Diario di Nicola Roncalli/1864
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1864
2 Gennaio. — Ai 23 di dicembre il tribunale della Consulta, con alla testa monsignor Sagretti, presidente, si recò dal cardinale Segretario di Stato per i soliti augurii di buone feste.
Il cardinale si ricusò di riceverli.
Disgustati di ciò, alcuni di quei membri (e specialmente monsignor Annibaldi, procuratore dei poveri) nell’anticamera e per le scale si misero a declamare dicendo che il cardinale non aveva potuto mirare in viso il tribunale che giudicò imparzialmente e condannò il suo favorito Fausti, e che in siffatto contegno era prova certa che egli stesso apparteneva alla setta. Monsignor Sagretti fece tosto sapere al Papa l’accaduto.
30. — Il Comitato italiano romano, in data dei 25, diramò un proclama diretto a distornare i Romani dai divertimenti carnevaleschi, incoraggiando a ben sperare sul vicino esito della causa comune di riscatto1.
6 Febbraio. — Nella sera dei 2 corrente, in una osteria presso piazza Barberini, Gioacchino Briatti, muratore, alquanto rallegrato dal vino, si mise a cantare alcune canzoni papaline in onore di Pio IX.
Uscito tranquillamente, e direttosi verso la croce dei cappuccini, colà fu assalito da due sconosciuti, rimproverato dei canti e pugnalato.
Morì nel giorno seguente, senza voler denunziare gli assassini, che disse di aver conosciuto.
I liberali mandarono alcuni fogli stampati alle locande e ai particolari domicilii dei forestieri venuti in Roma per godere del carnevale.
Con questi erano pregati a non prender parte al carnevale, poiché i Romani si trovavano in lutto politico.
In seguito a che, varii forestieri, prudentemente, preferirono di partire dalla capitale.
Nelle domeniche e nei venerdì vi fu il solito passeggio animato per il Corso, assai più numeroso dei giorni di carnevale.
Per il Corso, durante il carnevale, si videro due o tre carrettelle e carrettoni con individui ornati dei colori bianco-giallo.
Ciò mosse ad indignazione i liberali che declamarono altamente.
27. — Ristretto:
«Camillo Baldini, avente negozio di cambia valute con tabaccheria incontro al palazzo Chigi, nella sera dei 20 corrente, secondo il solito, ad un’ora ed un quarto, fece collocare il suo denaro dentro una cassettina, consistente in lire 10.415,40, in una carrozzella, sotto la custodia del ministro e commesso, per portarlo a casa, in via della Scrofa.
Giunta la vettura in via Lucina, fu assalita da quattro assassini, che trucidarono i due giovani e rubarono la cassa.
In seguito all’atroce misfatto commesso la sera dei 20 corrente mese, il Comitato nazionale romano, diresse al generale francese la seguente lettera che si rende di pubblica ragione:
- «Eccellenza!
«Da molti giorni Roma è fatta campo di assassini, tantoché le aggressioni notturne, le rapine ai domicilii e le spogliazioni delle Chiese sommano già a molte decine. Due onesti cittadini derubati di una forte somma di denaro, e scannati sulla pubblica via alle ore sette e mezzo di sabato 20 corrente in una delle contrade più popolose e più frequentate della città, è l’ultimo fatto che riempiendo di orrore e di spavento l’intiera popolazione, dimostra con eloquenza troppo crudele l’eccesso della miseria, a cui è ridotta la sicurezza pubblica fra noi.
» Due polizie ha il Governo Pontificio. Ma queste o conniventi coi ladri, od intente solo a spiare ed a perseguitare chi si attenti ad esprimere solamente il desiderio di avere una patria ed un governo migliore, o non vogliono, o non sanno, o non possono compire il primo dovere che ha ogni governo, quello di tutelare la vita e le sostanze dei cittadini.
» Già volge il quindicesimo anno che la Francia, mantenendo a Roma un Corpo di occupazione, conculca il diritto de’ Romani, togliendo ad essi la facoltà di farsi ragione da se stessi contro il mal governo de’ preti.
» Sia abuso di forza, o alta ragione di Stato, la causa che tiene a Roma i soldati francesi, essi, lasciando che si compiano impunemente latrocinii ed assassinii senza esempio, si rendono partecipi della infamia, che l’indignazione pubblica gitta per tali fatti in faccia al governo dei preti, che essi persistono a puntellare con ventimila baionette.
» La più lacrimevole e più sciagurata condizione di un popolo è quella che tocca oggi ai Romani, costretti a dover chiedere la salvezza della vita e delle sostanze allo straniero, che toglie loro la libertà. Ma il male è all’estremo e la necessità non ha legge.
» Quindi è, o Generale, che il Comitato nazionale facendosi interprete dei sentimenti de’ Romani, si rivolge a Voi, e vi chiede in nome dell’umanità e dell’onore, che vogliate almeno provvedere alla sicurezza pubblica.
» Roma è fatta l’asilo de’ borbonici, dei refrattarii alla leva, della feccia di tutto il mondo, che qui accorre sotto il pretesto di difendere il Capo della Chiesa.
» Considerando che la crudeltà dei fatti ultimamente accaduti non ha riscontro precedente, la voce pubblica ne accusa quelli ospiti esecrandi.
» Gradite, o Generale, i sensi dell’alta considerazione che vi professa
- » Roma, li 22 Febbraro 1864 .
»Il Comitato Nazionale Romano».
27. — Nella sera dei 22 corrente, vi furono 4 rapine.
In seguito ai furti violenti o rapine, assassinii, la Banca Romana fece installare colà un picchetto di gendarmi.
I prenditori de’ lotti, nella notte di giovedì, nel trasportare il denaro, si fanno accompagnare dai gendarmi.
Molti forestieri, per le stesse ragioni, partono da Roma.
Nella sera dei 23, presso l’orologio della Chiesa nuova, un precettato per furti fu sorpreso in appostamento e colluttò con un lungo coltello colla forza. Gli furono tirati varii colpi di pistola nella fuga che prese; ma non fu colpito.
Alla fine, venne arrestato da due militi pontifici, presso Panico.
Nella notte precedente ai 24, furono arrestati, in via Rasella, due fratelli Milani, sospetti dell’assassinio relativo al cambia valute.
Si trovarono panni insanguinati. Però, dopo si conobbe che uno di questi, dall’Ave Maria dei 20 fino a’ due ore, era stato fermo nella Presidenza Trevi e Pigna, per affari di ufficio; che ambedue i fratelli, alquanto ebbri di vino, rissarono in casa, e che il padre, per dividerli, li aveva percossi e feriti con un bastone.
Nella notte stessa incogniti ladri entrarono in una bottega di tabaccaio, in via Piè di Marmo e derubarono scudi 2000.
Nella sera dei 25, tra un quarto e mezz’ora di notte, fu rapinato, presso il vicolo Giustiniani, Carlo Azzurri e, col coltello alla mano, gli fu tolto il cilindro d’oro.
Nella stessa sera, ad un’ora di notte, fu rapinato, per le scale di casa, un Sistini e gli furono tolti scudi 40, orologio, ecc.2.
12 Aprile. — La sera dei 12 corrente riuscì splendidissima, celebrandosi l’anniversario del ritorno del Papa da Gaeta e l’incolumità nel disastro di S. Agnese con grandiose e generali luminarie.
Si distinguevano, fra le altre, per splendidezza e gaiezza, il Foro Agonale, la piazza Farnese, quella della Minerva, ecc.
Tanta pubblica esultanza poco mancò che non si convertisse in una seria e memoranda catastrofe.
Imperciocché, alle 10 ed un quarto, fu esploso, nella via della Palombella, in prossimità della piazza della Minerva, e precisamente sotto l’abitazione del mercante Bianchi, una bomba.
Rimase ferito, con qualche gravità, nella gamba destra, Filippo Parma, romano, di anni 42, vaccinaro, e, leggermente, Geltrude Bianchi, Virginia Bartoli.
Questa, a parere dei chirurghi, avrà la sventura di restare impedita in un ginocchio.
Fu vera fortuna che non vi fosse in quell’ora tanta folla di popolo, per non deplorarsi le inevitabili conseguenze di un trambusto e dell’inconsiderato fuggire.
Però, nella vicina piazza della Minerva, dove gli spettatori erano più numerosi, alcuni tentarono di mettersi in salvo colla fuga, altri col gridare, ed allora vi fu chi venne rovesciato in terra; ma alcune voci rassicuranti di «Viva il Papa» e l’agitare di fazzoletti presto ricondussero la calma.
Accorsa la forza tanto pontificia che francese sul luogo, trovarono il suddetto Parma ferito, il quale, senza punto lamentarsi dell’infortunio, aveva assunto un contegno torbido e taciturno.
Poco dopo, per mezzo di vettura, fu tradotto all’ospedale della Consolazione e piantonato da due gendarmi.
Ai 17 fu estratto dall’ospedale.
Intanto, alcuni avevano osservato che, appena ferito, aveva estratto, dalla saccoccia dell’abito, alcune carte, gettandole dentro una vicina rimessa.
Aperte le medesime, si trovarono diversi esemplari del foglio settario intitolato Roma o morte.
Ordinatasi immediatamente una perquisizione al domicilio del ferito, furono requisiti, nascosti sotto un vecchio armadio, una quantità di esemplari dello stesso giornale con i supplementi ed un pugnale settario con la croce.
Quindi vi è fondamento a dedurre che egli stesso sia un agente del detestabile Comitato d’azione e che, per mera ignota casualità a lui fatale, la bomba esplodesse prima di potersi mettere in salvo.
Tuttavia, sull’asserzione od idea manifestata da alcuni che la bomba potesse essere stata lanciata dal tetto, la pubblica forza accedette nella casa dell’avvocato Manassei, dov’erano convenute molte Signore, ed ivi, praticata una rigorosa perquisizione, procedettero pure all’arresto, come sospetto, di Benedetto Ulissi, giovane di circa 17 anni, nipote del suddetto avvocato Manassei, impiegato nelle strade ferrate di Civitavecchia, che si era recato dallo zio per godere della illuminazione.
Posteriormente, furono arrestati il fratello del Parma, per nome Domenico, e altri.
Altro petardo, o bomba, fu esplosa, nella stessa sera, alle 8 ed un quarto, presso la via dei Mercanti, col solo danno di alcuni cristalli.
Alcune signore, che girarono per le illuminazioni, riportarono i loro abiti e le mantiglie di velluto danneggiate da acque corrosive.
23. — Nella sera dei 18 corrente, circa le ore 2 di notte, avanti il portone degli Svizzeri, al palazzo del Vaticano, dove risiede il Papa, fu sparato un grosso botto, che s’intese fino a Campo Vaccino.
Si assicura che il S. Padre stava medicandosi la gamba e, sorridendo, disse: «Adesso tuona anche col tempo buono».
Del resto, non fece alcun danno3.
7 Maggio. — Sulla salute del Papa, da vario tempo, circola una satira che è la seguente:
Pasquino domandò a Marforio qual malattia avesse; questi gli disse un Tumore.
L’altro volle sapere che cosa significasse la parola; da che avesse origine e quale ne fosse il risultato.
Allora Marforio soggiunse che togliesse una lettera per volta nella parola tumore, la leggesse e sarebbe stato soddisfatto.
Quindi Pasquino lesse come segue:
Tolta la 1a | lettera | lesse: | umore. |
Tolta la 2a | » | » | more. |
Tolta la 3a | » | » | ore. |
Tolta la 4a | » | » | re. |
Cioè l’umore ne avrebbe portato la morte, questa tra ore, e sarebbe stato proclamato il re.
14. — Come prevedevano gli uomini intelligenti, le rendite ordinarie dello Stato e l’obolo di S. Pietro divennero insufficienti ai bisogni.
Quindi il S. Padre, con chirografo dei 26 marzo, pubblicato ai 9 corrente, autorizzò il tesoriere a contrarre un nuovo debito di annui scudi 465.000.
11 Giugno. — Nella mattina dei 5 corrente, anniversario dello Statuto, si trovarono bandierette tricolori, avviticchiate ai fili telegrafici, e nella sera furono incendiati fuochi di bengala per il Corso, via Belsiana, Trinità de’ Monti, non che spari di gioia dentro il giardino del caffè nuovo ed in altre contrade.
Si arrestarono circa 50 persone responsabili, o sospette, della dimostrazione politica.
Tra i primi vi sono tre sergenti francesi, arrestati in uniforme dal brigadiere de’ gendarmi pontifici Dolciotti, sorpresi in flagrante, in piazza Colonna Traiana, mentre accendevano i bengala.
Il generale francese disse, che se si provava a loro carico la mancanza sarebbero stati inviati a Tolone; ma in caso contrario vi sarebbe andato l’esecutore dell’arresto4.
18. — Nella sera dei 15, al teatro Argentina, vi fu la beneficiata della prima donna. Si presentò sul palco con un abito rosso.
Le fu gettata una grande corona di verde alloro, legata ad un nastro bianco.
Quindi unione dei tre colori ed applausi strepitosissimi.
Tra gli spettatori erano Francesco II di Borbone e il conte di Trapani.
7 Ottobre. — I Francesi sono soliti, nei giovedì, nella ritirata della sera che parte da piazza Colonna, di marciare col concerto.
La sera dei 29 il concerto degli usseri accompagnò la ritirata.
Una folla di popolo, che si era riunita in quella piazza, nell’atto di partire, si fece a gridare: «Viva Napoleone, viva Vittorio Emanuele, viva il Concordato ed anche viva Pio IX».
Questa lo segui per il Corso, via Condotti, piazza di Spagna e piazza Barberini, dov’è il quartiere, e quindi si disciolse.
I gendarmi francesi, strada facendo, arrestarono 12 schiamazzatori, tra’ quali un sergente francese di cavalleria, sellaio, due calzolai, un barbiere, un falegname ed un facchino.
Nel giorno seguente furono quasi tutti dimessi.
15. — Tutti i discorsi sono relativi alla convenzione dei 15 settembre. Intanto, generalmente, si dice che il Governo pontificio, come non acconsenti ad alcun accordo nel 1862, così persisterà nel suo proposito nel 1864.
29. — Temendosi che nella circostanza di riapertura del Parlamento italiano si volesse fare qualche dimostrazione politica, nella sera dei 24, si presero misure di precauzione; ma nulla avvenne.
Intanto alcuni di quelli chiamati volgarmente neri, ritenendo fermamente che alla riapertura del Parlamento in Torino sarebbero accadute stragi, per solennizzare un sì fausto avvenimento, si riunirono a lauta cena nella trattoria delle Colonne (incontro S. Carlo al Corso).
Ebbe luogo la sera dei 26, e, vedendosi delusi, dissero di riportarsi ad altra prossima occasione.
Note
- ↑ Il Comitato rivolse preghiera di astenersi dai divertimenti carnevaleschi anche agli ufficiali e ai soldati francesi.
- ↑ Intorno ai furti che avvenivano allora continuamente in Roma, troviamo nel numero 5 del Don Pirlone Redivivo il seguente
Sonetto.
«Per Dio! Si annamo avanti de sto passo
Ce fanno er grugno come un'or de notte
Si manco giova più ne d'annà in botte
Pè fa l'affari o annassene un po a spasso .
Nun passa giorno si nun c'è no sgrasso
E si uno ruga ce busca le botte
E a noi ce tocca a fane le marmotte
Senza potè portò manco er compasso .
Si giri Roma pe le cose tue
O li ladri t'attastano o li Bellix 1
E accidenti a chi è er mejo delli due,
E sti pretacci , per nun fa pijane
Quelli che der mestiere so fratelli,
Fanno li poveracci carcerane ».- ↑ I gendarmi.
- ↑ Il testo del numero 6 del Don Pirlone Redivivo è tutto dedicato alla festa del 12 aprile di quell’anno, e da esso noi togliamo quest’epigramma:
«Chiedono lumi al popolo Romano
Ma i lanternoni fanno lume invano
Deh! se i preti di lume hanno desio
L'illuminate Voi Signore Iddio!» - ↑ Il Comitato nazionale romano, nel numero 8 della Cronaca Romana, narra come si celebrasse dai liberali la festa nazionale:
Roma, 25 giugno 1864.
«La festa nazionale fu solennizzata in Roma nel presente anno meglio ancora che nei passati. La diplomazia impassibile in faccia ai dolori dei popoli non lascia mai le sue egoistiche vedute e le sue lentezze spietate; la polizia infierisce qui più che mai, ma il popolo romano volle appunto per questo attestare più viva mente la forza de’ suoi sentimenti patriottici.
» I fuochi di bengala, i pedardi inoffensivi ruppero le tenebre ed il silenzio sepolcrale di questa Roma dei preti, e simboleggiarono le nostre vive speranze nel festeggiare la sorte dei nostri fratelli italiani. Nè solo in Roma si prese parte così viva alla gioia della nazione, ma in tutte le città e borgate di provincia si manifestò uno zelo straordinario, e furono anche ammirati dei grandi falò sulla cima delle montagne meglio esposte allo sguardo. Talché può dirsi che mai non era stata sì viva e sì diffusa la parte presa da noi alla festa nazionale come ora che la fortuna e la feroce polizia s’ostinano di più a maltrattarci.
» Il primo nostro dovere è dunque di porgere i più vivi ringraziamenti ed elogi ai comitati delle provincie, ai capi sezioni e capi squadra che hanno diretto nella capitale e fuori le pubbliche dimostrazioni. La soddisfazione però del partito nazionale trova un riscontro nelle furie della polizia, e del Collemasi che ne è l’anima, i quali credevano d’aver spacciato i liberali col colmare la misura degli arresti e degli esilii; e si videro addosso all’impensata tutto quel fracasso.
» Essi spiritarono anche più, quando nei giorni susseguenti si intesero da qualche diplomatico sparare sulla faccia questo stringente dilemma: «o tutta la gente che avete carcerata, esiliata da 15 anni a questa parte era gente innocua, o siete tanti alocchi per non dire birbanti; oppure avete dato nel segno e ad onta di questo i vostri avversari ricompariscono sempre poderosi nell’arena, o bisogna dire che voi avete ostile tutto il popolo, ed allora lasciate di fare in perpetuo la parte di Sisifo».