Freddo

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Per riflesso Per la sua creatura
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FREDDO.

[p. 85 modifica] — La neve non può tardare, — annunziò la giovine serva, guardando il cielo bianco, — prenditi almeno un ombrello, Maureddu....

Un ombrello? Il giovine padrone si mise a ridere. Portar l’ombrello era per lui un segno di debolezza, quasi di vigliaccheria.

— Vedrai che nevicherà; perchè parti con questo tempo?... — riprese la ragazza, con voce ardente e lamentosa. — Io non potrò dormire....

Maureddu rise ancora. Per lui tutto era oggetto di riso, ma d’un riso quasi infantile, che non offendeva nessuno.

— Tu non potrai dormire? Allora, scendi in cucina, allora, — disse, mentre finiva di sellare il cavallo.

Anch’ella rise un po’, melanconica e voluttuosa.

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— Se non ci sei tu.... — mormorò.

— Ti abbraccerai la stuoia.... Va, di’ a nonna che sto per partire.... Aspetta, prima.

La rincorse sotto la tettoia e l’abbracciò forte. Ella era più alta di lui, bella, rosea, col naso aquilino e due grandi occhi rotondi, lucenti. Anch’ella lo strinse, quasi lo sollevò, e gli disse:

— Promettimi almeno che non passerai nel mio paese. Lo sai che mio fratello ti vuole uccidere.

— Egli non mi conosce. E poi.... che potrà far lui? — disse il giovine, con quel disprezzo che i ricchi paesani sardi hanno per i poveri. — Formica!

— Formica? Vedrai come ti pungerà, quella formica! — esclamò la fanciulla, respingendolo. — Avvicinalo e si vedrà!

— Basta! — egli comandò con voce aspra. Ma poi si raddolcì e mentì con quella sua aria di fanciullo ingenuo:

— E poi non ti sposerò?

— Quando? Quando il nibbio tesserà la tela per la mia camicia da sposa?

Egli rise. [p. 87 modifica]


*


Mauro spronava il cavallo, su, su, attraverso l’altipiano gelato. Il cielo s’abbassava sempre più; nuvole bianche passavano, pesanti e fredde come blocchi di neve, sullo sfondo bianco dell’orizzonte. Le montagne, in cerchio, si guardavano livide di freddo, mandando le une verso le altre enormi soffi di vento gelato: le quercie nere, lungo la strada, tremavano con brividi possenti, e pareva volessero vendicarsi del tempo, sferzando con le fronde più alte le nuvole in corsa.

A Mauro tornava in mente la frase rassegnata della sua giovine amante. Ella doveva averla presa dalla vecchia canzone:

Cando as a battire aneddu
pro isposare cun me,
Sa turulia at a tesser....

— Sì, ella è ragionevole: perciò le voglio bene. Come si fa? Un ricco proprietario, figlio unico, nipote unico, un proprietario di cento pecore e di duecento porci non può sposare una serva, una giovinetta straniera.... Uno della mia razza.... [p. 88 modifica]

Per quanto innamorato, cioè per quanto la sua amante gli piaccia, Mauro ride al solo pensiero di doverla sposare.


*


Ad un tratto il vento cessò, le nuvole si sciolsero, bianche sul cielo bianco. Qua e là qualche quercia, alta e contorta, prese una rigidità spettrale, un colore cupo; e tutto fu silenzio, silenzio intenso, immobilità di attesa. Non si udiva il trillo di un uccello; non un susurro di foglia.

— Mi pare che ci siamo! — pensò Mauro, odorando l’aria. E si mise il cappuccio. Una falda di neve, grande come l’ala d’una farfallina, cadde sull’orecchia del cavallo. Il cavallo scosse l’orecchia; milioni di ali bianche volteggiarono per l’aria.


*


Cammina, cammina; sulla punta del cappuuccio del “ricco proprietario di cento pecore„ la neve costrusse una piccola montagna; le strade sparirono, le quercie, bianche e nere, avvolte dal pulviscolo della neve, [p. 89 modifica]presero un aspetto strano, di giganti mascherati, in agguato dietro le roccie. Il giorno declinò, tutto diventò d’un grigio violaceo, il freddo si fece intenso; ma il giovine proprietario si mise a ridere.

— Ne abbiamo vedute altro che così! — si vantò col suo cavallo, il quale scuoteva le orecchie e lasciava dietro di sè, sempre più lentamente, le orme nere dei suoi ferri falcati. — Ti ricordi, Cumpanzeddu,1 quando sui monti d’Oliena siamo caduti entro una nurra?2 E là dicono ci sieno i demoni.... I demoni son neri, la neve è bianca: va là, cammina, Cumpanzeddu.

Cumpanzeddu trottava, ma la neve diventava sempre più fitta, incessante, silenziosa. Ci fu un momento in cui Mauro, nonostante il suo stoicismo, ebbe una strana impressione di fascino: gli parve di essere destinato a cavalcare così per tutta la vita, attraverso un paesaggio misterioso, nel silenzio terribile di una nevicata interminabile.

— Hai sonno, diavolo? — domandò a sé stesso, sbadigliando. — Vergògnati. Un [p. 90 modifica]giovine valente come te? Cammina, Cumpanzeddu....

Ma nonostante tutta la sua valentìa, il freddo lo vinceva, dandogli una sonnolenza strana, pericolosa. Allora gli venne in mente di bere un sorso d’acquavite, dal fiaschetto ch’egli, sebbene astemio, portava sempre con sè in viaggio per offrirlo ai compagni o agli amici che avrebbe potuto incontrare.

Bevette, uno, due sorsi, facendo delle smorfie nervose: poi sputò contro la neve, in segno di sfida, ridiventato allegro e coraggioso. — Un giovine come me, lasciarsi cogliere dal freddo! Puah! Cammina, Cumpanzeddu!


 *


Cumpanzeddu camminava, povera bestia, ma oramai le sue zampe non lasciavano che buchi bianchi sulla neve bianca. Le montagne scomparse, gli alberi scomparsi; ogni traccia scomparsa. Mauro si trovava sospeso fra il cielo bianco e la terra bianca, in un’atmosfera densa, o meglio, in una nuvola mobile e silenziosa di neve ghiacciata. Talvolta gli sombrava di andare contro una muraglia marmorea, e un vago turbamento cominciava a infastidirlo. [p. 91 modifica]

— Che ti sii smarrito, diavolo? Un giovane come te, un galantuomo, un leone? Puah!

Il sonno lo riprendeva, con sogni confusi, dolci e paurosi nello stesso tempo. Gli pareva di trovarsi nella sua grande cucina, sulla grossa stuoia di giunchi. Non poteva muoversi: aveva i piedi pesanti. La giovine serva lo accarezzava, ma le sue mani erano fredde gelate, e gli agghiacciavano il viso.... In fondo alla cucina s’elevava una muraglia di neve.

— Bisogna bere ancora....

Nel curvarsi per prendere il flaschetto dalla bisaccia s’accorse che sopra il suo piede la neve aveva deposto un piccolo cono.

— Ecco perchè ho i piedi pesanti. È strano; mi pare che io abbia freddo. Io? Vergògnati, Maureddu Corrias, vergògnati di aver freddo.

Bevette, scosse le gambe, e si guardò attorno. Era già notte: una notte chiara senza luce, senz’aria, senza orizzonte: una nuvola. Ma la muraglia là, in fondo, era diventata grigia, con un punto rosso nel centro. Il cavallo, che ora affondava fin quasi a metà gamba nella neve morbida come spuma, si dirigeva verso il punto rosso. [p. 92 modifica]

 *


Era la cantoniera. Cumpanzeddu si fermò sotto la fìnestruola rossa, e Mauro non ebbe il coraggio di spronarlo.

— Per me avrei proseguito, — pensò fieramente. — Altro che un po’ di neve ho visto, io! Ma questa povera diavola di bestia non può andar avanti.

Senza smontare battè col tacco la porta.

— Chi è? — gridò una voce di bimbo.

Mauro battè ancora, con prepotenza: a un leone come lui si doveva aprir la porta senza domandare “chi è?„

— Chi è? — gridò una voce di donna.

Mauro battè più forte.

— Ma chi è? — urlò una voce d’uomo.

— Galantuomini! — rispose il viandante.

Subito la porta si spalancò, ed egli aggiunse con disprezzo: — oh, che avete paura vi rubino le posate d’argento?

— Bello mio, — rispose la cantoniera, una bella donna in costume, con un bimbo in braccio, — noi non abbiamo posate d’argento, ma quando domandiamo “chi è?„ ci rispondono ugualmente. Cosa vuoi? [p. 93 modifica]

— Dormire qui. Le cantoniere sono dei viandanti!

La cantoniera, cioè la moglie del cantoniere, dovette riconoscere nel giovine un ricco paesano, uno di quelli che si rispettano e si fanno rispettare, perchè non replicò. Solo disse, amabilmente:

— Le cantoniere sono del re, ma anche del cantoniere; se tu però vuoi smontare e ti contenti di poco, sii pure il benvenuto.

Egli smontò, fece legare il cavallo, poi entrò nella cucina, pestando i piedi e scuotendosi la neve dal cappotto. Un piccolo fuoco rischiarava appena l’ambiente misero e freddo. Un uomo, alto e forte, stava seduto in un angolo, e sulle prime Mauro, vedendolo vestito da borghese, con un vecchio abito di fustagno giallognolo, lo credette il cantoniere.

— Salute, — disse il giovine proprietario, ridiventato buono e gentile, — è un tempo del diavolo! Chi sa che ora è!

— Saranno le sette, credo, — rispose la cantoniera, ritta accanto al fuoco, col bambino in braccio. — Mio marito, che è andato a Nuoro, s’è portato via l’orologio.

Allora Mauro guardò l’uomo e provò una strana impressione: gli parve averlo già [p. 94 modifica]veduto in qualche posto, ma non ricordò quando nè dove.

— Anche questo è un viandante, — spiegò la donna, — un viandante più disgraziato di te. Gli è morto il cavallo per la strada!

Mauro rise. Poi trasse dalla sua bisaccia il fiaschetto dell’acquavite e lo porse all’uomo.

Lo sconosciuto bevette, senz’altro, si pulì la bocca col dorso della mano, restituì il fiaschetto.

— Sì, — disse, — il mio cavallo è morto improvvisamente, poco lontano di qui.

— Eh, almeno i corvi avranno di che sfamarsi, in questi giorni di neve! — osservò Mauro, che non credette alla bugia dello sconosciuto. — Bevi, donna. Tu non vuoi bere? Fa bere al tuo bambino: gli farà bene, ti dico io, gli farà bene. Bisogna abituarsi da bambini, a bere, altrimenti si prende il vizio di non bere, come l’ho preso io. E tu, lo straniero, bevi ancora?

L’altro non si fece pregare.


 *


La cantoniera si ritirò presto e i due uomini rimasero soli nella cucina. Ogni tanto [p. 95 modifica]Mauro offriva il suo fiaschetto. L’altro beveva: i suoi occhi nerissimi e rotondi, vicini, quasi sospesi sopra un naso aquilino, diventarono lucenti. Nel focolare ardeva un tronco che Mauro era andato a scovare fra la neve.

Una cosa bizzarra accadeva. Mentre Mauro, che non beveva, chiacchierava, vantandosi e ridendo come un ubbriaco, l’altro diventava sempre più taciturno e raccolto. Invitato dal giovine proprietario s’era avvicinato al fuoco: ora sedeva per terra, a gambe in croce, ma era così gigantesco che la sua testa, coperta da un cencio di cappello bagnato, arrivava quasi al livello della testa di Mauro seduto su uno sgabello.

— Io vado verso Bono, — raccontava Mauro. — Vado in cerca d’un bosco di quercie, ove ci sieno molte ghiande per i miei porci. Sono disposto a pagare anche trecento scudi di fitto, ma voglio ingrassare i miei porci. Quest’anno a Nuoro non si trovano ghiande.

— Tu che sei nuorese, — disse allora l’uomo vestito di fustagno, — conosci per caso un certo Mauro Corrias?

Un oscuro istinto avvertì il giovine di mentire; ma egli era troppo vanitoso e non potè.

— Un certo? Un certo? Ma che certo? Mauro [p. 96 modifica]Corrias ce n’è uno solo, un galantuomo, un leone; e sono io! — disse francamente. — Che hai tu da dire a Mauro Corrias?

— No; domandavo così: t’ho sentito nominare. Sei molto ricco?

— Sicuro che son ricco! Cento porci, duecento pecore; tutti mi rispettano. Bevi, lo straniero, che arte è la tua?

— Contadino, — rispose l’altro, e tornò a fissare sulla fiamma i suoi occhi rotondi e lucenti.

Mauro riprese a chiacchierare e a vantare la sua roba.

— I miei porci? I più belli dei salti di Nuoro. Girerò tutta l’isola, ma bisogna che trovi un bel bosco. Ho un bosco anch’io, sui monti di Nuoro, dove la scure non ha mai sfiorato un tronco. Ma quest’anno non c’è una ghianda, neppure per farne bersaglio ad un colpo di fucile. L’anno scorso sì, era una buona annata. Ma l’inverno fu mite e quest’anno, in conseguenza, l’annata è cattiva. L’anno venturo, speriamo, sarà migliore. Cosa ne dici, tu?

~ Speriamo! — disse l’altro, indifferente.

A un tratto Mauro rise, ricordando qualche cosa di piacevole.

— Sì, una volta sola nevicò, e fece molto [p. 97 modifica] freddo. Lo ricordo perchè.... Ah, — chiese poi, — ci sono belle donne, al tuo paese?

— Belle davvero, vada al diavolo chi le ha fatte! — disse lo straniero.

— Perchè imprechi? Ti devono piacer molto, invece, le donne! Un omone come te! Su, via, raccontami qualche cosa.... Bevi.

L’altro bevette ancora, e con la mano fece un cenno come per significare: — aspetta, ora ne sentirai....

Gli occhietti da cagnolino del giovine paesano s’animarono d’una viva fiamma. Egli amava molto le donne, e quando si trovava in compagnia di qualche amico, il suo maggior piacere consisteva nel ricordare avventure amorose.

— Devi sapere, — cominciò finalmente l’altro, — devi sapere che io sto al servizio di una ricca famiglia, una famiglia numerosa, composta per lo più di donne. Oltre la padrona, che è una donna grassa, ancora molto piacente, ci sono tre figlie e due serve. Il padrone è paralitico....

— Ah, ah, — esclamò Mauro, — ora viene il bello!

Infatti l’altro cominciò a narrare una storia di avventure amorose quasi inverosimile: [p. 98 modifica]tutte le donne della casa ove serviva si erano buttate fra le sue braccia; l’altra notte la padrona, la vecchia padrona grassa ma ancora piacente, gli si era buttata sul petto come una fanciulla di quindici anni....

Mauro rideva e ascoltava. Non credeva alle fandonie dell’altro, ma provava gusto a sentirle. E come avviene nei fanciulli, anch’egli cominciò a enumerare le sue avventure, esagerandole per il gusto puerile di farle credere più ardite delle avventure del compagno.

— .... l’anno scorso poi ho avuto una bella ragazza, ma veramente bella, alta, grassa, rosea come una mela. È stato in un modo strano. È stato a causa del freddo! Non ridere: non so se tu hai osservato che nell’inverno le donne ci piacciono più che nell’estate. Anche d’estate non dico, ma.... lasciamo andare! Devi dunque sapere che mi trovavo sulla montagna: il tempo era mite, i miei porci ingrassavano a vista d’occhio, ed io non li abbandonavo un momento. Da quindici giorni non tornavo in paese. Quando una mattina vedo arrivare due donne: la mia balia e una bella fanciulla “istranza„3 che non conoscevo ancora. [p. 99 modifica]

— È la nuova serva della tua nonna, — mi disse la balia.... — Siamo venute per coglier ghiande. Aiutaci.

Le aiutai. Il tempo s’era cambiato, il cielo si era fatto bianco come neve, soffiava un vento gelato. Le donne si lamentavano per il freddo, e ad un tratto la balia andò nella capanna per riscaldarsi.

— Non toccarla, — mi avvertì, accennandomi la ragazza.

— Se la tocco griderà bene, — risposi io ridendo.

Appena fummo soli me le avvicinai e le dissi:

— Griderai?

Ella si mise a correre per allontanarsi da me, ed io la inseguii.

Il vento ci spingeva come due foglie: io ridevo e gridavo:

— Non aver paura, diavola! Voglio solo solo baciarti....

Ma invece di andare verso la capanna la ragazza se ne allontanava: io l’inseguivo sempre.

— Sciocca, — le dissi, — non vedi che ti smarrisci? Se continui a correr così finirai col precipitar nella valle. Aspettami, diavola; non voglio che un bacio. [p. 100 modifica]

Ella si fermò; io mi avvicinai e mi accorsi che tremava tutta di freddo e di paura. — Lasciami, — supplicava, — sono una povera serva, non mi toccare.

— Non aver paura, — le dissi, prendendo nelle mie le sue mani gelate. — Ora ti scalderò le mani. Non sono cattivo, io; sono un galantuomo. Se mi baci vedrai che non ti pentirai. Ora andiamo nella capanna; ti scalderai.

La presi per la vita, ma invece di condurla nella capanna la trascinai più lontano ancora, in un posto ove balia non poteva trovarci. Il vento diventava furioso: cadeva qualche falda di neve. La fanciulla tremava di freddo: cercava di sfuggirmi, ma oramai la tenevo avvinta e le dicevo tante dolci cose.

— Perchè un padrone non può sposare la sua serva? Sciocchezze. Io ti sposerò; sono figlio unico e farò ciò che mi piace.

Così la condussi lontano, verso una vecchia capanna riparata contro una grotta.

— Ho freddo, ho freddo, — ella diceva, — questa non è la tua capanna. Non c’è fuoco.

— Il fuoco è qui, nelle mie labbra. Senti. La baciai ed ella non gridò. Così fu mia.

— E balia? — chiese l’altro. [p. 101 modifica]

— E balia? Le diedi un porchetto di tre notti e.... tacque. D’altronde, cosa sapeva lei? — disse Mauro. E rise.

Lo sconosciuto fissava il fuoco coi suoi occhi rotondi spalancati: per qualche momento stette silenzioso, e quando Mauro cessò di ridere, un gran silenzio regnò nella cucina della cantoniera.

Fuori la neve cadeva sempre: non un rumore attraversava il silenzio vellutato della notte bianca.

Ma improvvisamente Mauro sentì una specie di urlo soffocato, un gemito lontano, selvaggio come il grido d’un cinghiale ferito. Volse la testa verso la porta, e d’un tratto vide tutto nero davanti a sè, e sentì come il peso d’un masso che lo schiacciava. Solo dopo un istante s’accorse della realtà. Lo sconosciuto era balzato in piedi e gli si era gettato addosso, premendogli le spalle con le sue mani possenti.

— Ah, un porchetto di tre notti! — egli gridava sogghignando, anelante. — Ruffiana, ti pagherò poi io; ti pagherò anche il latte che hai dato al tuo padrone. Ah, gli conduci le povere serve anche sul monte.... e le lasci sole con lui.... per fargli piacere.... [p. 102 modifica]

— Ma che hai, diavolo? — urlò Mauro, ficcando la testa nel ventre dell’assalitore.

— Conosci un certo Sebastiano Loi? — chiese allora l’omone, scostandosi alquanto, ma tenendo sempre inchiodate nelle sue mani le spalle del malcapitato.

Mauro sollevò gli occhi smarrito: ah, sì, ora ricordava! Gli occhi rotondi, il naso aquilino.... L’assalitore era il fratello della giovane serva.

Note

  1. Piccolo compagno.
  2. Crepaccio.
  3. Straniera, cioè d'un paese più o meno lontano.