XIII.
Brighella, un Messo della Curia, e detti.
Brighella. La veda sto omo de Palazzo, el vorave darghe una carta.
Ottavio. Cosa volete?
Messo. Perdoni, illustrissimo, questo foglio viene a lei.
Ottavio. (Lo prende e legge piano.)
Florindo. Signor Pantalone, voi siete un uomo di garbo.
Pantalone. Mi no son bon da gnente. Ma per i amici me desfarave. Son amigo della pase, e dove che pratico, procuro che la ghe sia.
Florindo. Sperate dunque che tutte le dissensioni di questa casa sieno accomodate?
Pantalone. Tutto xe giusta.
Ottavio. Signor Pantalone, ecco tutto accomodato. Con questo foglio, mio nipote m’intima la divisione; mia cognata domanda la sua dote, e son chiamato a render conto della mia amministrazione.
Pantalone. Come? Coss’è sta cossa?
Ottavio. (Al messo) Si faccia subito un precetto alla contessa Beatrice ed al conte Lelio, che debbano immediatamente evacuare questo palazzo, per essere di ragione della primogenitura, che è mia.
Pantalone. No, caro sior Conte...
Ottavio. Lasciatemi stare. Tenete uno scudo; prendete l’ordine e fate l’intimazione a dovere.
Messo. Sarà immediatamente servita. (parte)
Brighella. (Costoro i xe come el vento traverso, che fa19andar le barche da una banda e dall’altra). (da sè)
Florindo. Signor Conte, questa cosa sconcerta.
Ottavio. Mia cognata vuol la rovina di questa casa.
Pantalone. Vardemo da dove che deriva sto desordene.
Ottavio. Deriva dall’altrui malizia, dalla vostra credulità, e dall’aver io prestato fede ai vostri consigli. (parte)
Florindo. Giuro al cielo, adopreremo la spada. (parte)
Pantalone. Tolè, questo xe quel che se avanza a far ben. Rimproveri e male grazie. Ma pazenzia, no me pento de quel che ho fatto, e vôi seguitar a operar. No son persuaso che l’abbia d’andar cussì. Siora Beatrice giera placada, e qualchedun ha intorbià l’acqua sul più bello. Vôi scoverzer la verità, e vôi che se veda che son un omo onorato, un bon amigo, che gh’ha cuor, che gh’ha testa, e che gh’ha fin de reputazion. (parte)
SCENA XIV.
Brighella, poi Arlecchino.
Brighella. Vado osservando che le cosse in sta casa le va pezo che mai. No vorria che se tornasse da capo a parlar de mi. I strazzi va all’aria; no vorave mi tor de mezzo. Me despiase per Corallina; ma se no fusse per ela, anderave via a drettura. Ma ghe voio ben: ela me par che la me ne voia a mi. No vorave lassarla.
Arlecchino. (L’è qua Brighella. Adesso sarave el tempo de servir Corallina; ma per farlo ben, no bisognerave aver paura), (da sè)
Brighella. O paesan, ve saludo.
Arlecchino. (Bisogna farse coraggio).
Brighella. Coss’è? No se me respondè? Voleu qualcossa?
Arlecchino. Sior sì. Vôi qualcossa.
Brighella. Da chi?
Arlecchino. Da vu.
Brighella. Son qua, disè su cossa che volè.
Arlecchino. Se se galantomo, ve sfido co la spada a la man.
Brighella. Me sfide co la spada a la man? Se pol almanco saver la rason?
Arlecchino. La rason te la dirò, quando che t’averò mazzà.
Brighella. Caro amigo, allora sarà troppo tardi. Feme el servizio de dirmela adesso.
Arlecchino. (El vien co le bone, è segno che l’ha paura), (da sè)
Brighella. E cussì? se pol saver?...
Arlecchino. Sior sì. Ve la dirò. V’ho da cavar el cuor per parte de Corallina.
Brighella. Adesso capisso. Vu sè campion de Corallina. Volè combatter per ela.
Arlecchino. Sior sì, e in premio del mio valore, averò la sua destra ed il suo cuore.
Brighella. La so man? el so cuor? a vu? Corallina me vol morto? Se vol vendicar? Ah desgraziada! femena ingrata! traditora! sassina! (passeggiando e smaniando fra sè medesimo)
Arlecchino. (Se vede che el gh’ha una paura de mi terribile. Bisogna farse coraggio) (da sè). Animo, se ti è galantomo, vien a combatter con mi.
Brighella. No me degno de batterme con un omo de la to sorte.
Arlecchino. Perchè ti gh’ha paura.
Brighella. Mi paura?
Arlecchino. Sì, ti è un aseno. L’ha dito anca Corallina.
Brighella. Corallina ha dito che son un aseno?
Arlecchino. La l’ha dito in presenza mia.
Brighella. (Ah20, donna senza amor, senza cuor, senza fede, senza gratitudine, senza pietà!) (smania da sè, passeggiando)
Arlecchino. (El gh’ha paura, el trema). (da sè)
Brighella. (Me vien voggia de chiappar costù, e scannarlo co le mie man). (da sè)
Arlecchino. Animo. Alle curte. Viente a far ammazzar.
Brighella. Caro ti, lasseme star.
Arlecchino. No gh’è remedio. Ti gh’ha da morir per le mie man.
Brighella. Paesan, va via.
Arlecchino. No gh’è remedio.
Brighella. Va via, che sarà meggio per ti.
Arlecchino. Ti gh’ha paura, ti.
Brighella. Quel che ti vol; gh’ho paura, va via de qua.
Arlecchino. Se ti ti gh’ha paura, mi son coraggioso, e me voio batter, e te voio mazzar.
Brighella. E mi te digo...
Arlecchino. No gh’è ne digo, ne desdigo; se ti è galantomo, vien fora de qua.
Brighella. Arlecchin, te torno a dir, làsseme star.
Arlecchino. Sangue de mi, vien fora de qua.
Brighella. Ti vol che vegna?
Arlecchino. Sì.
Brighella. A batterme? con ti?
Arlecchino. Sì, se ti è galantomo.
Brighella. Son galantomo. Aspettarne qua. (parte, e torna subito)
Arlecchino. (Corallina sarà vendicada).
Brighella. Son qua. Ti voi che me batta con ti?
Arlecchino. Sior sì, con mi.
Brighella. Con ti me batto cussì. (lo bastona, e parte)
Arlecchino. Manco mal, Corallina sarà vendicada. (parte)
SCENA XV.
Camera di Rosaura.
Rosaura e Corallina.
Rosaura. Vieni qui, vieni qui, che nessuno ti veda.
Corallina. Eccovi il viglietto del signor zio, e poi vi ho da dire delle belle cose per parte di un altro.
Rosaura. Per parte di chi?
Corallina. Leggete, e poi ve lo dirò.
Rosaura. Dimmelo, cara Corallina.
Corallina. Per parte del signor Marchesino.
Rosaura. Che dice? Mi ama? È sdegnato? Procura di avermi?
Corallina. Vi vuol bene, sarà vostro. Leggete, prima che venga alcuno.
Rosaura. Povero Marchesino! (apre e legge)
«Nipote carissima.
«Ho appreso con senso di tenerezza le vostre giuste doglianze.
Corallina. Vostro fratello.
Rosaura. Misera me! (nasconde il viglietto)
SCENA XVI.
Lelio e dette.
Lelio. Che vuol dire, signora sorella, perchè sono venuto io, ha tralasciato di leggere? Sarà qualche viglietto, che io non potrò vedere.
Rosaura. Ecco cosa è, osservate. La regola del nuovo giuoco francese, intitolato la cometa. (tira fuori una carta, che parla di tal giuoco)
Corallina. (Brava davvero! Stimo la prontezza!) (da sè)
Lelio. Questa carta, signora mia, non è quella che leggevate, quando io son venuto.
Corallina. Oh! è quella, in coscienza mia!
Lelio. Vattene; tu non ci entri.
Corallina. Ma io parlo per la verità.
Lelio. Chi sa che non fosse un qualche viglietto amoroso, che tu le avessi portato?
Corallina. Andate là, che siete spiritoso. Pare che non mi conosciate. Non sapete che sono l’esempio21 della fedeltà? (e la madre della drittura?) (da sè, parte)
SCENA XVII.
Lelio e Rosaura.
Lelio. Favorite lasciarmi vedere quel viglietto.
Rosaura. Qual viglietto?
Lelio. Quello che avevate nelle mani poc’anzi.
Rosaura. Non so che cosa vi diciate.
Lelio. Giuro al cielo, me lo darete per forza.
Rosaura. Oh piano, signor fratello; vossignoria non ha l’autorità di usar meco la forza.
Lelio. Io, mancando il padre, fo le sue veci. Siete sotto la mia custodia.
Rosaura. Avete bisogno di esser voi custodito.
Lelio. Fraschetta.
Rosaura. Non mi perdete il rispetto.
Lelio. Voglio essere obbedito.
Rosaura. Avete finito di comandarmi.
Lelio. Perchè, signorina?
Rosaura. Perchè mi mariterò.
Lelio. Oh, per adesso no.
Rosaura. Siete anche voi d’accordo colla signora madre?
Lelio. Sì signora, per servirla. Il Marchesino non lo vedrete più.
Rosaura. Avrete cuore di dare a me una pena sì grande?22
Lelio. Orsù, voglio vedere questo viglietto.
Rosaura. Lasciatemi stare.
Lelio. Vi dico che lo voglio vedere.
Rosaura. Io non entro ne’ fatti vostri, e voi non entrate ne’ miei.
Lelio. Chiamerò vostra madre.
Rosaura. Chiamatela. È molto tempo che ho voglia di parlarle di voi.
Lelio. Che cosa le potete dire di me?
Rosaura. Che avete una chiave finta del burò, e le portate via i denari.
Lelio. Chi vi ha detto questo? Non è vero.
Rosaura. Eh, so tutto, e so anche dei dieci sacchi di grano che avete rubato la settimana passata.
Lelio. È roba mia.
Rosaura. La roba vostra l’avete mangiata ch’è un pezzo. Questa roba è della signora madre.
Lelio. A voi che cosa importa?
Rosaura. Niente; ma tacete voi, se volete che taccia ancora io23.
Lelio. Le fanciulle non parlano di queste cose.
Rosaura. E i fratelli non tradiscono le sorelle.
Lelio. Rosaura, il viglietto. Sono impuntato, lo voglio.
Rosaura. Io non so che cosa vi diciate.
Lelio. Volete giuocare, che ve lo prendo dalla tasca?
Rosaura. Vorrei vedere anche questa.
Lelio. Voglio vederlo. Mi preme l’onore della mia casa.
Rosaura. Io sono una figlia onorata. Se vi premesse l’onore, non trattereste di sposare la figlia di quel bracciere.
Lelio. (Oimè! come lo ha saputo!) (da sè) Chi vi racconta simili falsità?
Rosaura. So tutto, vi dico, e taccio; ma oramai parlerò.
Lelio. Rosaura, non parlate di ciò a mia madre.
Rosaura. Questa non è cosa che io possa dissimulare; a me pure preme l’onore della casa, e sarò costretta a parlare.
Lelio. Cara Rosaura....
Rosaura. Cara Rosaura, eh...
Lelio. Credetemi, ve lo giuro sull’onor mio. Mi prendo giuoco di colei; non son capace di una simile debolezza.
Rosaura. Ma se nostra madre lo sa....
Lelio. Non glielo dite, vi prego.
Rosaura. Meritereste....
Lelio. Via, non parliamo più del viglietto.
Rosaura. (Ho trovata ben io la maniera di farlo tacere). (da sè)
Lelio. (Ma! Quando si è in difetto, bisogna soffrire).
SCENA XVIII.
Beatrice e detti.
Rosaura. (Si mostra piangente.)
Beatrice. Che cosa ci è? Piangete?
Rosaura. Signora, non ho occasione di ridere.
Beatrice. Via, rasserenatevi. Questa sera vedrete il marchese Florindo.
Rosaura. Oh cielo! Dite davvero?
Lelio. Che vuol dire? Avete mutato pensiero?
Beatrice. Me ne ha dette tante quel buon uomo del signor Pantalone, che non ho potuto resistere.
Rosaura. Sia ringraziato il cielo!
Lelio. E voi, signora, vi lascerete dirigere da quel vecchio?
Rosaura. (Lelio fa sempre la parte del diavolo). (da sè)
Beatrice. Mi ha fatto toccar con mano il precipizio di tutta la nostra casa per un simile impegno.
Lelio. Che precipizio? Abbiamo noi paura del marchese Florindo?
Rosaura. Bei sentimenti di uomo onesto, di galantuomo!
Lelio. Voi non ci entrate.
Rosaura. Ci entro benissimo. Si tratta di me.
Lelio. E per una fraschetta si cederà vilmente ad un puntiglio di questa sorta?
Rosaura. E per un giovane senza giudizio, che cerca rovinar la casa con un matrimonio....
Lelio. Orsù, non so che dire, signora madre. Voi siete la padrona, fate voi.
Beatrice. Quando trovo le mie convenienze, non ricuso la pace.
SCENA XIX.
Dottore e detti, poi Corallina con un Messo della Curia.
Dottore. Umilissimo servitor di loro signori.
Beatrice. Oh signor Dottore, avete fatto bene a venire. Bisogna sospendere gli atti contro il signor conte Ottavio.
Dottore. La citazione è corsa.
Beatrice. Così presto avete fatto?
Lelio. Il signor Dottore è diligentissimo.
Beatrice. Mi dispiace infinitamente.
Rosaura. Ma io in queste cose non ci entro.
Lelio. È rotto tutto.
Rosaura. Anche il mio matrimonio? (a Beatrice)
Beatrice. Non crederei; ma bisogna rimediarvi.
Corallina. Signora. Un ministro della curia; eccolo qui.
Beatrice. Venga avanti.
Corallina. Favorisca, signor mangiacarta. (Gli si vedono nel viso le maledizioni che ha avute). (da sè, parte)
Messo. Favorisca. (dà il foglio a Beatrice, e parte)
Dottore. Sarà la notizia della intimazione che abbiamo fatta al signor conte Ottavio.
Beatrice. Come? A noi quest’affronto? In termine di tre giorni ce ne dobbiamo andare da questa casa?
Lelio. Chi lo dice?
Beatrice. Una intimazione del conte Ottavio.
Lelio. Il palazzo non è nostro?
Beatrice. No, è del primogenito.
Lelio. Signor Dottore, a voi.
Dottore. Lascino fare a me. Danari, e niente paura.
Lelio. Danari quanti volete.
Beatrice. Ora sono agli estremi. Questo affronto termina di irritarmi. Rosaura, tu anderai nel ritiro. (parte)
Lelio. Signora sì, nel ritiro, e vi starete tutto il tempo di vita vostra. (parte)
Dottore. (E la sua dote faremo24 andar nella lite), (da sè, parte)
Rosaura. Povera sventurata! Tutto sopra di me. Io che colpa ne ho? Perchè ho da essere sacrificata? Ma no, in ritiro non ci anderò. In una casa di pazzi non sarà gran cosa, se anche io dovrò fare una qualche pazzia.
Fine dell’Atto Secondo.
Note
- ↑ Pap. ha il punto fermo, e segue: Vôi giustarla, se credesse ecc.
- ↑ Pap. avverte: si ritira indietro.
- ↑ Pap.: grande lei.
- ↑ Il ducato d’argento corrisponde a 8 lire venete (= lire italiane 4.36) e il filippo a circa 1 I lire venete (= lire it. 6).
- ↑ Pap.: ripiglierete.
- ↑ Pap.: di lui.
- ↑ Pap.: fatto far lui.
- ↑ Pap. aggiunge: che se non fosse lui che la maritasse, passerebbe de’ guai?
- ↑ Pap.: El l’ha dito, signora.
- ↑ Pap. aggiunge: con un calcio.
- ↑ Rattoppare.
- ↑ Spegnere.
- ↑ Pap.: compatischiate.
- ↑ Segue nell’ed. Pap.:«Nel consegnarmi il Viglietto, gettò un sospiro e mi si abbandonò sulle braccia. Intimorita, gridai. Corse sua madre, ed io nascosi la lettera qui nel busto, dove per grazia del cielo posso nascondere tutto quello che io voglio. Flor. Questa madre crudele vuol rovinare quella sventurata. Ott. Ci rimedierò ecc.».
- ↑ Pap. aggiunge: di diriger l’affare.
- ↑ Pap.: di tutto; di tutto cioè ecc.
- ↑ Pap. aggiunge: Argian, argian.
- ↑ Vasi da fiori.
- ↑ Pap.: el fa.
- ↑ Pap.: Ah bricconcello! Ah donna ecc.
- ↑ Pap.: che sono il tipo della modestia, l’esempio ecc.
- ↑ Segue nell’ed. Pap.: «Lel. Se anco crepaste, che m’importa? Ros. Morirò; sarete contenti. Lel. Oh, bella cosa s’io risparmiassi la dote. Ros. Siete un cane. Lel. Orsù, voglio ecc.».
- ↑ Segue in Pap.: Lel. Non ho mai detto niente, che state tutta la notte alla ferrata a parlare col Marchesino. Ros. Nemmeno io ho parlato di quella lavandaia, colla quale amoreggiate. Lel. Le fanciulle ecc.».
- ↑ Pap.: la faremo.