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354 ATTO SECONDO

Brighella. (Oh diavolo!) (da sè) L’è pien de polvere, voleva nettarlo.

Garzone. Lo portiamo dalla signora Contessa.

Ottavio. Dalla Contessa? (a Brighella)

Brighella. Mi no so gnente.

Ottavio. Non saresti già tu d’accordo con lei?

Brighella. Lustrissimo, no gh’è pericolo. Son un galantomo. (Caro camerada, agiuteme per carità). (piano al garzone)

Ottavio. Come c’entri tu a levar questo quadro?

Brighella. Sto zovene m’ha dito che ghe daga una man, n’è vero?

Garzone. Illustrissimo sì, è vero. (Qualche volta mi dà della minestra). (da sè)

Ottavio. Dove lo devi portare?

Garzone. Dalla padrona; lo vuole in camera.

Ottavio. Bene. (dà un calcio nella tela e la sfonda) Portatelo da parte mia alla Contessa.

Brighella. Sior sì, porteglielo alla siora Contessa. (con caricatura)

Garzone. Così rotto non glielo porto.

Ottavio. Portalo, o ti rompo il ventre come ho fatto del quadro.

Garzone. Aiutami. (a Brighella)

Brighella. Mi servo el me padron, non me n’impazzo.

Garzone. Sia maledetto! Che cosa dirò alla padrona?

Ottavio. Dille che io l’ho fracassato.

Garzone. Questa volta o da una parte, o dall’altra, ho da esser bastonato. (parte col quadro)

Ottavio. Si è piccata che non vuole quel quadro in sala? Sarà contenta.

Brighella. Lustrissimo, bisogna che ghe avverta una cossa.

Ottavio. Che cosa?

Brighella. L’ha dito cussì la siora Contessa, che la vol far taiar tutti i frutteri del so zardin.

Ottavio. Per qual motivo?

Brighella. Perchè stamattina el vento ha buttà zo do vasi de garofoli, e la crede che vussustrissima ghe li abbia rotti per dispetto.