I colloqui/II. Alle soglie/La signorina Felicita ovvero la Felicità

La signorina Felicita ovvero la Felicità

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II. Alle soglie - Paolo e Virginia II. Alle soglie - L'amica di nonna Speranza
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LA SIGNORINA FELICITA
OVVERO

LA FELICITÀ.

10 luglio: Santa Felicita.


i.


Signorina Felicita, a quest’ora
scende la sera nel giardino antico
3della tua casa. Nel mio cuore amico
scende il ricordo. E ti rivedo ancora,
e Ivrea rivedo e la cerulea Dora
6e quel dolce paese che non dico.

Signorina Felicita, è il tuo giorno!
A quest’ora che fai? Tosti il caffè:
9e il buon aroma si diffonde intorno?
O cuci i lini e canti e pensi a me,
all’avvocato che non fa ritorno?
12E l’avvocato è qui: che pensa a te.

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Pensa i bei giorni d’un autunno addietro,
Vill’Amarena a sommo dell’ascesa
15coi suoi ciliegi e con la sua Marchesa
dannata, e l'orto dal profumo tetro
di busso e i cocci innumeri di vetro
18sulla cinta vetusta, alla difesa....

Vill’Amarena! Dolce la tua casa
in quella grande pace settembrina!
21La tua casa che veste una cortina
di granoturco fino alla cimasa:
come una dama secentista, invasa
24dal Tempo, che vestì da contadina.

Bell’edificio triste inabitato!
Grate panciute, logore, contorte!
27Silenzio! Fuga delle stanze morte!
Odore d’ombra! Odore di passato!
Odore d’abbandono desolato!
30Fiabe defunte delle sovrapporte!

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Ercole furibondo ed il Centauro,
la gesta dell’eroe navigatore,
33Fetonte e il Po, lo sventurato amore
d’Arianna, Minosse, il Minotauro,
Dafne rincorsa, trasmutata in lauro
36tra le braccia del Nume ghermitore....

Penso l’arredo - che malinconia! -
penso l’arredo squallido e severo,
39antico e nuovo: la pirografia
sui divani corinzi dell’Impero,
la cartolina della Bella Otero
42alle specchiere.... Che malinconia!

Antica suppellettile forbita!
Armadi immensi pieni di lenzuola
45che tu rammendi pazïente.... Avita
semplicità che l’anima consola,
semplicità dove tu vivi sola
48con tuo padre la tua semplice vita!


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ii.


Quel tuo buon padre - in fama d’usuraio -
quasi bifolco, m’accoglieva senza
3inquietarsi della mia frequenza,
mi parlava dell’uve e del massaio,
mi confidava certo antico guaio
6notarile, con somma deferenza.

«Senta, avvocato....» E mi traeva inqueto
nel salone, talvolta, con un atto
9che leggeva lentissimo, in segreto.
Io l’ascoltavo docile, distratto
da quell’odor d’inchiostro putrefatto,
12da quel disegno strano del tappeto,

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da quel salone buio e troppo vasto....
«.... la Marchesa fuggì.... Le spese cieche....»
15da quel parato a ghirlandette, a greche....
«dell’ottocento e dieci, ma il catasto....»
da quel tic-tac dell’orologio guasto....
18«....l’ipotecario è morto, e l’ipoteche....»

Capiva poi che non capivo niente
e sbigottiva: «Ma l’ipotecario
21è morto, è morto!!...» - «E se l’ipotecario
è morto, allora....» Fortunatamente
tu comparivi tutta sorridente:
24«Ecco il nostro malato immaginario!»


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iii.


Sei quasi brutta, priva di lusinga
nelle tue vesti quasi campagnole,
3ma la tua faccia buona e casalinga,
ma i bei capelli di color di sole,
attorti in minutissime trecciuole,
6ti fanno un tipo di beltà fiamminga....

E rivedo la tua bocca vermiglia
così larga nel ridere e nel bere,
9e il volto quadro, senza sopracciglia,
tutto sparso d’efelidi leggiere
e gli occhi fermi, l’iridi sincere
12azzurre d’un azzurro di stoviglia....

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Tu m’hai amato. Nei begli occhi fermi
rideva una blandizie femminina.
15Tu civettavi con sottili schermi,
tu volevi piacermi, Signorina:
e più d’ogni conquista cittadina
18mi lusingò quel tuo voler piacermi!

Ogni giorno salivo alla tua volta
pel soleggiato ripido sentiero.
21Il farmacista non pensò davvero
un’amicizia così bene accolta,
quando ti presentò la prima volta
24l’ignoto villeggiante forestiero.

Talora - già la mensa era imbandita -
mi trattenevi a cena. Era una cena
27d’altri tempi, col gatto e la falena
e la stoviglia semplice e fiorita
e il commento dei cibi e Maddalena
30decrepita, e la siesta e la partita....

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Per la partita, verso ventun’ore
giungeva tutto l’inclito collegio
33politico locale: il molto Regio
Notaio, il signor Sindaco, il Dottore;
ma - poichè trasognato giocatore -
36quei signori m’avevano in dispregio....

M’era più dolce starmene in cucina
tra le stoviglie a vividi colori:
39tu tacevi, tacevo, Signorina:
godevo quel silenzio e quegli odori
tanto tanto per me consolatori,
42di basilico d’aglio di cedrina....

Maddalena con sordo brontolio
disponeva gli arredi ben detersi,
45rigovernava lentamente ed io,
già smarrito nei sogni più diversi,
accordavo le sillabe dei versi
48sul ritmo eguale dell’acciottolio.

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Sotto l’immensa cappa del camino
(in me rivive l’anima d’un cuoco
51forse....) godevo il sibilo del fuoco;
la canzone d’un grillo canterino
mi diceva parole, a poco a poco,
54e vedevo Pinocchio, e il mio destino....

Vedevo questa vita che m’avanza:
chiudevo gli occhi nei presagi grevi;
57aprivo gli occhi: tu mi sorridevi,
ed ecco rifioriva la speranza!

Giungevano le risa, i motti brevi
60dei giocatori, da quell’altra stanza.


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iv.


Bellezza riposata dei solai
dove il rifiuto secolare dorme!
3In quella tomba, tra le vane forme
di ciò ch’è stato e non sarà più mai,
bianca bella così che sussultai,
6la Dama apparve nella tela enorme:

«È quella che lasciò, per infortuni,
la casa al nonno di mio nonno.... E noi
9la confinammo nel solaio, poi
che porta pena.... L’han veduta alcuni
lasciare il quadro; in certi noviluni
12s’ode il suo passo lungo i corridoi....»

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Il nostro passo diffondeva l’eco
tra quei rottami del passato vano,
15e la Marchesa dal profilo greco,
altocinta, l’un piede ignudo in mano,
si riposava all’ombra d’uno speco
18arcade, sotto un bel cielo pagano.

Intorno a quella che rideva illusa
nel ricco peplo, e che morì di fame,
21v’era una stirpe logora e confusa:
topaie, materassi, vasellame,
lucerne, ceste, mobili: ciarpame
24reietto, così caro alla mia Musa!

Tra i materassi logori e le ceste
v’erano stampe di persone egregie;
27incoronato delle frondi regie
v’era Torquato nei giardini d’Este.
«Avvocato, perchè su quelle teste
30buffe si vede un ramo di ciliegie?»

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Io risi, tanto che fermammo il passo,
e ridendo pensai questo pensiero:
33Oimè! La Gloria! un corridoio basso,
tre ceste, un canterano dell’Impero,
la brutta effigie incorniciata in nero
36e sotto il nome di Torquato Tasso!

Allora, quasi a voce che richiama,
esplorai la pianura autunnale
39dall’abbaino secentista, ovale,
a telaietti fitti, ove la trama
del vetro deformava il panorama
42come un antico smalto innaturale.

Non vero (e bello) come in uno smalto
a zone quadre, apparve il Canavese:
45Ivrea turrita, i colli di Montalto,
la Serra dritta, gli alberi, le chiese;
e il mio sogno di pace si protese
48da quel rifugio luminoso ed alto.

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Ecco - pensavo - questa è l’Amarena,
ma laggiù, oltre i colli dilettosi,
51c’è il Mondo: quella cosa tutta piena
di lotte e di commerci turbinosi,
la cosa tutta piena di quei «cosi
54con due gambe» che fanno tanta pena....

L’Eguagliatrice numera le fosse,
ma quelli vanno, spinti da chimere
57vane, divisi e suddivisi a schiere
opposte, intesi all’odio e alle percosse:
così come ci son formiche rosse,
60così come ci son formiche nere....

Schierati al sole o all’ombra della Croce,
tutti travolge il turbine dell’oro;
63o Musa - oimè - che può giovare loro
il ritmo della mia piccola voce?
Meglio fuggire dalla guerra atroce
66del piacere, dell’oro, dell’alloro....

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L’alloro.... Oh! Bimbo semplice che fui,
dal cuore in mano e dalla fronte alta!
69Oggi l’alloro è premio di colui
che tra clangor di buccine s’esalta,
che sale cerretano alla ribalta
72per far di sé favoleggiar altrui....

«Avvocato, non parla: che cos’ha?»
«Oh! Signorina! Penso ai casi miei,
75a piccole miserie, alla città....
Sarebbe dolce restar qui, con Lei!...»
«Qui, nel solaio?...» - «Per l’eternità!»
78«Per sempre? accetterebbe?...» - «Accetterei!»

Tacqui. Scorgevo un atropo soletto
e prigioniero. Stavasi in riposo
81alla parete: il segno spaventoso
chiuso tra l’ali ripiegate a tetto.
Come lo vellicai sul corsaletto
84si librò con un ronzo lamentoso.

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«Che ronzo triste!» - «È la Marchesa in pianto....
La Dannata sarà, che porta pena....»
87Nulla s’udiva che la sfinge in pena
e dalle vigne, ad ora ad ora, un canto:
O mio carino tu mi piaci tanto,
90siccome piace al mar una sirena....

Un richiamo s’alzò, querulo e rôco:
«È Maddalena inqueta che si tardi:
93scendiamo: è l’ora della cena!» - «Guardi,
guardi il tramonto, là.... Com’è di fuoco!...
Restiamo ancora un poco!» - «Andiamo, è tardi!»
96«Signorina, restiamo ancora un poco!...»

Le fronti al vetro, chini sulla piana,
seguimmo i neri pipistrelli, a frotte;
99giunse col vento un ritmo di campana,
disparve il sole fra le nubi rotte;
a poco a poco s’annunciò la notte
102sulla serenità canavesana....

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«Una stella!...» - «Tre stelle!...» - «Quattro stelle!...»
«Cinque stelle!» - «Non sembra di sognare?...»
105Ma ti levasti su quasi ribelle
alla perplessità crepuscolare:
«Scendiamo! È tardi: possono pensare
108che noi si faccia cose poco belle....»


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v.


Ozi beati a mezzo la giornata,
nel parco dei Marchesi, ove la traccia
3restava appena dell’età passata!
Le Stagioni camuse e senza braccia,
fra mucchi di letame e di vinaccia,
6dominavano i porri e l’insalata.

L’insalata, i legumi produttivi
deridevano il busso delle aiole;
9volavano le pieridi nel sole
e le cetonie e i bombi fuggitivi....
Io ti parlavo, piano, e tu cucivi
12innebriata dalle mie parole.

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«Tutto mi spiace che mi piacque innanzi!
Ah! Rimanere qui, sempre, al suo fianco,
15terminare la vita che m’avanzi
tra questo verde e questo lino bianco!
Se Lei sapesse come sono stanco
18delle donne rifatte sui romanzi!

Vennero donne con proteso il cuore:
ognuna dileguò, senza vestigio.
21Lei sola, forse, il freddo sognatore
educherebbe al tenero prodigio:
mai non comparve sul mio cielo grigio
24quell’aurora che dicono: l’Amore....»

Tu mi fissavi.... Nei begli occhi fissi
leggevo uno sgomento indefinito;
27le mani ti cercai, sopra il cucito,
e te le strinsi lungamente, e dissi:
«Mia cara Signorina, se guarissi
30ancora, mi vorrebbe per marito?»

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«Perchè mi fa tali discorsi vani?
Sposare, Lei, me brutta e poveretta!...»
33E ti piegasti sulla tua panchetta
facendo al viso coppa delle mani,
simulando singhiozzi acuti e strani
36per celia, come fa la scolaretta.

Ma, nel chinarmi su di te, m’accorsi
che sussultavi come chi singhiozza
39veramente, né sa più ricomporsi:
mi parve udire la tua voce mozza
da gli ultimi singulti nella strozza:
42«Non mi ten....ga mai più.... tali dis.... corsi!»

«Piange?» E tentai di sollevarti il viso
inutilmente. Poi, colto un fuscello,
45ti vellicai l’orecchio, il collo snello....
Già tutta luminosa nel sorriso
ti sollevasti vinta d’improvviso,
48trillando un trillo gaio di fringuello.

Donna: mistero senza fine bello!


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vi.


Tu m’hai amato. Nei begli occhi fermi
luceva una blandizie femminina;
3tu civettavi con sottili schermi,
tu volevi piacermi, Signorina;
e più d’ogni conquista cittadina
6mi lusingò quel tuo voler piacermi!

Unire la mia sorte alla tua sorte
per sempre, nella casa centenaria!
9Ah! Con te, forse, piccola consorte
vivace, trasparente come l’aria,
rinnegherei la fede letteraria
12che fa la vita simile alla morte....

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Oh! questa vita sterile, di sogno!
Meglio la vita ruvida concreta
15del buon mercante inteso alla moneta,
meglio andare sferzati dal bisogno,
ma vivere di vita! Io mi vergogno,
18sì, mi vergogno d’essere un poeta!


Tu non fai versi. Tagli le camicie
per tuo padre. Hai fatta la seconda
21classe, t’han detto che la Terra è tonda,
ma tu non credi.... E non mediti Nietzsche....
Mi piaci. Mi faresti più felice
24d’un’intellettuale gemebonda....

Tu ignori questo male che s’apprende
in noi. Tu vivi i tuoi giorni modesti,
27tutta beata nelle tue faccende.
Mi piaci. Penso che leggendo questi
miei versi tuoi, non mi comprenderesti,
30ed a me piace chi non mi comprende.

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Ed io non voglio più essere io!
Non più l’esteta gelido, il sofista,
33ma vivere nel tuo borgo natio,
ma vivere alla piccola conquista
mercanteggiando placido, in oblio
36come tuo padre, come il farmacista....

Ed io non voglio più essere io!


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vii.


Il farmacista nella farmacia
m’elogïava un farmaco sagace:
3«Vedrà che dorme le sue notti in pace:
un sonnifero d’oro, in fede mia!»
Narrava, intanto, certa gelosia
6con non so che loquacità mordace.

«Ma c’è il notaio pazzo di quell’oca!
Ah! quel notaio, creda: un capo ameno!
9La Signorina è brutta, senza seno,
volgaruccia, Lei sa, come una cuoca....
E la dote.... la dote è poca, poca:
12diecimila, chi sa, forse nemmeno....»

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«Ma dunque?» - «C’è il notaio furibondo
con Lei, con me che volli presentarla
15a Lei; non mi saluta, non mi parla....»
«È geloso?» - «Geloso! Un finimondo!...»
«Pettegolezzi!...» - «Ma non Le nascondo
18che temo, temo qualche brutta ciarla....»

«Non tema! Parto.» - «Parte? E va lontana?»
«Molto lontano.... Vede, cade a mezzo
21ogni motivo di pettegolezzo....»
«Davvero parte? Quando?» - «In settimana....»
Ed uscii dall’odor d’ipecacuana
24nel plenilunio settembrino, al rezzo.

Andai vagando nel silenzio amico,
triste perduto come un mendicante.
27Mezzanotte scoccò, lenta, rombante
su quel dolce paese che non dico.
La Luna sopra il campanile antico
30pareva «un punto sopra un gigante».

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In molti mesti e pochi sogni lieti,
solo pellegrinai col mio rimpianto
33fra le siepi, le vigne, i castagneti
quasi d’argento fatti nell’incanto;
e al cancello sostai del camposanto
36come s’usa nei libri dei poeti.

Voi che posate già sull’altra riva,
immuni dalla gioia, dallo strazio,
39parlate, o morti, al pellegrino sazio!
Giova guarire? Giova che si viva?
O meglio giova l’Ospite furtiva
42che ci affranca dal Tempo e dallo Spazio?

A lungo meditai, senza ritrarre
la tempia dalle sbarre. Quasi a scherno
45s’udiva il grido delle strigi alterno....
La Luna, prigioniera fra le sbarre,
imitava con sue luci bizzarre
48gli amanti che si baciano in eterno.

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Bacio lunare, fra le nubi chiare
come di moda settant’anni fa!
51Ecco la Morte e la Felicità!
L’una m’incalza quando l’altra appare;
quella m’esilia in terra d’oltremare,
54questa promette il bene che sarà....


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viii.


Nel mestissimo giorno degli addii
mi piacque rivedere la tua villa.
3La morte dell’estate era tranquilla
in quel mattino chiaro che salii
tra i vigneti già spogli, tra i pendii
6già trapunti di bei colchici lilla.

Forse vedendo il bel fiore malvagio
che i fiori uccide e semina le brume,
9le rondini addestravano le piume
al primo volo, timido, randagio;
e a me randagio parve buon presagio
12accompagnarmi loro nel costume.

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«Vïaggio con le rondini stamane....»
«Dove andrà?» - «Dove andrò! Non so.... Vïaggio,
15vïaggio per fuggire altro vïaggio....
Oltre Marocco, ad isolette strane,
ricche in essenze, in datteri, in banane,
18perdute nell’Atlantico selvaggio....

Signorina, s’io torni d’oltremare,
non sarà d’altri già? Sono sicuro
21di ritrovarla ancora? Questo puro
amore nostro salirà l’altare?»
E vidi la tua bocca sillabare
24a poco a poco le sillabe: giuro.

Giurasti e disegnasti una ghirlanda
sul muro, di viole e di saette,
27coi nomi e con la data memoranda
trenta settembre novecentosette....
Io non sorrisi. L’animo godette
30quel romantico gesto d’educanda.

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Le rondini garrivano assordanti,
garrivano garrivano parole
33d’addio, guizzando ratte come spole,
incitando le piccole migranti....
Tu seguivi gli stormi lontananti
36ad uno ad uno per le vie del sole....

«Un altro stormo s’alza!...» - «Ecco s’avvia!»
«Sono partite....» - «E non le salutò!...»
39«Lei devo salutare, quelle no:
quelle terranno la mia stessa via:
in un palmeto della Barberia
42tra pochi giorni le ritroverò....»

Giunse il distacco, amaro senza fine,
e fu il distacco d’altri tempi, quando
45le amate in bande lisce e in crinoline,
protese da un giardino venerando,
singhiozzavano forte, salutando
48diligenze che andavano al confine....

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M’apparisti così, come in un cantico
del Prati, lacrimante l’abbandono
51per l’isole perdute nell’Atlantico;
ed io fui l’uomo d’altri tempi, un buono
sentimentale giovine romantico....

54Quello che fingo d’essere e non sono!