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Mauro offriva il suo fiaschetto. L’altro beveva: i suoi occhi nerissimi e rotondi, vicini, quasi sospesi sopra un naso aquilino, diventarono lucenti. Nel focolare ardeva un tronco che Mauro era andato a scovare fra la neve.
Una cosa bizzarra accadeva. Mentre Mauro, che non beveva, chiacchierava, vantandosi e ridendo come un ubbriaco, l’altro diventava sempre più taciturno e raccolto. Invitato dal giovine proprietario s’era avvicinato al fuoco: ora sedeva per terra, a gambe in croce, ma era così gigantesco che la sua testa, coperta da un cencio di cappello bagnato, arrivava quasi al livello della testa di Mauro seduto su uno sgabello.
— Io vado verso Bono, — raccontava Mauro. — Vado in cerca d’un bosco di quercie, ove ci sieno molte ghiande per i miei porci. Sono disposto a pagare anche trecento scudi di fitto, ma voglio ingrassare i miei porci. Quest’anno a Nuoro non si trovano ghiande.
— Tu che sei nuorese, — disse allora l’uomo vestito di fustagno, — conosci per caso un certo Mauro Corrias?
Un oscuro istinto avvertì il giovine di mentire; ma egli era troppo vanitoso e non potè.
— Un certo? Un certo? Ma che certo? Mauro