Cenni biografici e ritratti d'insigni donne bolognesi/Donna Vittoria Montecuccoli Davia

Donna Vittoria Montecuccoli Davia

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Marianne Santini Fabri Maria Luigia Pizzoli
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DONNA VITTORIA MONTECUCCOLI DAVIA.


Gareggiando la prosapia Montecuccoli per antica nobiltà, possanza e dovizia con le più cospicue d’Italia, tornerebbe vano l’accennare in questi fogli la magnificen za che contornò la culla della pargola nata in Modena il 20 Giugno 1655 dalla illustre coppia Marchese Gio. Battista Montecuccoli, e Marchesa Ottavia Caprara, alla quale prole furono imposti i nomi di Vittoria, Luigia, Sigismonda.

Lo spirito della più sentita pietà fu si precoce in questa rara bambina che, senza timore di azzardare una smodata iperbole, può dirsi si manifestasse in Lei con la vita; giacchè se cominciasi a vivere quando si vuole o disvuole, certo si è che i primi moti di Donna Vittoria svelavano una mente religiosa, ferma in abbattere i più pertinaci errori, un cuore che mai avrebbe dato ricetto a qualsifosse sentimento menomamente colpevole. Ed a questo non comune pregio di Lei ( sebbene per la santità di nostra [p. 60 modifica] religione abbondarne dovrebbe ogni cattolico suolo ) fe cero in breve magnifico accordo tutte le più belle virtù, e l’ingenua propensione nel condiscendere al volere de’ Genitori suoi dava a quell’aureo carattere tal finitezza, che, nello esaminarlo restava ognuno commosso ed estatico; pari a chi trovasi innanzi al maggior quadro di Raffaello, o per meglio dire dell’universo, che dopo averne ammirata la poetica composizione, la squisitezza del disegno, tutto il bello ideale e la espressione delle teste, e la freschezza de’ colori, resta come rapito dalla estasi della protagonista, e quelle pupille create dal pennello fanno alzare le proprie, accompagnate da un voto all’Altissimo.

Perlocchè mentre la nobile donzella formava la com piacenza de’ congiunti suoi, non isfuggiva allo intendimento perspicace della piissima Duchessa Sovrana di Modena, Laura Martinozzi, quale ravvisando in Lei alcun che di straordinario la prescelse a dama d’onore della Principessa Maria Beatrice d’Este sua figlia, appena cinquenne; conscia la ben saggia matrona, che gli esseri nel convivere uniti a vicenda si trasfondono non di rado i vizj e le virtù, niente meno del pruno che mediante lo innesto lascia le proprie qualità onde riprodursi con altra forma e diverso sapore. Nè s’ingann) Ella: la tenera Principessa sviluppo inclinazioni irreprensibili, ed edificata dalle opere di pietà ch’esercitava la sua dama d’onore Donna Vittoria, se la propose a modello; e da questo culto di stima e dal per correre ambidue unite lo studio delle umane lettere e delle lingue, ebbe origine, in fra di esse quel dolce vincolo di affetto, che fanciulleita fece attendere la prima con calore a’ suoi doveri, acciò la Duchessa madre non la minacciasse ( come solea quando paga non era di Lei ) privarla della compagnia di si cara damigella ‫;ܪ‬che fecela più fiate garrire [p. 61 modifica] col giovane duca suo fratello, disputando a chi di loro come dama di corte maggiormente appartenesse Donna Vittoria; che finalmente, in entrambi, con elleno stesse questo affetto in cor loro aggrandendo, rese comuni i desiderii e le mire, e ciò che l’una bramaya, agognava pur l’altra.

Giunta frattanto Donna Vittoria al diciassettesimo suo anno, attenta reprimere in sè perfino i lievi moti di col lera cui l’avrebbe trasportata il carattere sortito da natura, non un neo deturpava in Lei la completa cultura di spirito, il maturo senno, e le perfette virtù morali; laonde la nobile doviziosa, cresciuta di aspetto dignitoso non meno che obbligante, aveva il diritto di vagheggiare col pensiero le più splendide sorti d’Italia: eppure Ella non desiderava che un velo! ella non trovava contento che nelle opere di pietà, ov’era secondata sempre dalla giovane principessa; e niuna opposizione temendo, risolse esporre sua vocazione di divenire sposa di Cristo ad un saggio religioso ond’ei ne informasse la di lei madre; ma non aderendo questa a tal inchiesta, predispose per la figlia, in unione del proprio fratello Conte Lodovico Caprara, adeguato matrimonio, e stabilito, non venne diſferita la partenza per arrecarsi alla patria dello sposo, che onde prendere congedo dalla corte.

Tale momento assai bene distinse il congedo di etichetta dalla separazione di persona, cui la virtù vera aveva unita con tenera amicizia. Non si usarono molto, nè. dall uno, nè dall’altro canto, quelle frasi ( pur troppo dal freddo complimento profanate ) che sarebbero le più adatte ad esprimere a vicenda rispetto, riconoscenza, affezione; se però quando quest’ultima predomina, lasciasse campo al labbro apportare tale conforto. Pochi, interrotti accenti, sinceramente sentiti; mentre la commozione teneva luogo dello [p. 62 modifica] studiato formolario, alternava in quei petti, il dolore di dividersi e la gioia che in qualsiasi frangente infonde la certezza di essere amati. Infine, la Duchessa, più qual madre che sovrana diede alla nobile donzella santi ricordi e terminò col dirle, Fateci sapere vostre nuove, e se ca pitate in queste parti accertatevi sarete accolta co’pegni di tenerezza e di affetto che avete fin ora sperimentati.

Bologna si fu la città, che qual seconda patria, feste vole accolse la fidanzata di uno de’ primarj suoi patrizi, il cui nome Da-Via tanto illustre suonava già ovunque, non solo per fasto di ricchezze, ma più per uomini celebrati nelle scienze, nella politica, e nelle armi, non che in ogni genere di letteratura ( 1 ). Celebrità che cotanto si accrebbe nella persona di Gio. Antonio, allo sposo fratello, quale dopo di avere battuta la via delle armi dedicossi per ordine del Pontefice alle bisogna della chiesa, a cui prestò ser vigi importantissimi contestati dalle storie di quel tempo, e fu poi promosso alla ben meritata porpora. E se l’ACcademia che dal Da -Via ebbe nome, diede prove di quanto questo lignaggio proteggesse con intelligente generosità, scienze ed arti belle, per convincere che l’Italiano non mai fu in queste ad altri secondo; del pari, onde compiere quanto viene commesso all’alta società, di onorare cioè con ma sì per imprimere ezza, si pur anco, nello straniero giusta idea di patria grand perchè dal ben inteso sfoggiare de’ grandi, trae lucro e sollievo quella classe di persone che troppo tapina sarebbe gnifico lusso il lustro di antichi casati, se ogni ricco serrasse l’oro nel proprio forziero, i Da-Via rinnovarono per la novella sposa si splendidi preparativi di apparati, argenti, e gemme, e sontuosi equipaggi, che quantunque Donna Vittoria fosse avezza allo abbagliante splendore di una corte, pure al vederli n’ebbe a trasecolare. [p. 63 modifica] Lo sposo in tal famiglia a Lei destinato si era il Marchese Virgilio Giuseppe, quale per il grande profitto ritrat to dal visitare tutte le principali corti d’Europa, aveva in esso riunito a sì alto grado senno, saggezza e prudenza, da meritarsi nella giovanile eta di 24 anni gli venisse conferito dal Pontefice Clemente X. la dignità Senatoria; per cui tale somiglianza fra i due contraenti d’indole, di coltura, e di età li accese al primo scontrarsi di mutuo e pudico amore, cosicchè, niun buon auspicio manco ai loro sponsali, che furono in breve celebrati con indescrivibile pompa: e nella cerimonia ognuno ebbe a rimarcare lo edificante raccoglimento degli sposi.

Lo stato conjugale non fece menomamente rallentare le pratiche di pietà, a cui questa pia Dama solea abban donarsi. Serbavasi ella sempre gentile, ma sì nelle grandi che nelle private adunanze, manteneva un contegno per modo riservato che destava rispetto in ognuno, giugnendo pur anco ad incutere timore a quelli di non esemplare riservatezza; mentre poi abborrendo ogn’idea di vanità, fu notato che, quando doveva presentarsi col fasto dovuto al suo rango, o presso qualche principessa forestiera di passaggio in Bologna, o in altre simili circostanze, vi face va precedere la visita di uno spedale, acciò la fresca rimembranza della sofferente umanità, l’avesse preoccupata e tolta dallo invanire. Per cui è ad immaginarsi come tan te prerogative le meritassero l’ammirazione della novella patria, non meno che l’amore e la stima del nuovo pa rentado, ove distinguevasi per santa vita la di Lei suocera Marchesa Porzia Ghisilieri, le cognate sue, ed in particolar modo la Marchesa Silveria Davia che fondò il convento delle monache di S. Francesco di Paola detto delle minime.

Non meno per altro imperava su l’animo grande di [p. 64 modifica] Donna Vittoria il nobile sentimento dell’amicizia, e ricor dandosi non essere soltanto legata col mero titolo di Da ma d’onore alla Estense Principessa Maria Beatrice, di cui come si è veduto fu indivisibile compagna per molti anni, volle tosto arrecarsi in Modena unita al Consorte onde attestarle ossequioso affetto, appena seppe doveva la Reale Donzella partirsi per Londra colà chiamata al tala mo del Duca di Jork (2) erede presuntivo della corona d’Inghilterra. E questa riprova di attaccamento della Da ma alla sua Padrona pare segnasse fra le illustri amiche la generosa disfida di chi fra esse più sarebbe stata sollecita chiamare a sè con fiducia ne’ disastri la Dama, ovvero pronta questa ad accorrervi; ma siccome nel momento potevasi appena presagire ben lontano alcun che di avverso per la sposa del Duca di Jork, cosi ella posta ogni fiducia in Dio, lasciò nel 1673 l’Italia, ed i conjugi Davia tornaronsene tra’ suoi.

Intanto nel volger di circa un lustro, l’unione di questi ultimi fu coronata da più figliuoli, ma in pari tempo ebbero molto a temere l’un per l’altro, prima perchè oppressa Donna Vittoria dal vajuolo lasciò in forse di sua vita il consorte, cui l’assistenza avutale spiegava lo strazio che soffriva; poi quando fu dessa ristabilita dovè passare giorni d’amara angoscia pel marito suo, quale infermatosi a Firenze, giunse agli stremi, del che fatto conscio il Gran Duca Cosimo III. commise al Redi, altrettanto sommo in Medicina, quanto è celeberrimo in lettere, ed al Mondiglia, altro valente medico d’intraprenderne la cura, cosa che questi fecero con tutto l’impegno, giacchè oltre il desiderio di adempiere al sacro loro ministero, furono maggiormente interessati dalla inesprimibile afllizione della Dama, che, sebbene si mostrasse sempre in tutto rassegnata al [p. 65 modifica] volere di Dio, protestava essere questa la più dura prova a che fin allora fosse sottoposta la di lei costanza. Resa in appresso tranquilla col totale risanamento dell’infermo, non vi fu segno di riconoscenza ch’ella ommettesse di unire ai vivi rendimenti di grazie porti a quell’ottimo Principe e ai Professori, riguardati da lei come gli strumenti per mezzo de’ quali la Provvidenza aveva prefisso salvarle lo sposo; quindi si affrettò riedere in seno della famiglia, che la idolatrava per le virtù di ogni genere ond’era ella co piosamente adorna.

All’epoca stessa giorni più procellosi passava in Inghilterra la Principessa d’Este, divenuta Duchessa di Jork. Chè il Parlamento, o per meglio dire gl’inglesi avendo mal tollerato si compiesse il matrimonio di Lei cattolica manifesta con un Principe, qual neppur più la minima apparenza conservava di anglicano, si bene fecero supporre al Re, venisse dallo stesso principe diretto lo scoperto at tentato di ucciderlo, onde la nazione tornasse al cattolicismo, che Carlo, malgrado le prove dal fratello avute in mille incontri di fedeltà, par ne dubitassez giacchè mentre condannò molti congiurati, parte al supplizio, e parte allo esiglio, diè pure ordine al Duca di Jork di ritirarsi a Brusselles. Egli è dunque facile immaginarsi che la giovane Duchessa scrivendo a Donna Vittoria le pingesse la sua si tuazione angustiosa. Chè ben è dolce lo sfogo ad un cuore esulcerato! Riesce però ammirabile che la Dama d’onore per consolare l’esule afflitta, si arrecasse immantinente a Brusselles col marito suo, colà restando fin quando il Duca di Jork e la sua sposa ebbero ordine dal Re trasferirsi in Edimburgo. Ma questo èè poco: i torbidi dell’Inghilterra erano sempre crescenti. Il Re, ottimo privato, non fermo sovrano, indifferente per la nazione, dato alla [p. 66 modifica] mollezza, posto in non cale le leggi dello stato, credeva vedere in ogni suddito un cospiratore, diffidenza e falli che furono fomiti di reali macchinazioni. Successe a queste il rigore; e se ne incolpava la inflessibilità del Duca di Jork, sebbene stanzionato in Edimburgo. Si accrebbero allora i timori e le angustie della Duchessa che diresse lettere di nuovi lamenti alla Marchesa Davia, aggiugnendole ch’ella sola poteva apportarle qualche conforto. La nostra eroina, non concesse neppure al rapido pensiero di misurare il lungo viaggio. Considerò la triste condizione di chi vive in un regno di continue turbolenze, ove la frode, la prepotenza e la crudeltà vi pongono il seggio; ove spesso scorre sangue innocente; ove sempre è conculcato il debole, negletta la virtù, in ispregio la umanità; ove ogni cuore par si chiuda perfino a quel Dio di pietà, di cui in quel momento sente il giusto sì, ma inesorabile flagello, vibrato per mano dell’uomo. Tutto considera Donna Vittoria, non già per rattenersi, per volare invece a soccorso dell’amata padrona. Un pensiero l’afilisse: ricordò i figli e la provetta suocera; ma si rincorò pensando alla virtù de’ con giunti a cui restavano affidati, non meno che alla ferma difesa, per essi, da qual si fosse attentato, delle sante e benevole leggi che vigevano in questo governo; e forse per la prima volta passò con soddisfazione, come in rassegna, le molte dovizie cui restavan eglino in possesso, e ch’Ella posponeva all’affrontare di mille pericoli, per un’azione generosa.

Vinto ogni tenero affetto la Marchesa si pose in viaggio unita a Don Virgilio Davia, ammiratore dell’alto sentire di sua donna; e passando per Marsiglia nei giorni che un contrordine emanato da Luigi XIV proibiva agli Ugonotti di migrar dalla Francia, furono creduti Protestanti fuggitivi, [p. 67 modifica] per cui si presentarono all’albergo ov’erano alloggiati dodici arcieri condotti da un Esente, con l’ordine di arrestarli, avviandosi senza riguardo veruno alla stanza occupata dai conjugi; ma trovatili devotamente genuflessi d’innanzi ad un’immagine della Vergine Madre, portata sempre seco dalla Dama, fece l’Esente le più umili scuse con il Cavaliere bolognese per lo equivoco accaduto, e tutto confuso si ritirò. Questo aneddoto in cui splende la costanza della pia coppia nell’orare, si è addotto, perchè come il pittore deve valersi bene spesso di piccole linee per dare espressioni distintive alle teste che ritrae su le sue tele, cosi alle volte lievi circostanze contribuiscono più delle grandi a mostrare nel suo vero aspetto il carattere preso a descrivere. Il senatore e la degna compagna giunsero senz’altro inciampo ad Edimburgo, ove il Duca e la Duchessa di Jork li accolsero con amicizia, e con ricono scenza ancora, per la loro visita.

In effetto la Principessa aveva ben donde mostrarsi grata ad un animo affettuoso che volava a Lei, mentre la nazione Inglese si dibatteva per escludere il consorte suo dall’avito soglio, neppur contenta ne venisse dal re ristretto anticipatamente il potere, per quando avesse a succedergli; mentre la feroce baldanza degli eretici contro i cattolici, accrescevasi ogni dì, e minacciava ingigantire ancor più. Donna Vittoria sentivasi spezzare il cuore a tanti disastri, pure faceva animo alla Signora sua, ricordandole che nei perigli il piangere è vano, il disperarsi è dannoso. L’altezza vostra, dicevale, agisca con rettitudine e forza fin che può, si consoli di ciò che le resta, si rassegni ove tutto mancbi. Non tralasci applaudire nel Duca suo sposo e ne’ grandi che lo sieguono la fermezza con cui ora altamente confessano la cattolica dottrina, e ripeta loro, [p. 68 modifica] come fa, che a Vostr’Altezza non dorrebbe perdere e vita e Trono, ma l’ucciderebbe il pensiero di perdere lddio. Queste parole però non debbono solo essere proferite con forza, debbono addimostrare un cuor fermo, su di una fronte serena: che ciò che si vede, è ciò che persuade. E niun riguardo faccia menomamente transigere l’Altezza vostra da ciò che prescrive la religione in cui ebbe la sorte di nascere; giacchè Iddio che segno per l’Inghilterra nella reale vostra Persona la Ester de Cristiani, le chiederà se veramente se l’Evangelica legge che decantava seguiva co’ fatti, mentre ove questi manchino, nulle, e ſors’anco a riso, muovono le vane parole. Con queste, ed altre esortazioni di non dissimile tenore, la saggia dama inſondeva nella abbattuta Duchessa quel vigore di cui abbisogna chi senza molte speranze di esito felice, restale ad agire per serbare la propria coscienza illesa dal rimorso: quando il Duca venne dal re chiamato a Londra con la sposa.

Il Senatore Davia era rientrato in patria con la consorte, e questa pensando di non lasciare mai più l’amata sua famiglia aveva con calore riprese tutte quelle pratiche di pietà commutate in altre, a seconda le imponevano le circostanze.

Nè scorse molto che Carlo II. venne a morte improvvisa, non però tanto repentina da togliergli prima di spirare poter dichiararsi cattolico; come confermarono i fogli pubblicati in appresso dal Duca di Jork suo fratello, quale malgrado i differenti partiti dei sudditi, salì al Trono d’Inghilterra col nome di Giacomo II, generalmente acclamato. Un tale felice successo riempiè di gioia Donna Vittoria che scrisse lettere di vero congratulamento alla nuova regina. Ella era accorsa ne’ perigli, ne’ lieti momenti spediva un foglio! Sua Maestà Maria Beatrice aggradiva i sensi dell’antica [p. 69 modifica] sua Dama d’onore, e mai lasciando di richiamarla in corte la informava della tranquillità che sembrava voler felicitare il regno d’Inghilterra. Tranquillità che potevasi credere non peritura; giacchè, quantunque il re e la regina andassero pubblicamente a messa, quai sovrani cattolici; e più innanzi Giacomo inviasse un Ambasciatore a Roma ricevendo poi il Cardinal Nunzio nel castello Windsor con il cerimoniale usato dalle cattoliche corti; nullostante contenta la nazione che il Monarca al suo primo calcare il soglio avesse assicurato in Parlamento di mantenere le leggi dello stato, e della chiesa stabilita, si videro gl’inglesi starsene tranquilli, dando di più, in vari incontri al nuovo Sire prove di attaccamento. Ma quando l’affezione dei sudditi scemò per Giacomo, perchè nella vittoria riportata sopra il Duca di Monmout, aveva mostrata troppa severità ( che qualche suo favorito portò sino alla barbarie ) e quando poi il santo suo zelo per la vera fede lo esaltò, quando.... tutto insomma contribuiva ad accendere guerra fra la co rona e la Chiesa Anglicana, il Parlamento mal nascose la sua rabbia; i nemici esterni accordarono con i malcontenti interni, e tutto annunziava lo scoppio vicino; ecco di nuovo la povera regina non più invitare, pregare e scongiurare l’amica sua di non abbandonarla.

Donna Vittoria, ch’erale oltre ogni dire affezionata, sen tiva estremo cordoglio per la funesta notizia delle nuove sciagure; d’altronde, Ella non poteva più partirsi col consorte suo, ritenuto in patria da domestiche cure, e dolevale abbandonare l’educazione de’ suoi figliuoli, su cui molto invigilava. Mentre affetti si potenti facevano in Lei cruda lotta, le lettere della regina divenendo sempre più pressanti, decisero il Senatore Davia di far forza a se stesso col consigliare e persuadere la ben amata sua compagna [p. 70 modifica] di portarsi in Londra con il proprio fratello Marchese Raimondo Montecuccoli, da dove si sarebbero tolti entrambi, appena Sua Maestà fosse alquanto tranquilla: condiscese la pia signora ed immersa nell’afflizione parti.

La nostra matrona e fratello, nello sbarcare al porto di Dover furono incontrati dalle genti della regina, colà spedite accið li scortassero fino a Londra: quivi la Sovrana: dopo le più tenere espansioni di gioja alla vista della sua fedele, ordinò tosto venisse a questa mostrato il reale suo figlio, avuto da sei mesi (3) partecipandole con rammarico, come il partito avverso al re avesse osato dirlo un figliuolo supposto. La Maestà Vostra, disse la dama, perdonerà, sono certa, agl’infelici ch’ebbero duopo ricorrere a questa supposizione, come uno di que’ pretesti che i perversi vanno mendicando per adonestare agli occhi degli altri le perfide loro azioni; non meno che onde far tacere, se fosse possibile; i rimorsi co’ quali il padre celeste cerca richiamare alla virtù i colpevoli: Maestà, la miseria loro non merita compas sione? Oh si! disse la regina, e per amor vostro, fo anco di più, io gli perdono, e pregherò per essi; quindi, venite le disse, e la presentó Ella stessa al Monarca, che Donna Vittoria ebbe il conforto trovare ognor più costante nel cattolicismo, e pronto seguire le orme della bisavola sua, che abbandonò la corona di Scozia, ma non la religione degli avi.

Era questo lo stesso punto in cui il re disingannato, riconosceva per capitale nemico il principe di Orange, suo genero; quale temendo dichiararsi apertamente usurpatore del diritto degli Stuard, presentavasi all’Inghilterra a mano armata, come sostenitore della religione Anglicana, avendo con sediziose voci sollevata la nazione, guadagnato ogni partito, corrotte le truppe: Giacomo tradito dal proprio [p. 71 modifica] sangue, abbandonato da tutti, sentendo che il popolo accla mava Guglielmo ( principe di Orange ) loro liberatore; e i soldati tutti infedeli, proferì queste celebri parole,, Quelli che vogliono passare dal lato dell’usurpatore si dichiarino; io li provvederò di passaporti per risparmiare ad essi l’ignominia di tradire il legittimo loro sovrano. Di poi vedendo che nulla restavale a tentare, pensò im mediatamente a porre in salvo la regina, e il reale infante; e senza perder tempo chiamati a consiglio i pochi affezionati che restavangli, si deliberò la fuga di sua Maestà Maria Beatrice e del figlio per l’Ave Maria dello stesso giorno, aſlidandone la condotta al conte Lauzon, cavaliere francese di sperimentato valore. Sol pochi momenti prima ne fu fatta consapevole la regina, con l’ingiunzione del più rigoroso segreto permettendosele appena parteciparlo alla fida Marchesa Davia; ed ella per non trasgredire al comando, nel comunicare il progetto alla Dama, le impose di tutto tacere, perfino col fratello suo, marchese Montecuccoli. A quest’ordine inaspettato Donna Vittoria impallidì, pensando al periglio in cui lasciava esposto il fratello senza dirgli addio: poi riflettendo che in quel momento v’era da paventare assai dovunque, Ella con eroica virilità rispose alla regina: ebbene, in tal modo io affronterà i pericoli con la Maestà vostra, e mercè l’assistenza del cielo, mi sarà dato l’onore salvare fra le mie braccia il reale pargoletto, mentre mio fratello, ne sia certa, Maestà, difenderà fino all’ultimo anelito il Monarca dalla furia di coloro che altamente gridano e giu rano lo sterminio de’Papisti. Un amichevole abbraccio si fu la risposta, e il compenso che in quel momento potè darle la commossa Sovrana. Venne la sera: il conte di Lauzon fece preparare tre vetture in tre diversi punti. La Regina e Donna Vittoria uscirono insieme; la prima in abito negletto, la [p. 72 modifica] seconda travestita da carbonaja portava rinchiuso in una scattola, delle grandiose parrucche d’allora, l’infante reale. Erano desse di poco precedute dalla governante di Sua Maestà, dalla nutrice del principe, e da un certo Francesco Riva bolognese, provveditore di guardarobbe della re gina, il quale vedendo che un uomo ebbro dal vino, stava con lanterna in mano spiando chi passava, l’accorto bolognese finse di urtarlo, onde cadendo le si spegnesse il lume; ciò ottenuto lo sollevd, con amorevoli parole fecelo tacere, e con qualche moneta gli riesci si ritirasse. Quando poi tutti furono in carrozza, ebbero l’incontro di certi carattieri che volevano impedir loro il passaggio, gridando ad alta voce, esser quelli Papisti fuggitivi, e conveniva ucciderli; ma il conte di Lauzon facendo prudentemente divergere le vetture dalla strada maestra, potè scampare da coloro, e per vie meno battute si ridussero salyi al mare, ove li attendeva il resto della comitiva. Ivi tutti uniti s’imbarcarono sopra di un Fact destinato all’uopo: meno un cavaliere che volò a portarne l’avviso al re.

Mentre veleggiavano verso Cales, Donna Vittoria sta vasi teneramente a consolare, confortare, rassicurare la re gina. Ella addimostravale, che se veniva di perdere cose caduche, avendo tutto abbandonato per la causa di Dio, acquistava presso di lui un merito incalcolabile e non perituro; e d’altronde non essendo la posizione che rende grande l’uomo, ma la virtù, può egli con magnanimi tratti sfolgorare di gloria sia scettrato o servo, purchè servo non sia del vizio, e conservi quella rettitudine donde trarne la nobile alterezza di poter fissare lo sguardo nel nemico suo, qual tuttochè orgoglioso, e di fallaci onori ricoperto, si smarrisce al vedere la propria vittima resa nella sventura più salda e franca, e che può dirgli, arrossisci! Ed è falso [p. 73 modifica] si perdino nelle avversità gli amici, che anzi le sventure nostre li rendono più a noi affezionati, ma soltanto ci la sciano coloro che in noi amavano il rango nostro, o l’utile proprio, e questi, conosciuti prima, noi avremmo paventato, e sdegnato appressarli. Ed infine può sempre rinvenirsi felicità, ove non è rimorso, dunque conviene sperare conseguirla» per quanto lice su la terra da quel Dio che tutto fa per nostro bene. Passato quel tragitto di mare, non senza tema di essere inseguita dagli eretici, Sua Maestà posando piede in Cales, gridò ad alta voce, Iddio sia lo dato e dopo aver generosamente compensato il capitano del Fact, si avviò alla chiesa de’ Cappuccini ad ascoltarvi la messa, volendo vicino a sè ne’ balaustri Donna Vittoria, ricusando fra esse qualsifosse distinzione. E se da questo momento cessarono alcun poco i timori della profuga corona ta per veder in salvo il figlio e se stessa, anco per trovarsi in una terra, che a mano a mano più in essa s’inoltrava vedeva prodigati onori e riguardi alla reale sua persona, dal che poteva conoscere quant’era a ripromettersi da Lui gi XIV. alleato dello Stuard; Donna Vittoria ancora, unica, indivisibile compagna di carrozza della Maestà Sua, ebbe il contento veder giugnere in Boulogne di Piccardia, forier del non lontano arrivo del Monarca Inglese, il fratello suo, quale dopo gentile rimprovero perchè era fuggita da Lon dra senza fargliene cenno, si rallegrò seco lei della maschia sua generosità.

La corte Brittanica dell’esule Sire, stabilita a s. Germano dal re de’ Francesi, godeva di tutte le dimostrazioni proprie di quel regnante, di quel secolo, di quella nazione; quando solo per Donna Vittoria si mostrò un orizzonte poco sereno. L’amorevolezza e gli onori con cui era stata ac colta in Francia la salvatrice del piccolo Stuard, avevano [p. 74 modifica] svegliata ne’ cortigiani di Luigi XIV tale gelosia, ch ’ essi credettero non potersi più dire i soli favoriti, finchè senti vano decantare di Lei l’ingegno, la forza d’animo, la illi batezza de’ costumi, e sopra tutto, unita al disinteressato attaccamento per la bandita Stuarda, la rispettosa schiettezza, con che consigliavala. Si direbbe che esaminando que’ grandi il loro cuore, ne scontrassero troppo deciso contrap posto! Il fatto fu, che trovando eglino la Marchesa Davia incolpabile sott’ogni aspetto, divisarono far credere al re, ch’ella non poteva nutrire se non sentimenti ostili per la corte di Francia, sendo nata in una famiglia tutta ligia alla casa d’Austria, e le assegnarono quasi a colpa la strelta sua parentela con il maresciallo Montecuccoli competitore distinto del loro Turrenna, il titolo di nipote che la univa al maresciallo dell’Impero conte Enea Caprara, e di più, il vincolo suo di cognata coll’Internunzio di Brusselles, Abate Davia Prelato distintissimo, del cui zelo pel Ponte fice n’ebbe a temere la Francia. Insomma nulla si risparmiava dai scaltri, per indurre il re ad ordinarle evadesse dallo stato. Appena però tai maneggi furono noti alla regina d’Inghilterra, conscia com’era del benigno ingegno della fida sua dama, la giustificò prima con ogni calore, poi se ne rese mallevadrice ella stessa presso il re cristianissimo: e forse sarebbe svanito ogni mal umore se un’altra circostanza non avesse contribuito a prolungarlo. Il re di Francia aveva ordinato al sig. di Saint Olon di guardare a vista il Cardinale Angelo Ranuzzi (4) da Bologna, perchè essendo in qualità di Nunzio incaricato dal Pontefice Innocenzo XI di trattare con S. Maestà l’affare delle Regalie, l’Eminentissimo Principe non piegavasi al volere di Luigi XIV. Or la Marchesa Davia portatasi ad ossequiare il Cardinale, con cittadino e conoscente, lo trovò guardato dal cavaliere del [p. 75 modifica] Re, che fece sentir loro parlassero il francese, o almeno un buon italiano, da lui inteso del pari; ma il Porporato e la Dama anzichè accondiscendere parlarono il dialetto bolognese si strettamente, ch’ei non potè capirne una parola. Perocchè adirato il Signor di Sant’Olon, ne fece rapporto alla corte, che viemmaggiormente divenne severa verso la bolognese matrona, passando a squittinio ogni azione sua, ed aprendo qualsifosse foglio a lei diretto; fintanto che, riconosciuti mal fondati i loro sospetti, le ritornarono quella fiducia e stima di cui era sì degna.

Nè farà meraviglia sentire foss’ella cagione di gelosie nella ristretta corte Britanna, per le particolari distinzioni con che la regina solea onorarla in guiderdone de’ meriti suoi. I vili malevoli adoperarono le solite armi della mal dicenza, per nuocerle nell’opinione della Sovrana; ma era dessa di troppo buon senso dotata, per non esaminarne, e riconoscerne la fonte, e la sempre eguale condotta della illibata Dama fu lo scudo ove si spezzarono gli strali de’ calunniatori, a’ quali non restò che il rossore di aver ma nifestata la vituperevole loro invidia

Nuova sventura e più dolorosa soppraggiunse alla buona signora. Il di lei primogenito Giovan Battista militava nella Transilvania in qualità di Generale, Ajutante del Maresciallo dell’Impero, Conte Enea Caprara suo zio, quando trovandosi in marcia per onorevole spedizione, fu assaltato da 500 Tartari, che dopo essersi fieramente bat tuti, poterono, senza molta loro gloria, dirsi vincitori del giovane generale seguito soltanto da quindici suoi domestici, fra’ quali uno ebbe la fortuna salvarsi fuggendo, e apportare l’infausta nuova al campo Cesareo, mentre il Davia ſu condotto schiavo a Costantinopoli; e siccome venne colà riconosciuto da un suo patriota, pur schiavo, che manifesto [p. 76 modifica] l’alto grado di lui, rimase direttamente al Gran Sultano, che lo fece racchiudere nelle sette Torri. Saputasi dalla madre sua la dolorosa catastrofe, non si può dire, s’ella più agisse, o più orasse; giacchè egli è vero che ricorse di subito alla stretta amicizia che legavala con la celebre madama di Maintenon ( 5) acciò inducesse Luigi XIV ad interessarsi col Gran Signore per la liberazione del figlio, e che i buoni uffici di quel monarca riescendo infruttuosi, si rivolse Ella al Re di Polonia, e infine al medesimo Sultano; ma è impossibile noverare e descrivere le opere di pietà d’ogni sorta, con le quali intendeva chiedere a Dio la libertà pel caro figlio suo. La Dio mercè, dopo quattro anni il giovinetto marchese fu tolto dalle mani di que’ barbari (6), e allora la pia matrona volse gli atti di preghiera in non meno fervidi atti di ringraziamenti al Dator d’ogni bene.

Il re e la regina d’Inghilterra avevano fregiata questa eroina dei titoli di contessa d’Almond di Pari di Scozia, e scrivendole la onoravano del titolo di„ Cugina,, ( onori tutti a tutta la famiglia Davia partecipati e conservati ), per cui ella non azzardava chiedere il permesso di assentarsi qualche poco dalla corte, sebbene molto desiderasse arrecarsi in seno alla famiglia; ma allorquando il Senatore suo marito le manifestó con una lettera vivo desi derio di rivederla, la saggia moglie, calcolando quest in vito come un comando, supplicò la sua padrona le permettesse compiere anco a questo sacro dovere: e la regina dovè concederglielo, riportando promessa sarebbe tornata a Lei.

Gli elogi della gran Dama echeggiavano ovunque, di modo che le corti di Torino, di Parma e di Modena ne festeggiarono splendidamente il di lei passaggio; ma Bologna ebbe campo persuadersi che quanto di essa dicevasi [p. 77 modifica] era inferiore a veri suoi meriti, ammirando come docil mente e con compiacenza piegavasi ai voleri del marito, più assai che non sogliono le altre spose. In quanto al resto basterà dire che il suo esempio era il più eloquente invito ad ogni virtù. Non veniva però concesso alla patria e alla famiglia goderne a lungo, stantechè sua Maestà Maria Bea trice richiamavala con sollecitudine, e il Marchese Virgi lio Davia non sapeva niegare a Colei ch’era oppressa dall’infortunio il sollievo di chi chiamava tenera amica.

Tornò dunque Donna Vittoria a S. Germano, nè po teva giungervi più in tempo, perchè oppresso Giacomo II. non tanto dagli anni quanto dalle sciagure, cessò di vivere lasciando l’infelice regina senz’altro conforto che la sua Dama, la sua compagna, l’amica sua: questa andavale ripetendo che chi perde tutto per Iddio, tutto centuplicato trova in Dio, che il re Giacomo aveva perduto una corona in terra ed era volato a cingerne una in eterno nel cielo, da dove se non otteneva ricuperasse il figlio suo Giacomo III il seggio d’Inghilterra, più luminoso glielo avrebbe inter cesso al suo fianco.

Ma pur troppo anco quest’ultimo conforto doveva cessare alla vedova del misero Monarca >, che infermatasi gravemente Donna Vittoria, i medici di corte troppo tardi si avvidero aver errato nel curarla, e peggiorando di giorno in giorno arrivò ai preludj di vicina morte. L’inferma con tutta rassegnazione si preparò al tremendo passo, santamente come aveva fin allora vissuto, e sebbene estenuata di forze volle ricevere il Santissimo Viatico genuflessa al suolo, e con tanti sentimenti di compunzione da commoverne immensamente tutti i circostanti. Poscia rice vuta la strema unzione, proferendo i nomi di Gesù e di Maria, placidissimamente rese la sua bell’anima alCreatore, il giorno di Venerdi 13 Aprile 1703. [p. 78 modifica] Dopo non molto nella Chiesa Parrocchiale di S. Germano, ergevasi su le ceneri della esimia, nobile mausoleo, con una lapida che è il compendio dei più grandi, dei più sen titi, dei più onorevoli elogj. Questa testimonianza di amore, di riconoscenza, e di munificenza lo consacrava la regina d’Inghilterra alla fida, saggia, amorosa, e amata sua Dama d’onore Donna Vittoria Montecuccoli Davia. [p. 79 modifica]

NOTE


( 1 ) Giovan Battista Davia marito di Porzia Ghisilieri dottissimo ed integerrimo Giure consulto, citato dall ’ Orlandi. Gio. Antonio Cardinale uomo dottissimo nelle scienze Eccle siastiche e civili; grande politico nel trattare gli affari della chiesa nelle gloriose nun ziature sostenute in tempi difficilissimi ( Ottieri. Stor, delle Guerre di Europa ) corrispose coº primari uomini, scienziati, e di lettere del suo tempo, e generosamente li protesse, avendo inoltre fondata in Bologna un’accademia, della quale essi fecero parte. Assunto al Vescovado di Rimino, e fatto Legato a Latere di tutta la Romagna, a proprie spese aprì Licei, e chia mò a sè uomini distinti a leggervi su le cattedre ad instruzione de ’ suoi riminesi. L’amore degli studi della veneranda antichità, fece sì che proteggesse i primi archeologi di quel tempo, Camera d’iscrizioni sepolcrali dei e la grand ’ opera di Monsignor Bianchini, col titolo di Liberti ecc. d’Augusto fu pubblicata con generose sovvenzioni del Cardinale. Il Marchese Filippo di lui nipote si distinse nella via delle Armi ai servigj dell’Imperatore, e Francesco in quelli del regno di Spagna ( Storia delle guerre di Spagna col Portogallo ), Giuseppe di lui pronipote fu versatissimo nelle matemaliche, e lettore a Trento: si distinse nelle militari discipline, e stette in qualità di Colonnello Generale dell’Artiglieria, e cuoprì altre lumi nose cariche.

( 2) Fratello di Carlo II della infelicissima stirpe degli Stuardi.

(3) Fu pubblicamente battezzato come cattolico, ed ebbe a padrino il Pontefice. Dopo la morte del padre fu a S. Germano proclamato Re di Inghilterra chiamandosi Giacomo III; ma ogni tentativo per ricuperare il Trono degli Avi tornandogli vano si trasferi in Roma, ove stette sino alla morte in compagnia del Cardinale di Jorck suo fratello.

(4) Moltissimi soggetti somministrò la città di Bologna alla Europa nello scorrere del XVII secolo, celebri nelle scienze, nelle lettere e arti, nelle armi, e nelle scienze ecclesiastiche, e politiche. Tra questi ultimi si distinsero e s’acquistarono onore grandissimo il Cardinale Ranuzzi, Monsignor Pietro Bargellini, e Monsignor Gio. Antonio Davia poscia Cardinale, nelle difficilissime loro nunziature in Francia, nel Belgio, in Vienna ed in Polonia.

( 5) Di madama di Maintenon donna di grandi virtù, e celebre nella corte di Luigi XIV, se ne legge l’elogio nel libro che ha per titolo: Dictionnaire des Femmes célébres. Tom. 2. pag. 210. à Paris chez Belin et Volaud 1788. in 8.° La famiglia Davia possiede il carteggio autografo diretto dalla Maintenon a Donna Vittoria, scrittole dalla Corte di Versailles a S. Germano: lettere che sono inedite, e non fanno parte di quelle di questa Dama pubblicate colla stampa in 9. vol. in 12.

(6) Dopo il di lui riscatto passò sotto il comando del Principe Eugenio di Savoja, col titolo di Ajutante Generale di cavalleria; e mori in campo dopo un fatto d’arme, in età freschissima

l’anno 1705. Conservansi dalla nobile famiglia sua alcune lettere autografe del principe Eugenio di Savoja, dirette al marchese Gio. Battista Davia.. [p. 82 modifica] [p. 83 modifica]

MARIA LUIGIA PIZZOLI


L’età precorse e la speranza; e presti

Pareano i fior, quando appariro i frutti..

TASSO.

Delizia dei conjugi Luigi Pizzoli bolognese,, e Cristina Baldini ravennate, cresceva unica figlia superstite ad altre due, Maria Luigia, nata in Bologna li 10 febbraio 1817; e i primi scorgendo in lei tale ingegno che il seme del sapere vi avrebbe molto bene fecondato, le appresta rono tutti quei mezzi di coltura addicenti alla civile lor condizione.

Luigia era gentile, di grato aspetto, ed aveva sortito, in carattere quella cara vivacità che ad uno scontrare di ciglio spiega la mente perspicace, la schiettezza del cuore, la forza degli affetti. Al riflesso della ilarità che irradiava quel volto vi si scorgeva la fiducia di un animo bello che per non sapere agir male, crede sieno i malvagi sì pochi e tanto conosciuti da ritenere inutile l’avvedutezza, onde sfuggire all’empie loro trame; e per modo dessa fu sempre rispettosamente amorosa in verso i genitori suoi, che sol per compiacerli attese ai primi ammaestramenti in cui si