Commedia (Buti)/Paradiso/Canto XXV
Questo testo è completo. |
(Commento di Francesco Da Buti) (XIV secolo)
Canto venticinquesimo
◄ | Paradiso - Canto XXIV | Paradiso - Canto XXVI | ► |
C A N T O XXV.
1Se mai continga che ’l poema sacro,
Al qual à posto mano e Cielo e Terra,
Sì che m’ à fatto per più anni macro,1
4Vinca la crudeltà che fuor mi serra2
Del bello ovile, ov’io dormi’ agnello
Nimico ai lupi che li danno guerra;3
7Con altra voce omai, con altro vello
Ritornerò poeta, et in sul fonte
Del mio battismo prenderò ’l cappello:4
10Però che nella Fede, che fa conte
L’anime a Dio, quivi entra’io, e poi
Pietro per lei sì mi girò la fronte.
13Inde si mosse un lume verso noi
Di quella spera, unde uscì la primizia,5
Che lassò Cristo nei vicari suoi.6
16E la mia donna piena di letizia
Mi disse: Mira, mira; ecco ’l Barone,
Per cui laggiù si visita Gallizia.
19Siccome, quando ’l colombo si pone
Presso al compagno, l’uno all’altro pande,
Girando e mormorando, l’affezione;
22Così vidd’io l’uno dall’altro grande
Principe glorioso essere accolto,
Laudando ’l cibo che lassù li prande.7
25Ma poi che ’l gratular si fu asciolto,8
Tacito coram me ciascun s’ affisse
Ignito sì, che vincea ’l mio volto.9
28Ridendo allora Beatrice disse:
Inclita vita, per cui l’allegrezza10
Della nostra Basilica si scrisse,
31Fa risonar la spene in questa altezza:11
Tu sai, che tante volte la figuri,12
Quante Iesu ai tre fe più chiarezza.
34Leva la testa, e fa che t’assiguri:
Chè ciò, che vien quassù del mortal mondo,
Convien ch’ai nostri raggi si maturi.
37Questo conforto del foco secondo
Mi venne; ond’io levai li occhi ai monti,
Che l’incurvaron pria col troppo pondo.
40Poi che per grazia vuol che tu t’affronti,
Lo nostro Imperador, ansi la morte,13
Ne l’aula più secreta de’ suoi Conti,
43Sicchè, veduto ’l ver di questa Corte,
La Spene, che laggiù bene innamora,14
In te et in altrui di ciò conforte,
46Dì quel ch’ell’è, e come se ne ’nfiora
La mente tua, e dì onde a te venne:
Così seguì ’l secondo lume ancora.
49E quella pia, che guidava le penne15
Delle mie ali a così alto volo,
A la risposta così mi prevenne:
52La Chiesa militante alcun figliuolo
Non à con più speranza, com’è scritto
Nel Sol che raggia tutto ’l nostro stuolo.
55Però li è conceduto che d’Egitto
Vegna ’n Ierusalem per vedere.16
Anzi che ’l militar li sia prescritto.
58Li altri du’ punti, che non per sapere,
Son dimandati; ma perchè rapporti,17
Quanto questa virtù t’è in piacere,
61A lui lasc’ io: chè non li saran forti,
Nè di iattanza; et elli a ciò risponda.
E la grazia di Dio ciò li comporti.
64Come ’l discente, ch’ai dottor segonda
Pronto e libente in quel ch’elli è esperto,18
Perchè la sua bontà si disnasconda,19
67Spene, diss’io, è uno attender certo
Di gloria futura, il qual produce20
Grazia divina e precedente merto.
70Da molte stelle mi vien questa luce;
Ma quel la distillò nel mio cuor pria.21
Che fu sommo cantor del sommo Duce.
73Sperino in te, nella tua Teodia,22 23
Dice a color che sanno ’l nome tuo:24 25
E chi nol sa, s’elli à la Fede mia?
76Tu mi stillasti co lo stillar suo26
Ne la epistola poi, sì ch’io son pieno,
Et in altrui vostra pioggia ripluo.
79Mentr’io dicea, dentro al vivo seno
Di quello incendio tremulava un lampo
Subito e spesso a guisa di baleno;27
82Indi spirò: L’amore, ond’io avvampo
Ancor ne la virtù, che mi seguette28
Insin la palma et all’uscir del campo,29
85Vuol ch’io respiri a te, che ti dilette
Di lei; et emmi a grato che tu diche
Quello che la Speranza ti promette.
88Et io: Le nuove e le Scritture antiche
Pongono ’l segno, et esso lo m’addita,
Dell’anime che Dio s’à fatto amiche.
91Dice Isaia, che ciascuna vestita
Ne la sua terra si di doppia vesta,30 31
E la sua terra è questa dolce vita.
94E ’l tuo fratello assai via più digesta32
Là, dove tratta delle bianche stole,
Questa revelazion ci manifesta.
97E prima, e presso al fin d’este parole33
Sperent in te, di sopra noi s’udì,
A che rispuoser tutte le carole.
100Possa tra esse un lume si schiarì,
Tal che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo,
Lo verno arebbe un mese d’un sol di’.34
103E come surge, e va, et entra in ballo
Vergine lenta, sol per fare onore
A la novizia, non per alcun fallo;35
106Così vidd’io lo schiarato splendore36
Venir ai due che si volgeano a rota,
Qual conveniva al loro ardente amore.37
109Missesi lì nel canto e nella rota;38
E la mia donna in lor tenea l’aspetto,
Pur come sposa tacita et immota.
112Questi è colui che giacque sopra’l petto
Del nostro Pellicano, e questi fue
Di su la Croce al grande officio eletto.
115La donna mia così, nè però piue
Mostrò la vista sua di stare attenta39
Possa, che prima alle parole sue.40
118Quale colui ch’adocchia, e s’argomenta41
Di veder eclissar lo Sole un poco,
Che per veder, non vedente diventa;
121Tal mi fec’io a quell’ultimo foco,
Mentre che detto fu: Perchè t’abballi
Per veder cosa che qui non à loco?
124In Terra è terra il mio corpo, e saralli
Tanto colli altri, che ’l numero nostro
Coll’eterno proposito s’aggualli.
127Co le sue stole nel beato chiostro
Son le due luci sole che saliro;
E questo porterai nel mondo vostro.
130A questa voce l’infiammato giro
Si quietò con esso ’l dolce mischio,
Che si facea nel suon del trino spiro;
133Siccome, per cessar fatica o rischio,
Li remi pria ne l’acqua ripercossi
Tutti si posano al sonar d’un fischio.
136Ahi quanto ne la mente mi commossi,
Quando mi volsi per veder Beatrice,
Per non poter vederla, bench’io fossi
139Presso di lei, e nel mondo felice!
- ↑ v. 3. C. A. n’ha fatto
- ↑ v. 4. C. A. ne serra
- ↑ v. 6. C. A. che ne danno
- ↑ v. 9. Cappello; corona, ghirlanda dal capelh dei Trovadori. E.
- ↑ v. 14. C. A. quella schiera,
- ↑ v. 15. C. A. Che lasciò Cristo de’ vicari
- ↑ v. 24. C. A. si prande.
- ↑ v. 25. C. M. gratular si fu assolto — C.A. fu assolto.
- ↑ v. 27. C. A. vincieno il
- ↑ v. 29. C. A. la larghezza
- ↑ v. 31. C. A. speme
- ↑ v. 32. C. A. tante fiate
- ↑ v. 41. C. A. anzi la morte,
- ↑ v. 44. La speme
- ↑ v. 49. C. A. guidò le
- ↑ v. 56. C. A. in Gerusalemme
- ↑ v. 59. C. A. perch’ei
- ↑ v. 65. C. A. Come discente che a dottor seconda
- ↑ v. 66. C. A. disasconda,
- ↑ v. 68. C. A. Della gloria futura, qual
- ↑ v. 71. C. A. Ma quei la
- ↑ v. 73. C. M. Sperent in te,
- ↑ v. 73. C. A. sua
- ↑ v. 74. C. A. Dicien color
- ↑ v. 74. C. M. suo:
- ↑ v. 76. C. M. tuo
- ↑ v. 81. C. M. d’un baleno;
- ↑ v. 83. C. A. ver la
- ↑ v. 84. C. A. Fino alla
- ↑ v. 92. C. A. terra fia di
- ↑ v. 92. Si; fia, sia forme primitive dalle latine fin, sim, sit. E.
- ↑ v. 94. C. A. ancor vie più
- ↑ v. 97. C. A. appresso il fin
- ↑ v. 102. C. M. L’inverno avrebbe
- ↑ v. 105. C. A. altro fallo;
- ↑ v. 106. C. M. schiarito
- ↑ v. 108. C. M. C. A. conveniasi
- ↑ v. 109. C. M. C. A. nella nota;
- ↑ v. 116. C. A. Mosse la
- ↑ v. 117. C. A. prima le parole
- ↑ v. 118. C. M.C. A. Quale è
C O M M E N T O
Se mai continga che ’l poema sacro ec. Questo è lo xxv di questa terza cantica, nel quale l’autore introduce santo Iacopo che lo esaminò della speranza, et oltra introduce santo Ioanni che nel seguente canto lo esaminerà della carità. E dividesi questo canto principalmente in due parti: imperò che prima introduce santo Iacopo che lo esaminò della speranza; nella seconda compie l’esaminazione della speranza et introduce santo Ioanni evangelista, dicendo alcune cose notabili, et incominciasi quine: Mentr’io dicea ec. La prima, che sarà la prima lezione, si divide in parti sei: imperò che prima finge com’elli visse in isperanza di ritornare in Fiorenza e di poetarsi 1 in Santo Ioanni; nella seconda finge come santo Iacopo uscitte della ruota e venne in verso Beatrice e lui, et incominciasi quine: Indi si mosse un lume ec.; nella terza parte finge come Beatrice pregò lo spirito che era venuto a loro, che finge che fusse santo Iacopo, che dimandasse Dante della speranza, e come confortò lui, et incominciasi quine: Ridendo allora ec.; nella quarta parte finge come santo Iacopo lo dimandò che cosa è speranza e come elli l’avea, et incominciasi quine: Poichè per grazia ec.; nella quinta parte finge come Beatrice risponde al secondo dimando e lasciò a lui la risposta al primo, et incominciasi quine: E quella pia ec.; nella sesta parte finge com’elli rispose pienamente a la dimanda prima, et incominciasi quine: Come ’l discente ec. Divisa ora la lezione, è da vedere lo testo coll’esposizioni letterali allegoriche e morali.
C. XXV — v. 1-12. In questi quattro ternari lo nostro autore descrive come visse in speranza di ritornare in Fiorenza e di poetarsi in Santo Ioanni, e però dice così: Se mai continga; cioè se per alcuno tempo avvegna, che ’l poema2; cioè questa opera di poesi, sacro: imperò che tratta di materia santa, cioè della iustizia d’Iddio che distribuisce a chi passa di questa vita quello che si debbe, cioè ai peccatori e scelerati pene eterne, et ai penitenti indulgenzia, ai buoni vita felice et eterna, Al qual; cioè poema, à posto mano; cioè dato opera, e Cielo: però che in esso è trattato delle cose celesti, e Terra: imperò che in esso è trattato delle cose terresti: imperò che in esso è stato trattato del paradiso che è in cielo, e dello inferno e del purgatorio che è in terra, Si che m’à fatto; cioè per sì fatto modo, che à fatto me Dante, macro per più anni: imperò che è stato bisogno che l’autore abbia studiato le materie occorse, che sono state alte, e lo studio e’ pensieri la l’uomo magro, Vinca la crudeltà; cioè dei citadini fiorentini 3 che erano inimici al nostro autore, perch’elli ostava a le loro tirannie, come è stato detto in più parti di questo poema, che; cioè la quale crudeltà, fuor mi serra Del bello ovile; cioè serra me Dante fuori di Fiorenza, la quale chiama ovile: imperò che, come l’ovile è ricettaculo delle pecore e difendimento di loro da’ lupi; così la cità è defensione dei citadini, che vogliano ben vivere e civilmente, dai rubbatori e da rei uomini che sono come lupi; e dice bello: imperò che Fiorenza è più bella città che abbia Italia, da Pisa in fuora, ov’io; cioè nella quale io Dante, dormi’ agnello; cioè dormitti, quando io era garzone et infante et adolescente e giovano, Nimico ai lupi: imperò che sempre fui inimico dei ri’ 4 cittadini, che vogliano tiranneggiare la cità li quali si chiamano lupi— , che li danno guerra; cioè li quali lupi danno a la città di Fiorenza guerra: imperò che non lasciano la città posare in concordia et unità, Con altra voce; cioè con altra fama, omai; cioè da quinci innanzi, con altro vello; cioè con altro ornamento, che non ò avuto infine 5 a qui, Ritornerò poeta; cioè fatto poeta nella mia città, et in sul fonte Del mio battismo; cioè in Santo Ioanni, dove io fui battizato, prenderò ’l cappello; cioè laurea della poesi, come pigliano li Poeti quando s’incoronano. Però che nella Fede; ecco che assegna la cagione, per che assegna che sarà la sua tornata con migliore voce, o vero con altra voce e con altro vello; cioè imperò che nella Fede; cioè che lo cristiano debbe portare a Dio, che; cioè la quale fede, fa conte; cioè fa manifeste, l’anime a Dio; cioè l’anime che l’anno: imperò che quell’a ninfee, che sono fedeli, Iddio àe per sue et accettale, quivi; cioè in quello luogo, cioè in Santo Ioanni, entra’io; cioè io Dante entrai in Santo Ioanni nella fede, quando fui battezzato: quello è l’entramento che l’anima fa nella fede, cioè lo battismo, e poi; cioè in cielo, come detto è di sopra, Pietro; cioè santo Piero, per lei; cioè per la fede nella quale me esaminò, come detto è, sì mi girò la fronte; cioè tre volte roteò sopra me, come fu detto di sopra, che 6 significò uno confermare et approvare Dante per fidele cristiano.
C. XXV — v. 13-27. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come poi si parti santo Iacobo del cerchio, nel quale era, e venne a lui; e come Beatrice liel mostra e 7 fallielo manifesto; e come si congratulò con santo Piero, che prima era venuto, come detto fu di sopra, dicendo così: Indi; cioè poi che san Piero mi girò intorno tre volte, si mosse un lume; cioè di quelli, che erano in cerchio, verso noi; cioè verso Beatrice e me, Di quella spera, cioè di quel tondo, o vero cerchio, unde; cioè del quale, usci la primizia; cioè colui che fu primo de li vicari, che Cristo lasciò dopo sè; e però, Che; cioè la quale primizia, cioè autorità e maggioria, lassò Cristo; cioè io nostro Signore Iesu Cristo, nei vicari suoi; cioè in coloro che sono vicari di Cristo, che portano l’ufficio del papato. E la mia donna; cioè Beatrice, piena di letizia; però che godeva della beatitudine de’santi, mi disse; cioè disse a me Dante: Mira, mira; cioè guarda, guarda 8 chi viene, ecco ’l Barone; cioè santo Iacopo, Per cui; cioè per lo quale, laggiù; cioè nel mondo, si visita Gallizia; cioè si va a la chiesa sua che è in Gallizia, e questo fu santo Iacopo maggiore. Siccome quando ’l colombo si pone Presso al compagno; ecco che fa una similitudine che, come l’uno colombo fa festa a l’altro, quando si pognano presso l’uno a l’altro; così feceno li due beati spiriti, cioè santo Piero e sauto Iacopo; e però dice: Siccome quando ’l colombo si pone Presso al compagno, l’uno all’altro pande, Girando e mormorando; insieme l’uno a l’altro, l’affezione; cioè l’amore, che a l’uno a l’altro. Cosi; cioè per si l’atto modo, vidd’io; cioè Dante, l’uno Principe glorioso; cioè santo Iacopo, essere accolto; cioè essere ricevuto, dall’altro grande Principe; cioè da santo Piero che fu lo primo papa, sicchè ben fu grande principe, Laudando ’l cibo; cioè lodando Iddio, che è lo cibo de’ beati, che lassù li prande; cioè lo quale cibo, cioè Iddio, in vita eterna li sazia. Ma poi che ’l gratular; cioè lo rallegrarsi insieme, si fu asciolto 9; cioè fu finito e come compiuto, Tacito coram me; cioè innanzi a me Dante, ciascun; cioè di questi due Apostoli, cioè santo Piero e santo Jacopo, s’affisse; cioè si fermò, Ignito; cioè affocato, sì; cioè per sì fatto modo, che vincea ’l mio volto; cioè la mia vista: imperò che io 10 nolli poteva ragguardare.
C. XXV — v. 28-39. In questi quattro ternari lo nostro autore finge che Beatrice confortasse santo Iacopo che dimandasse Dante, et esaminasse sopra la seconda virtù teologica, cioè sopra la speranza; e come santo Iacopo confortò Dante che levasse suso lo capo et attendesse a quello che voleva dire,dicendo cosi: Ridendo allora; cioè quando amenduni quelli spiriti si affocati s’affissero innanzi a me Dante, Beatrice; cioè la mia guida, disse; a quello spirito, che di nuovo era venuto, cioè a santo Iacopo: Inclita vita; cioè o gloriosa anima, che fusti vita del tuo corpo quando fusti coniunta con lui, et ora sei tutta separata, per cui; cioè per la quale, l’allegrezza Della nostra Basilica; cioè lo gaudio della nostra Chiesa triunfante: altro testo dice la largezza: imperò che santo Iacopo nella sua Epistola canonica dimostra de la larghezza d’Iddio, quando dice: Omne datum optimum, et omne donum perfectum desursum est, descendens a patre luminum; e basilica tanto viene a dire, quanto casa reale, si scrisse; quando scrisse le sue Epistole canoniche, Fa risonar la spene in questa altezza; cioè la che qui in cielo si dica di costui 11, che è qui meco, la speranza che cosa sia. Ben procede l’autore nella sua fizione: imperò che santo Piero, che tiene figura di fede, fece essere esaminatore di sè sopra la fede; e santo Iacopo, che tiene figura di speranza, induce esaminatore sopra la speranza: e così inducerà 12 santo Ioanni evangelista, che tiene figura di carità, che fia esaminatore di carità. Tu; cioè santo Iacopo, sai; questo cioè, che tante volte la figuri; cioè la speranza più, che gli altri Apostoli, Quante Iesu; cioè lo nostro Salvatore, ai tre; cioè discepoli suoi et Apostoli, fe più chiarezza; cioè manifestamento di sè, che agli altri: imperò che, come appare nell’Evangelio di santo Mateo cap. xvii: Assumit 13 Iesus Petrum, et Iacobum et Joannem fratrem eius, et ducit illos in montem ecxcelsum seorsum. Et transfiguratus est ante eos. Et resplenduit facies eius sicut sol. Ecco che Iesu ai detti tre discepuli fece più chiarezza di sè, che agli altri: imperò che alli altri non manifestò la sua divinità come a costoro 14; e Piero s’interpreta fermezza di fede; Iacopo, supplantazione che n’è cagione di speranza; e Giovanni, pieno di grazia; e tanto ciascuno di questi tre eccede li altri in queste virtù, quanto ebbono maggiore notizia di Cristo, che gli altri che non viddono quella trasfigurazione. Leva la testa; queste sono parole, che tinge l’autore che santo Iacopo parlasse a lui: imperò che per lo troppo splendore, come detto è di sopra, Dante aveva inchinato lo volto; e però finge che santo Iacopo li disse che tenesse alto la testa, e fa che t’assiguri; cioè tu, Dante. Chè; cioè imperò che, ciò, che vien quassù; cioè in cielo, del mortal mondo; cioè del mondo, che è caduco e mortale, Convien ch’ai nostri raggi si maturi; cioè convien che diventi abile a sostenere lo nostro splendore; e questo dice sotto figura: imperò che ciascuno fidele cristiano, che innalza lo intelletto suo a considerare le cose celesti, convien che, intendendo a ciò, elli diventi abile a tale considerazione e diventi perfetto. Questo conforto del foco secondo Mi venne; cioè questo conforto, che detto è, venne a me Dante 15 da quello beato spirito che venne poi, cioè da santo Iacopo, ond’io; cioè per la qual cosa io Dante, levai li Occhi; miei, cioè a l’alte cose; e però dice: ai monti; à ’l Psalmista, che dice: Levavi oculos meos in montes, unde veniet auxilium mihi; e questi sono li monti, cioè li santi Apostuli, che sono posti in alto per eccellenzia di dottrina, come li monti. E qui si dimostra che l’autore, ragguardando prima la dottrina apostolica, fu soperchiato da essa per la sua grandezza che àe in sè; ma poichè l’omo s’avanza ad essa, diventa abile ad intenderla e seguitarla; e però dice: Che; cioè li quali monti, l’incurvaron; cioè piegorno loro, cioè li miei occhi, pria col troppo pondo; cioè colla troppa gravità della dottrina sua 16.
C. XXV — v. 40-48. In questi tre ternari lo nostro autore finge come santo Iacopo lo incominciò a dimandare 17 della speranza che li dicesse quello che ella era. dicendo così. Poi che per grazia; cioè data da Dio, vuol che tu t’affronti; cioè vuole che tu, Dante, guardi a fronte a fronte, Lo nostro Imperador; cioè Iddio, ansi la morte; cioè innanzi che tu muoi, Ne l’aula più secreta; cioè nella magione più secreta, che l’altre, de’suoi Conti; cioè de’suoi santi: imperò che li conti si diceno compagni dei signori, e li beati sono compagni d’Iddio: imperò che con lui stanno, come li conti stanno co li regi et accompagnalli 18, Sicchè; cioè acciò che, veduto ’l ver di questa Corte; cioè poi che arai veduto lo vero di paradiso, La spene; cioè la speranza, che; cioè la quale speranza, laggiù; cioè nel mondo, bene innamora: imperò che dalla speranza nasce la carità, come dalla fede nasce la speranza, In te; cioè Dante, et in altrui; cioè in coloro, che leggeranno lo libro tuo, di ciò; cioè tu. Dante, di quello che sperano, conforte; cioè affermando la loro speranza. Dì; cioè tu, Dante, quel ch’ell’è; cioè quello, che è la speranza, e come se ne ’nfiora La mente tua; cioè e come se n’adorna la tua mente di te Dante, cioè come tu l’ài nella tua mente, e dì; cioè tu, Dante, onde a te venne; cioè unde ebbe principio in te la speranza. Così seguì ’l secondo lume ancora; cioè santo Iacopo, che fu lo secondo lume che venne dopo san Piero, così seguì lo suo parlare ancora com’è detto, oltra quello che detto era; sicchè tre questioni à proposto santo Iacopo a Dante; prima, che cosa è speranza; la seconda, com’elli l’avea nella mente; la terza, unde li venne. Et a queste questioni finge di sotto che si rispondesse per Beatrice a la seconda, e per lui a l’altre due; unde seguita lo testo.
C.XXV — v. 49-63. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come Beatrice prevenne lui a rispondere 19 a seconda questione, et a Dante lascia lo rispondere a li altri due, dicendo così: E quella pia, che guidava le penne Delle mie ali; cioè e Beatrice, che figura la santa Scrittura, la quale è pietosa: imperò che per pietà, che Iddio ebbe dell’umana natura, la mandò di cielo in terra ne le menti umane dei santi che la produsseno poi fuora: e questa era quella che guidava le penne dell’ali sue; le quali penne sono le virtù intellettuali, e l’ali sono lo suo intelletto et ingegno, a così alto volo; come è questo di paradiso; a la quale altezza lo intelletto dell’autore s’era levato 20 co le virtù sue intellettuali guidate dalla santa Scrittura, A la risposta; cioè che io m’apparecchiava di fare a le questioni dimandate, così; cioè come io dirò di sotto, mi prevenne; cioè introe innanzi, dicendo a la seconda. E questo finge l’autore, perchè non voleva che li fusse reputato a vantamento sopraponendosi agli altri, o vero appareggiandosi nella speranza; et ancora, perchè la santa Scrittura è quella che accresce e fortifica continuamente la nostra speranza; e però dice Beatrice: La Chiesa militante; cioè la Chiesa terrena, che si pone per la congregazione di tutti li fideli cristiani, che sono nel mondo che tuttavia combatteno col mondo, col dimonio e co la carne, e però si chiama militante— , alcun figliuolo; cioè alcuno suo suddito: li cristiani si diceno figliuoli della santa Chiesa, et ella è detta madre, Non à con più speranza; cioè che Dante, com’è scritto; cioè come si vede scritto, Nel Sol; cioè in Dio, che raggia tutto ’l nostro stuolo; cioè infonde li suoi raggi sopra tutta 21 la terrena congregazione. Però li è conceduto; cioè a Dante, che d’Egitto; cioè del mondo pieno di peccati, Vegna’n Ierusalem; ch’è interpretata visione di pace, che significa vita eterna, per vedere; cioè la beata vita, Anzi che’l militar; cioè lo vivere: imperò che, mentre che viviamo, militiamo, li sia prescritto; cioè li sia tolto, che si toglie nella morte, è però vuole dire inanzi ch’elli muoia; e moralmente s’intende che gli è conceduto dipartirsi dal peccato e venire a la virtù. Li altri du’ punti; cioè che cosa è speranza et unde li venne, che; cioè li quali due punti, Son dimandati; cioè a Dante, non per sapere: imperò tu, santo padre, li sai, ma perchè rapporti; cioè giuso nel mondo, Quanto questa virtù; cioè della speranza, t’è; cioè è a te santo Iacopo, in piacere; cioè quanto ella ti piace, A lui; cioè a Dante, lasc’io; cioè io Beatrice: chè non li saran forti; cioè imperò che a lui non saranno forti a rispondere, Nè di iattanza; cioè di vantamento, come sarebbe stato quello a che io rispuosi. et elli; cioè Dante, a ciò; cioè a quelli due dubbi, risponda; colla sua bocca, E la grazia di Dio ciò li comporti; cioè li conceda ciò, cioè lo 22 rispondere.
C.XXV — v. 64-78. In questi cinque ternari lo nostro autore finge com’elli rispuose a li altri due dubbi in questa forma, ponendo la similitudine del discepulo, dicendo così: Come ’l discente; cioè lo discepolo, ch’al dottor segonda; cioè lo quale risponde al dottore suo; segondare è rispondere, Pronto e libente; cioè sollicito et apparecchiato e volontaroso, in quel, ch’elli è esperto; cioè in quello, di che egli àe esperienzia, Perchè la sua bontà si disnasconda; cioè a ciò che la sua bontà si palesi. Spene; cioè speranza, diss’io; cioè dissi io Dante, è uno attender certo Di gloria futura; cioè è una fermezza della gloria di vita eterna et uno certo aspettamento, il qual; cioè attender, produce Grazia divina; ecco ch’è risposto prima al primo dimando, cioè che cosa è speranza, siccome appare quando dice: Spene, diss’io. Risponde poi al secondo dimando, dicendo che questo attendere produce grazia divina: imperò che da Dio viene, e precedente merto; e merito che è ito inanzi; e questo dice, a differenzia de la grazia preveniente che si chiama gratum faciens, che quella si chiama grazia data. Da molte stelle; poi che à manifestato la cagione prima unde li veniva speranza, manifesta la cagione seconda, cioè la influenzia dei corpi celesti, e però dice: Da molte stelle mi vien questa luce; cioè questa verità che riluce nel mio intelletto, che mi dice che cosa è speranza, mi viene, cioè a me Dante, da la influenzia di molte stelle. Ma quel; cioè colui, la distillò; cioè la misse, nel mio cuor pria; cioè nel cuore di me Dante prima, Che; cioè lo quale, fu sommo cantor; cioè lodatore; e questo fu David, del sommo Duce; cioè d’Iddio. Sperino in te; ecco che assegna la cagione e l’autorità di David, che dice: Sperent in te qui noverunt nomen tuum ec., parlando a Dio dice: Sperino in te, nella tua Teodia; cioè nella tua deità, Dice; cioè David, a color; cioè a tutti coloro, che sanno ’l nome tuo: E chi noi sa; quasi dica, dice l’autore: Ogniuno lo sa, s’elli à la Fede mia; cioè la fede di Cristo? La quale io Dante òne: imperò che fede è sustanzia delle cose da essere sperate ec.; sicchè chi à la fede, à la speranza. Tu; cioè santo Iacopo, mi stillasti; cioè stillasti e mettesti in me la speranza, co lo stillar suo; cioè co l’ammaestramento e dottrina sua, che tu mettesti nella tua Epistola canonica, che prima l’avesti da lui e poi la stillasti in me, Ne la epistola; cioè tua canonica, poi; cioè che fusti 23 stillato da lui, sì ch’io son pieno; cioè per sì fatto modo, che io Dante son pieno de lo stillamento d’amenduni voi; del Profeta e di te Apostolo. Et in altrui; cioè in colui, che leggerà questo mio poema, vostra pioggia; cioè la vostra dottrina del Salmista e di te santo Iacopo, che è stillata in me come la pioggia sopra colui sopra ’l quale piove, ripluo 24; cioè rinfondo e rimetto: imperò che quello, che io òne imparato da voi, lo scrivo, et altri dal mio scritto lo imparerà. E qui finisce la prima lezione del canto xxv, et incominciasi la seconda.
Mentr’ io dicea ec. Questa è la seconda lezione del canto xxv della terza cantica, nel quale l’autore nostro finge come santo Iacopo introduce santo Ioanni evangelista per trattare con lui de la carità, siccome appare nel seguente canto; ma prima dice di lui alquante notabili cose in questo canto. E dividesi questa lezione in parti cinque: imperò che prima finge come ancora lo detto apostolo santo Iacopo l’esaminò, dicendo che elli manifestasse che li prometteva la speranza; nella seconda finge come gli rispuose, et incominciasi quine: Et io: Le nuove ec.; nella terza finge come apparine santo Ioanni evangelista, et incominciasi quine: Possa tra esse ec.; nella quarta finge come egli si sforzava di vederlo se era in corpo, e come li fu risposto che no, et incominciasi quine: Quale colui ec.; nella quinta finge come quietato lo giro delli Apostoli elli volse 25 vedere Beatrice, e benchè l’avesse allato, nolla potè vedere, et incominciasi quine: A questa voce ec. Divisa adunque la lezione, ora è da vedere lo testo co le esposizioni letterali, allegoriche e morali.
C. XXV — v. 79-87. In questi tre ternari lo nostro autore finge come santo Iacopo lo dimandò che promette a l’omo la speranza, dicendo così: Mentr’io; cioè in mentre, che io Dante, dicea; quello che è detto di sopra, dentro al vivo seno Di quello incendio; cioè dentro al lume, in che era la beata anima di santo Iacopo, tremulava un lampo; cioè dibattevasi uno fulgore, come vegnano li lampi, Subito e spesso 26; cioè lo detto lampo, a guisa di baleno: lampo s’intende uno ardente splendore durabile come dura la lampana, e baleno si dice lo fulgore che subito viene e spesso, e non dura; sicchè l’autore fa comparazione del lampo a lo baleno, ne la subitezza e ne la spessitudine quanto al tremulare che àe detto; e lampo dice quanto a la grandezza e durabilità dello splendore. Indi; cioè di quello lume, che detto è, spirò; cioè uscitte fuori questa voce, cioè: L’amore; cioè l’ardente carità, ond’io; cioè per la quale io beato spirito, avvampo; cioè ardo, cioè risplendo, Ancor ne la virtù; cioè della speranza, che mi seguette; cioè seguitò me beato spirito, Insin la palma; cioè infin che io venni a la vittoria del martirio, et all uscir del campo; cioè et infine a la morte, ne la quale s’esce del campo: imperò che infine a quella stiamo nel campo a combattere coi nostri avversari, Vuol ch’io; cioè che io beato spirito, cioè santo Iacopo, respiri a te; cioè parli a te Dante, che ti dilette; cioè lo quale Dante ti diletti d’essa virtù; e però dice: Di lei; cioè della speranza, et emmi; cioè et è a me beato spirito, a grato; cioè grazioso et in piacere, che tu diche; cioè che tu, Dante, dichi a me, Quello, che la Speranza ti promette; cioè che è quello, che tu speri. E così finge l’autore ch’elli fusse indutto da santo Iacopo a manifestare quello, ch’elli aspettava e sperava d’avere. Seguita.
C. XXV — v. 88-99. In questi quattro ternari lo nostro autore finge com’elli rispuose al dimando fatto di sopra da santo Iacopo; cioè che cosa prometteva la speranza, dicendo così: Et io: cioè Dante rispuosi al dimando fatto di sopra da santo Iacopo. Le nuove e le Scritture antiche; cioè lo nuovo Testamento e ’l vecchio, Pongono ’l segno; cioè di quello, che la speranza promette a coloro che l’ànno, et esso; cioè segno, lo m’addita; cioè 27 mi dimostra col dito, cioè manifestamente quello che promette la speranza, Dell’anime, che Dio s’à fatto amiche; cioè di quelli che sono amici d’Iddio; e dice che Iddio se gli à fatti amici, perchè nessuno può essere amico d’Iddio, se Iddio non sel fa. Dice Isaia; profeta 28 nel lxi ca.° 29, che ciascuna; cioè dell’anime amiche d’Iddio, vestita Ne la sua terra; cioè in vita eterna, si di doppia vesta; cioè di bianca vesta che significa mondezza e purità, e di vermiglia che significa carità, E la sua terra; cioè dell’anime, che Iddio s’à fatto amiche, è questa dolce vita; cioè vita eterna, come dice santo Paulo: Non enim habemus hic manentem civitatem: sed futuram inquirimus— . E ’l tuo fratello; cioè santo Ioanni evangelista, che fu fratello di santo Iacopo, assai via più digesta; cioè assai via più distinta e determinata, Là, dove tratta delle bianche stole; cioè nell’Apocalissi: imperò che dice che vidde una turba grande, vestita di bianchi vestimenti, che seguitava Cristo dovunque andava, Questa revelazion; cioè di quello, che la speranza promette, ci manifesta; cioè fa manifesta a noi che promette a noi la speranza. E prima; cioè inanti che si finissono queste parole, e presso al fin d’este parole; cioè 30 presso quando io finia lo mio parlare, dice l’autore ora al lettore, Sperent in te; che è lo Psalmo xxi, di sopra noi s’udì; cioè nel cielo sopra lo luogo dove eravamo noi, cioè Beatrice, santo Piero, santo Iacopo et io Dante; et in questo Psalmo appare che Iddio è quello, che la speranza ci promette. A che; cioè al qual Psalmo, rispuoser tutte le carole: cioè tutti li cerchi de’beati, li quali àe finto l’autore che si volgeno in cerchio; e dice che rispuoseno quello, che seguita nel canto del detto Psalmo. E così appare che la speranza ci promette Iddio, e questo è quello che l’anima nostra desidera. Seguita.
C. XXV — v. 100-117. In questi sei ternari lo nostro autore finge come apparitte poi, e venne ai due detti di sopra santo Ioanni, evangelista, dicendo così: Possa; cioè che cantato fue: Sperent in te— , tra esse; cioè tra le dette carole, un lume; cioè uno beato spirito, lo quale era vestito di lume, come sono tutti li altri, si schiarì; cioè fece maggiore chiarore 31, che gli altri e che prima, Tal; cioè per sì fatto modo, che se ’l Cancro; cioè se quel segno settentrionale, che si chiama Cancro che è uno de’ dodici segni, avesse un tal cristallo; cioè avesse una stella tanto fulgida; e dice cristallo, a denotare che li corpi celesti sono lucidi come lo cristallo, e non ànno lume da loro; ma sono ricettivi del lume del Sole, Lo verno arebbe un mese d’un sol di’; cioè che sarebbe uno mese tuttavia di’ senza notte: imperò che lo Sole illuminerebbe lo di’ lo nostro emisperio. e ’l Cancro lo illuminerebbe la notte, e così non cesserebbe da noi lo di’: imperò che il verno è lo Sole in Capricorno che è segno contrario a Cancro; e però, quando Capricorno va sotto, e Cancro esce fuora a noi. E perchè ogni segno è trenta gradi, e lo Sole passa un grado ogni di’ in 24 ore, seguita che 30 di’ pena a passare lo Sole in Capricorno; e così seguita che 30 di’, quando lo Sole va giù, lo Cancro viene su, e così 30 di’ sarebbono senza avere in mezzo notte; e questo sarebbe da mezzo dicembre, o vero circa, infine a mezzo gennaio, o vero circa. E come surge; cioè 32 da sedere, e va, et entra in ballo Vergine lenta; cioè va piano, levasi pianamente et entra in ballo pianamente, sol; cioè solamente, per fare onore A la novizia; cioè a la novizia sua: imperò che a la vergine s’appartiene d’essere piana e moderata, non per alcun fallo; cioè e non per fallo e colpa di lentezza, che sia in lei, Così, cioè pianamente, vidd’io; cioè viddi io Dante, lo schiarato splendore; cioè lo spirito che schiaritte, del quale fu detto di sopra; e questo finge l’autore che fusse santo Ioanni evangelista, Venir ai due; cioè venire a san Piero et a santo Iacopo, de’quali fu detto di sopra, che; cioè li quali, quando erano con Beatrice e meco, si volgeano a rota: però che giravansi e roteavansi sopra noi. Qual; cioè circulazione e roteazione, o vero come conveniva al loro ardente amore; cioè a la loro ardente carità, che avevano a Dio et a noi. Missesi lì: cioè misse sè in quello luogo lo detto spirito, che venne, nel canto e nella rota; cioè a cantare e roteare co li detti due spiriti, cioè Piero et Iacopo. E la mia donna; cioè Beatrice, in lor; cioè in quelli tre Apostoli, tenea l’aspetto; cioè li ragguardava, Pur come sposa tacita et immota; cioè come fa la sposa tacita, che non si muove per onestà. Questi è colui; ecco che dimostra a Dante santo Ioanni, che era quello terzo spirito che era venuto, che; cioè lo quale, giacque sopra’l petto Del nostro Pellicano; cioè sopra ’l petto di Cristo nella cena che Cristo fece cogli Apostoli suoi, siccome dice l’Evangelio di santo Ioanni ca.° xiii: Erat 33 ergo recumbens unus ex discipulis eius in sinu Iesu: lo pellicano è uno uccello che nasce nell’Egitto, bianco, lo quale poi che àe allevato li figliuoli e sono cresciuti, si levano contra lo padre e la madre, e perquotelli 34 ine ’l volto et ellino percuoteno loro et uccidelli, e poi lo padre sta sopra li figliuoli e dassi del becco nel petto, intanto che n’esce lo sangue, e cade sopra li figliuoli e cosi risuscitano. E cosi fece Cristo, che col sangue del suo costato risuscitò a la grazia l’uomo che, per lo insurgere contra Iddio, era morto e dannato a lo inferno, sicchè bene si conviene la similitudine del pellicano a Cristo; e, dormendo santo Ioanni in sul petto di Cristo, vidde le cose secrete della divinità e questi; cioè santo Ioanni, fue Di su la Croce al grande officio eletto: imperò che Cristo, essendo in su la croce disse a la madre: Ecco lo figliuolo tuo, dimostrandoli santo Ioanni; et a lui disse: Ecco la madre tua; e da quella ora la prese per sua madre, sicchè bene l’elesse Cristo a grande officio; cioè ad essere in suo scambio a la sua madre. La donna mia; cioè Beatrice, così; cioè come io Dante òne detto, disse a me di santo Ioanni; e questa ene ragionevile fizione: imperò che la santa Scrittura dice le dette parole, nè però piue Mostrò la vista sua; cioè della mia donna, cioè di Beatrice, di stare attenta; cioè per udire, Possa; cioè che ebbe detto le dette parole, che prima; cioè che innanzi, che le dicesse, alle parole sue; cioè alle parole di santo Ioanni, cioè così stette attenta ad aspettare quel che dicesse santo Ioanni, come stava prima, e cosi mostrò. E questo finge l’autore a quello, che ànno scritto li Apostoli e li Evangelisti.
C. XXV — v. 118-129. In questi quattro ternari lo nostro autore finge com’elli, volendo vedere se santo Ioanni evangelista era col corpo in vita eterna, aballiò; e come santo Ioanni li dichiarò 35 che col corpo in vita eterna non era, se non Cristo e la Vergine Maria; e però dice così, faccendo una similitudine: Quale colui; cioè chente diventa colui, ch’adocchia; cioè avvisa colli occhi, e s’argomenta; cioè s’ingegna e forza, Di veder eclissar; cioè oscurare, lo Sole; siccome oscura quando la Luna vi s’interpone tra la nostra vista e lui, un poco: imperò che molto non si potrebbe sostenere; et anco dice un poco: imperò che poco dura l’eclissi del Sole: imperò che, come lo corpo de la Luna comincia apparere, lo raggio del Sole a poco a poco, infine che iunge a l’altro lato, incomincia a scoprire dal lato che àe incominciato a coprire; e questo è perchè Luna è via più minor corpo che ’l Sole. Che per veder; cioè lo quale, per vedere l’eclissi del Sole, non vedente diventa; cioè che diventa abbagliato. Tal mi fec’io; cioè sì fatto, cioè sì abbagliato diventai io Dante, a quell’ultimo foco; cioè a quello ultimo lume e splendore, in che era l’anima di santo Ioanni evangelista, che era l’ultimo de’tre che quine era venuto, Mentre; cioè in quel mezzo, che detto fu; cioè a me Dante 36, cioè dal detto santo Ioanni: Perchè t’abballi; cioè perchè offuschi li tuoi occhi, ragguardando nel mio splendore. Per veder cosa; cioè lo mio corpo, che qui non à loco; cioè che qui non è? In Terra; cioè giù nel mondo, è terra; cioè che è incenerato e fatto polvere, il mio corpo; dice santo Ioanni a Dante, e saralli; cioè in terra lo mio corpo, Tanto colli altri; cioè morti e che morranno, che’l numero nostro; cioè di noi beati. Coll’eterno proposito s’aggualli; cioè infine a tanto che sarà lo numero de’ beati 37, secondo che Iddio eterno àe ordinato. E questo finge l’autore: imperò che santo Ioanni ne l’Apocalissi vi ca.°: Et dictum est illis ut requiescerent adhuc tempus modicum, donec compleantur conservi eorum, et fratres eorum, qui interficiendi sunt, sicul illi ec.; e però àne finto l’autore che santo Ioanni abbia detto le dette parole, perch’elli fece l’Apocalissi. Et anco finse che santo Ioanni dicesse che lo corpo suo era In Terra, perchè ne l’ultimo ca.° del suo Evangelio dice che, dicendo san Piero a Cristo, poichè Cristo aveva detto: Sequere me, vidde santo Ioanni stare e disse a Cristo: Hic 38 autem quid? Disse allora Iesu a san Piero: Sic 39 eum volo manere, donec veniam. Quid ad te? Tu me sequere. Exiit sermo iste inter fratres, quia discipulus ille non moritur. Et non dixit Iesus non moritur, sedi Sic eum volo manere, donec veniam; e però perchè pare che santo Ioanni in quello testo corregga tale opinione, però finge che queste parole fusseno dette da lui a sè. Co le sue stole; cioè co li suoi corpi: come la stola è vestimente 40 del corpo; così lo corpo è vestimento dell’anime, e però stola si pone per lo corpo — , nel beato chiostro; cioè nel cielo empireo, Son le due luci sole; cioè Cristo e la sua madre, e non altri, che saliro; cioè le quali tu vedesti sallire dinanzi suso in cielo. E questo porterai; cioè tu, Dante, nel mondo vostro; cioè giuso tra’mortali; e bene l’à fatto che l’à scritto qui, perch’altri lo sappia; cioè chiunqua leggerà lo suo poema. Seguita.
C. XXV — v. 130-139. In questi tre ternari et uno versetto lo nostro autore finge come, dette le parole scritte, tutto l’esercito delli Apostoli cantorno e risonorno allegrezza; e poi si quietorno, dicendo così: A questa voce; la quale è detta di sopra, l’infiammato giro; cioè delli Apostoli, lo quale era nel luogo santo, Si quietò; cioè si riposò e fermò, con esso ’l dolce mischio; cioè co la mistura del canto che faceano li detti tre Apostoli, che era dolcissimo; e però dice: Che si facea nel suon del trino spiro; cioè nel sono di quelli tre Apostoli, che detti sono di sopra, Siccome, per cessar fatica o rischio, ecco che adduce una similitudine, cioè che, siccome in galea, o per riposarsi un poco, o per schifare alcuno secco o scoglio, in sul quale la galea scorrerebbe, se non restasse 41 la voga e s’ergessono lo ferro, però lo gomito fischia perchè restino 42 li marinai la voga, Li remi pria ne l’acqua ripercossi Tutti si posano al sonar d’un fischio; cioè quando lo gomito suona lo fischio 43. Ahi quanto ne la mente; cioè mia, mi commossi; cioè io Dante, Quando mi volsi; cioè io Dante, per veder Beatrice; cioè la guida mia. Per non poter vederla: imperò che io era sì abballiato, che io non la poteva vedere; e questo finge, per dimostrare che nelle cose alte e sottili, che scrive santo Ioanni ne l’Apocalissi e nel suo Evangelio, lo ingegno umano abaglia e non può vedere, cioè intendere la santa Scrittura, bench’io; cioè Dante, fossi Presso di lei; cioè di Beatrice: allora è l’uomo presso a la santa Scrittura, quando intende e studia in essa, e nel mondo felice; cioè in vita eterna et in cielo, secondo la lettera; ma secondo l’allegoria si debbe intendere che l’autore v’era co la mente e con lo intelletto, che corporalmente era in terra! E qui finisce lo canto xxv. et incominciasi lo xxvi della terza cantica.
Note
- ↑ Poetarsi; coronarsi poeta. E.
- ↑ C. M. poema; è l’opera che compie l’autore che è poeta, sacro:
- ↑ C. M. che mi sono fatti inimici, perchè io non consento a le cose loro mal fatte, come
- ↑ Ri’; rii, come le’, no’ per lei, noi e cotali. E.
- ↑ C. M. a qui, o che non sono stati li altri Poeti in fin qui: imperocchè tornerò Poeta teologo, Ritornerò
- ↑ C. M. che fu un confermare
- ↑ C. M. mostra e come si fue festa con san Piero,
- ↑ C. M. guarda; et è conduplicazione, colore retorico che si fa per grazia d’amplificazione e di maggiore attenzione, ecco
- ↑ Asciolto; compiuto, secondo il latino absolutus E.
- ↑ C M. io non potea soffrire col ragguardarli; e ponesi qui lo tutto per la parte, per lo colore retorico che si chiama intellezione, ponendo lo volto per li occhi.
- ↑ C. M. da costui,
- ↑ Inducerà, piegatura naturale dall’infinito inducere. E.
- ↑ Assumpsit Christus Petrum,
- ↑ C. M. costoro; et anco questo dimostra la interpretazione di nomi: imperocchè Piero
- ↑ C. M. Dante da san Iacopo,
- ↑ C. M. sua; innanti che io mi accostasse ad essa.
- ↑ C. M. a esaminare della
- ↑ Accompagnalli; accompagnanli, accompagnano quelli. E.
- ↑ C. M. rispondere a l’uno de’ tre dubbi della questione propostali da santo Iacopo, e a lui lassa lo rispondere
- ↑ C. M levato con le forze del suo intelletto guidate
- ↑ C. M. tutta la nostra congregazione
- ↑ C. M. li conceda lo sapere rispondere
- ↑ C. M. fusti eletto da lui, et istillato che fusti ripieno dello Spirito Santo, sì
- ↑ Ripluo. Di qui si comprende quanto male si appellino impersonali i verbi fenomenali, che nel significato metaforico appo dei classici vanno con tutte le persone. I Grammatici si guardino un po’ in seno ed entrino finalmente nella vera via. E.
- ↑ Volse; volle. Vedano i giovani come qui fa bel giuoco il perfetto volse tra tanti l. E.
- ↑ C. M. spesso a guisa di baleno; cioè subito lampo e spesso, come viene lo baleno; e per questo lo autore fa differenzia tra lampo e baleno, pilliando lampo per uno ardente splendore
- ↑ C M. cioè mel dimostra, come si dimostra la cosa col dito,
- ↑ C. M. profeta al capitulo lxi
- ↑ Isaia, c. lxi. v.7. Pro confusione vestra duplici et rubore, laudabunt partem suam: propter hoc in terra sua duplicia possidebunt, laetitia sempiterna erit eis.
— — v. 10. Gaudens gaudebo in Domino, et exultabit anima mea in Deo meo, quia induit me vestimentis salutis: et indumento iustitiae circumdedit me, quosi sponsum decoratum corona, et quasi sponsam ornatam monilibus suis. E - ↑ C. M. cioè innanti et appresso quando finia io Dante le parole dette di sopra: Sperent
- ↑ C. M. maggiore fulgore, che
- ↑ C. M. cioè e come si leva da sedere,
- ↑ Recubuit super pectus Iesu unus ex discipulis ejus
- ↑ Perquotelli; perquotenli. E.
- ↑ C. M. dichiarò che lo suo corpo non era in vita eterna ancora: imperocchè non v’era, se non
- ↑ C. M. Dante; o volliamo dire in fine a tanto m’abbagli, che mi fu detto da santo
- ↑ C. M. delli eletti, secondo
- ↑ Iste autem
- ↑ Quid ad te? sic eum
- ↑ Vestimente, vestimento, come pome, vase e pomo, vaso e altrettali. E.
- ↑ C. M. restasseno la voga e surgessono lo ferro,
- ↑ Restino, Restare; cessare in significazione transitiva. E.
- ↑ C. M. lo fischio, tutti li remi ripercossi prima nell’acqua più volte, si posano; così si posò lo canto del coro de’santi, come quello dei tre Apostoli a la voce detta di sopra. Ahi