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370 | ATTO SECONDO |
Lelio. Chi vi ha detto questo? Non è vero.
Rosaura. Eh, so tutto, e so anche dei dieci sacchi di grano che avete rubato la settimana passata.
Lelio. È roba mia.
Rosaura. La roba vostra l’avete mangiata ch’è un pezzo. Questa roba è della signora madre.
Lelio. A voi che cosa importa?
Rosaura. Niente; ma tacete voi, se volete che taccia ancora io1.
Lelio. Le fanciulle non parlano di queste cose.
Rosaura. E i fratelli non tradiscono le sorelle.
Lelio. Rosaura, il viglietto. Sono impuntato, lo voglio.
Rosaura. Io non so che cosa vi diciate.
Lelio. Volete giuocare, che ve lo prendo dalla tasca?
Rosaura. Vorrei vedere anche questa.
Lelio. Voglio vederlo. Mi preme l’onore della mia casa.
Rosaura. Io sono una figlia onorata. Se vi premesse l’onore, non trattereste di sposare la figlia di quel bracciere.
Lelio. (Oimè! come lo ha saputo!) (da sè) Chi vi racconta simili falsità?
Rosaura. So tutto, vi dico, e taccio; ma oramai parlerò.
Lelio. Rosaura, non parlate di ciò a mia madre.
Rosaura. Questa non è cosa che io possa dissimulare; a me pure preme l’onore della casa, e sarò costretta a parlare.
Lelio. Cara Rosaura....
Rosaura. Cara Rosaura, eh...
Lelio. Credetemi, ve lo giuro sull’onor mio. Mi prendo giuoco di colei; non son capace di una simile debolezza.
Rosaura. Ma se nostra madre lo sa....
Lelio. Non glielo dite, vi prego.
Rosaura. Meritereste....
Lelio. Via, non parliamo più del viglietto.
Rosaura. (Ho trovata ben io la maniera di farlo tacere). (da sè)
Lelio. (Ma! Quando si è in difetto, bisogna soffrire).
- ↑ Segue in Pap.: Lel. Non ho mai detto niente, che state tutta la notte alla ferrata a parlare col Marchesino. Ros. Nemmeno io ho parlato di quella lavandaia, colla quale amoreggiate. Lel. Le fanciulle ecc.».