I precursori di Lombroso/I fisionomisti nel seicento

../G.B. Della Porta e Guglielmo Gratarelli

../Frenologi e psichiatri IncludiIntestazione 18 marzo 2013 100% Da definire

G.B. Della Porta e Guglielmo Gratarelli Frenologi e psichiatri

[p. 92 modifica]



CAPITOLO IV.


I Fisionomisti nel seiecento




1. Ingegneri, Finella, Piocioli, Pellegrino. — 2. Gherardelli. — 3. Claramonte, Spontoni, De la Chambre, De la Bellière, Strygk, Goelenio, Elvezio. — Samuele Fuchsius. - Metoposcopia. — 5. Oftalmoscopia. — 6. O. Niquetius.


1. — Troppo lunga sarebbe anche la sola enumerazione dei fisionomisti che fiorirono nel secolo XVII. Molti però non fanno che seguire le tracce del Della Porta, che esercitò una grande influenza anche per aver corredata la sua opera con un atlante di pregevolissime figure; altri traducono e commentano gli antichi Aristotelici, altri tendono a dimostrare come l’appassionarsi alle ricerche fisionomiche non sia in opposizione ai precetti della Chiesa, e tentano di accordare l’indirizzo positivista col dogma. Se il Della Porta e il Grataroli non si influirono reciprocamente e le opere dell’uno furono sconosciute all’altro (dandoci così una prova che l’iniziarsi essi in questo genere di ricerche corrispondeva ad [p. 93 modifica]una personale curiosità di sapere e quasi ad una bizzarria), negli autori del sec. XVII invece vi è spiccata l’influenza reciproca, e si sente che esiste una Scuola, un indirizzo generale in relazione al rivolgimento fondamentale nell’indirizzo del pensiero per lo sviluppo rapido e rigoglioso di tutte le scienze naturali nel seicento.

È più spiccata la coscienza che la natura sia retta dalle leggi, e che l’uomo, in quanto è essere organico, è soggetto alle leggi fisiche.

Però anche in questo rinascimento scientifico rimane il concetto dualistico e i due elementi, spirito e corpo, se influenzabili a vicenda, rimangono pur tuttavia ben separati.

Senza prenderle in particolare esame citerò le opere dell’Ingegneri, del Finella, del Piccioli, del Pellegrino, del Gherardelli, del Claramonte, dello Spontoni, e fra gli stranieri del De la Chambre e del De la Bellière, dello Strygk, del Goelenio, dell’Elvezio, limitandomi all’esame di quelle del Fuchsius e del Niquetius, che rappresentano sufficientemente lo stato delle cognizioni del tempo sull’argomento.

Dell’Ingegneri, vescovo di Capo d’Istria, fu pubblicato dopo la sua morte un trattato sulla “Fisionomia naturale, nella quale con ragioni tolte dalla Filosofia, dalla Medicina e dalla Anatomia si dimostra come dalle parti del corpo umano, per la sua naturale complessione, si possa agevolmente congetturare quali sieno le inclinazioni e gli effetti dell’animo altrui„. È edita in Roma, 1° marzo MDCVI. Una ristampa venne [p. 94 modifica]fatta, insieme alle opere del Della Porta, in Venezia da Nicolò Pezzana nel MDCLXVIII.

Il Finella Filippo dedicò allo stesso papa Urbano VIII la sua Fisonomia naturale (Napoli 1629). È notevole la tendenza speciale del Finella a dare un carattere pratico dell’applicazione del diritto penale alla scienza fisionomica e la prudente riservatezza che s’impone nei giudizi, insistendo sulla necessità che diversi caratteri abbiano a concorrere per stabilire il diagnostico: “...se, per es., si avrà i capelli di chi è da me stato giudicato per reo, non devi per questo segno determinare liberamente, senza far prima giudizio degli altri membri, perchè è necessario avere altri membri che concorrano a dichiarare la natura di quelli capelli che giudicati avevi; come se per caso eran rossi significavano empietà, crudeltà, malefici, devi perciò guardare il naso, la fronte, gli occhi e altri corrispondenti e poi deliberare„.

Il Piccioli, nel De manus inspectione libri tres (Bergomi MDLXXXVII), tratta la Chiromanzia in modo scolastico, non è ancora spoglia dagli elementi astrologici del medio-evo.

Pellegrino Antonio ha una Fisionomia naturale, stampata in Venezia per Giov. De Ferri nell’anno MDXLV, e dovrebbe veramente essere accennato prima del Della Porta insieme al Grattaroli. Afferma concetti schiettamente positivisti quando dice: “E chiunque nasce porta seco dal primiero giorno le sue proprie e particolari inclinazioni, secondo le quali egli opera poi per tutto il tempo che egli vive sulla terra„.


[p. 95 modifica]2. — Meriterebbe di essere più particolarmente studiato il Gheraldelli, che nella sua voluminosa Cefalogia flsionomica (Bologna MDCLXXIV), ebbe un successo grandissimo presso i contemporanei. Di essa vennero esaurite in pochi anni diverse edizioni.

A contribuire alla fortuna di quest’opera deve Fig. 20. aver certo giovato la forma elegante, le digressioni filosofiche, sociali, estetiche, che con giusto criterio sa intercalare lungo la trattazione, e l’aver posto in testa ad ogni capitolo un sonetto parafrasante il distico latino che ne forma il soggetto, e le numerose incisioni di teste quasi [p. 96 modifica]sempre indovinate per l’efficacia della espressione mimica. Riporterò a titolo di saggio qualcuna delle pagine più originali di questo importante fisionomista. Ecco uno dei tanti sonetti posti sotto alle figure:

Non nigri aut albi, at mulier mediocris ocelli,
Prudens, fida, bonis moribus esse solet.




Dal meriggio fulgor ai bei splendori
     Sia, che l’occhio si abbagli e si confonda,
     Nelle tenèbre dei notturni orrori
     Sia che il mondo si perda e si diffonda;
Ma fra l’estremità di quei colori
     Un mezzo Sol di immensa lode abbonda,
     Che mescolando in sè quei varii errori
     Rende alla vista altrui luce gioconda.
O di Donna pudica occhio lucente
     Che la natura provvida compose
     D’un misto perfettissimo e fulgente.
Porti tu la Vertà ne i lampi ascose
     E la Sagacità d’alma prudente
     In te con larga mano il Ciel ripose.

Del Sig. Nonio Verace.


Questi sonetti sono di varî autori, letterati, accademici di professione e dilettanti, che si rivelavano cultori appassionati di Fisionomia.

Della fisionomia dell’uomo. — Deca seconda. — Fra le parti del nostro corpo la fronte obbidientissima si mostra nel palesare gl’interni affetti dell’anima; a piedi di questa ardono di continuo le fiaccole nobilissime degli occhi, acciò [p. 97 modifica]più facilmente corrano ad incensarla, come oracolo del cuore, e la curiosità e la cognizione altrui, e acciò meglio si leggano in essa i decreti stampati della confessante natura. S’ingegni pur dunque chi vuole di mentir la propria fronte col fingerla ad arte ribelle e contumace a gl’interni commandi, che non gli riuscirà così di leggeri, Fig. 21. ond’hebbe a dir Tibullo all’Elegia 7 del 4° lib.: “hei mihi difficile est imitari gaudia falsa; difficile est tristi fingere mente iocum; nec bene mendaci risus componitur ore; nec bene sollecitus ebria verba sonant„ e Ovidio nel 2° delle Metamorfosi: “heu quod difficile est crimen non prodere vultu„, perchè si conosce la [p. 98 modifica]frode e l’inganno; “sed tamen apparet dissimulatus amor„, disse lo stesso nell’Epistola, si dee solo avvertire che l’inganno più facilmente può nascere nel giudice che nel giudizio semplicemente, perchè le note degli affetti dell’animo, le quali dalla fronte sono fatte palesi, allora sono ben note, quando non solo saranno conosciute distinte fra loro, ma ancora riunite col paragone; che questo mi persuado sia il più sodo fondamento possa esser per fabbricarne il fine intento sicuramente discorrerei dunque in questa guisa, la fronte grande per sè stessa potrebbe essere indizio di grande ingegno, perchè cinge gran copia di cervello, in ciò appunto misurandosi la virtù con la quantità, come parve accennasse Aristotele nel 2° de generat. animalium, cap. 7, nell’aver pronunciato che l’uomo ha più di cervello, proporzionabilmente però di quanti animali ci siano, e il maschio più della femmina, ma però se si considera la grandezza rilevante assai, in rispetto alla grandezza sì, ma moderata di quà e di là, dalla quale non può stare il retto, mostrerà esso e tardezza di moto e rozzezza di costumi, e la ragione è questa che l’anima si dichiara impotente e debole all’intendere, mentre è forzata con troppa malagevolezza adoprar istrumenti maggiori del dovere, troppo duri e malfatti, come quei che su una fronte sconciamente grande si contengono, stante, che con una smisurata grandezza l’argomento, che anco che l’accoppia un’insolita durezza, per la material composizione terrea e secca„.

[p. 99 modifica]Della fisonomia dell’huomo. De capegli rari. — Discorso quinto, Deca prima. — Quando Polimene dice che i capegli rari mostrano persone maligne, et ingannevoli, s’intende di quelli che tali non sono per vecchiezza, e che naturalmente hanno capegli assai, che perciò l’atto venereo gli abbia Fig. 22. cavato i danari dalla borsa, e i capegli dal capo. Considerazioni pure d’avvertirsi dalle persone d’honore. Et il simile per fondamento dal filosofo l’adduce il Porta nella Fisonomia terrestre dello struzzo, che è calvo e libidinoso. E Plinio con Opiano dicono sia di gran esito, e di [p. 100 modifica]moltissimo seme, e di calda complessione, che perciò digerisce il ferro.

Nel vecchio la calvitie mostra calidità temperata con soverchia siccità, e però in loro è la calvitie d’honore, come commandano le divine carte: “Consurgem coram capite calvo„; e quelli che per ischerno dissero contro Eliseo Profeta: “Ascende calve„, furono da lui maledetti, e da gli orsi devorati.

Sopra li giovani calvi cade il biasimo, et il sospetto vehemente, che in essi sia stata vitiosa ragione della calvitie loro.

Noi abbiamo conosciuti molti giovani calvi, quali erano di statura ordinaria, con occhi non neri, ma tiranti al giallo, la carne loro era a modo vermiglia; la fronte spaziosa, per causa della calvezza, e nella quale come specchio di tutto il corpo dentro vi si leggevano l’infrascritte qualità: Cervelli astuti e di veloce immaginativa, colerici, sfacciati, pronti nel dire, et assidui nelle cose veneree. Là dove, perchè Socrate fu calvo, come scrivono Ammanio, Gioviniano e Girolamo da Zopiro, venne lussurioso giudicato. Fu Giulio Cesare calvo; per il che convenivale con molto disturbo sopportare le burle, e giuochi che li dicevano, e facevano i suoi malevoli. E quando gli fu dato la Corona dell’Alloro dal Senato e popolo romano, la portava sempre in capo, per coprire la calvizie. E quello che Svetonio dice di Cesare lasceremo da parte, per non invecchire una sì mala opinione contro giovani calvi, o a quali sieno rischiariti molto i capegli. E [p. 101 modifica]considerando la regola che abbiamo da principio proposta, come i spessi capegli sopra il capo dell’uomo lo indicano simile alle fiere selvaggie. Adunque saranno quelli di rari capegli mansueti e timorosi, e quelli di mezzana capigliatura verranno giudicati di costumi lodevoli, et honorati. “Optimum ergo signum, medium horum existit„, dice Polemone. E Plinio nel 6° lib., cap. 13, dice che appresso gl’Hiperborei: “Tam viris quam feminis capillus probro est„, e nel vecchio: “calvitium non est vitium, sed probitatis indicium„, e tanto più quanto che il calvitio è solo proprio dell’homo, e non dei bruti, onde nel vecchio è segno d’animo retto e buono, e però degno d’honore e viceversa. E qui sta il fine di questo discorso„.

Pareri d’alcuni altri scrittori.

“Capilli tenues et rari, frigidum ac sine viribus hominem ostendunt. Ex Alberto Magno de Animalibus: De paupertate sanguinis argunt; similiter hebetem, et pigrum; Et quando fuerint rariones, magis, subdolum, et asperum, ac lucri cupidum innuunt.

Refer timidati Barbarorum, ed Assyriorum avaritiae. Assyrii enim extra mensuram avari (Grattarola).

Capegli rari dimostrano huomo maligno, et ingannevole, come scrivono Polemone et Adamantio (Porta, pag. 161, fas. 2).

Non molto pelo e sottili, dimostrano temperata calidità, congiunta con soverchia siccità, [p. 102 modifica]e della siccità, che viene per cattivo temperamento, nasce il calvitio (Opinione de’ Signori Medici)„

Deca quarta. — Degli occhi delle donne. — Discorso decimo. — Ma per quanto appartiene alla ragion Fisicale, tutti sanno che quattro sono Fig. 23. gli humori corporali, la Flemma, la Malinconia, il Sangue e la Colera, secondo le quali quattro complessioni ovvero temperamenti sogliono gli uomini generarsi. E per lo più, o almeno molti abbondano più d’uno, che degli altri, secondo il quale si dà la denominazione alle persone, con [p. 103 modifica]dire il tale è di natura malinconico, quell’altro è molto flemmatico, quello è vehemente sanguigno, et il tale abbonda di bile grandissimamente. La malinconia fa la persona pigra, tarda nell’operare ed è molto contraria per la vita attiva sebbene vale per la specolativa. Il pituitoso rende le persone tanto fredde, che pajono insensate nei maneggi. Il sanguigno è ottimo per lo governo, Fig. 24. per essere di dolce, soave, e svegliata inclinazione. Ma il bilioso porta dalle fasce tanto ardente furore, che non può star quieto colla quiete stessa, nè potrebbe haver pace con la stessa pace.

Insomma la pratica di queste quattro naturalezze di persone e tanto giornale, e così [p. 104 modifica]manifesta a’ gli occhi di tutti, che qua non ci fa bisogno d’altre prove, che la sperienza stessa. Diciamo dunque se un huomo malinconico piglia per consorte una donna malinconica, che figli nasceranno da loro, come passerà il governo della casa il vedere i fatti suoi?

O che bel rubare haverà la servitù, con sicurezza di non essere colti sul corpo del delitto in mano. Se un pituitoso faccia matrimonio con una flemmatica, giudicate voi, tutta la loro entrata converrà spendere in fassine, solo saranno buoni di dire l’uno all’altro, fate voi, e credere a quanto gli diranno i Mastri di casa, li Fattori, gli Agricoltori, e tutta la servitù loro. Ma quando ambo saranno sanguigni, eccovi tradurre le vite loro in suoni, canti, festini, l’estate sollazzarsi per le campagne, l’inverno attendere a saturnali, et al governo di casa, chi vi ha da pensare vi pensa; e con un dire vogliamo così la parte nostra, et i nostri posteri ci pensino loro.

Due colerici poi insieme faranno esito tale, che bisognerebbe per tutti gli angoli della casa ci fossero bastoni, spade, e tutti li bellici strumenti.

Ma se uno sarà malinconico, pigliando una donna sanguinosa, molto bene uno tempererà l’humore dell’altro, et i parti nasceranno d’una temperatura mezzana, che sarà ottima in tutte le cose.

E lo stesso dicesi del flemmatico, il quale quando piglierà anche persona colerica, tutta volta il difetto del calore nell’uno con l’ecesso [p. 105 modifica]del calore nell’altro, commodamente si aggiusteranno fra loro, nella prosapia insieme; onde il Manso nel Paradosso secondo porta una tavoletta, portata da Marsilio Ficino nel convitto di Platone, che in questo modo insegnò: Il colerico colla colerica haverà corrispondenza alternata ma non durevole. Il colerico con la malinconia nessuna rispondenza, ma affanni. Il colerico con la flemmatica corrispondenza mezzana fra le loro vite, e nella prole sanguigno con colerica, corrispondenza alternata di rissa e di pace. Sanguigno con sanguigna perpetuo e non misero nodo. Sanguigno con flemmatica, corrispondenza buona, ma non durevole. Malinconico con malinconica di rado si legano, e legati mai si sciolgono. Malinconico con flemmatica, corrispondenza mala. Flemmatico con colerica, nissuna corrispondenza riceverà. Flemmatico con sanguigna, corrispondenza o niuna o poca„.

E passiamo ad altri, chè queste citazioni sono più che sufficienti per dare un concetto dell’opera del Gherardelli.


3. — Claramonte Scipione, col De coniectandis cuisque moribus et latitantibus animi affectibus (Venezia MDCXXV), studia i temperamenti, la conformazione delle parti e il movimento del corpo.

Lo Spontoni, che abbiamo già citato per la parte astrologica contenuta nella sua operetta, non aggiunse nulla di nuovo a quanto fecero gli imitatori del Della Porta.

[p. 106 modifica]De la Chambre divide nell’Arte de connoistre les hommes (Amsterdam 1660) in due ordini le cause che determinano l’uomo all’azione. “Le interne sono le facoltà dell’anima, il temperamento, la struttura delle parti, l’età, la nascita nobile o vile, le abitudini tanto intellettuali che morali, le passioni le esterne sono i genitori, gli astri, il clima, le stagioni, gli alimenti, la buona o l’avversa fortuna, gli esempi, i consigli, i castighi ed i premii„. È una esposizione dei fattori eziologici quale non si potrebbe desiderare più completa in un trattato moderno di psichiatria.

De la Bellière si avvicina agli autori del secolo XVIII. Dimostra molta coltura letteraria o storica nella sua Fisionomia ragionata o segreto curioso per conoscere le inclinazioni di ciascun nomo colle regole naturali (Lione MDCLXXXI).

Strigk è uno dei primi giureconsulti che applichino la fisionomia nella trattazione di opere giuridiche. È il Ferri nel ‘600. Scrivendo “De sponsalibus, nuptiis et separatione liberorum, de acquirendo rerum dominio. De jure mariti in bonis uxoris. De damno rebus alienis licite illato in extruendo„ fa delle considerazioni antropologiche e riprende il concetto che già era stato codificato dai longobardi che “quod dicobus vel pluribus ejusdem criminis accusatis, ille, qui melioris est physiognomiae innocentior abetur, adeo ut non facile torqueri possit„.

Goelenio Rodolfo, professore in Amburgo, stampa nel 1652 una Fisiognomica et Chiromantica specialia (Hallios Saxonum).

[p. 107 modifica]Si dilunga maggiormente a rappresentare gli aggruppamenti dei caratteri che costituiscono i vari tipi criminali, piuttosto che ad esaminare particolarmente le singole parti del corpo. Avverte inoltre come da un solo segno non si possa dedurre la natura dell’uomo, ma sia necessario il concorso di molti. Rispondendo così a distanza di qualche secolo alle sciocche obbiezioni degli oppositori di Lombroso, che tentarono di gettar il ridicolo facendo credere che sopra un unico carattere, e spesso di secondaria importanza, volesse erigere la diagnosi di delinquenza specifica.

Elvezio Giovanni, col Microscopium physiognomiae medicum, id est tractatus de physiognomiae del 1676 (Waesbergios), si acquistò gran fama, quantunque la sua opera non abbia originalità alcuna.


4. — Samuele Fuchsius, di cui ho già tenuto parola nell’Archivio di Psichiatria, mi pare degno di speciale osservazione e credo di dover parlare con qualche larghezza della sua opera.

Porta nel frontispizio questa scritta:

“Samuelis FVCHSII cvs lino pomerani | metoposcopia et ophthalmoscopia | Argentina exudebat Theodosius Glaserus | sumptibus Pauli Ledertz | M.DC.XV„.

Sono intercalate nel testo pregiate incisioni in rame, le quali in parte riproduciamo. Alcune di queste figure rappresentano tipi presi dal [p. 108 modifica]vero che hanno spiccati i caratteri degenerativi di cui si occupa l’A.; altre invece sono ritratti di principi buoni o malvagi, contemporanei o anteriori al Fuchsius, e di uomini eminenti, geniali; e starebbero a documentare la grande differenza che fisicamente si rincontra fra i diversi tipi morali.

Il lavoro del Fuchsius ha per la distribuzione della materia e per l’andamento generale Fig. 25.l’aspetto di un vero trattato; è diviso in 34 capitoli; 15 appartengono alla Metoposcopia, 19 alla Oftalmologia ciascun capitolo è diviso in paragrafi o canoni, ed alla fine di ogni capitolo vi sono numerose notizie storiche sull’argomento, e le opinioni degli autori sono documentate Come si vede, il modo di procedere nella compilazione dell’opera non ha nulla da invidiare alla modernità. Lo stile del Fuchsius è quasi sempre ampolloso ed iperbolico da buon secentista, il latino non certo elegante, è talvolta oscuro.


In una prefazione al lettore, dopo una dedica all’Ill. ed Eccell. Principe Filippo II, Duca di Stettino, Pomerania ecc., ed ai Cavalieri Nicolao [p. 109 modifica]e Federico di Slesia, dà la ragione dell’opera: “Io esporrò„, dice Fuchsius, “se non perfettamente, però almeno per quanto lo consentono le mie forze, in tutta la sua integrità la sostanza della Fisionomia. Se molti piangono Catone e Cesare come vittime dell’avversa fortuna, quanto sarà più conveniente investigare i destini dell’uman genere e provvedere in un modo quasi divino, quanta sceleraggine e quanta probità, ciascuno di noi porti rinchiuse in petto.Fig. 26.

Frattanto addosserò alle mie spalle il trattato della Fisionomia, di cui pubblico la Metoposcopia e la Oftalmoscopia, ed insieme imploro dagli uomini dotti e forniti di alto ingegno che non vadano in collera, ma che porgano soccorso alla mia ignoranza, se per avventura cadrò in errore„.

Entra poi subito in materia incominciando con un capitolo sulla natura e genere della Metoposcopia.

“Premete la voce, o mortali (traduco letteralmente), e custoditela col doppio riparo dei denti e delle labbra, pure per il secreto cammino della fronte l’animo vostro si mostrerà a nudo, senza il manto della finzione.

[p. 110 modifica]“Siccome lo specchio è l’indice della fronte, così per la stessa fronte, come in uno specchio, si manifesta l’immagine della mente. Come nel distico:

“Frontis ut est iudex speculum sic prorsus in ipsa Fronte, velut speculo, mentis imago patet„.

“La fronte c’insegna tutto ciò che avviene nell’intimo dell’animo nostro„.

Si chiama parlar chiaro questo, ed aver fede nella propria scienza! Nel Fuchsius è quasi spiegabile questa convinzione profonda, poichè vi è in lui qualche cosa di veramente geniale, profetico quasi. Sentite questo accenno al determinismo nelle azioni umane ed alla negazione del libero arbitrio:

“Prendiamo una legittima difesa del triste privilegio di mortali, per cui il delinquere e l’errare si annoverano fra le cose umane„.

Quanta verità in questi passi:

“Molto possono fingersi il volto, nessuno la fronte.

Il corpo dell’uomo viene dalla Natura adattato in diverso modo, per servire alle diverse qualità dell’animo di ciascuno„.

Come Lombroso studiò sulle scolture antiche e sui documenti artistici i caratteri antropologici delle personalità storiche, così il Fuchsius all’undecimo capoverso del secondo capitolo dice:

“Inoltre la efficace rappresentazione dei morti, per mezzo dell’arte della scoltura e della pittura, è certamente un insigne e nobile oggetto della Metoposcopia„.

[p. 111 modifica]Prende poi a considerare le fronti nelle loro varie forme, e quantitativamente le divide in grandi e piccole:

“Da una piccola fronte non si aspetti che cosa esigua, piccola e femminea.

Il più delle volte la fortuna risponde, alle opere di coloro che hanno fronte piccola e di rado colla virtù percorrono il cammino che guida al tempio della fama e della gloria. Fig. 27.

Sono i piccoli di fronte inclinati all’ira, desiderosi di vendetta, curiosi e affatto irrequieti, spesso grandi e piacevoli raccontatori di fiabe„.

Non sono forse in costoro delineati gli imbecilli, nel senso psichiatrico della parola?

Continua: “La fronte lunga annunzia vigore a docilità d’ottimi sensi„, mentre “il presagio di una fronte spaziosa sopra un naso ed un mento piccolo significa crudeltà in uomo pieno di furibonda ira„. “La fronte angusta non annunzia mai cose sublimi, perocchè è segno d’uomo effeminato e marchio d’inerzia„.

Ultimamente il Ferri, studiando il diametro minimo frontale, trovò che appunto i delinquenti maggiori (assassini, grassatori) dànno le cifre più basse.

[p. 112 modifica]Marro trovò pure minore nei delinquenti il diametro minimo frontale che non nei normali.

Le fronti più basse sono quelle dei ladri, degli oziosi e stupratori; è tipica la microcefalia frontale negli idioti. Fuchsius, coll’osservazione grossolana, limitata all’ispezione superficiale, ha prevenuto di circa tre secoli i risultati che ci diedero il compasso ed il metro.

Esamina quindi il Fuchsius “la fronte rotonda e quadrata elevata in giro o piana„, e commenta: “Se la rotondità è smodata, c’insegna che vi agisce l’eccesso della collera poichè un uomo tale è soggetto a passioni colleriche, agli affanni, agli accidenti della crapula, per cui cadrà nella pazzia o nella frenesia„. Qui vi è tutta quella catena di cause ed effetti, reciprocamente agenti, che costituisce molto spesso la intera esistenza del degenerato. “Di rado uomini di tal fatta, se non divennero frenetici, hanno fruito di placidi destini, specialmente se col crine assai folto uniscono le loro sopracciglia e di nera pelle circondano gli occhi. Perocchè o nell’onde esalarono l’animo contristato ed infelice, o al sicuro dall’onde muoiono di ferro, o spesso prendono il veleno„.

In questo passo, oltre all’essere notevole l’osservazione dell’importanza degenerativa data alla foltezza del crine ed alle sopracciglie miste, è adombrata l’affinità fra la pazzia e il suicidio.

“La fronte quadrata appartiene alla specie leonina, ed indizio di grande virtù, di animo generoso, di nobile costanza„. E reca bellissimi [p. 113 modifica]esemplari nei ritratti dei principi Maurizio, Nicola e Federico suoi protettori.

A costoro certo sono indirizzate le parole:

“Questi animi generosi rinunciano al desiderio dell’ignobile vendetta, e stimano d’aver più meritato col disprezzare che col ferire il nemico„. Fig. 28.

D’altra parte osserva che: “La fronte gibbosa eccessivamente convessa è indizio di stupidità e d’imprudenza e presenta l’immagine della fronte asinina„. Il tipo di fronte asinina, che il Fuchsius ci offre nelle sue illustrazioni, è degno davvero di figurare in un atlante moderno per la riunione dei diversi caratteri degenerativi in un solo individuo che esso ci presenta. Ma dove l’A. ha un sapore di modernità e pare segua un metodo psicologico nell’esame dell’espressione mimica, è nel capitolo che tratta della fronte bella e deforme:

“Una fronte serena dinota una mente serena, ogni turbamento è generato dall’incostanza e dall’umiltà; una fronte placida porta testimonianza di una grande natura e si presenta quasi divina.

La fronte accigliata dinota gli audaci, gli [p. 114 modifica]iracondi, i terribili. Portano intorno la protervia dei molossi e dei tori cui assomigliano.

Alla fronte bella si oppone la deforme, come nei cani di caccia che assalgono il leone e gli animali feroci, e, se tale, è contraria alla maestà del volto: e ti verrà fatto di dire giustamente: Mostro in fronte, mostro nell’animo„.

Questa coscienza così sicura del tipo criminale, poichè la mostruosità dell’animo nel Fuchsius equivale alla delinquenza congenita, la vediamo tuttora affermata nei popoli colle frasi: faccia da ladro, ceffo di assassino, muso da galera, ecc.Fig. 29

Il merito del Fuchsius sta nel coraggio, che a molti ancora odiernamente manca, di aver saputo trarre una conclusione teorica dalle proprie osservazioni di fatto, e di stamparla, assumendone le conseguenze. Molte cose, sulla verità delle quali la maggioranza ha pure una vaga intuizione, non possono venir chiaramente espresse o affermate, senza che quella stessa maggioranza si ribelli, prendendole, solo per la forma mutata, come invenzioni fantastiche, oppure contraddittorie coi proprî sentimenti, mentre non ne sono che la sintesi.

[p. 115 modifica]Il nostro autore tratta poi delle rughe della fronte, e ne fa osservare il loro carattere degenerativo se precocemente sviluppate. “Tanto gli uomini quanto i cavalli, generati dal seme di genitori sfiniti, portano, ancorchè non abbiano raggiunta l’età matura, il turpe marchio delle rughe„. Ed ha un accenno all’Omega doloroso di Schüle, quando, parlando dei melanconici, dice: “Si presentano colla fronte contratta, per la molestia dei pensieri difficili, ed in ispecial modo in loro le rughe si estendono fino alla radice del naso„.

E le rughe caratteristiche dei cretini microcefali sono tratteggiate al V paragrafo del capitol nono: “Se la fronte si corruga in altezza e la pelle è del continuo tirata in su, è indizio palese di stoltezza„. Sottile e fina osservazione è quella sulla diversità tra la fronte rugosa e l’increspata: “Molti scrittori confondono la fronte rugosa coll’increspata (caperata), vi è invece questa differenza, che la fronte increspata in qualsivoglia uomo nasce e scompare, mentre la rugosa rimane perpetua ed immutabile„.

Ma il Fuchsius, per quanto intelligente osservatore non poteva togliersi completamente dalle pastoie della Scolastica, e sottrarsi alle influenze dell’età sua, nella quale la magia, l’astrologia, la cabalistica, l’alchimia erano in onore.

Tratta quindi anch’egli come un chiromantico volgare delle linee di Saturno, del Sole, della Luna e di Mercurio, ecc., e vi consuma tre lunghi capitoli. Noi non lo seguiremo in quella corsa nella “Scienza divinatrice„; maggior [p. 116 modifica]interesse presenterà l’esame della seconda parte del volume, dove si parla degli occhi.


5. — Il Fuchsius, allorchè nel principio della sua opera disse la fronte essere lo specchio dell’animo, andò troppo oltre coll’entusiasmo pel valore sintomatologico di questa nobile parte del viso, poichè gli mancò in seguito la frase adatta a caratterizzare la funzione importantissima, capitale che ha l’occhio nell’espressione della fisionomia. E certo l’occhio più della fronte è suscettibile di indicare le sfumature delicate delle umane passioni, e il grado di intelligenza.

L’oftalmoscopia del Fuchsius non ha preamboli ed incomincia subito con una enumerazione delle diverse parti dell’occhio, le quali egli divide in sostanziali ed accidentali. Si intrattiene a parlare a lungo delle sopracciglia:

“Se le sopracciglia sono fornite di molti peli e tra loro congiunte, indicano gli empi, i ladri, i mendaci, gli omicida e tutti coloro che macchinano cose delittuose.

Di rado le sopracciglia prive di peli augurano cose buone, anzi manifestano, come appare nei fanciulli, costumi femminei ed imbecillità.

Inoltre le sopracciglia prive di peli spesso indicano lue venerea„.

Le considera minutamente, spingendo fino agli estremi il concetto della specificazione espressiva:

“Le sopracciglia o sono in piano, o si estendono con una debole curvatura; quelle che si [p. 117 modifica]stendono in piano indicano tristezza ed inettitndine a grandi sforzi.

Le sopracciglia arcuate dinotano arroganza; se si elevano in alto con frequenti movimenti, iracondia ed audacia. Le sopracciglia, che si stendono in arco elevato, dinotano i capaci d’amore per bellezza, per ardore. Amano riamati e tollerano i placidi comandi di Venere, che li favorisce. Quelle che sono inflesse verso il naso spirano austerità„.

Fa poi uno studio della zona mimica oculare parlando delle palpebre:

“Le palpebre che pendono languidamente ingrossate denotano i sonnolenti, se le palpebre rosseggiano, manifestano gli inverecondi„.

Curiosi sono i seguenti canoni sulle pupille:

“La pupilla larga indica stoltezza, inettitudine e semplicità; la pupilla piccola, quando risplende negli occhi, manifesta un uomo astuto, scaltro, infame, libidinoso; le pupille moderate palesano probità d’animo e di costumi.

Se le orbite si muovono in giro inegualmente, indicano strazi, orribili delitti, pensati da un animo facinoroso„.

Considera quindi in un capitolo speciale la grandezza degli occhi:

“Poichè dinotano pigrizia, ingegno inebetito e tardo, non approviamo gli occhi grandi. La natura diede ai buoi occhi grandi e gravi.

Se gli occhi grandi sono lividi, dinotano gli inverecondi, gli invidiosi e i crudeli.

Gli occhi piccoli indicano i pusillanimi, i [p. 118 modifica]timidi e gli avari; ma se gli occhi piccoli sono vivaci, sono meno da censurare che i grandi, perchè nell’occhio piccolo c’è maggior forza visiva„.

Parla poi del colore dell’iride:

“Questa, posta fra la pupilla ed il bianco dell’occhio, è tanto varia nell’uomo e nel cavallo, quanto è costante e di un sol coloro in tutti gli altri animali, secondo la specie di ciascuno di essi.

Tutti i fanciulli hanno gli occhi chiari, ma col crescere degli anni trovano il proprio colore, che per sempre mantengono. Se gli occhi sono molto neri, manifestano timidità ed inganni. Il color d’acqua manifesta gli stolti e i semplici. Il color biondo palesa i coraggiosi e i robusti„.

Tratta delle deviazioni della norma (anomalie pigmentarie), riconoscendone il significato degenerativo:

“Quelli in cui il diverso colore degli occhi è screziato come da piccole margherite, sono omicidi, traditori infidi, senza rispetto nè verso gli uomini, nè verso Dio„.

Non gli sfugge il cercine episclerale come fenomeno di senilità precoce e di involuzione.

“Che se circoli bianchi appaiono negli occhi, dirai che pronosticano imbecillità„.

E nello strabismo rileva un sintomo di grande importanza (Lombroso 10% nei criminali):

“Gli occhi poi affetti da strabismo, aridi, larghi e tremanti, palesano uomini malefici ed oltremodo audaci; così gli occhi loschi e da [p. 119 modifica]natura mal formati. Dagli occhi loschi si discernono i costumi e le opere losche„.

Sul movimento degli occhi fa numerose considerazioni:

“Nei buoni cervelli gli occhi non irrigidiscono, nè ruotano o guardano al basso, ma temperati dal freno della modestia, tengono una giusta misura, nella quale sta impresso il vestigio della tranquillità, il peso della gravità, l’apparenza dell’autorità, e si muovono schiettamente ed ordinatamente. Fig. 30.

Gli occhi inquieti, aggirantisi all’intorno umidi, palesano tacite fiamme d’amore, gli inclinati ai giuochi, alle delizie, i desiderosi di Venere.

Gli occhi poi volubili, scintillanti per una certa ignea trasparenza, minacciano rapacità, crudeltà e ladroneggi„.

E come è bene tratteggiato l’occhio stuporoso:

“Gli occhi rigidi ed a lungo aperti, dinotano i cogitabondi, sia che li abbia attratti l’ammirazione di qualche cosa, sia che così li riduca il pentimento di qualche azione trista da essi commessa„.

Ma dove il Fuchsius precorre davvero i tempi, ed intuisce quello che Lombroso tre secoli dopo [p. 120 modifica]doveva splendidamente dimostrare, è nel capitolo sedicesimo, dove accenna alla identità fra la epilessia e la delinquenza:

“Gli occhi che guardano in alto spesso palesano ubbriachezza e il morbo sacro (epilessia). Quelli che tremuli si volgono in alto con maggior certezza predicono il morbo sacro e sembrano propri dell’uomo inumano, d’ingegno invidioso e dell’omicida.

Sursum vergentes et tremuli certius sacrum morbum praedicunt, visi sunt inhumani, invidentis ingeni et homicidae„.

Dopo aver discorso degli occhi fermi che “manifestano l’avaro e chi è intento a qualsiasi lucro„, si finisce con una enumerazione che è una vera pittura delle modificazioni che negli stati affettivi e passionali può assumere l’espressione degli occhi:

“Siccome nel gaudio la fronte si estende, gli occhi risplendono di serenità, od anche in una improvvisa e irrequieta passione assiderati versano lagrime, così nella tristezza la fronte rugosa, increspata ed oscura, contrae le sopracciglia, offusca lo splendore degli occhi:

I segni dell’amore sono gli occhi languidi, anche torti, socchiusi e che placidamente contemplano. Che se la fiamma amorosa sempre più divampa, e prende forze maggiori, le lagrime spesso cadono involontariamente, mentre si teme che l’amore nascosto sia scoperto dai riguardanti.

Nell’odio gli occhi e tutto quanto il volto spirano crudeltà; gli occhi torvi, spinti in fuori [p. 121 modifica]e che guardano qua e là, si attribuiscono agli invidiosi. L’invidia è la radice di tutti i mali, la sorgente delle stragi, il semenzaio dei delitti, la materia delle colpe. Quindi il volto è minaccioso, l’aspetto torvo, la faccia pallida, le labbra tremanti: vi è stridore dei denti, parole rapide, insulti sfrenati, la mano pronta alla violenza ed alla strage, sebbene non fornita di spada, ma armata dell’odio di una mente furibonda. Gli Fig. 31 invidiosi sono pallidi, hanno gli occhi abbassati e depressi; la loro mente si accende, le membra irrigidiscono, c’è la rabbia nel pensiero„. E finisce col toccare di un presagio di morte:

“Se in una malattia acuta l’occhio si indebolisce, e nel chiudersi vacilla, porge il presagio di una morte imminente„.


6. — Pure meritevole di un particolarizzato esame è l’opera di O. Niquezio, nella quale si [p. 122 modifica]trova una percezione più esatta in consonanza con le più recenti scoperte della psicologia e della psichiatria. Il volume appartiene alla Biblioteca di Brera in Milano, e per chi volesse consultarlo, al catalogo è segnato B. XV. 5. 932.

Non è mia intenzione di farne qui un sommario, accennerò solo a qualche passo, a dimostrazione della genialità dell’autore e dell’abbondanza di materiali che si possono negli antichi rintracciare per servire ad una vera introduzione storica della Scuola Lombrosiana.

Il volume ha questa intestazione:

“R. P. Honorati Niquetii e Societate Jesu Sacerdotis Theologi Physiognomia humana libris IV, distincta. — Editio prima. Lugduni. Sumptibus Hered. Petri. Prost. Philippi Barde et Laurentii Arnaud M.DC.XLVIII„.

L’autore è dunque un padre della Compagnia di Gesù, un prete cattolico, depositario e rappresentante della scienza ufficiale del tempo, educatore di nobili e di principi, autorevole presso gran parte dei Governi e delle Corti europee. Una persona, come si vede, molto seria, che non si deve essere lasciata andare a sbizzarrirsi su congetture puerili, nè a contrastare alle opinioni dominanti del secolo.

Ma è tanto più significante che un gesuita, che ha per divisa la cieca obbedienza al dogma e che non ammette il libero esame, sorgesse per l’appunto a commentare ed a studiare appassionatamente la Fisiognomica, che anche secondo [p. 123 modifica]l’interpretazione dell’epoca, doveva nelle sue applicazioni pratiche togliere o diminuire il concetto di responsabilità e di libero arbitrio, cardini di un sistema religioso che promette premi e che minaccia castighi. E il Niquezio non solo raccoglie quanto sull’argomento gli è venuto a conoscenza nelle opere degli antichi, ma vi aggiunge osservazioni, documenti ed esperienze proprie, e cerca, con un tentativo che ai nostri giorni abbiamo visto ripetersi per le teoriche dell’evoluzione, di mettere in accordo, di conciliare i dati dell’esperimento e della scienza fisiognomica col dogma della rivelazione e colle Sacre Scritture.



Nella prefazione il Niquezio confessa che da giovane era stato colpito dalla lettura della Fisiognomica di Aristotele; ma che pur troppo aveva abbandonato poi ogni cogitazione sull’argomento; quando in Roma da erudito sane viro animatus ha ripreso il lavoro per correggere la vanità di coloro che si mostravano sprezzanti di quest’arte curiosa e per condurli allo studio degli arcani della natura.

È una vera missione che egli si prefigge e dimostra una sincerità di intento, rara in genere nelle opere scolastiche di quel tempo.

Egli non capisce, per esempio, come si possano trarre dei precetti in medicina senza essere valenti nelle congetture e nello studio della [p. 124 modifica]Fisionomia. Precisamente come si potrebbe oggigiorno lamentare la mancanza di mia coltura psichiatrica, che in tanti casi potrebbe salvare il medico e il chirurgo da errori diagnostici.

Fa dapprima un sunto di tutto il trattato di Aristotile, che è il gran maestro di questa scienza. Si adopera quindi a provare come la Fisiognomica sia inconsapevolmente già tratteggiata nelle Sacre Scritture.

Accennerò a qualcuna delle fonti citate:

Isaia, 30: “Agnitio vnltus eorum respondet eis„.

Hieronymus: “Sapientia hominis lucet in vultu ejus„.

Ecclesiastici, 13: “Ex visu cognoscitur vir et ab occursii faciei cognoscitur sensatus; amictus corporis et dentium risus et incessus hominis enunciant de illo„.

Ecclesiastici, 26: “Fornicatio mulieris in extollentia oculorum et in palpebris illius coguoscetur„.

Ambrosius, lib. 6, Hexaeron, cap. 4: “Imago quaedam animi loquitur in vultu„.

E seguita con numerose citazioni a provare il suo asserto: non essere l’essenza della Fisiognomica sconosciuta, nè condannata dagli scrittori sacri.

Dà una definizione della scienza di cui tratta, che potrebbe benissimo servire per la Antropologia criminale. Eccola: “La fisiognomica è la [p. 125 modifica]facoltà speculativa che per mezzo dei segni fissati nel corpo, apparenti o noti, argomenta le passioni naturali e le propensioni degli uomini„.

“E le affezioni che il fisionomo può rintracciare non si possono mutare od abolire; che se alcuno è stupido di natura non potrà forzatamente acuire l’ingegno„. Vera intuizione della facoltà e del determinismo delle azioni umane. Dimostra l’utilità e la nobiltà di queste indagini:

“Se fu celebrato sempre il detto di Apollo: nasce te ipsum, tanto maggior elogio dovremo dare alla Fisiognomica che per un retto sentiero ci introduce alla conoscenza di noi stessi. Utile per l’educazione dei fanciulli, nelle relazioni colla comunità, ad esercitare la moderazione di sè e degli altri„.

Combatte gli oppositori e coloro che le negano il valore e la scienza, perchè di molte cose non sa dar ragione delle quali solo l’esperienza parla in favore.

“E il fisico„, dice, “non ha forse molte cose di cui ignora le cause? Delle quali solo ha fatto esperienza? Perchè il magnete attira il ferro? Alberto Magno nelle meraviglie del mondo dice osservi cose che, manifeste ai sensi, hanno oscura la loro ragione, altre la cui essenza è ovvia e palese, e sono invece oscure ai sensi„.

Entrando poscia nel cuore dell’argomento consiglia di trarre i segni più certi dalle parti alte del corpo: Capo, torace, braccia. “Nel capo come in una rocca tutti i ministeri dei sensi sono costituiti e di là si parte ogni moto; il petto [p. 126 modifica]domicilio del cuore, che è la prima radice della vita e la fonte del calore innato„. Mette però in guardia contro le conclusioni troppo precipitate, sì che “non uni signo credendum„.

“La stessa pazzia (Phrenesis), che è una malattia dell’anima, nasce da cattiva predisposizione degli organi, la quale se si potrà togliere per avventura in forza del medicamento, vedremo pur la pazzia sparire„. “Simia omnium belvarum ingeniosissima, cui humanae rationis particula videtur indita, corporis humani conformatione aemulatur, faciem, aures, dentes, cilium in utraque palpebra, manus digitos, pedes ungues hominis more habens„. Fa qui dell’anatomia comparata, e poco più avanti il nostro autore intuisce esattamente l’evoluzione del sistema nervoso, affermando che se l’uomo ha la ragione è perché maximam cerebri copiam habet„ e fra gli animali “quo plus rationi accedunt, ut simia, plus quoque cerebri possident„.

V’è tanto da scandolizzare un buon credente antidarwinista.

Ma Niquezio non è esclusivista; se il fisico influisce sul morale ha pure osservato quanta parte questo abbia sul fisico e ci tratteggia una fisiologia delle emozioni “Il corpo resta influenzato dall’anima; nell’ira il cuore palpita, il corpo trema, la lingua balbetta, la faccia s’accende, gli occhi si infiammano, i denti si aguzzano, le labbra si mordono„, “motui animae semper similes in corpore motus respondent„.

Ha un capitolo intero sulle somiglianze [p. 127 modifica]fisognomiche degli uomini cogli animali, parte questa già ampiamente trattata da Aristotile e ripresa da fisionomisti del 500. Mi fermerò solo alle note che si possono ritenere originali di Nequizio e specialmente a capitolo IX, dove imprende a parlare delle diversità dei caratteri anatomici e funzionali, e delle caratteristiche psichiche degli uomini e delle donne.

La dimostrazione della inferiorità della donna e specialmente della sua minore sensibilità, che si era ritenuta leggendariamente più squisita per opera di romanzieri, poeti e fisiologi conferenzieri per il pubblico femminile, è opera tutta moderna e non venne acclamata nel mondo scientifico che per l’opera insigne di Lombroso e Ferrero nel 1894.

Ora sentite Niquezio come svolge questo tema e giudicate se il gesuita del seicento non fosse assai meglio illuminato nelle sue osservazioni di quello che non lo siano stato tanti moderni:

“Si mulier virili forma praedita sit, virilibus quoque moribus affecta auguretur„. Incomincia dunque col porre nettamente la questione che le manifestazioni intellettuali della donna sono in essa fissate dalle particolarità anatomiche:

“L’uomo di grande corpo, d’ampio capo, di duri capelli, di collo largo, arcuato sopracciglio, grande occhio e splendido, volto vivido e colorito, carne dura e secca, estremità del corpo grandi e nervose, più sviluppato negli arti superiori, voce grave, è di vita più lunga„. [p. 128 modifica]Seguono molti esempi di forza nel maschio negli animali, e persino nel regno vegetale.

“La femmina è di minor statura, di capo più piccolo, di faccia più stretta, lunga, collo sottile, mento rotondo, di dorso debole, di piccole braccia, nelle mani e nei piedi e in tutto il corpo poco nervosa (tendini), meno muscolosa, meno atta alla lotta, meno pesante, meno dura e meno rossa, e di più breve vita, ha le gambe invece più grosse ed invecchia più presto„.

“L’uomo è costante, temperato, generoso, intrepido, pugnace, audace, giusto, avido di vittoria, atto ad imparar discipline ed arti. La femmina timida, invida, insidiosa, fraudolenta, all’ira propensa, molle, delicata, misericordiosa, vereconda, avara, cupida di piaceri, querula, loquace„.

E questo, dice Niquezio, è il frutto dell’esperienza. Si vede che il geniale padre della Compagnia di Gesù aveva potuto fare una profonda conoscenza col sesso debole.

“Negli uomini„, continua, “più il maschio che la femmina ha raggiunto col maggior sviluppo del capo una magnitudinem cerebri, che è illustre domicilium principalium operationum, quali l’intelligenza, la memoria, l’immaginazione; ed è perciò che l’uomo è più idoneo della donna ad acquistare il sapere ed a professar la virtù. Ubi major cerebri copia, et esquisitius conformatum organum rationis ratio quoque praepollet. E in vero quella che fu sedotta fu Eva e non l’uomo„.

Nella donna all’ingegno si sostituisce l’astuzia. [p. 129 modifica]“Quod igitur aperto Marte non potest, cuniculis aggreditur, insidiatur, invidet„.

“La donna è crudele perchè per la diuturna dissimulazione trattiene il veleno nell’animo, che erutta poi quando le si presenta l’opportunità„.

Intorno a questo punto, che sostenuto dal Lombroso ha destato un vero vespaio di discussioni e le proteste del mondo femminile, sentite se non vi pare di udire nelle parole di Niquezio la traduzione di un passo della Donna delinquente di Lombroso e Ferrero:

“Crudelis quando inserbuerit odium, nam alioquin innatae misericordiae in ea laudabiliter et gloriose effiorescunt; pavida quippe est a debilitate naturae, hinc autem fit ut ejus animus tenerescat”.

Nota pure la sua fragilità nelle cose sessuali e la sua avarizia “quia propter virium, ingenique penuriam semper timet ac diffidit„. E finisce il capitolo con un’osservazione morelliana sulle degenerazioni famigliari, facendo notare che le famiglie colpite dalla disgrazia divina hanno figli soltanto di sesso femminile.

Troppo lungo sarebbe lo spigolare nel grosso volume tutti gli accenni interessanti di osservazioni fisiognomiche, anatomiche, psicologiche che il Niquezio espone. Mi. pare che da quel poco che ho detto risulti evidente l’importanza di questo libro, e il valore che esso acquista nella storia dell’evoluzione del pensiero scientifico di cui ci occupiamo.