Giovani/Creature vili
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Creature vili.
Non est creatura tam parva
et vilis, quae Dei bonitatem
non repraesentet.
De imitatione Christi.
C’ero soltanto io e le cinque ragazze tutte insieme in uno dei sofà. Lina faceva un ricamo a seta verde: pallida e malaticcia, con un vestito di velluto color ciliegia. La Francese le era seduta quasi addosso: con la bocca tinta come se fosse sporca e i capelli biondi, a zazzera. Eva, la meno brutta, molto scollata, con le calze color nocciola e una veste a righe bianche e celesti. Fanny con un vestitino da bambola, color rosa, i capelli sciolti, cinti da un nastro attorno alla testa: piuttosto magra e incipriata. Sara, un’ebrea, con i piedi sopra il sofà e un libro su le ginocchia.
Già, salendo le scale, stupivo di sentirmi non solo appagato, ma anche pieno di serietà. Mi ero seduto un poco in disparte; e, fumando una sigaretta, mi guardavo nello specchio ch’era nella parete dinanzi. Anche perchè non mi veniva niente da dire, e volevo comportarmi da persona pratica.
Tutte le ragazze mi avevano dato una occhiata; poi, avevano continuato a parlare come se non ci fossi.
La Francese disse, aggiustandosi una calza:
— Come hai gli orecchi piccoli, Lina! Sai che portano fortuna?
— Me lo dicono parecchi. Anche mia madre li aveva così.
— I più grossi sono i miei! — disse Eva ridendo.
— Io — disse Fanny — non ho niente che somigli nè a mio padre nè a mia madre.
Lina spianò sopra un ginocchio la tela del ricamo.
— È tanto tempo che non rivedo più mia madre. Prima le scrivevo; ma, da qualche anno, ho smesso.
— Io — disse Fanny — a casa mia stavo molto bene. I miei sono benestanti. A Genova, hanno una specie di palazzo con un giardino abbastanza grande. Allora ero onesta; ossia avevo un amante solo, che diceva di volermi sposare.
— Come fa freddo, stasera! — esclamò Eva, con la sua voce stridula e dolce.
Sara alzò la testa dal libro e la guardò; ma non aprì bocca.
Allora, Lina soggiunse:
— Anche i miei, a Parma, avevano una bella casa. Le mie sorelle, prima che io me ne andassi via, non avevano preso marito.
— Io, a Lione, ci stavo tanto volentieri — disse la Francese.
— Io mi ricordo di Venezia! — disse Eva.
— Ma voi non vi ricordate niente delle vostre famiglie? — chiese Fanny.
— Oh, di tante cose! — rispose Lina.
— Anch’io!
— Anch’io! — risposero, l’una dopo l’altra, Eva e la Francese.
— Se i miei genitori sapessero la vita che faccio e dove mi trovo — continuò Fanny — morirebbero. Povera gente!
— E non ti spiace? — chiese la Francese.
— Ormai non c’è più tempo!
Io cominciavo a vergognarmi, ed evitavo di guardarle. Ma Eva chiese, come per dirle un’insolenza:
— Ti senti pentita?
Fanny scosse la testa, e disse molto seriamente:
— Tutt’altro!
— Se io trovassi uno — disse Lina — che mi portasse via di qui!
— Ma non capita mai!
— Da vero!
Io chiesi, rivolgendomi a Lina:
— Gli vorresti bene?
— E perchè no? — mi rispose Eva.
— Noi ci si affeziona più delle altre donne — spiegò Fanny.
— Non ci credi? — mi domandò Eva, per celia. Allora io risi.
Ma Fanny s’ostinava a convincermi che era vero:
— Io ti do la mia parola d’onore, se capissi che tu mi volessi bene... che uno mi volesse bene, non dubitare che non gli farei nè meno un torto!
Sara smise di leggere, come se non volesse farsi pigliare a gabbo.
— Non mi conosci, allora! Quando avevo sedici anni andavo in chiesa e mi confessavo. E non avrei mai pensato che sarei finita così. T’assicuro che non è colpa mia.
Ma Sara, invece di rispondere, si rimise a leggere; accomodandosi meglio sul sofà. La Francese si stirò i fianchi, scosse la zazzera che pareva d’oro; e disse:
— Io ci credo.
— Ecco; tu capisci più di tutte.
Eva e Lina risero forte. Poi Lina disse:
— Perchè vuoi vantarti tu? Noi eravamo tre sorelle, e io sola sono differente a loro. Se volessi io, a casa mi riprenderebbero. Ma non ci andrei nè meno se mi ammazzassero. Mio padre, a Parma, è conosciuto e rispettato. È un galantuomo. Aveva un cavallo piccolo e mi portava sempre con sè; perchè non voleva che io escissi sola. Le mie sorelle erano doventate gelose di me. Alla fine, non mi potevano più vedere. E se sapessero la vita che faccio, sarebbero contente. Io, invece, cerco di nascondere ogni cosa, per rispetto a mio padre. E se sapeste come gli voglio bene! Nel baule, porto sempre la sua fotografia, e un giorno spero di rivederlo, se non morirà presto.
Poi, Lina bestemmiò; e disse una parola oscena. Allora Eva raccontò:
— Io non ho più nessuno... Mi ricordo soltanto che mia madre voleva farmi fare la maestra... Ma non avevo voglia di studiare... A tredici anni avevo già avuto una bambina... Poi sono dovuta scappare dalla mia città, perchè mia madre mi voleva rinchiudere in un convento... Poi sono stata in una casa di correzione... Ma poco tempo, perchè riuscii a scappare; e trovai uno che mi ha tenuto con sè quattro anni. Quando gli venni a noia non sapevo come vivere... Ho anche fatto la canzonettista, ma non mi piaceva... Ho cantato due anni, ma la voce non mi si prestava...
La Francese, quasi per non essere da meno delle altre, disse:
— Io ho girato tutta l’Europa... Ho viva soltanto la madre, a cui mando ogni mese quanto posso; perchè mi tiene con sè un figliolo, ch’è già passato a comunione, io non l’ho più visto. Ed egli crede ch’io sia morta. Da principio gli avevano detto che il babbo suo mi aveva portata in America.
Fanny disse:
— Io non ho mai fatto figlioli. Ma se n’avessi uno ringrazierei Dio.
— E perchè? — io chiesi.
— Perchè tutti si ha il bisogno di voler bene a qualcuno.
Fanny mi aveva risposto male, quasi con risentimento. Ed ella seguitò, come, per rimproverarmi:
— Tu mi vedi vestita così, e non pensi che anch’io sono una donna come tutte le altre. Quando mi viene in mente che oggi avrei potuto passeggiare nel mio giardino, dove ora sono invece quelli della mia famiglia, perdo la pazienza. E soffro! Ho fatto di tutto per dimenticare, e magari ci fossi riuscita! Da prima, piangevo e mi disperavo; perchè non riuscivo a rassegnarmi. Ed ora, benchè ci abbia fatto un poco l’abitudine, invidio quelli che non stanno come me. Ma nessuno mi verrebbe ad aiutare.
— Perchè non torni a casa?
Fanny prese un tono come di provocazione:
— Credi che mi prenderebbero? Ormai mi si vede anche dal viso il mio mestiere. E basterebbe che uno della mia famiglia me ne facesse allusione, perchè io anderei via un’altra volta. So bene come mi accoglierebbero. E loro hanno ragione. Ci dovevo pensare prima.
Eva non rideva più, e disse:
— Se non ti sentivi forte abbastanza, dovevi capirlo!
Lina rispose con un’ironia offensiva:
— Se non sbaglio, abbiamo avuto tutte la stessa fortuna.
Ma la Francese chiese a Sara:
— Che leggi tu?
— Un romanzo.
— È bello?
— Così e così — rispose Sara per non dire a lei quali emozioni il libro le dava.
— Chi è l’autore?
— Non lo so.
— Perchè non guardi chi è?
— Come sei noiosa! Perchè non mi lasci stare? È una curiosità buffa da vero!
— Fammi vedere il titolo.
Sara le porse il libro, e la Francese lesse il titolo. Poi disse, con sprezzo:
— Lo conosco anch’io — e, fece una spallucciata.
Sara si rimise a leggere. Lina piegò la tela: aveva ricamato un quadrifoglio. Eva le chiese, fingendo che gliene importasse:
— Perchè non me fai uno a me?
— Domani.
— Anche a me, — disse la Francese, sapendo che facevano soltanto per discorrere.
— Anche a te.
— Io ho già sonno, — disse Eva, e appoggiò la testa al muro.
Anch’io, senza volere, ricordavo mio padre e mia madre, e come il tempo della mia vita era passato presto; quanto ora mi ci voleva a respirare. Guardavo il ricamo; e Lina, accortasene, mi sorrise con simpatia. Avevo affatto dimenticato di che genere era il luogo dove mi trovavo; e mi sentivo pieno di tristezza. Vidi che le dita di Fanny, benchè non fossero fatte male, somigliavano, muovendosi, alle zampe dei granchi; mentre non sapevo se i suoi capelli, giù per le spalle, erano finti o veri. Sara si era nascosta il viso con le mani, e la Francese s’era voltata verso Eva.
I miei ricordi avevano un senso doloroso, sempre più acuto. Non capivo perchè le cose mi paressero tutte tragiche: come quando è avvenuto un omicidio sotto i nostri occhi, e noi si resta con l’animo sorpreso. Mi chiedevo a quale delle cinque ragazze avessi più fiducia; ma non trovavo nessuna differenza. Fanny era la più giovine e forse la più buona, ma anche Lina mi piaceva; e quel suo ricamo mi faceva immaginare la sua casa a Parma. Anche per le altre trovavo qualche motivo da non sentire nessuna ripugnanza e nessuna diffidenza. Io era sempre più disposto a giustificarle. Anzi, addirittura esaltato del mio sentimento. E allora venne anche a me il desiderio di confidarmi, ma non ero capace; non avrei potuto parlare di me e della mia famiglia, come loro. Avevo anch’io la stessa nostalgia, quasi lo stesso rimorso, della casa lontana; ed ero contento di sentire un’amicizia così improvvisa e spontanea. Non m’ero mai trovato altrettanto disposto con tutto il mio animo; nè mai inteso così bene come con quelle cinque ragazze. I loro discorsi mi obbligavano ad essere buono e pieno di rispetto; ed io le avrei difese contro chiunque; anche invogliato di far capire tutte queste cose che provavo. Allora, Fanny, che fu la prima ad avvedersene, mi disse sorridendo con delicatezza:
— A che pensi?
— Io?... A niente!
— Ti vedevo così serio!
— Si deve mettere a cantare? — chiese Lina.
Fanny era quella che aveva più curiosità, ma temeva anche d’infastidirmi. Tuttavia, si sentì così sicura che non si ritenne dal dirmi:
— Io e tu c’intendiamo anche dagli occhi. Bada, sai, non credere ch’io voglia farti pensare soltanto a me! Qui dentro siamo tutte eguali.
Disse la Francese:
— Io non so che ti passa per la testa!
L’altra rispose:
— Credi ch’io non indovini le persone?
Eva, benchè fosse la più frivola, mi guardò come per assicurarsi di quel che aveva detto Fanny; e Lina mi fissava gli occhi addosso; meravigliata. Anche Sara mi guardò, ma sul suo viso non scomparve del tutto il segno di quel che pensava leggendo. Ella contrasse un poco le ciglia, e parve che volesse chiudere il libro. Ma sbadigliò; e, non trovando niente da dire, ricominciò da capo a leggere; però con meno attenzione di prima. Ora si vedeva bene che teneva gli orecchi a quel che dicevano, prendendo dentro di sè anche lei parte alla conversazione. Fanny non mi lasciava mai con gli occhi, ed io n’ero così imbarazzato che avrei voluto esser solo. Lina chi sa quel che voleva dire, perchè più d’una volta fece l’atto di parlare. E, siccome la Francese le era la più vicina, tutte le volte che vedeva quell’atto delle sue labbra, sghignazzava.
— Ma che hai da ridere? — chiese Eva, perchè ella sola voleva ridere. Invece di risponderle la Francese, fece una risata anche a lei; un poco più lunga. Allora Eva si rimise di buon umore, sebbene non riescisse ancora a raccapezzarsi chi fosse quella più disposta a sentirsi come lei. E le tentò tutte, guardandole e storcendo la bocca; poi chinò la festa quasi dentro al seno, e continuò il suo sorriso silenzioso.
— Stamani ho pianto tanto — disse Fanny.
— Un giorno per ognuna, tocca a tutte. Ieri piansi io — rispose Lina.
— Ma io almeno un’ora; mentre aspettavo la pettinatrice.
— Io due ore, prima che andassimo a mangiare.
— E vi pare parecchio? — dimandò la Francese.
— Io non dico questo! — rispose Fanny.
— E, allora, perchè lo raccontate? Se voi sapeste quanto ho pianto io!
Eva si guardò la punta delle unghie; poi le scarpette di raso chiaro, color topo. Sara si scosse tutta, con un brivido; poi disse:
— Sarebbe meglio tenere nascosti i nostri segreti! Agli altri importano poco!
— Io dico sempre la verità, — dichiarò Fanny. — Farò male, ma non mi riesce a stare zitta.
Eva la guardava, ridendo con quel suo sorriso ch’ella poteva crescere o scemare, come la voce.
Io sentivo ormai affetto per tutte e cinque: dentro di me si erano potute purificare; e io, forse, avevo imparato quel che prima non sapevo. Era un nuovo sentimento; e mi proponevo di non perderlo mai. Sentivo che era possibile, benchè avessi paura che non mi credessero. Forse, se ci fosse stata soltanto Fanny, a lei avrei potuto parlare; perchè ella era, a tratti, la mia fidanzata e anche la mia sorella. Ma com’era possibile che Eva, magari, non se n’offendesse? E perchè io dovevo preferire Fanny alla Francese e a Lina? Perchè non ero stato capace di far lasciare il libro a Sara, che non mi aveva dato tutta l’importanza che io volevo meritare per la mia sincerità verso di loro? Perchè non m’aveva contracambiato?
Ma l’uscio si aprì, e un signore anziano, con i baffi lunghi e ben tenuti, salutò togliendosi il cappello.
Il mio sogno disparve, come una bolla d’acqua saponata: restò soltanto l’indignazione e il risentimento contro costui: e me ne andai subito, per non starci insieme.