Esperimento di traduzione dell'Iliade di Omero/Considerazioni su la traduzione del cenno di Giove

Considerazioni su la traduzione del cenno di Giove

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Considerazioni su la traduzione del cenno di Giove
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CONSIDERAZIONI

SU LA

TRADUZIONE DEL CENNO

DI GIOVE


Applicherò il mio parere intorno alla corrispondenza dello stile1 a tre versi d’Omero che dipingono la maestà e l’onnipotenza d’Iddio. La sintassi è limpida, le frasi schiette di tropi, e tutto vi pare si evidente, che veruno de’commentatori li tormentò. Chi mai troverà in questo quadro difetti da emendare, o nel proprio ingegno bellezze da aggiungervi? La figura è una, l’attitudine riposata, i movimenti maestosi, l’effetto istantaneo. Ma a ricopiarlo niuno è riuscito, nè riuscirà, temo. [p. 184 modifica]

Ἦ, καὶ κυανέῃσιν ἐπ᾿ ὀφρύσι νεῦσε Κρονίων
ἀμβρόσιαι δ᾿ ἄρα χαῖται ἐπεῤῥρώσαντο ἄνακτος
κρατὸς ἀπ᾿ ἀθανάτοιο, μέγαν δ᾿ ἐλέλιξεν ὄλυμπον.2

E, cai cyaneësin ep’ophrysi nevse Kronioon:
Ambrosiai d’ara chaitai eperroosanto anactos
Kratos ap’athanatoio, megan d’elelixen olympon.

A chi non sa di greco i minimi tuoni dell’armonia si smarriscono, perchè al labbro italiano sono ignote le modificazioni delle vocali, η, ë — υ, y — ω, oo: e delle consonanti χ, ch — θ, th. Chi legge come i greci moderni, o con la scuola Erasmiana sente un’armonia forse migliore, ma certo diversa dalla mia, ch’io attenuo il suono delle consonanti β, b — γ, g — δ, d; e spesso sciolgo i dittonghi, e li protraggo sempre. A questa varietà d’armonia accidentale s’aggiunge l’altra inerente alle voci ad al metro. Tutto il secondo verso è molle di vocali; la fine dell’ultimo ha in se un tremito rapido e violento: la dignità dell’esametro è appena adombrata nell’endecasillabo.

I vocaboli corrispondenti nelle lingue moderne languiranno sempre per l’impossibilità di trasfondere in essi le minime idee accessorie che animano i greci. [p. 185 modifica]Κρονίων, Saturnio. Κρόνος, Tempo; e Saturnio3 eccita nel pensiero l’ignota origine dei secoli, la lor successione, e il loro termine, illimitato per l’umana immaginazione: quindi l’eternità; quindi il religioso terrore della mente per questo attributo della divinità, alla quale gli uomini per l’opinione dell’immortalità dell’anima si credono eternamente soggetti: e i popoli si sono sempre pasciuti di religione, di speranze e di terrore. Aggiungi che ai tempi omerici il nome Saturnio era pregno di tradizioni teologiche, e della genealogia dei numi; favole che ad ogni modo rappresentavano immagini, nutrivano passioni, e conferivano allo stile poetico. Ma Saturnio nella poesia moderna sarà sempre parola esanime.

Νεῦσε. Tutti ripetono che Giove mosse le ciglia: ma Giove non dice egli stesso che il cenno solenne era fatto dal capo? Ogni moto del capo si propaga naturalmente alla fronte ed agli occhi. Il poeta dunque mostra l’effetto, poichè dianzi ci aveva avvertiti della causa. Pindaro l’imitò; ma liricamente tace la causa: Gl’immortali con le sopracciglia annuirono al consiglio di Temide4; e chi si ricorda d’Omero [p. 186 modifica]vede che gli Dei di Pindaro assentirono accennando col capo. Or traduci chinare le ciglia, piegarle, farle muovere, inarcarle, accennare, dar segno, non dipingerai mai il rapidissimo consenso degli occhi e delle sopracciglia al moto della testa; nè l’espressione della fronte, da cui si emana tranquillamente, e s’effettua istantaneamente la volontà dell’onnipossente.

Κυανέῃσιν. Il poeta dà questo aggiunto anche all’alto mare5: Mosco chiama cerulea la notte senza luna6: niuno ch’io sappia usò fra’ latini prima di Virgilio7 questo colore per nero; nondimeno la coerulea Mors di Albinovano8 ci trae di dubbio sul senso che allora assegnavano a questa parola. Ma noi traducendo nero, perdiamo ad ogni modo la grazia del traslato e le idee concomitanti. Ciglia cerulee e fosco-azzurre nella lingua italiana dissentono dalle immagini umane abbellite da’ poeti nella divinità. Io vedo nella parola greca lo splendore che tramanda il velluto nero che gli artefici imbevono prima di tinte azzurre onde non imprigioni tutti i raggi della luce; ma come tradurla? [p. 187 modifica]

Ἀμβρόσιαι. Voce piena di fragranza, di mollezza, e di deità. Virgilio la derivò9; ma nè Servio, grammatico della lingua latina vivente, sa darne idea precisa. Negli antichi l’ambrosia è cibo degli Dei; spesso ne’ greci bevanda: talvolta unguento che fa incorruttibili i corpi10. Gl’interpreti tutti a questo luogo si ostinano a tradurre chiome divine, immortali, dall’alfa privativo e da βροτὸς mortale. Ma questo significato primitivo e generale seconda gli accidenti delle cose alle quali si riferisce. Ambrosia spesso si scambia con nettare e nell’Iliade le vesti degli eroi sono nettaree11. La veste ambrosia in che fu involto il cadavere di Achille pare che ardesse colla pira12; e Silio attribuisce capelli ambrosii a un fanciullo morente13. L’olio ambrosio con che Giunone si fa bella per allettar Giove è soave e odorifero14. La fragranza era a’ mortali indizio d’un iddio presente15, e Ippolito conosce Diana all’odore celeste16. [p. 188 modifica]Omero dunque mirava in questi versi a quell’idea religiosa quasi che tutti gli elementi circostanti s’accorgessero della voluntà di Giove, Il che sento nella voce ambrosia, la quale non per tanto sarebbe indistinta nella lingua italiana, e la perifrasi la stemprerebbe.

Ἄρα. Particella ridondante che cospira all’armonia rappresentativa del verso. Niun interprete la spiega, niun traduttore saprebbe assumerla con garbo.

Ἄνακτος. Omero non dà il titolo di Re che a Giove, a Febo ed a pochissimi altri Dei, per eccellenza. Noi lo confondiamo con βασιλεὺς perchè non conosciamo la proprietà vera di questo attributo. Così fra latini Sanctus e Sanctissimus era soprannome di Ercole17.

Κρατὸς. Certamente capo; ma la mia fantasia non può scompagnare da questa voce l’idea della potenza e della sapienza dettatami dalla stessa voce Κράτος forza, impero assoluto; idea forse derivata dalla superiorità della ragione umana.

«Ad un tratto cangiò; de la vecchiezza
«Spogliossi; grazia e venustà spirava
«De la persona; e le sue vesti empiro
«D’odor l’aura d’intorno.

Inno a Cerere attribuito ad Omero: versi
d’Ippolido Pindemonte.

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Μέγαν. Questo epiteto, che esattamente si traduce grande, ha qui l’idea dell’immensità, della sublimità e della solidità dell’Olimpo: però Virgilio tradusse totum.

Ecco le traduzioni e le imitazioni di questi tre versi.

VIRGILIO

Annuit et totum nutu tremefecit Olimpum18.

«Fidia effigiando Giove Olimpio interrogato da che modello trarrebbe la divinità, rispose: da Omero; poichè dalle sopracciglia e dalle chiome di Giove egli avea idoleggiata tutta l’effigie»

Macrobio.

Qui è l’onnipotenza senza la maestà. L’originale fa contemplare, l’imitazione immaginare. Virgilio, Orazio19, e l’Alfieri20 percoto[p. 190 modifica]no il lettore e fanno ammirare il poeta. Ma in Omero l’autore si nasconde e non si vede che il quadro21.

Terrificam capitis concussit terque quaterque
Caesariem cum qua terram, mare, sidera movit22.

Il lusso rettorico della chioma che a un tratto sembra il primo agente ci distoglie dalla sublimità dell’idea. Il terque quaterque appone troppa insistenza e troppo stento all’onnipotenza divina.

Sic ait, et capite atque oculis pater annuit: almam
Ambrosius fluxit per frontem et regia crinis

E nuovamente il maggiore de’ nostri nell’xi del Purg. v. 106, cantò anch’egli

. . . . . ch’è più corto
Spazio all’eterno, ch’un mover di ciglia
Al cerchio che più tardi in cielo è torto.

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Tempora; contremuere arces et culmina Olimpi23

Sic ritarda. Capite atque oculis scema il potere divino, emanato dal solo moto del sopracciglio. Manca il Saturnio. Pater ha nel latino l’idea della signoria, non dell impero universale come il Re nel greco. Crinis in singolare non dipinge le masse di ciocche; e crinis per frontem et tempora adombra troppo il volto del Dio. Contremuere, si protrae troppo, e non serba la violenza rapida dell’ἐλέλιξεν. Arces è parola qui inopportunamente metaforica, e culmen voce in origine umile, e presentano la stessa idea: ci arrestano sulle vette e ci distraggono dal cenno e da’ fondamenti del grande Olimpo,

Sic ait, et quassat caput immortale; per ora
Perque humeros fluxere comae et tremit altus Olympus

Ecellente modello per uno scultore che volesse effigiare Giove con le spalle rivolte. [p. 192 modifica]


Disse, e la prole di Saturnio fece
Del suo ceruleo sopracciglio cenno,
Crollò l’immortal testa e le divine
Chiome dell alto Sir diero una scossa,
Onde tutto tremonne il vasto Olimpo.

Disse-fece-del suo-crollar-dar una scossa alto Sir- la moltitudine e la brevità delle parole immiseriscono l’immagine, e prole assai più; ceruleo è inesatto: crollar la testa, non è d’Omero; vedi le osservazioni al Ceruti.


Disse. e co’ neri cigli il segno diede,
E le chiome si mossero immortali
Del divin capo, e ne tremò l’Olimpo.

Cigli. parola troppo tenue a tanta mole; dar il segno, toglie il mirabile emanato da un verbo. Mancano il Re, il Saturnio, la vastità dell’Olimpo, e l’ambrosia. I troppi e congiuntivi sconnettono l’unità. [p. 193 modifica]

RIDOLFI

Disse, e col nero sopracciglio Giove
Fe’ cenno; e nel crollar l’augusto capo
Le immortali sue chiome si agitaro
Onde tutto si scosse il grande Olimpo.

Eccoti il retore che freddamente ragiona:

nel crollar del capo s’agitarono le chiome onde si scosse l’Olimpo. Il poeta invece per guidarci al mirabile dell’effetto non ci arresta su le cause. Da che il nome d’Augusto fu disonorato da Ottaviano e da’ suoi successori, questo attributo avvilisce la divinità. Capo eccita anche nell’originale idee di mortalità, ma l’aggiunto immortale del testo correggendo questa e posto dopo capo, è sorgente di meraviglia; onde a torto in questo luogo molti premettono l’attributo al sostantivo.

CERUTI

Disse, e fe’ cenno con le nere ciglia,
Crollò il capo immortal, scosse la fronte
E le chiome divine; e ne tremaro
Le sfere e i gioghi del sublime Olimpo.

Tutti gli effetti del cenno divino nel testo derivano dall’azione unica di νεῦσε, verbo dissil[p. 194 modifica]labo e di tenue pronunzia; il che cospira al sublime: in Omero si vede l’unico moto del ciglio: qui Giove fa il cenno - crolla il capos - cuote la fronte - scuote le chiome: qual maraviglia se a tanti sforzi segue tanto effetto?

                              Ei disse,
E già dechina maestosamente
Le imperiose ciglia; alto squassarsi
Le stillanti d’ambrosia auguste chiome
Sulla testa immortal; sentì l’Olimpo
Il cenno onnipossente e traballò.

La maestà, l’impero, e l’onnipotenza di Giove risultano dall’effetto; onde mi sembra che le troppe tinte al pensiero ne ritardino il moto. L’alto squassarsi ascrive troppa violenza alle chiome. che nell’originale si commovono mollemente col doppio rr e col doppio oo dell’ἐπεῤῥώσαντο. Il suono del traballò esagera forse la rappresentazione, e sente un po’ troppo l’arte. Preavvertito del sentimento dell’Olimpo, la meraviglia del suo tremito mi riesce meno improvvisa; e il verso che non si chinde con la voce Olimpo cospira a scemarla. La scelta di parole polissillabe seconda l’armonia imitativa dell’originale. [p. 195 modifica]{{Ct|t=2|v=2|f=80%|POPE

He spoke, and awful bends his sable brows
Shakes his ambrosial curls, and gives the nod;
The stamp of fate, and sanction of the God:
High Heav’ n with trembling the dread signal took,
And all Olympus to the centre shook24.

«In questi versi non si sente lo squassamento della capigliatura di Giove espresso cosi maestosamente ne’ versi Omerici. Il verso intruso sopra il cenno del capo divide mal a proposito la causa dell’effetto e fa sparire l’istantaneità del tremore che è forse la principale bellezza del testo. Finalmente il verso sul cielo rende pressochè inutile l’altro sull’Olimpo, e avrebbe piuttosto dovuto porsi in ultimo per non trarre di seggio l’Olimpo che chiude con un bel colpo.»

Cesarotti


Anche il Pope ha traveduto col Ceruti, e il suo Giove fa tre azioni dirette. Gli aggiunti [p. 196 modifica]tremendo e formidabile conferiscono più al terrore che alla maestà: ma forse awful, e dread hanno nella poesia inglese idee accessorie che io non trovo ne’ dizionari. Nella teologia Omerica il Fato governa i mortali e gl’immortali, e non so che i suoi decreti bisognassero della sanzione di Giove. Se non che la fantasia de’ poeti troppo eleganti sentenzia più che non dipinge.

ROCHEFORT

Il dit. et fait. mouvoir ses sourcils rédoutables,
Ses cheveux ondoyans en replis innombrables
Se dressent lentement sur son front radieux.
Il ébranle l’Olympe et fait trembler les Dieux.

«L’imitazione francese se non giunge all’armonia rappresentativa del testo (e chi potrebbe giungervi) ha però de’ pregi singolari. Il fait mouvoir è un’espressione altamente enfatica che rappresenta la mole di un sopracciglio che sostiene il destino del mondo. Le chiome poi che si rizzano con una lenta maestà sulla fronte raggiante di Giove formano una bellezza invidiabile ad Omero stesso. Io non so essere egualmente contento del fait trembler les Dieux. Giove anche in Omero fu ben mal accorto a far [p. 197 modifica]tanto strepito quando volea star occulto. E questa espressione del Rochefort fa sentir maggiormente l’inopportunità di questo movimento straordinario».

Cesarotti

Parmi: I. che il rédoutable faccia come nell’inglese più terribile che maestosa la divinità: II. che l’innombrables cada nel minuto; certo che Fidia avrà effigiato Giove con poche e grandi masse di ciocche, non co’ ricci di Antinoo: III. che il capo del Giove francese ci svegli l’immagine dell’istrice, e l’attitudine d’una furia anzichè del Dio che posatamente può ciò che vuole; se la natura manifestò sempre gli affetti con le stesse apparenze, anche a’ tempi d’Omero l’orrore e il raccapriccio soltanto facevano irrigidire e rizzare le chiome. Finalmente parmi che il fait trembler les Dieux accusi la tirannide di Giove, ed avvilisca tutti gli altri Dei.

MADAMA DACIER

En même tems il fit un signe de ses noirs sourcils, les sacres cheveux furent agitez sur la tête immortelle du Dieu, et il ébranla tout l’Olympe. [p. 198 modifica]

BITAUBE

Ainsi dit le fils de Saturne, et il baisse ses noirs sourcils. La divine chevelure s’agite sur la tête immortelle du Monarque; le vaste Olympe tremble.

Disse, e con le nere ciglia accennò di sì. Le ambrosia spiranti chiome ondeggiarono sulla testa immortal; e l’Olimpo ne tremò.

Rispetto alla mia traduzione di questi tre versi25, e di moltissimi altri, m’accorgo che si può etimologizzare, sillogizzare, fantasticare sopra i grandi originali, ritrarli al vivo non mai; e che le mie teorie condannano i miei esempi però è più arrogante chi parla che chi fa.




Note

  1. Ved. pag. 148 e seg.
  2. Ved. vers. 657 e seg. di questa ediz.
  3. Da età sempiterna: Aristot. de Mundo, cap. vii.
  4. Istmica viii, 99: ἐπὶ βλεφάροις νεῦσαν ἀθανάτοισιν.
  5. Iliad., lib. i, 89.
  6. Idilio ad Espero.
  7. Eneide, lib. ii, 55.
  8. Ad Liviam, eleg. i, 93.
  9. Eneid., lib. i, 650. — Servio, ivi.
  10. Georg. iv, 450.
  11. Lib. xviii, 25.
  12. Odisea, lib. xxiv. 52-57.
  13. Lib. xii, 245, Ambrosiae cecidere comae
  14. Iliade, lib. xiv, 272.
  15. Ivi, lib. xiv, 170. — Odissea, lib. viii, 364.
  16. Euripide, Ippol. v. 1392 e seg. «Così detto la Dea sembianze e forma
  17. Vedi Prop., lib. iv, eleg. ix, ubi vide Brockhausium.
  18. Annuit invicto caelestum numine rector,
    Quo tunc et tellus, atque horrida contremuerunt
    Aequora, concussitque micantia sidera mundus.

    Catul., Nupt. Pel. v. 204.

  19. Cuncta supercilio moventis
  20. Nell’inno di Davide a Dio:
    Se il capo accenni, trema l’universo.
    E il Petrarca, part. ii, son. 83, cantò,
    Ed al Signor ch’i’adoro, e ch’i’ringrazio;
    Che pur col ciglio il Ciel governa, e folce.
  21. Iupiter ipse levi vectus per inania curru
    Adfuit, et coelo vicinum liquit Olympum,
    Intentaque tuis precibus se praebuit aure
    Cunctaque veraci capite annuit: abditus aris
    Laetior eluxit structos super ignis acervos.

    Tibullus, lib. iv, carm. 1, v. 131.

  22. Metamorf., lib. 1, 179.
  23. E il Tasso, Ger., c. xiii, st. 74.
    Così dicendo, il capo mosse; e gli ampi
    Cieli tremaro, e i lumi erranti e fissi;
    E tremò l’aria riverente, e i campi
    Dell’Oceano, e i monti, e i ciechi abissi.
  24. Giacitura delle parole:
    Ei disse, e tremendo inarcò sue nere ciglia;
    Crolla sue ambrosie ciocche e dà il cenno,
    Impronta del fato e sanzione d’iddio,
    L’alto cielo con tremito il formidabile segno prese
    E tutto l’Olimpo dal centro crollò.
  25. Ved. a pag. 177 di questa edizione il verso 162 e seg.