Diario di Nicola Roncalli/1863
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1863
17 Gennaio. — Ai 13, essendo giornata bellissima, il Papa andò a passeggiare a Villa Medici, quindi entrò al Pincio e fece un giro a piedi, all’ora del passeggio.
Vi furono diverse grida, e fra le altre: «Viva Pio IX re d’Italia, viva Pio IX padrone dell’universo».
31. — Da varii giorni circola il seguente motto satirico:
«L’Italia costò tre ducati
Il Messico un Napoleone1».
17 Febbraio. — Sulla languidezza del carnevale, in onta a sforzi del partito papalino per farlo vivace, si fece la seguente satira:
«Zuavi burattini |
23. — Proclama del Comitato nazionale romano:
- «Romani!
«Il vostro mirabile contegno durante il Carnevale è una nuova prova dei vostri sentimenti e del vostro patriotismo. Il Corso ed i festini in altri tempi sì gai e festevoli non furono rallegrati dal brioso popolo romano, che li abbandonò ad una ciurma comprata, ad una gente senza nome a senza patria. Lode al Patrizio che segui il vostro esempio.
» I forestieri qui raccolti in gran numero videro co’ proprii occhi la bordaglia su cui poggia il Governo clericale. La portentosa impudenza dei vostri nemici, che sono nemici d’Italia, non varrà a smentire questo fatto pubblico e solenne. La nazione italiana ne terrà grata memoria.
» Viva l’Italia, Viva il Re.
- » Roma 18 Febbraio 1863.
» Il Comitato Nazionale Romano».
(Affisso nella notte dal 21 al 22 febbraio, 18632).
28. — Ai 22 corrente (domenica), mentre usciva dalla chiesa di S. Carlo al Corso, per ordine del tribunale della Consulta, fu arrestato, dal maggiore Eligi dei gendarmi, Fausti, spedizioniere apostolico, impiegato nella Cancelleria, gentiluomo del cardinale Antonelli, Segretario di Stato.
Si assicura, generalmente, che sia implicato nel processo politico di Venanzi, arrestato fin dallo scorso anno3.
Si dice che vi sieno state forti collisioni tra monsignor Ferrari, ministro delle finanze e monsignor De Merode, ministro delle armi.
Monsignor Ferrari avrebbe richiesto al De Merode le giustificazioni di circa nove milioni somministratigli dall’erario. Egli si ricusò dicendo che non era obbligato a rendergliene conto.
Monsignor Ferrari minacciò di rinunziare, e vi prese parte il cardinale Antonelli, il quale, disgustato eziandio per l’arresto del Fausti, suo gentiluomo ed a sua insaputa, avrebbe anche egli rinunziato4.
7 Marzo. — Il Fausti, che trovasi in segreta nel carcere politico, chiese di avere il pranzo da casa. Gli fu negato.
Il cameriere del cardinale Antonelli, servendosi della sua carrozza, andò a portarglielo, ed i custodi, credendolo volere di Sua Eminenza, lo accettarono. Il Papa disse al cardinale che egli faceva tenere il giornaliero pranzo al Fausti.
Nulla sapendone il cardinale, verificata la cosa, cacciò il suo antico cameriere, notissimo liberale Aureli, divenuto, però, bastantemente dovizioso.
18 Aprile. — Nella notte dal 13 al 14 corrente furono rubati gli interessanti processi relativi a Venanzi e Fausti5.
Questi, contenuti in quattro grossi volumi, trovavansi nelle camere del processante, avvocato Collemasi, nel nuovo braccio dell’antico carcere correzionale, presso le carceri nuove.
Si sospetta che siano stati involati da un carceriere, corrotto con denaro, il quale è scomparso (Raffaele Petronari da Monsampietrangeli).
Naturalmente, nei processi vi sono documenti originali, nomi di persone di riguardo che deposero contro i liberali, o che trovansi compromessi.
Intanto, il professore di medicina, Carlo Maggiorani, in data dei 15 corrente, partecipò alla Polizia regionaria che, nel giorno precedente, i suoi figli Vincenzo ed Antonio avevano abbandonata la casa paterna ed erano scomparsi.
Si dice che, realmente, uno dei custodi delle carceri, mediante chiavi adulterine, sia penetrato nella camera del processante ed abbia involato i processi e che di già con i medesimi sia giunto a Rieti.
Nella mattina dei 17 corrente (ieri) i gendarmi andarono dal mercante di campagna Silvestrelli, nel suo palazzo presso S. Andrea delle Fratte, per arrestarlo. Non trovatolo, fecero una rigorosa perquisizione, forse nel sospetto che vi potessero essere nascosti i suddetti processi.
Intanto, fu arrestato Manassei, maestro di casa del Silvestrelli.
Il processo del suddetto furto fu affidato ai giudici del tribunale criminale Maggi e Loreli.
Nello stesso giorno, 17 corrente, venne fatta altra perquisizione in casa dell’avvocato Ricci, uditore del cardinale De Silvestri e Commissario delle strade ferrate, abitante in piazza di S. Claudio
Il cardinale D’Andrea, amico intimo dell’avvocate, scrisse immediatamente a monsignor Sagretti, presidente della Consulta, perchè facesse sospendere l’atto di perquisizione e si recò in persona in casa dell’avvocato ad assistere alla perquisizione stessa, per le molte ore che durò. Egli, a quando, a quando, stimolava i gendarmi a sbrigarsi. L’atto fu consumato e riuscì frustaneo.
Anche all’avvocato Tancredi, per lo stesso titolo, e nello stesso giorno, fu fatta una perquisizione in sua casa, ma frustanea come tutte le altre.
25. — In seguito al furto dei processi Venanzi e Fausti, i politici arrestati per tale causa vennero passati alle segrete.
Il ristretto del processo fu già stampato nella stamperia segreta e ne furono tirate 400 copie. Si dice che alla metà di maggio si proporrà la causa.
Molti degli arrestati saranno difesi dalla procura dei poveri poiché i diversi avvocati criminali, per varie ragioni, si ricusarono di accettare la difesa6.
23 Maggio. — Il S. Padre tornò a Roma dal viaggio di Velletri, Frosinone, Ceprano, Anagni, nel giorno 20 del corrente, alle ore 8 1|4 pomeridiane.
Alla stazione a Termini si fece trovare molta popolazione, e vi fu illuminazione a bengala. Lungo la strada che percorse similmente s’incendiarono, al suo passaggio, bengala, e dovunque vi fu molto concorso.
La Massoneria, Carboneria, Giovine Italia, si sono fuse nel partito Piemontese o dell’Alta Italia.
Il marchese Migliorati, incaricato di Sardegna, s’introdusse in Roma. Istituì un Comitato nazionale romano, composto di persone di ceto elevato che alla giustizia sono note.
Partito da Roma il Migliorati, vi furono altri direttori ed in fine uno che era carbonaro elevato, e questi ridusse il partito a Carboneria.
Il partito fu diviso in dieci capi sezione, in prima:
in quindici capi sezione semplici, dei quali uno esattore;
in cinquantasei capi squadra, dei quali quattro per Rione.
Il partito non aveva altro scopo che quello di secondare gli eventi dei quali stava in aspettativa; ma poi degenerò in azioni delittuose.
Le accuse individuali che seguono contro i 10 detenuti sono generalmente appoggiate ad impunitarie, convalidate da qualche parziale confessione in caput proprium.
Quanto al Venanzi, resta tutto ammesso mediante documenti di suo carattere, da cui risulta appartenere al Comitato settario, coll’incarico di segretario e dell’alter ego sopra gli altri membri7.
30. — Ieri, 29 del cadente, fu proposta, nel tribunale della S. Consulta, la causa politica contro Venanzi, Fausti, ecc.
I giudici, invece di riunirsi nelle solite sale di Montecitorio, si ritirarono, per l’oggetto della discussione, nelle carceri nuove, dove, fin dalle 6 antimeridiane, si mandò un rinforzo di sessanta gendarmi, con altri, di perlustrazione, nelle adiacenze.
Il solo cavaliere Fausti comparve in seduta con contegno fermo e tranquillo, col petto fregiato di varii ordini cavallereschi di cui è insignito, e sostenne cinque ore di costituto.
Gli interrogatorii gli vennero fatti da monsignor Sagretti, presidente del tribunale, e, stanco ed incalzato incessantemente con alcuni di questi, si mostrò sgomento al punto tale che terminò col dire: «Non so più cosa rispondere».
L’avvocato Dionisi, difensore del Fausti, fece leggere un’addizionale alla difesa giù stampata, chiedendo alcune cose. Il turno dei giudici si ritirò in Camera di Consiglio per deliberare se dovessero o no prendersi in considerazione; ma esternò l’opinione che dovessero rigettarsi.
La seduta fu sospesa per proseguirsi nel giorno seguente.
I liberali stamparono una nota degli impunitarii o delatori che presero parte nel processo politico; ne dispensarono molti esemplari, e varii ne affissero per la città8.
30. — Questa mattina la discussione fu proseguita nelle sale del palazzo Innocenziano, a Monte Citorio.
Si dice che il titolo politico sia evaso contro i dieci prevenuti, e che quindi si proseguirà per gli altri titoli.
31. — Il Papa, nelle ore pomeridiane dei 29 cadente, andò a trottare fuori di porta Angelica. Dopo ponte Molle, discese; entrò per porta del Popolo e, sempre a piedi, giunse fino a piazza Colonna.
Naturalmente, molto si notò un tale insolito avvenimento, tanto più nel giorno della discussione della causa politica. Il Papa aveva al fianco monsignor De Merode9.
11 Luglio. — Nelle bussole di varii cardinali e prelati furono lasciati esemplari della difesa (stampata per cura del Comitato nazionale romano), fatta dall’avvocato Olimpio De Dionisi in favore di Fausti.
Naturalmente, ne circolano per Roma molte copie, che si leggono con molta avidità.
Vi è un preambolo con annotazioni molto frizzanti e veridiche.
31 Agosto. — Nella notte precedente ai 30 agosto, furono affisse per la città alcune centinaia di stampati anti-politici, in cui si leggeva, a grandi caratteri: «Viva l’Italia, abbasso il Papa re».
12 Settembre. — Il Comitato italiano di azione, nella notte precedente ai 6 corrente, fece spargere per la città un proclama a stampa, ed alcuni esemplari ne furono lasciati alle porte di varii uffiziali pontifici e francesi.
Più, sparsero varie centinaia di pezzi di carta stampati in cui si leggeva: «Viva il re d’Italia, abbasso i farisei del Vaticano».
Naturalmente, si presero precauzioni militari e alcuni corpi militari ebbero il ritengo.
Ai 7 corrente, 17 gendarmi, col maresciallo Pancaldi, invasero la farmacia Pagliani a Ripetta ed arrestarono sei individui che leggevano una stampa clandestina, il Nuovo D. Pirlone10.
- Ecco il proclama del Comitato d’azione:
«Roma 4 settembre, 1863.
«Or sono 14 anni che Roma, colla sua ostinata resistenza alle armi francesi, mostrò quanto aborrisse dal clericale dominio.
»La sorte delle armi, la prepotenza di una forza maggiore rese vana quella resistenza, e dal 1849 la Francia, colle sue baionette e coi suoi sgherri di vario colore, mantiene fra noi il più esecrato dei governi dispotici.
» La vilissima delle creature, il prete inanimito dalle armi che a sua difesa manda la Senna, non contento di taglieggiarci, di opprimerci, ci invidia pure la maestà della sciagura, ci invidia il rispetto che è dovuto alle vittime della forza brutale, vuole mostrare all’Europa che ha depresso l’animo nostro e fino al livello della nostra condizione sociale. Ci invita ad una dimostrazione politico-religiosa in favore del temporale dominio, ad una processione solenne per ottenere dall’Altissimo la grazia di una perpetua schiavitù11.
» Questo insulto ci pesa più che le sofferte sciagure , e, protestando innanzi all’Europa della nostra ferma risoluzione di non più tollerarlo, riversiamo sul protettore francese la responsabilità di atti cui la nostra disperazione ci spingerà.
- » Romani!
» Il prete già in due circostanze ha fatto innanzi a voi pomposa mostra dei suoi cointeressati qua convenuti da tutta Europa per attestarvi, che al suo temporale dominio ha l’appoggio d’Europa. Oggi ha d’uopo di mostrare all’Europa, che allo stesso dominio l’appoggio dei Romani non gli manca.
» È tempo che in faccia alle nazioni civili rivendichiate la conculcata vostra dignità, e che mostriate alla iena sacerdotale che se esso per avvilirvi ha prigioni e un carnefice, voi, per vendicarvi, avete mille pugnali.
» Il Comitato romano d'azione » Preside: Garibaldi». |
19. — Nel giorno 11 corrente, un gendarme pontificio sparò (a quanto dicesi, per equivoco) lo schioppo contro un individuo che si bagnava nel fiume Sacco, presso l’isoletta di Ceprano.
Quell’individuo era un uffiziale di gendarmeria italiana.
Uscito dal fiume, prese un distaccamento di bersaglieri e si recò per assalire i gendarmi e finanzieri pontifici nel ponte dell’Isoletta. Il comandante francese, per evitare qualche grave sconcerto, ingiunse ai pontifici di allontanarsi dal ponte, e così fecero.
26. — Il generale francese, per quanto si dice, ordinò che fosse consegnato al ministero delle armi pontificie il gendarme che sparò sul Liri contro l’uffiziale italiano perchè fosse giudicato dal Consiglio di guerra.
Niun risultato avendo veduto, ne domandò la restituzione; ma monsignor De Merode vi si è opposto risolutamente, e si dice che gli abbia procurato i passaporti e sia partito per la Spagna.
3 Ottobre. — Il gendarme pontificio, che sparò due colpi di schioppo contro l’uffiziale italiano che si bagnava nel fiume di confine il Sacco, e che, richiesto dal generale francese, fu negato dal pro-ministro delle armi, è fatto sparire.
Il generale pubblicò un ordine del giorno, ai 22 di settembre, col quale condanna altamente tale sottrazione12.
21 Novembre. — Da tre o quattro giorni furono, clandestinamente, diramati molti esemplari di un libretto intitolato: Le rivelazioni immunitarie di Costanza-Vaccari-Diotallevi nella causa Venanzi Fausti13.
Contiene accuse contro cardinali, prelati e molti impiegati di Governo i quali figurano compromessi nella famosa causa politica.
Si dice che varii degli impiegati abbiano stabilito di attendere quale contegno assumerà il Governo in tale circostanza, e, nel caso, complessivamente esporranno querela di calunnia contro la Diotallevi ed altri.
La Diotallevi, da vario tempo, convive col processante Collemasi, al quale ora, perchè non bastantemente sicuro nella sua abitazione, il Governo fa preparare un appartamento dentro il palazzo di Monte Citorio dalla missione, ed il ferraio Apolloni ebbe ordine di apporre inferriate alle finestre dalle quali potessero temersi insidie.
28. — I discorsi generali sono sempre relativi all’opuscolo «Le rivelazioni impunitarie di Costanza-Vaccari Diotallevi nel processo Venanzi-Fausti».
Le persone oneste, nominate dal medesimo, bramano qualche riparazione dal Governo.
Infatti, il Giornale di Roma dei 26 pubblicò un articolo su questo oggetto14.
Persone che sembrano bene informate assicurano che il Papa stesso volle leggerlo prima della pubblicazione.
Note
- ↑ Nel mese di gennaio, come nel resto d’Italia, così in Roma
fu aperta una sottoscrizione a pro dei danneggiati dal brigantaggio.
«E se Roma, così si legge in un proclama del Comitato nazionale
del giorno 25 di quel mese, raffrenata dalla forza straniera
cd oppressa dalla sbirraglia clericale, non potò coll’esempio
precedere le Città sorelle, non fu seconda nello slancio patriotico, ed ha la lusinga che le sue contribuzioni, depositate furtivamente e frammezzo ai pericoli di una vigile polizia, se non raggiungeranno la generosità di quelle, riusciranno più sensibili, siccome mandate da fratelli, compagni nella sventura, e vittime continuate di brigantaggio più terribile».
Alcuni mesi dopo, il Comitato stesso publieò un proclama da cui togliamo i seguenti brani:
«Una nuova ed imponente dimostrazione nazionale si è compiuta testò in Italia con la sottoscrizione a favore dei danneggiati dal brigantaggio. La splendida parte che Voi vi prendeste rivela ad un tempo il generoso vostro sentire, e la solidarietà di fortuna, l’unità di propositi, che ad onta delle barriere pretesche collegano ornai per sempre ed uniscono la nostra Roma alle libere città sorelle. Offrendo poi pronti ed unanimi il vostro obolo a sollievo delle vittime del brigantaggio, al pari degli altri popoli della Penisola, Voi faceste solenne protesta contro gli orrendi attentati, con cui il prete e il Borbone, fatti solo sicuri dalle baionette francesi, violano negli abusati nomi della Religione e dell’Ordine, ogni legge divina ed umana, manomettono ogni più sacro diritto di famiglia, di società, di Nazione!............
» A tanto abominio come cooperino i preti, già vel sapete. Non è molto Voi vedeste una fuggente masnada di questi insanguinati ladroni, ospitata amorevolmente in S. Sisto Vecchio e visitata perfino, e soccorsa e benedetta dal Vicario di Cristo, che rincalzavala ai medesimi eccidii!
» E di questi nltimi giorni non avete assistito alle accoglienze quasi festive fatte allo Stramenga e al Tristany, saziati ambedue d’oro e favori, e raccolto il primo con parentevoli cure dal Parroco nel Cenobio di S. Lorenzo fuori le mura? Non siete tuttodì testimoni di nuove trame e di nuovi briganteschi apparecchi aiutati o favoriti dai preti?
» Romani! Se un potente straniero non vi consente d’insorgere per liberare la città vostra da tanta vergogna, che almeno non si dica, che Voi la tollerate. 11 vostro sdegno, l’ira vostra pesino implacabili su questi banditi nemici, non meno della Patria Italiana, che della stessa umanità. Ogni rapporto, ogni riguardo sociale sia rotto tra Voi e i partigiani del Borbone. Fate deserto intorno a questi mostri d’iniquità! Sfuggiteli come lebbrosi; ove pongono il piede abbiatelo per luogo contaminato. Una barriera insormontabile deve dividervi da essi; poiché un popolo geloso della sua civiltà, della sua indipendenza, e chiamato ad alti destini, non può avere alcun contatto con uomini che vivono di sangue e d’infamia.
» Così operando mostrerete all’Europa che nella soggezione straniera e pretina non perdeste, nè potete perdere il sentimento del vostro onore, della vostra dignità.
» Viva il Re, viva l’Italia.
- »Roma, li 22 di giugno 1863.
» Il Comitato Nazionale Romano».
- ↑ Prima di publicare questo proclama, il Comitato consigliò ai Romani di astenersi dai tripudi carnevaleschi, e li pregò di offrire agli infelici fratelli «quel danaro che altri profonderebbe al proprio disonore».
- ↑ Del Fausti abbiamo parlato altrove.
- ↑ La vera ragione della scissura tra il De Merode c la Consulta di Stato per le finanze, alla quale, in favore di questa, prese parte anche l’Antonelli, ci vien fatta conoscere dal N. 3 della Cronaca Romana (19 agosto, 1863), che il Comitato Nazionale romano cominciò a publicare il 24 di giugno di quell’anno.
Il De Merode, così vi si legge, «intendeva batter la strada consueta, cioè che si lasciasse facoltà alle Sotto Intendenze militari per la tratta dei Mandati senza esaminare in prevenzione le pezze giustificative per le quali queste si traevano. La Consulta, che forse si è accorta di qualche irregolarità in questo sistema, nel sindacare il Preventivo stesso, ha dichiarato che per V avvenire non ammetterebbe più e non riconoscerebbe in verun caso simiglianti Mandati delle Intendenze». - ↑ Del furto di questo processo abbiamo parlato nel primo volume.
- ↑ Qui il Roncalli non è esatto, e ne riferiamo, a prova, ciò che intorno agli avvocati difensori in Roma, al tempo del Governo pontificio, si legge a pag. 54 delle Rivelazioni impunitarie di Costanza Vaccari Diotallevi, già da noi citate:
«Esiste una Procura detta de’ Poveri, alla quale per lo più sono addetti, in numero assai limitato, i meno versati nella giurisprudenza, tanto che rarissimo è il caso che alcuno di costoro goda in curia di qualche riputazione, frutto questa più della nullità dei compagni, che della sufficienza propria. E perchè poi si paga dal Governo a’ costoro uno stipendio mensile, si ha cura che non entri nel numero chi del Governo non gode la piena fiducia. La legge non circoscrive esplicitamente la scelta tra costoro, ma implicitamente la circoscrive, dando al Presidente del Tribunale illimitato arbitrio di escludere l’avvocato designato dall’accusato; il quale inoltre si trova già limitato in fatto, perchè antico uso degli avvocati della curia romana è di attendere esclusivamente alla difesa delle cause civili; il qual uso è la conseguenza del monopolio che delle criminali fa quella così detta «Procura de’ Poveri».
» In questo rispettabile consesso pertanto deve l’accusato scegliere chi lo difenda, e questa scelta, già limitatissima, viene ancora limitata dall’indicato arbitrio, concesso al Presidente del Tribunale».
Il Venanzi aveva nominato a suoi difensori gli avvocati Marchetti e Palomba; ma questi, perchè liberali e quindi non accetti al Presidente Sagretti, temendo danneggiare l’accusato, rinunziarono alla difesa. - ↑ Il Roncalli trasse tutte queste notizie dalle false rivelazioni della impunitaria Costanza Vaccari Diotallevi, e dalla Relazione fiscale compilata dal Collemasi, il quale, insieme colla stessa impunitaria, e con scandalo universale, inalzò la mostruosa macchina di quell’assurdo processo. (Vedasi l’opuscolo citato: Le rivelazioni impunitarìe di Costanza Vaccari Diotallevi).
- ↑ Il numero loro era di 18, la nota del 20 di maggio.
- ↑ Di un’altra passeggiata che fece il Papa col cardinale De Merode, nell’ottobre di quello stesso anno, il numero 3 del Don Pirlone Redivivo, giornale clandestino, con caricature, che si diffondeva allora per Roma, dà così la notizia:
«Uno dei passati giorni si videro nelle ore antimeridiane passare per il Corso due ladri mandati alla berlina dal Tribunale Criminale. Nelle ore pomeridiane pel Corso si fece vedere il papa, passeggiando a piedi a braccetto con monsignor De Merode. Questa circostanza ha ispirato, come segue, la musa d’un trasteverino:
Sonetto.
Oh! mo davero che nnn stamo male
Mo che pijeno sti provvedimenti
Eh! mo potemo sta pure contenti
E annà senza pavura per le scale.
È inutile a sto Papa nun c’è uguale,
Pensa pe’ tutti quanti, e poi t accidenti!
Ce hanno de sta pure i marcontenti
Che pe burlallo scrivano et giornale.
Come gastiga i ladri eh! du birbanti
Avevano rubato, e ’na matina
Che tutti li vedessero voleva
E pe ’ dà esempio poi che conosceva
Ch’eira più ladro lui de tutti quanti,
Er doppo pranzo annà lui alla berlina». - ↑ Il vero titolo di questo giornale era, come abbiamo già detto, quello di Don Pirlone Redivivo.
- ↑ Il Governo aveva ordinato che l’imagine del Salvatore, che si conserva nel Santuario detto Sancta Sanctorum, fosse, il giorno 6 di settembre, trasportata nella basilica di S. Maria Maggiore. Con questo trasporto, che si fa solo nei più gravi momenti, voleva il Cardinal Vicario che i Romani ringraziassero il Divin Redentore per averli salvati «dagli artigli della più sfrenata rivoluzione che, mentre metteva a soqquadro città e paesi limitrofi a Roma, veniva arrestata dal divin braccio alle porte della sede del supremo Gerarca».
- ↑ «Il gendarme pontificio Samorini tentò assassinare, con due colpi di fucile, il maggiore Rossi del 32° di linea italiano, che si bagnava sulla riva opposta del Sacco. N’ebbe in premio la regalia d’una doppia dal De Merode e la promessa di un avanzamento. Ma il generale conte di Montebello, disapprovando altamente la condotta del pro-ministro, reclamò il gendarme per sottoporlo ad un consiglio di guerra e ad una severa punizione.
» Monsignor De Merode si ostinò a ritenerlo, finché, dato dal generale Montebello un termine perentorio alla consegna, pensò di eludere la giustizia, dando un congedo libero, con una regalia di 10 scudi al detto gendarme, assicurandolo che il Governo pontificio non avrebbe mai dimenticata P azione eroica, o il generoso suo sacrificio, nè avrebbe mai mancato verso di lui di riconoscenza e di protezione, e mandandolo intanto a dimorare entro un convento, per assicurarlo dalle indagini francesi. Beffato così e deluso il reclamo del Montebello, questi pubblicò il seguenteOrdine del giorno:
«Giovedì 10 settembre, sulle rive del Sacco, lungi 200 metri da un posto francese, il gendarme pontificio Samorini, senza provocazione alcuna, ha tratto due colpi di fucile sopra dei militari italiani inoffensivi.
» Il Generale Comandante la Divisione, la cui missione è di impedire al confine, che il disordine non sia portato da un territorio sull’altro, decise che questo gendarme sarebbe tradotto innanzi un consiglio di guerra della Divisione. Ciò era suo diritto e suo dovere.
» Ma il colpevole gli fu sottratto....
» Gli rimase ora un dovere d’onore da compiere, ed è d’infamare pubblicamene l’atto, la cui punizione gli sfugge, e di respingere qualunque connivenza nell’impunità procurata.
»Tale è lo scopo del presente ordine, che verrà letto in Roma il 24, 26 e 28 di questo mese, all’appello delle 11 ore per l’infanteria, all’appello delle 3 ore per la cavalleria e tre volte nei distaccamenti, di due in due giorni, a datare dal giorno che sarà ricevuto.
- » Dal Quartiere generale di Roma, il 22 settembre 1863.
» Il Generale Comandante la Divisione d'occupazione,
aiutante di campo dell’imperatore
Firmato: C. di Montebello».
» Onore dunque a De Merode nell’uno e nell’altro mondo!»
- (Cronaca Romana, 26 settembre 1863, numero iv).
- ↑ Una copia di questa pubblicazione fu dal Comitato nazionale romano mandata al Papa colla seguente lettera che noi togliamo dal n. V della Cronaca Romana:
- «Beatissimo Padre,
- «Beatissimo Padre,
» Degnatevi, Beatissimo Padre, di leggere senza prevenzione e senza rancore le cose che Punito libro discorre e prova; e ricordatevi, che l’ultimo giorno della Vostra vita e del Vostro regno non possono tardare a giungere. Parlerà del Vostro regno la storia, e narrerà alle future generazioni il molto male che Voi faceste all’Italia, il pessimo governo che Voi faceste dei Vostri sudditi. Non vogliate che la storia vi chiami tiranno, lasciando impunito un assassinio quasi incredibile, che vi fu fatto conoscere, e come toccare con mano.
» Accogliete i sensi di riverenza che vi professa come a Capo della Chiesa- » Roma, 10 novembre 1803.
» Il Comitato Nazionale Romano».
- ↑ Agli articoli del Giornale di Roma, il numero V della Cronaca Romana rispose:
«Il Giornale di Roma, nel numero 269, in data Giovedì 26 Novembre, e l’Osservatore Romano, numero 273, in data di lunedì 30 novembre, pubblicarono due articoli che il pubblico conosce, relativi ambedue alla pubblicazione fatta dal Comitato nazionale romano delle rivelazioni impunitarie di Costanzo Vaccara Diotallevi nella causa Venanzi-Fausti. Con quelli articoli si pretese di toglier fede ai documenti pubblicati, dicendo, che per una parte sono alcune carte informi che si riferiscono ad un processo di cui il partito rubò una parte: sono memorie stragiudiziali come appare dalla stessa loro forma, compilate prima del rogito del rivelo e che rimanevano tuttora presso il Processante, unitamente alla suddetta parte derubata del processo.
» Per l’altra parte si dice; essere fogli di memorie adulterate, sia col dar loro apparenza di atti giudiziarii, sia coll’opporvi firme a capriccio, sia col travisar nomi nelle rivelazioni, sia coll’aggiungerne altri che dapprima non vi si leggevano.
» Soggiunge inoltre il Giornale di Roma, esser cosa indubitata e già dalla sentenza chiarita, che tutti gli atti giuridici delle rivelazioni della Diotallevi in specie sfuggirono al furto, rimasero intieri in potere della Giustizia, e potè il Tribunale valutarne nel suo giudizio il valore, calcolandoli come indicazioni.
»E l’Osservatore aggiunge: non è d’uopo d’esser criminalisti per comprendere, che se il Tribunale doveva pigliare a calcolo quelle carte, esse sarebbero state citate dalla Relazione Fiscale. Eppure fra le migliaia di citazioni ond’essa è gremita, non ve ne ha una sola che le richiami. Dunque quelle carte non erano giudiziali, nè potevano esserlo, perchè informi, perchè non paginate, perchè non congiunte al processo medesimo.
» Ottimamente! Il Governo del Sommo Pontefice volendo difendere un assassinio giuridico senza esempio, che il suo decoro non gli permetteva di riconoscere e di punire, non poteva, secondo la sua natura, fare di meglio, che mostrarsi al pubblico tanto impudente, quanto scellerato.
» Posto dal Comitato Nazionale in istato d’accusa innanzi la opinione pubblica, il Governo Pontificio ha assunto l’attitudine di un reo convinto e non confesso. Per tale l’ha riconosciuto il pubblico dopo la lettura di quei due articoli, e quella stessa parte di esso, non grande in vero che gli è benevola ha dovuto tacere e compiangere l’insipiente degradazione morale a cui è giunto».