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I PUNTIGLI DOMESTICI 357

SCENA VII.

Florindo e detti.

Pantalone. Sior Marchese, ghe son servitor... Me consolo...

Florindo. Schiavo suo. (bruscamente)

Pantalone. (Cossa gh’alo?) (da sè)

Ottavio. Marchesino, siete sollecito.

Florindo. Ho piacere d’avervi ritrovato.

Ottavio. Che cosa avete da comandarmi?

Florindo. Siccome non mi son servito di terza persona per chiedervi la signora Rosaura, così vengo io stesso a protestarvi, che se mi si mancherà di parola, saprò farmene render conto.

Ottavio. Che linguaggio è questo? Intendesi mancar di parola dandovi questa sera la sposa?

Florindo. Vostra cognata non parla come parlate voi.

Ottavio. Che dice ella?

Florindo. Che la Contessina non sarà mia, che ella altrui l’ha promessa, e che non vale il nostro posteriore contratto.

Pantalone. (Adesso stemo freschi). (da sè)

Ottavio. Ah, mia cognata è una pazza! Pretende ella vendicarsi meco, opponendosi a queste nozze da me a voi promesse, e con voi stabilite.

Florindo. Voi siete cavaliere, tocca a voi a farmi render ragione.

Ottavio. Sì, ve lo prometto. O Rosaura sarà vostra sposa, o darò un esempio, che sarà degno di me.

Pantalone. (Strepiti, precepizi, cosse grande!) (da sè)

Ottavio. Vedete, signor Pantalone? Sono ben fondate le vostre speranze di un facile accomodamento? Mia cognata ha della stima per me?

Pantalone. No so cossa dir; me par ancora impussibile...

Florindo. Mettereste in dubbio quello che io dico? Mi maraviglio di voi.

Pantalone. No digo in contrario, sior Marchese, sarà vero tutto; ma delle volte se pol equivocar.

Florindo. Ella mi ha detto chiaramente...