Guerra in tempo di bagni: racconto/VI - Il caro genero
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VI.
Il caro genero.
Il giovane alto e bruno, segnalato dalle Cingoli, giunto all’albergo, diede la sua carta di visita. Era infatti un ufficiale di marina, ma non aveva nulla di comune col capitano Liberti: era invece il tenente Settembrini, aiutante di bandiera del ministro. Le Cingoli avevano mandato Tenebrone all’albergo, per informazione, ma allo scopo d’evitare pettegolezzi, l’istruzione era stata questa, assai generica:
— Domanderai al portiere se sia giunto un capitano di vascello.
E Tenebrone era ritornato con questa risposta:
— Il portiere non sa se sia un capitano: ma è arrivato uno alto, bruno, ch’è ufficiale di marina.
— Abbiamo indovinato! — esclamarono le Cingoli, — era proprio lui.
Mezz’ora dopo, mentre stavano curiosando davanti al bazar giapponese, videro uscire dall’albergo un legno col soffietto alzato, ma un certo scintillìo di bottoni e di filetti dorati non lasciava nessun dubbio. E tosto andarono nei crocchi delle conoscenti a partecipare la fausta novella.
— Il capitano, in uniforme di parata, era andato a casa dell’ammiraglio.
Proprio così. Sebbene la palazzina fosse a pochi passi di distanza, il capitano Liberti aveva avuto l’idea alquanto originale di andare in legno e oh quanto volentieri vi sarebbe andato in vettura cellulare!... A ogni modo, quando la carrozzella si fermò, il capitano disse fra sè:
— Il dado è tratto: e ora vediamo di non far la figura dell’imbecille.
Scese dalla vettura e disse a Gennaro, che stava con saluto tra il civile e il militare, sul portone:
— Annunziate all’ammiraglio il capit...,
— Lo so, eccellenza; è aspettato; entri pure; l’ammiraglio è nel salotto, su al primo piano.
Mario, che ossequioso aspettava nel vestibolo, fece un grande inchino, e precedette, per annunciarlo, il suo futuro padrone.
Dire che il cavaliere Francesco Garzes, nello ascendere le scale, fosse tranquillo e sicuro di sè, come quando aveva da recitare la Fiammeggiante, sarebbe una menzogna: ma, dopo tutto, questa finzione molto arrischiata sorrideva alla sua fantasia di commediografo, e inoltre il pensare che tante gentili dame seguivano con interesse la sua impresa, gli dava un coraggio da leone.
Quanto all’esteriore, addirittura era incensurabile, e se l’avesse veduto Bice, in quell’uniforme attillata, elegantissima, non avrebbe potuto a meno d’esclamare:
— Non è quel che credevo! ha ragione papà: è uno degli ufficiali più distinti e simpatici.
Quando il domestico alzò la portiera del salotto, il capitano, chiamiamolo così, ebbe ancora un momento d’esitazione: ma poi si precipitò audacemente nelle braccia aperte dell’ammiraglio, che gli gridò:
— Qua, figliuolo mio, un bell’abbraccio: è la provvidenza che vi manda!
— Perdonate, ammiraglio, ma io non credo alla divina provvidenza!
L’ammiraglio, incerto se fosse uno scherzo, guardò con una certa meraviglia il capitano.
— Possibile, — disse poi, — che un uomo di mare....
— Già, prima di tutto, — proseguì il capitano, con accento freddo e sarcastico, — io sono pochissimo uomo di mare.
— Come mai tale cambiamento? Quando eravate appena alto così, non amavate che il mare, e i vostri giocattoli, me lo ricordo benissimo, erano barche e barchette.
— L’uomo serio deve cambiare per forza: guardate, vi pare che abbia lo stesso fisico di quando mi avete conosciuto?
— Questo è vero: sto per dire, anzi, che non ne resta traccia: avete persino un naso aquilino, mentre allora avevate un nasino all’insù, che mi faceva tanto ridere.
— Così è la vita: quando l’uomo si sente il naso all’ingiù, non desta più nessuna ilarità.
— Con tutto questo, qualche cosa c’è: gli occhi sono sempre quelli, neri e vivaci; curiosa! i capegli si sono fatti morati e lisci, mentre erano castano chiari e crespi. E poi, mi ero figurato che sareste diventato più alto di statura, come il padre vostro....
— Eh, c’è purtroppo la legge della degenerazione!
— E n’è una prova anche questa vostra curiosa ripugnanza per il mare.
— Intendiamoci: io amo il mare, ma quando sto a terra: già, ho un temperamento fatto così, desidero tutte le cose che non ho: mi piacciono tutti i posti dove non sono. Il mio umore è assai fantastico....
— E che cosa ci può essere per la fantasia di più confacente del mare?
— Vedo le cose in altra maniera: quando sono in viaggio, come ora sulla Cariddi, quell’eterno cielo, quelle solite stelle e quelle vecchie nuvole, mi pesano sopra, con monotonia infinita e m’infondono un’uggia mortale. Il firmamento è stupendo, non dico il contrario, ma preferisco una partita di tresette col morto.
— Me ne spiace sinceramente per voi, tanto più che io detesto il giuoco del tresette.
— Ma non è necessario che abbiamo gli stessi gusti: la diversità di carattere è una garanzia sicura d’amicizia. Due persone che abbiano le stesse tendenze e che la pensino allo stesso modo, non hanno nulla da dirsi e devono annoiarsi mortalmente.
— Pure, per vivere insieme, occorre una certa omogeneità!...
— Ma noi, — esclamò il capitano schiettamente, — non siamo destinati a vivere insieme!
— Scusate, ma allora non ci siamo spiegati bene nelle nostre lettere?
— Lasciamo andare le lettere! — soggiunse il capitano con vivacità, — per iscritto, è difficile intendersi. Si dice più in quattro parole che in cento epistole.
— Vi par possibile che io mi possa dividere da mia figlia? non ho altro al mondo.
— D’accordo: ma d’altra parte, io sono contrario, in massima, all’istituzione del matrimonio: non ammetto poi che sia complicato da una suocera.
— Ah, questa poi è grossa! forse che io sono una suocera?
— Quando, dei genitori, uno solo resta, diventa sempre una suocera. Ne volete una prova? Voi cominciate a contrariarmi. Ecco dunque che ufficialmente già entrate nelle funzioni di suocera.
— Ma sapete, per non dir di peggio, che siete un bell’originale?
— Sembra originale sempre l’uomo che si conduce secondo verità.
— La verità è ch’io casco dalle nuvole: m’ero figurato una cosa tutta diversa.
— Meglio dunque che sappiate come sono realmente.
— V’ingannerei se vi dicessi che vi preferisco all’ideale che avevo in testa.
— Sta bene: ma non potrete accusarmi mai di avervi illuso.
— Qui avete ragione: e anch’io preferisco la sincerità: non vi nascondo, però, che a parer mio abusate persino un po’ troppo di sincerità: e a mia volta, a titolo di ricambio, vi dirò che mia figlia faceva qualche difficoltà, e non so se i vostri modi sian tali da renderla più favorevole.
— Non importa! — esclamò sfrontatamente il capitano, — sposare vostra figlia o un’altra, per me, francamente, è lo stesso. Chiunque diventi la mia compagna, purchè mi lasci fare il comodo mio, può essere sicura di non seccarsi: perchè io non intendo il matrimonio in altra maniera: libero io, libera lei.
— Ahi, ahi, mi sembrate disposto a prendervi.... troppe libertà!
— Ma scusate, io sono giovane e ricco. Prendendo moglie, naturalmente, intendo lasciare la carriera....
— Ah, questo poi!...
— E che pretendereste che portassi la moglie a consumar la luna di miele nella cuccetta? Vostra figlia ha una bella dote. Saremo dunque alla testa di quarantamila lire di rendita: quel che basta, appunto, per viaggiare in lungo e in largo, godere il mondo, la vita, sotto tutte le forme.
— E io?
— Non dubitate: vi manderemo una lettera la settimana e un dispaccio tutti i giorni.
— Ma siete matto? ho tutto disposto per costituire qui una famiglia, secondo i miei gusti, adatta alla condizione mia, e voi, tutto in un momento, vorreste buttare all’aria tutto quanto, e gettare mia figlia in una vita zingaresca?
— Che le piacerà moltissimo, ne sono certo. Conoscete voi i suoi gusti?
— L’ho fatta io, anima e corpo.
— La solita illusione di tutti i genitori, che si scordano perfino d’essere stati giovani, e suppongono che la prole pensi con tutte le riflessioni della maturità.
L’ammiraglio represse un sagrato, che stava per esplodere e disse, con rabbia concentrata:
— Del resto, caro mio capitano....
— Prego: datemi del capitano meno che sia possibile!
— Dicevo che, del resto, potrete facilmente verificare se Bice la pensi come la penso io. Non avete che a interrogarla, e sarebbe tempo, mi pare: perchè mi fa qualche meraviglia che non abbiate ancora chiesto di vederla.
— Oh, avremo tanto tempo per vederci! ma sia pure fatto come volete: vedrò la signorina con moltissimo piacere.
— Meno male, perdiobacco! — ruggì l’ammiraglio e sonò il campanello.
Comparve Mario.
L’ammiraglio, con voce corrucciata, quasi comandasse una manovra in momento di burrasca, gli ordinò:
— Cerca Lisetta e dille che vada a chiamare la signorina: porta qualche cosa da bere: capitano, che cosa desiderate? una tazza di thè freddo e un bicchierino di cognac?
— A piacere vostro, ammiraglio: preferirei.... un bicchierino di thè e una tazza di cognac.
L’ammiraglio gli lanciò un’occhiata di traverso, che pareva piuttosto una tazza d’arsenico, mentre Mario usciva, per tornare poco appresso, con un vassoio d’argento, col servizio del thè, e una bottiglia di cognac nazionale.
Il capitano guardò l’etichetta, e chiese, facendo le boccacce:
— E chi mai vi fornisce di queste porcherie?
— Queste porcherie, — rispose fremendo l’ammiraglio, — sono vera acquavite di vino invecchiata: mentre il vostro famoso Boulestin, non è altro che distillazione di rape, di barbabietole, di scarpe vecchie e che so io. Io non bevo altro che cognac del mio paese.
— Vi compiango, ma non ho il coraggio di imitarvi.
— Oh, sapete che vi voglio dire? che vi compiango anch’io.
— Compiangetemi pure, ma risparmiatemi il patrio cognac. Non avete del rhum della Giamaica? del rhum testa di moro?
L’ammiraglio ebbe uno slancio, che pareva dire chiaramente: — Ti darei del rhum testa di cavolo! — ma invece premette furiosamente sul campanello. Mario ricomparve.
— C’è del rhum in casa?
Mario, arrossendo, rispose:
— Ne ho mezza bottiglia io, signor ammiraglio.
— Contentiamoci — esclamò il capitano — della tua mezza bottiglia.
Mario andò a prenderla.
L’ammiraglio rimase un momento in silenzio, poi facendo uno sforzo visibile, disse al finto capitano:
— Parliamoci chiaro, carissimo signor Liberti: voi avete delle maniere.... come ho da dire?... un po’ troppo francone. Possono piacere a me, possono essere adatte in un club, ma ora avrete a che fare con una fanciulla assai delicata, che appena da pochi giorni è uscita di collegio, dove ha ricevuto un’educazione rigida e piena di riguardi. Non so se mi spiego!...
Il capitano fece una risataccia clamorosa e rispose:
— Ammiraglio, voi tutto mi potete insegnare, tranne che le donne. Ne ho conosciute di tutti i generi e so il modo che conviene a una monaca e quello che è preferito da una duchessa. So stare nel salotto, come nell’educandato: so vivere a Corte e nel boudoir della donna galante. Sono arrivato anche alla donna selvaggia. In Africa, ho avuto fino a otto donne, tutte negre, bellissime, una più bella dell’altra....
— Vi prego di non vantarvene, almeno davanti a mia figlia.
— Credete che le dispiacerebbe? vi sbagliate: son sicuro che a lei non importa nulla di re Menelicche, mentre s’interesserebbe assai sulle donne di quei paesi. Il mondo, adesso, è fatto così: l’uomo non si occupa che della donna: la donna non s’interessa che del proprio sesso. Siamo in un periodo di femminilite morbosa.
— Dunque, birbaccione che siete, otto in una volta?
— Vedete? anche voi, alla vostra età, non vi interessate che delle donne. Sì, caro suocero: tutte magnifiche statue d’ebano, e la più vecchia non aveva che sedici anni. È vero che in quei paesi, a vent’anni sono già meritevoli di collocamento a riposo.
— E amano i bianchi?
— Sul principio, provano una certa ripugnanza istintiva: ci credono uomini senza pelle: ma, una volta superato tale pregiudizio, s’affezionano anche troppo: ma non è amore, è una specie di sommessione devota: è inutile, sono nate per la schiavitù!
— Proprio il contrario delle donne bianche.
— A nostra volta, poi, è necessario abituarci all’odore di quelle creature, che da principio pare nauseabondo, come quel tanfo che si sente la domenica, nelle chiesette di villaggio, quando son piene di contadini d’ambo i sessi.
— E da che dipende?
— Dal clima, dal genere di teletta, e sopratutto dalla ignoranza completa delle nostre norme di pulizia. L’acqua la conoscono di vista, ma il sapone è una rarità totalmente sconosciuta.
— Oh, diavolo!
— Proprio così. Una tra le altre, un’amore di ragazza, la piccola Aissa, mi piaceva assai e aveva delle tendenze alla civiltà. Una mattina le consegnai un bel pezzo di sapone Windsor e le dissi: senti, se veramente mi vuoi bene, adopera questo e mi farai felice. Più tardi, quando rientrai, ella mi abbracciò, esclamando: Sono felice anch’io, mi hai dato una cosa veramente squisita!
— S’era pulita?
— No.... se lo aveva mangiato!
L’ammiraglio, quasi dimentico della situazione, fece una risata sonora, mentre il capitano buttava giù, un dopo l’altro, due bicchierini di rhum.
Mario annunciò:
— La signorina.
— Mi raccomando, — disse l’ammiraglio, — niente Aissa, almeno, e niente sapone Windsor!
Bice entrò, con semplicità dignitosa, fermandosi a una certa distanza dal fidanzato, e guardandolo con la coda dell’occhio.
— Figlia mia, — disse l’ammiraglio con un accento che tradiva una certa tal quale preoccupazione, — ecco il momento che abbiamo tanto desiderato; ti presento il capitano Ezio Liberti, che dobbiamo considerare ormai come uno di famiglia.
— Non ancora! — interruppe il capitano, inchinandosi.
E Bice, con ingenuità e voce incantevole:
— Stavo per dire lo stesso anch’io....
— Corbezzoli! — brontolò tra i denti l’ammiraglio, — si comincia bene.
— Io non intendo, — proseguì il capitano imperturbabile, — intrufolarmi in questa casa come un incomodo o un intruso....
— Ma che dite? dopo quello che mi avete scritto!...
— Prego: lasciamo andare lo scritto. Io detesto sopratutto gli equivoci. La signorina non mi conosce: io non conosco lei. E non possiamo conoscerci che per via della completa sincerità. E per cominciare dal principio, io domanderò francamente alla signorina: le pare che avrà simpatia per me, oppure il suo cuore è già prevenuto in favore di qualcun altro?
— Ah, perdiosanto! — scoppiò l’ammiraglio, — questa non me l’aspettavo!
Bice sorrise finemente e rispose, con pacata dolcezza:
— La domanda sua, perdoni, mi pare un po’ indiscreta e anche, scusi la franchezza, alquanto inabile. I cuori delle fanciulle non sono un soggetto da interrogatorio: conviene spiarli, conquistarli, o.... rispettarli!
— Benissimo! — esclamò l’ammiraglio che, per dire la verità, non ci aveva capito una saetta.
— Signorina, — replicò il capitano, — lei mi ha dato, non c’è che dire, una lezioncina molto squisita: ma io non sono qui per fare un corso di psicologia!... — soggiunse, versandosi un terzo bicchierino di rhum, e a un tratto: — Signorina, mi permette di offrirle?...
— Ma, capitano! — disse l’ammiraglio, con accento desolato, — voi sareste capace d’offrirle a dirittura mezzo litro di grappa.
— Scusate: credevo che in casa vostra ci fosse l’abitudine delle bevande alcooliche.
— Ma guarda, questo mascalzone! — pensò l’ammiraglio, — o dove crede di essere? in un’osteria?
— Berrò io, alle vostre grazie! — proseguì tranquillamente il capitano, mandando giù il rhum come fosse acqua, sebbene la lingua cominciasse a farsi un po’ grossa, e soggiunse: — Così che, dicevamo, il vostro cuore è perfettamente libero?...
— Finiamola una volta, con questo cuore! — lo interruppe l’ammiraglio, — e anche con queste domande curiose: mi fate l’effetto di uno che vada cercando un quartiere da affittare. Parliamo pure praticamente, se così vi piace, ma non divaghiamo. Mia figlia, ve lo scrissi, non ha preoccupazioni, nè impegni. Sa che siete un giovane di onore....
— Sta bene, — interruppe Bice, a sua volta, — ma, poichè il capitano insiste tanto sull’argomento, mi pare che potrei rivolgere anche a lui la domanda che pretenderebbe fare a me: è libero il suo cuore?
— Rispondo subito: il mio cuore, se non divento un imbecille, sarà sempre libero. Io devo essere un marito, non un amante: la quistione del cuore è dunque estranea alla faccenda del matrimonio. Si tratta di concludere una specie di società....
— Faccenda!... società!... — brontolò l’ammiraglio, — ma che razza di linguaggio!...
Il capitano fece finta di non sentire e continuò:
— Io porto, in questa società un bel fondo di salute, di quattrini e di buon umore! — e si versò, ridendo, ancora un bicchierino di rhum — e dico eccomi qua, un bravo giovane, che non vuol seccature e non vuol darne, non sa offrire passioni patetiche, ma una compagnia piacevole: non domanda sentimentalismi, ma cordialità. Per questo genere di vita, che si dovrebbe svolgere nella massima libertà, è necessario che sappia, perchè mi sembra un punto essenziale, se il cuore della signorina sia disposto a godere di tutta questa libertà. Se mi prendesse per forza, sarebbe l’infelicità di tutti e due.
— Ma come volete che....
— Scusate, ammiraglio, ma già ve l’ho detto: tutto potete insegnarmi, tranne la conoscenza della donna....
— Oh, andate al diavolo!
— Il capitano ha ragione; — si affrettò a dir Bice, vedendo che il papà stava per uscir dai gangheri; — e io lo voglio ricambiare della medesima sincerità. Siete voi il mio ideale? No.
— Dunque, c’è un altro ideale?
— Mi siete antipatico? Neppure. Il mio temperamento può andare d’accordo col vostro? Può essere, ma suppongo il contrario. Ci conosciamo ben poco finora: ma quel poco già basta per provare che vediamo la vita in un modo diverso.
— Non occorre dilungarci in divagazioni metafisiche! — disse il capitano.
L’ammiraglio spalancava tanto d’occhi, mormorando:
— Parola d’onore, mi par d’essere al manicomio!
— Signorina, limitiamoci al primo argomento: voi avete implicitamente confessato che il vostro cuore non è libero del tutto, e tal confessione confermerebbe certe informazioni che ho ricevute da persona amica....
— Non facciamo pettegolezzi, non facciamo chiacchiere! — gridò l’ammiraglio, che presentiva un brutto avviamento del discorso.
— Non sono chiacchiere, — ribattè il capitano, — si tratta di cose abbastanza serie: non posso nascondere che ho inteso parlare d’un certo conte....
— È un matto qualsiasi, senza nessuna importanza.
— L’importanza dipende da quel che ne pensa la signorina.
Bice non rispose.
— E il vostro silenzio, — aggiunse il capitano, — è più eloquente di qualsiasi risposta.
— Ma se non ci pensa neppure!
— Lo dite voi! ella intanto continua a tacere e chi tace....
— Non dice niente.
— Dice anche troppo.
La conversazione scabrosa, con aumento di pericoli perchè il capitano proseguiva a sorseggiare del rhum, fu interrotta da Mario, che parlò sottovoce all’ammiraglio, il quale fece un motto di viva impazienza, gridando:
— Eh, perdio, chiamate i carabinieri! Mario rimase lì, tonto e confuso.
— Ma che c’è? che c’è? — chiese il capitano.
— Non è niente; — rispose l’ammiraglio, ruggendo; — per cento diavoli! vogliono farmi perdere la testa; ma a momenti, ne fo qualcuna delle mie.
— Papà mio! — esclamò Bice: — che succede?
— Sono arcistufo! — urlò l’ammiraglio, facendosi scarlatto; non posso più sopportare queste scene di quell’altro pazzo da catena!
— Il conte?
— Sì, sì; il contino del cavolo! io non so chi mi tenga....
— Vedete dunque, — soggiunse con flemma atroce il capitano, — che appunto ci troviamo in mezzo a chi sa quali pasticci.
— Ma che pasticci d’Egitto! è un imbecille che mi crea una quantità di noie, e adesso vorrebbe provocarvi....
— Provocar me?
— Già: è giù che passeggia: ha chiesto a Gennaro se siete in casa, se siete uscito.... con accento minaccioso.... — proseguì l’ammiraglio, strepitando, fuori di sè e passeggiando su e giù: poi si accostò alla finestra e urlò: — Eccolo là, eccolo là, quella faccia di gesuita, di seminarista!
Il capitano si accostò anch’egli alla finestra e vide il conte Tibaldi che stava presso la cantonata, mulinando un bastoncino, e voltando spesso la testa con molta nervosità.
— E quel bellimbusto, — esclamò il capitano, — ce l’ avrebbe con me? vado a dargli subito una buona lezione! — e fece per avviarsi.
L’ammiraglio lo fermò:
— Non facciamo complicazioni; penso io a sbrigare questa faccenda.
— Piano un momento. Non sono un ragazzino e non voglio far la figura d’un vigliacco che si nasconda dietro le falde di papà. Se voi faceste un passo solo, sarei disonorato in faccia alla società!
L’ammiraglio rimase immobile e disarmato dalla logica cavalleresca del capitano.
Alla fine, l’ammiraglio grattandosi furiosamente la nuca:
— Fate un po’ quel che volete: io me ne lavo le mani. Soltanto, raccomando una cosa: pensate che c’è di mezzo il buon nome d’una ragazza e fate meno scandalo che sia possibile.
— Non dubiti, e neppur lei, signorina, s’impensierisca, — concluse il capitano, — e stia certa che non avrà la più piccola noia.
E congedatosi rispettosamente, il finto capitano uscì, mentre il vecchio Sterbini ammirava, stupefatto, la straordinaria placida calma della figlia, dicendo entro di sè:
— Quella meritava di essere un uomo.
Poi, seguito da lei, corse alla finestra, per vedere almeno che cosa fosse per succedere tra quei due, ch’egli già battezzava così:
— Il matto e il cichettaro.
L’ammiraglio si provò ad allontanare Bice, ma ella, sempre conservando l’invidiabile tranquillità, disse al padre:
— Lasciami vedere: la cosa mi diverte: sono sicura che il conte saprà mettere a posto quel tuo capitano, che adori.... non si sa perchè.
— Io l’adoro! — esclamò vivamente l’ammiraglio e stava per aggiungere una parolaccia molto espressiva, quando la scena, che si svolgeva nella via, attirò tutta la sua attenzione.
Come in certe scene mimiche, che si vedono a teatro, come in certe storielle senza parole che compaiono sui Fliegende Blätter, non era necessario udire, bastava vedere i due personaggi, per capire, anche nei minimi dettagli, quel che passava tra loro.
Il capitano, uscendo dalla palazzina, con tutta l’apparenza decorosa d’un dignitoso sangue freddo, accese una sigaretta e si mise a fumare con grande energia, mandando fuori larghe spirali di fumo bianco come una vaporiera al momento della partenza. Non mancava che il fischio.
Con passi lenti e quadrati, quasi fosse il padrone della strada, il capitano si avviò verso il punto dove stava il conte, che aveva cominciato a fissarlo, con insistenza provocatrice e insolente.
Il capitano, aspirando sempre più fortemente la sigaretta, passò davanti a lui, mentre il conte, con fare ironico, si batteva il bastoncino sui polpacci. A un tratto, il capitano si fermò e, con un movimento assai brusco, buttò a terra la sigaretta, guardando fisso il conte Tibaldi.
— Ci siamo! — mormorò l’ammiraglio, — ecco la provocazione.
E guardò con maggiore intensità, come se potesse raccogliere le parole provocanti dei due rivali.
Ma fortunatamente non giunsero fino a lui, se no, avrebbe inteso il cavalier Francesco Garzes dire, con cipiglio molto arrogante, al conte Tibaldi:
— Faccia un viso più brusco, perchè il vecchio sicuramente sta alla finestra, e magari mi minacci con la mazza.
Il conte fece uno sforzo veramente eroico per frenare una risata, e rigirò tra le dita il bastoncino procurando di darsi un aspetto insolente.
— Ecco, vedi? — bisbigliò l’ammiraglio, fremendo, alla figlia, — mi pare di sentirli: perchè mi guarda lei? mi avanza qualche cosa?... guardo come mi pare!... e io non amo di essere guardato in quel modo!... se la prenda come crede!... vedi?... si arriva al momento dello schiaffo!
E a occhio, veramente pareva che la scena si svolgesse appunto così come si andava sviluppando nella fantasia dell’ammiraglio. Il finto capitano aveva fatto un gesto stupendo, pieno di disprezzo, mentre diceva sottovoce al conte:
— Chi deve fingere di dare lo schiaffo? io o lei?
— Guarda, — diceva intanto l’ammiraglio, — come il capitano si avvicina al conte! pare che se lo voglia mangiare con gli occhi.
Bice, sorridendo nella penombra, seguiva la scena con infantile curiosità.
— Ecco, ci siamo! — gridò l’ammiraglio.
Infatti, i due si erano messi d’accordo, e il capitano, con un gesto pieno di grazia e d’energia, degno di un tenore di cartello, aveva alzato il braccio destro ripiegato, ma pronto a stendersi: senonchè il conte, con fermezza dignitosa, lo aveva fermato a tempo debito.
— Patatrac! — esclamò l’ammiraglio, — l’affare è combinato: ecco che si scambiano le carte di visita: figuriamoci adesso le dicerie della città!
I due avversari si separarono, movendo per direzioni opposte, ma se l’ammiraglio avesse potuto seguirli con lo sguardo, li avrebbe visti unirsi cordialmente a braccetto davanti alla trattoria dei Cavalleggeri dove entrarono e si misero a sedere sotto le acacie odorose, ordinando un solenne caciucco.
— Veramente, — esclamava il cavaliere Garzes, — farei meglio d’andare a spogliarmi di questa uniforme, chè non mi avesse a succedere qualche guaio.
— Ma lei scherza! non le può succedere nulla, poichè la sua trasformazione è perfetta: io guardo con ammirazione quella barbetta nera, che so finta, mentre pure non saprei indovinare come se l’abbia messa.
— Le confesso che mi ha dato non poca noia: con tutto il mio sangue freddo sudavo molto davanti a quel diavolo d’ammiraglio e avevo paura che, da un momento all’altro, mi si staccasse.
— E Bice?
— Mi guardava con curiosità e temevo che, ogni tanto, scoppiasse in una risata. Io, poi, ero costretto a figurarmi d’essere proprio sulla scena davanti al pubblico, se no, sarei morto dalle risa. Le assicuro che mentre raccontavo le mie avventure d’Africa, ero proprio impagabile.
— Me lo figuro: e adesso vediamo di combinare il resto. Massimo sostiene che l’ammiraglio si arrenderà per evitare uno scandalo.
— Non credo: quell’uomo è un pesce cane. Egli già s’immagina che ci troviamo uno di fronte all’altro, in procinto di farci dei buchi nelle parti più sensibili.
— Oh, ecco Massimo: sentiamo che cosa ne pensi.
Massimo, prima di tutto, cominciò a servirsi largamente del caciucco, che giungeva allora in tavola, e poi manifestò il suo concetto.
Bisognava far sapere all’ammiraglio che il duello era alla pistola, a venticinque passi, con facoltà d’inoltrarsi fino alla barriera di cinque passi, tirando fino a che uno dei due avversari non cadesse sul terreno.
— Se non è un cannibale, — concluse, — vorrà certamente evitare questo spaventoso macello.
— Chi sa in che ansie già si trova, a quest’ora!
L’ammiraglio, in vero, proprio in quel momento si trovava in preda a un’agitazione straordinaria, ma per una causa ben diversa da quella che supponevano i mangiatori di caciucco. In quel momento l’ammiraglio aveva ricevuto questo dispaccio da Napoli:
“Sbarco adesso: la mattina di domani l’altro, col primo treno arriverò a Livorno. Auguri e saluti.
“Liberti.„