Vite dei filosofi/Libro Ottavo/Annotazioni
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ANNOTAZIONI
LIBRO OTTAVO
CAPO PRIMO.
Pitagora.
„La medaglia (che qui diamo intagliata), battuta in Samo, patria di Pitagora, sotto l’impero di Trajano Decio, ci esibisce l’immagine di questo filosofo certificata dalla leggenda ΠΥΘΑΓΟΡΗΣ ΣΑΜΙΩΝ Pitagora: (moneta) dei Samii. Il filosofo, seduto e coperto soltanto da un pallio che lo avviluppa sino alle reni, sembra indicare colla bacchetta (radius) qualche oggetto delineato sul globo postogli innanzi sopra una colonna: la sua mano sinistra è appoggiata sur uno scettro, simbolo di divinità. Possiamo conghietturare che questo sia il globo celeste, emblema della scienza astronomica di Pitagora, al quale si attribuiscono alcune osservazioni sul pianeta di Venere, interessanti a quel tempo ec. Questo tipo, che trovasi anche sulle monete di Nicea battute sotto Gallieno, è più frequente su quelle di Samo; al rovescio di alcuni imperatori.“ — Visconti.
I. Dell’Italica, la quale incominciò da Pitagora. — „Erodoto dice che i miti e le dottrine alle quali il volgo greco dava il nome di orfici e bacchici, veramente erano egizii e pitagorici. Dunque il pitagorismo era un antico istituto sacerdotale e regolatore, anteriore ad Erodoto chi sa di quanti secoli. — Da ciò deesi conchiudere che di tutti i paesi dell’Europa, non eccettuata la Grecia, l’Italia fu la prima a ricevere la civiltà importata dall’Oriente, e fors’anche più verisimilmenle dall’Africa di qua dall’Atlante, e che ciò ebbe principio molti e molti secoli prima delle memorie che se ne conservano. — E siccome consta che la dottrina pitagorica fu in Italia serbata nella sua purità maggiore e senza i traviamenti e le turpitudini indiane, ne consegne che la primissima storia della filosofia dedursi deve dalle prime fonti italiche.“ — Romagnosi. — „Erodoto (II, 81) ravvicina i riti orfici e bacchici ai riti egiziani e pitagorici. Indicano le relazioni dei riti orfici co’ pitagorici le ragioni seguenti: Identità di razza dei popoli della Tracia e della Tessaglia, in cui si pone la culla dei misteri orfici, con quella delle colonie della Magna-Grecia, ove si sparse la filosofia di Pitagora; popolazioni egualmente ioniche. — Identità della lingua. Orfeo parlava il dialetto ionico, che era quello di Pitagora; dialetto oscuro, proprio ai misteri e al simbolismo. — La tradizione generalmente adottata, che Pitagora fosse stato iniziato ai misteri orfici da Aglaofamos, a Libetra, città della Tracia, in cui attinse alla costui Teologia. — Quella, che Pitagora imitava Orfeo nel fondo delle cose e nell’espressioni, e che tolse ai riti orfici le loro forme. Ciò che, ne’ riti orfici, era mistero, purificazione, iniziazione, prese nelle mani di Pitagora aspetto meno sacerdotale e più scientifico.“ — Cousin. — Vedi in fine alle note.
Ebbe fratelli — Eunomo — Tirreno. — „Pitagora aveva due fratelli. Il primo chiamavasi, Eunomo (buona legge), il secondo Tirreno ed egli Pitagora: riunisci insieme questi tre nomi e forse troverai tutti e tre i nomi che convengono ad una setta di filosofia, che ha per oggetto la felicità della nazione in cui è nata.“ — Cuoco, Plat. in Ital.
II. Pitagora fa discepolo di Ferecide. — „I Greci dicevano Pitagora discepolo di Ferecide — ma se il fosse realmente, la storia del discepolo, come meno antica, non potrebbe essere più favolosa della storia del maestro. — Nè simili possono dirsi le due dottrine — nè in si breve tratto tanto mutate. Alcune dottrine che in Grecia erano ristrette tra Savj, in Italia erano quasi volgari.“ — Cuoco. — Le te-stimonianze antiche non sono sufficienti per istabilire la verità tra tante favole posteriormente spacciate sull’educazione di Pitagora. Secondo gli uni i suoi maestri per la geometria sarebbero gli Egizj, anzi, al dire di Clemente alessandrino, per essere ammesso a’ loro misteri, avrebbe subita la circoncisione; i Fenicj gli avrebbero insegnata l’aritmetica, l’astronomia i Caldei, e da’ Magi avrebbe apparate le cose sante e morali. Secondo gli altri sarebbero suui maestri e i due Greci sconosciuti, Creofilo ed Ermodamo, nominati anche dal nostro Diogene, e Biante e Talete e Anassimandro ed in particolare Ferecide. Il Ritter sceglierebbe fra tutti Ferecide e gli Egizj, inclinando per altro a credere Pitagora maestro di sè stesso, e come il risultato del grande movimento scientifico della sua epoca. La qual cosa spiega, secondo lo storico alemanno, la somma influenza esercitata da Pitagora sulle scienze e sulla morale dei contemporanei e dei posteri.
III. Essendo giovine si absentò dalla patria. — „Gli antichi non attribuiscono queste filosofiche peregrinazioni a tutti indistintamente i loro sapienti; poichè se fanno viaggiare in Asia Pitagora e Platone, le cui idee coincidono si spesso co’ sistemi della Persia e dell’India, e’ non v’inviano nè Empedocle, nè Socrate, nè Epicuro, le dottrine dei quali appartengono all’occidente.“ — Matter.
IV. Come fosse stato Etalide — e però di tutto s’avea ricordato ec. — „Dal domma della metempsicosi, deduzione del domma dell’immortalità, si fece derivare quello della reminiscenza. Abbondano prove dei primi due, non così di quello della reminiscenza; nè si rinviene un solo passo pitagorico autentico, in cui l’[testo greco] si trovi positivamente annunziata. — Porfirio dichiara che null’altro con questo voleva dire Pitagora se non che l’anima è immortale, e che quando è stata purificata può risalire alla memoria della vita anteriore.“ — Cousin.
Soltanto rirnanenù la maschera. — [testo greco]. La parte di mezzo dello scudo; l’umbilico.
V. Nè uno scritto aver lasciato. — Anche i celebri versi dorati non sono di Pitagora; e gli antichi e gli stessi Platonici gli hanno per fattura di qualche discepolo. Se ne ignora l’epoca, e solo il dialetto dorico li fa credere nati nella Magna-Grecia. La critica moderna ha sentenzialo allo stesso modo anche gli scritti che si attribuivano a Timeo, ad Archita, ad Ocello lucano, e sono evidentemente falsi que’ che corrono sotto nome di Brontino, di Eurifamo e di altri antichi Pitagorici.
Molta perizia e mal’arte. — [testo greco]. Il Casaubono congettura [testo greco]. — F. Ambrogio traduce multaeque peritiæ et artis. Aldobrand. multarum rerum doctrinam malesque artes. L’Huepnero così volta l’intero passo: Selectisque his scriptis suam constituit sapientiam, multam peritiam et malam artem. — Queste male arti l’Aldobrandino sospetta essere le magiche.
VIII. Primo disse le cose degli amici comuni. — Intorno all’amicizia si attribuivano a lui anche queste sentenze: Trova un amico; con un amico tu potrai passartela degli dei. — L’amicizia è mezzo di perfezionamento continuo e di aggiugnere uno scopo prefisso.
Non cedevano mai Pitagora sinchè non fossero provati. — L’istituto che dicesi fondato da Pitagora si considera generalmente come una società segreta. Certo che prima di appartenere ad esso si doveva passare per prove ed iniziazioni. Racconta Gellio che Pitagora esaminava anche l’aspetto del candidato. Nulla sappiamo delle differenti classi degli adotti. Anche le donne erano ammesse tra questi, e numerose e celebri furono le Pitagoriche. Tanto fra gli uomini che fra le donne vi erano Pitagoristi e Pitagorei. I primi si stimavano piuttosto amici e devoti di Pitagora che suoi compagni. Archita tarentino, il vecchio Pendone, Timeo di Locri, Ocello lucano si addimandavano Pitagorei, perchè avevano udito Pitagora. I Pitagoristi erano uomini del popolo, i quali conoscevano poco le dottrine della setta, ma ne rispettavano le virtù; piuttosto amici che seguaci. — V’erano collegj pitagorici d’uomini e di donne, detti sistemi, e all’efficacia di sì fatte congreghe forse la Magna-Grecia dee la propria grandezza. — „La parola Orgia, ch’Erodoto adopera parlando delle assemblee pitagoriche, non lascia dubbio che Pitagora esponesse le sue idee religiose in una dottrina segreta. — Queste Orgie pare che si fossero sparse anche nella Grecia propriamente detta. Erodoto ne parla come di cosa generalmente conosciuta; assai più sparse per altro erano nella Magna-Grecia. Il perchè molte tradizioni attribuiscono a Pitagora una grande influenza nelle colonie italiane. E abbastanza avverato ch’ei passò da Samo a Crotone, e che ciò accadde nel suo quarantesimo anno.“ — Ritter.
X. Quelle che sono chiamate dee, vergini, ninfe ec. — [testo greco]. — Ecco in qual modo voltano i traduttori: Quae cum viris habitarent, eas deorum nomine conseri quippe et Puellas, Nymphas et deinceps Matres appellari. Hueb. — Quae, cum hominibus habitarent, eas dea rum nominibus puellas, nymphas, deinde matres, appellatas. Aldobr. — Que les filles, qui habitent avec des hommes sans changer d’ètat, doivent ètre censèes Deesses, Vierges, Nymphes, et ensuite nommèes Matrones. Traduz. franc., e colla solita disinvoltura!..
XI. Avere ben oltre condotta la geometria. — Pitagora è messo tra il novero dei fondatori più distinti delle matematiche. Questa tradizione è confermata dalla tendenza della sua scuola.
La regola tratta dalla corda sola. — Pitagora si ha per lo scopritore del rapporto dei suoni musicali, i cui effetti, sul cuore umano, applicò alla medicina. A questo solo vorrebbe taluno limitare la scienza medica del filosofo. Ma forse Pitagora il musico fu un altro.
XII. Abbia allevato colle carni gli atleti. — V’ha certo confusione nelle tradizioni che risguardano il sapere ginnastico e musicale di Pitagora; poichè Pitagora il filosofo è differente da un’atleta e da un musico dello stesso nome. Tuttavolta, dice Ritter, essendo la ginnastica tenuta, presso i Greci in generale, e particolarmente presso i Pitagorici, come una parte essenziale dell’educazione, non è inverisimile che Pitagora abbia stabiliti alcuni principi anche per essa, o che ne abbia fatto conoscere l’importanza per la vita morale.
Vietava uccidere gli animali — „Forse avrà predicato quella sua sublime legge di giustizia che lega tutti quanti gli esseri dell’universo, ed avrà detto agli uomini, ch’è ingiustizia esser crudele col più piccolo de’ viventi. L’insetto che calpestiamo ha, al pari di noi, una vita ed un diritto alla vita; chi lo disprezza si avvezza ad essere ingiusto e crudele.“ — Cuoco — Vedi Plutarco Dell’uso delle carni. — Ne’ Musei pitagorici non si offerivano sagrificj cruenti, quindi la voce che si vietasse l’uso delle carni. Forse col predicarne l’astinenza non s’inculcava che la temperanza.
L’ara d’Apollo, ch’è dietro la cornea. — [testo greco]. Intende l’ara cornea d’Apollo ch’era nell’isola di Delo, della quale dice Callimaco, nell’inno ad Apollo,
Fanciullo ancora e nell’età più acerba
Tessea di coma di caprette un’ara
Là dove le bell’acque Ortigia serba.
Trad. di Strocchi
Quest’ara passava per una delle sette meraviglie del mondo.
XV. Lui possedere la voce di dio. — „In questo luogo non [testo greco], ma solo [testo greco] parrai guasto dal copista, il quale ignorava che la voce era dorica. Diogene scrisse, se non isbaglio, [testo greco]. Voce italica è [testo greco], che significa possessore, per testimonianza di Esichio, e dalla quale è derivato [testo greco], verbo di cui parlò il Köenio Ad Gregarium Cor. p. 229.“ — God. Hermannus.
XVII. Simboli suoi erano questi. — Molti altri simboli pitagorici, di cui fanno menzione gli antichi, furono ommessi dal nostro Laerzio. Di questi simboli tratta a lungo Lilio Giraldi. Veggasi in Plutarco il parallelo tra la dottrina di Numa e quella di Pitagora. Certo è che nelle leggi di Numa appajono le orme della filosofia pitagorica, e non di rado colle stesse parole. Quest’era il sentimento anche di Plinio.
Non concorrere a togliere il peso, ma ad accrescerlo. — Massima indicante la necessità di saper sopportare la fame, la sete, i travagli d’ogni maniera.
XVIII. Proibiva che si mangiasse erutino e mulanuro. — Triglia e seppia? Agli Egizj era proibito nutrirsi di pesce. Non sagrificate pesci, avranno detto Numa e Pitagora; il volgo disse non mangiate pesci, perchè mensa e altare, sagrificio e pranzo, nella lingua antica, siccome per molti, nella moderna, erano spesso sinonimi!
Cicognizzare. — Sono troppo conosciute le qualità morali della cicogna (specie bianca) perchè se ne debba far qui l’enumerazione a schiarimento del passo.
Permetteva si mangiassero tutti gli altri animali, e soltanto ec. — Diverse opinioni corrono intorno alla proibizione di mangiar carni. Il meglio è tenersi ad Aristotele, il quale dice, che i Pitagorici non si astenevano che da qualche parte delle interiora e da certe sorta di pesce.
XIX. Chiamato Pitagora per aver predicala la verità. — Etimologia confermata da Suida alla parola [testo greco]. — „Pitagora si potrebbe tradurre il persuasore per eccellenza. Aristippo credeva che questo nome fosse stato imposto al più grande persuasore della verità.“ — Cuoco.
Principio di tutto essere l’unità ec. — „I Pitagorici si servivano di segni simbolici, che erano suscettivi di molte interpretazioni differenti, perchè il simbolo non corrisponde mai perfettamente alle cose significate. Essi adoperavano in differenti sensi un solo e medesimo segno. La formula che serviva ad essi per esprimere la proposizione principale della loro dottrina: Il numero è l’essenza ([testo greco]) o il principio ([testo greco]) di tutte le cose, non può essere presa in un senso simbolico. Trattasi sapere che intendessero per numero in quanto è concepito come principio di tutte le cose. Egli è chiaro che in questa dottrina e’ partivano dal punto di vista matematico, e per conseguenza dalla forma e non dalla materia del mondo sensibile. Quindi Aristotele derivava la dottrina dei Pitagorici dalla loro predilezione per le matematiche. Essi cominciavano dallo studiare questa scienza e dal considerare i numeri come principii dell’essenza matematica. E però possiamo riguardare i numeri de’ Pitagorici come uno di quei mezzi di rappresentazioni d’idee, dei quali usavano a preferenza, anche a costo d’impiegare un gran numero di paragoni torti e prove difettose onde confermare le loro opinioni. Per puntellare le loro speculazioni, osserva Aristotele, avevano stabilite molte rassomiglianze tra i numeri e le cose; e dove i due termini non coincidessero, aggiungevano qua e colà alla realtà. Per rendere verisimile la loro dottrina, che i numeri sono tutto, facevano osservare come molti fenomeni succedono secondo rapporti numerici, per mezzo di supposizioni arbitrarie. — Notisi che nelle formule pitagoriche ora è detto che i numeri sono i principii delle cose, ora che è il numero o l’essenza del numero. — Il numero, secondo i Pitagorici, è di due maniere, pari e dispari. Dicevano eziandio che l’uno è il pari e il dispari, lo che ci guida a dedurre che l’unità è semplicemente l’essenza del numero, o il numero preso assolutamente. Come tale, l’unità è anche il principio di tutti i numeri, e quindi è chiamata l’uno primo, non potendosi nulla di più dire sulla origine sua. In questo senso, ciò null’altro significa se non che tutto deriva dall’uno primitivo, dall’essere uno ch’essi appellano anche dio. — Un’altra specie di dottrina trovava l’essenza del numero nella decade. Se l’unità, dicevano, è principio della moltiplicità, ogni numero è fondato sulla decade, e però l’unità e la decade erano riguardate come il simbolo del principio di tutte le cose. La decade comprendeva ogni numero, ogni natura, quella del pari e del dispari, quella del movimento e del riposo, del bene e del male, ec. — Non meno fecondi sull’essenza del numero erano i Pitagorici nel simbolo della tetrade, che è, secondo essi, la sorgente e la radice della natura eternamente abile. Potevano comprendere, per la gran tetrade, la somma dei primi quattro numeri, per conseguenza il dieci, o la somma dei quattro primi numeri pari, e dei quattro primi numeri dispari, per conseguenza il numero trentasei. Finalmente chiamavano anche la triade il numero di tutto, perchè avvi un principio, un mezzo ed un fine. È indubitabile per altro che questi simboli tutti esprimono una sola e stessa cosa, cioè che un’unità, che contiene nello stesso tempo la moltiplicità, è il principio di tutte le cose; ed è questa unità che è rappresentata dall’uno primo, dalla decade, dalla tetrade o dalla triade. Ora, nella natura o nell’essenza del numero, o nel primitivo, sono contenuti tutti gli altri numeri, e per conseguenza anche gli elementi dei numeri, del pari che gli elementi del mondo e di tutta la natura ec. ec. — L’essenziale della teoria pitagorica è fondato in questo, che tutto, nel mondo, è derivato da rapporti matematici, e che i rapporti di spazio e que’ di tempo si spiegano mutuamente per mezzo di rapporti numerici. Tutto deriva dall’uno primitivo, sviluppandosi in un gran numero di unità; tutto deriva anche dalla moltiplicità di questa unità o dai numeri. Ora, supponendosi qui che, per la composizione delle unità, nascano differenti rapporti, secondo le differenze degli intervalli, pare che i Pitagorici a questo abbiano ridotta ogni differenza, in conformità alla loro teorica musicale; non potendo trovare alcuna differenza nella unità o punti. E perchè questa dottrina non potea restare soltanto speculativa, si dovette indicare la differenza dei rapporti nel mondo. Riflettendo per altro alla difficoltà di stabilire simile differenza, non dovremo meravigliarci osservando ricorrere i Pitagorici ad ipotesi arbitrarie. Si può anche dare per ragione di quest’ipotesi un pensiero generale, intellettuale, puro, preso dal desiderio ch’essi avevano che tutti i rapporti del mondo fossero armonici, o, in generale simmetricamente ordinati. — L’unità del mondo essendo composta, com’essi mostravano, di elementi contrarj, doveva esservi un legame proprio a tenerli in relazione tra loro, e questo legame era l’armonia ec. — Ritter. — „I Pitagorici, secondo Plutarco, chiamavano, l’unità Apollo, la dualità Diana, il settenario Minerva, il principio cubo Nettuno, lo che, dice, corrisponde alle sculture ed alle pitture che sono ne’ templi. — (Iside o Osiride). — „Nè Pitagora nè i suoi seguaci, si sognarono mai che la natura constasse di numeri, ma s’ingegnarono essi di spiegare il mondo ch’era fuori da esso loro per mezzo di quel mondo che nella loro mente s’erano composto. Stessa cosa dei punti di Zenone come principi delle cose.“ — Vico. — „Pitagora invece di fermarsi ai fenomeni, non considera che la loro relazione. Relazione astratta, non percettibile che al pensiero. — Carattere della scuola italica è di essere eminentemente matematica, astronomica e, nello stesso tempo, idealistica. Le matematiche si fondano sull’astrazione e si collegano coll’idealismo. — Questa scuola neglige i fenomeni per le loro relazioni, ch'ella sottopone a formole di una relazione numerica, sulle quali fonda i fenomeni stessi, fondando così sull’astratto il concreto. I fenomeni della natura non sono per lei che imitazioni di numeri ([testo greco]). Questi numeri sono principii attivi, cagioni. Quindi il sistema astronomico decadario. E siccome il numero dieci ha la sua radice nell’unità, questi dieci grandi corpi girano intorno di un centro che rappresenta l’unità. Il centro del sistema mondiale, secondo l’apparenza, i sensi e la scuola ionica, è la terra; il centro del sistema mondiale, secondo la ragione, l’astrazione e la scuola italica, è il sole. Ora siccome il sole rappresenta l’unità, e l’unità, quantunque principio attivo, è immobile, il sole è immobile. Le leggi dei movimenti dei dieci grandi corpi intorno al sole costituiscono la musica delle sfere; e il mondo intero è un tutto disposto armonicamente ([testo greco]). — L’anima, secondo i Pitagorici, è un numero che si muove da sè. L’anima, in quanto numero, ha per radice l’unità, cioè dio. Dio, come unità, è la perfezione. L’imperfezione consiste nell’allontanarsi dall’unità; è un perfezionamento lo andar sempre dall’imperfezione al tipo della perfezione, cioè a dire dalla varietà all’unità. Il bene è dunque l’unità, il male la diversità; il ritorno al bene è il ritorno all’unità ([testo greco]). Per conseguenza la regola di ogni morale è la somiglianza dell’uomo con dio ([testo greco]), cioè a dire il ritorno del numero alla sua radice, all’unità; e la virtù è un’armonia ([testo greco]). Quindi la politica pitagorica è fondata sopra una relazione di eguaglianza che dà come principio sociale la legge del taglione; e la giustizia è un numero quadrato ([testo greco]). — Forse è gloria di questa scuola l’avere introdotto la morale nella politica, ma le fa torto l’aver voluto ridurre la politica alla morale, e l’avere convertito, per tal mezzo, la città in una specie di cenobio. Si accusò la politica pitagorica di avere assai inclinato all’aristocrazia. Fosse pur tutta morale, essa non cessava di essere un’aristocrazia, e tanto più da temersi, in quanto che pesava sulle umane creature con tutta la gravezza dell’idea sacrosanta della virtù.“ — Cousin.
XIX. Dai numeri i punti ec. — „I Latini confusero punto e momento, e per l’una e per l’altra voce intesero una stessa cosa, e cosa indivisibile; per momento propriamente s’intese cosa che muove. Pitagora disse le cose constar di numeri: i numeri si risolvono ultimamente nell’unità; ma l’uno e l’altro punto sono indivisibili e pure fanno il diviso; quello il numero, questo la linea, e tutto ciò nel mondo degli astratti. Dunque nel mondo vero e reale vi ha un che indivisibile che produce tutte le cose, che ci danno apparenze divise. Perchè, per l’istessa via, aveva io investigato i nostri antichissimi filosofi avere nelle loro massime, che l’uomo talmente opera nel mondo delle astrazioni, quale opera Iddio nel mondo delle realità. E così il modo più proprio di concepire la generazione delle cose s’apprende dalla geometria e dall’aritmetica, che non in altro differiscono che nella spezie della quantità che trattano: del rimanente sono una cosa istessa, talchè i matematici, conforme vien loro in talento o più in acconcio, dimostrano una stessa verità ora per linee, ora per numeri.“ — Vico in difesa dell’Op. de Ant. Ital. sapient. — „La monade era il punto, la diade la linea, la triade la superficie, la tetrade il corpo geometrico; la pentade poi era il corpo fisico colle sue proprietà sensibili, che tutte derivano dalla superficie. Il che s’accorda colla teorica degli elementi, che da prima avevano portati al numero di cinque per riguardo della loro derivazione dai cinque corpi regolari. A questi corpi riducevano la figura degli elementi: al cubo la terra, alla piramide il fuoco, all’ottaedro l’aria, all’icosaedro l’acqua, al dodecaedro il quinto elemento, che pare non abbia preso il nome di etere che più tardi. I Pitagorici trovavano analogia anche tra i cinque elementi e i cinque sensi.“ — Ritter.
Il calore cagione di vita. — „I Pitagorici davano al fuoco il primo posto tra gli elementi. Lo consideravano in qualche modo come il principio della vita del mondo. Il perchè gli assegnavano anche il posto più onorevole, cioè a dire, secondo le loro idee, il limite esterno e interno, e perciò la superficie e il centro del globo, insegnavano dunque che al centro del mondo è il fuoco, guardia e torre di Giove (Διὸς φυλακή, Ζηνὸς πῦργος), ch’è cubico, perchè il cubo è il corpo più perfetto, a cagione de’ suoi tre intervalli eguali ec. Da questo fuoco centrale esce quello che penetra il mondo, e che ne abbraccia tutta la superficie più eccentrica.“ — Ritter.
Triplicemente dividersi l’anima. — Qui la forza d’animo propria dell’uomo sarebbe chiamata φρένες; il principio animale νοῦς e θυμός, per modo che la prima avrebbe seggio nel cuore, il νοῦς ed il θυμός nell’encefalo. Ciò s’accorda, dice Ritter, con quanto scrive Plutarco, ma non con altre tradizioni. I più antichi distinguevano un elemento ragionevole ed uno non ragionevole, e questo solo era il partaggio degli animali. S’attribuì in seguito a’ Pitagorici la stessa divisione delle facoltà dell’anima che si trovano in Platone, cioè l’appetito, il coraggio e la ragione.
La virtù essere un’armonia. — Quest’armonia non è bene specificata. Sembra verisimile che consistesse nell’accordo del ragionevole e dell’irragionevole, nel corso della vita. In questo senso si servivano anche della musica per calmare le passioni e per eccitare la forza dell’attività razionale. — „Pei Pitagorici, al dire di Proclo, tutte le virtù non sono che vie per giugnere all’amore. — Verità profonda, che separa le due parti della morale, l’una particolare, che si compone di probità e di esatta giustizia, l’altra dì carità e d’amore; verità che il cristianesimo rese popolare, e che Aristotele espresse dicendo, che se tutti amassero, non vi sarebbe più bisogno di giustizia, perchè non vi sarebbe più mio e tuo; e che, per converso, quand’anche la giustizia fosse osservata, vi sarebbe mestieri ancora del legame dell’amore.“ — Cousin.
Aver ordinato di astenersi dalle fave. — A’ tempi di Numa non si offrivano fave agli dei. Chi sa perchè? Quindi, assai anticamente in Roma alcuni sacerdoti non ne mangiavano, anzi neppure potevano nominarle. — La proibizione delle fave, secondo Erodoto, è d’istituzione egiziana. Aristosseno dice al contrario che Pitagora le raccomandava di preferenza a tutti gli altri legumi.
Non geniculate — oligarchiche. — Non geniculata essendo la pianta della fava, mancava di quella parte che i supplichevoli soleano toccare; quindi senza ginocchia equivaleva a senza misericordia, come chi dicesse senza orecchie; e tali erano le porle d’averno. Oligarchiche sono dette perchè i pochi si sceglievano co’ voli e si votava colle fave. Anch’oggi diciamo vincere un partito colle fave.
Perchè sacro al Mese. — [testo greco], che il Casaubuono vorrebbe corretto con [testo greco]. — [testo greco] erano uno stesso dio; — [testo greco]. Parole, secondo che osserva l’Huebnero, ommesse dal Menagio, perchè ommesse da Suida e dall’Ambrogio come spurie. Il Monachio congettura: [testo greco].
XXI. Morì Pitagora in questo modo. — „I Pitagorici, raccontano, avendo acquistata grande autorità negli affari politici di Crotone, vi stabilirono una forma di governo quasi aristocratica. La loro autorità deve essersi estesa alle altre colonie greche in Italia, Sibari, Metaponto, Locri, Taranto, ed essere stata particolarmente ostile ad ogni tirannide. Ora, elevatosi un Telide alla tirannia di Sibari, gli aristocratici suoi nemici fuggirono a Crotone. Il tiranno chiese che gli fossero consegnati; ma i Crotoniati, per istanza di Pitagora, glieli dinegarono, e ciò fu causa di guerra tra le due città. I Crotoniati, comandati dal pitagorico Milone, vinsero i Sibariti, e ne distrussero la ricca città. Questo avvenimento riuscì fatale a’ Pitagorici; poichè, surta lite, per la divisione del bottino, tra essi ed il partito popolare, Cilone, che ne era capo, e che, si diceva, non era stalo ammesso nella comunità pitagorica, a cagione delle sue sregolatezze, in una sommossa assalì i Pitagorici nella casa di Milone, e quivi la maggior parte ne uccise. Pitagora stesso, com’è fama, campato a questo pericolo, fuggì in altre città d’Italia. Ma sino a queste giunta la persecuzione de’ Pitagorici, egli trovò finalmente la morte a Metaponto. Fu in seguito tenuto in grande venerazione; e anche a’ tempi di Cicerone mostravasi il proprio luogo in cui si credeva ch’e’ fosse perito. La persecuzione de’ Pitagorici cagionò grande movimento in Italia. Le loro case furono incendiate, i più distinti cittadini banditi, sino a che le sette si riconciliarono per la mediazione degli Achei, e la forma democratica del costoro governo fu ìntrodotta. Si può verisimilmente considerare la persecuzione provata da’ Pitagorici, al pari dei loro principi politici, come la causa della comparsa di un gran numero di essi nella Grecia propriamente detta. Altri nonostante rimasero in Italia, e vi mantennero una grande influenza politica. Le molte tradizioni sulla propagazione della scuola Pitagorica sono manifestamente inventate ec. » — Ritter.
XXIII. Pitagora morì di ottant’anni. — Anche la cronologia di Pitagora è assai dubbia. Secondo Eusebio morì di settantacinque anni nel 499. Tra le molte opinioni disparatissime ve n’ha una che fa morire Pitagora di novantacinque anni. Visconti, per le acute ragioni che si possono vedere nella sua Iconografia, assente ad Eusebio.
Egli insegnava — Di non essere ingiusti, e il fu cogli altri. — Osserva il Rossi che nulla v’ha qui da mutare, perchè Laerzio, al paragrafo 12, scrive, che è fama avere Pitagora il primo allevato atleti colle carni, quantunque poco dopo ciò attribuisca al Pitagora [testo greco].
Chi era Pitagora? — Vi fu egli? — Ve n’ebbe più d’uno? — Lo precesse il Pitagorismo? — Lo seguì? — Nacque in Italia? — Oppure venne di fuori? e donde? e quando? — La rassodia che per noi si trascorse è ben lungi dal rispondere a quistioni antiche quanto la storia, coperte di velo densissimo! Non è da questo luogo nè da me raffrontarle! Tuttavolta piaccia all’acuto lettore che qui si soggiungano alcuni brani di opere, in cui toccasi dell’argomento, e massime di una, profonda più ch’altri non crede, il Platone in Italia, le cui note l’infelice autore, colpito di demenza, consegnò alle fiamme prima di morire. — „Quando io veggo molte favole immagino molta antichità, ed allora il soggetto cui le favole si attribuiscono diventa per me un essere ideale. — Io ardisco dirti che Pitagora non ha esistito mai; che altro egli non è che un’idea immaginata per dinotare un sistema di cognizioni che ha incominciato da tempi molto antichi, che si è conservato e tramandato per mezzo di un collegio di sapienti, che e nato e cresciuto in Italia.“ — „Si dice che Pitagora abbia al tempo stesso scoverta la proprietà dell’ipotenusa, le proporzioni della musica e le leggi dell’armonia celeste. Non vedi che queste verità non si possono scoprire da una stessa persona, e che colui il quale sa tanto poco di geometria da ignorare la proprietà dell’ipotenusa, non ne può poi saper tanto da calcolare le proporzioni dell’armonia? Se è vero che Pitagora abbia scoperto le proprietà dell’ipotenusa, ha dovuto essere molto antico; se ha scoperto il sistema celeste, ha dovuto essere molto moderno.“ — „Pitagora non potrebbe essere il Lino e l’Orfeo degli Italiani? Il suo nome (persuasore per eccellenza) non ripugna a questa supposizione.“ — „Io ritrovo la filosofia di Pitagora nella lingua che parlano gli abitatori dell’interno dell’Italia, i quali al certo non hanno potuto discendere dalle colonie greche, quali si dicono essere Taranto, Crotone, Sibari. La lingua che parlano questi Italiani, non ha certo veruna origine greca. — Ora fingi per poco un filosofo il quale sorga in una nazione dove si parli questa lingua (l’italiano). La lingua presto o tardi genererà nella sua mente pensieri simili alle parole.“ — „Della dialettica italiana era parte quella che noi chiamiamo metafisica. — Frammenti dialettici di Parmenide e di Archita; il Parmenide di Platone. Rapporto tra la dialettica e la lingua. Il libro di Vico, De antiqua Italorum sapientia ex linguæ latinæ originibus crueda. Conseguenza, la dialettica italiana non ha potuto venire dalla Grecia. — Osservazioni sulla storia della matematica nella setta italica. Scoperte falsamente attribuite a’ Greci. Errore di attribuire a Platone la scoperta delle sezioni coniche e dell’analisi. Congetture sopra un’aritmetica speciosa, che gli Italiani avevano, e sulle estese applicazioni che ne avevano fatte alle altre scienze. Osservazioni sopra alcuni passi di Platone e di Aristotele sulla matematica degli Italiani. — I Pitagorici erano italiani: cerchiamo la ragione delle loro cose in Italia e forse la trovereremo. Si dimostra col fatto che tutti i proverbj pitagorici sono o leggi o riti o proverbj antichissimi degli Italiani. — Gli scrittori greci anteriori ad Alessandro non sono contrarj all’antichità italiana. Ma i posteriori cangiarono linguaggio, e diedero alla Grecia un’antichità che non aveva, e popolarono il mondo di Greci. Gli scrittori romani, posteriori ad Augusto, obbliarono le proprie memorie e seguirono le opere greche.“ — Cuoco. — „Ardisco ora, per tutto il ragionamento, asseverantemente dire, che Pitagora non avesse da Ionia portalo in Italia la sua dottrina: perchè cotal fu costume dei sofisti. — I filosofi uscivano fuori delle loro patrie e si portavano in lontani paesi, menati dal desiderio di acquistare nuove conoscenze. E così, come dicesi di Platone in Egitto, Pitagora in Italia a cotal fine portatosi, qui avendo apparata l’italiana filosofìa, e riuscitovi dottissimo, gli fosse piaciuto fermarsi nella Magna- Grecia, e in Crotone, ed ivi fondar la sua scuola.“ — Vico. — „Quello che Buonafede chiama romanzo pitagorico, accumula tante cose che non si possono appropriare ad un uomo solo, siccome osserva il Vico. Secondo un antichissimo costume con denominazioni personali si distinguevano popoli e corporazioni. Con ciò l’istituto sacerdotale pitagorico viene rivelato come esteso da per tutto dove si estese l’antichissima sapienza, ed oggi stesso nell’India sta nella scuola Sanchià.“ — Romagnosi. — „Pitagora... nostrale anzichè greco, e nudrito della vecchia sapienza dorica, etrusca e pelasgica, fondò la scuola italica, e fu l’effigie più splendida che si trovi nella storia del prisco senno italiano. — I Pitagorici ritrassero al vivo la mente enciclopedica degli Italiani, e abbracciarono ogni disciplina... studiando le attinenze reciproche di tutto lo scibile, e accoppiando al rigor dottrinale il lenocinio dei miti e il simbolismo dei numeri.“ — Gioberti.
CAPO II.
Empedocle.
I. Agrigentino. — [testo greco] di Agrigento, oggi Girgenti in Sicilia.
Vinse col cavallo da sella. — [testo greco].
II. Ch’egli udisse Pitagora ec. — Nato, come si vedrà più innanzi, nell’Olimpiade settantesima quinta, non poteva essere tra gli uditori di Pitagora, e però non va annoverato, seppure il fu mai, tra’ primi, ma fra i secondi Pitagorici.
Emulo ed imitatore di Parmenide. — Parmenide era discepolo di Senofane, fondatore della scuola d’Elea. — „Io credo che le dottrine di Empedocle e degli Eleati sieno fondate sugli stessi principj. Non che Empedocle fosse in ogni cosa d’accordo con essi su tutti i punti, ma la tradizione dimostra che la sua fisica uscì dalla loro.“ — Ritter. — „D’ordinario lo si pone tra Pitagorici, ma i documenti in proposito sono parte recenti, parte favolosi, e contrarj alla cronologia. Avvi, per verità, nella sua dottrina qualche traccia della pitagorica; ma ciò ch’egli potè appropriarsene si riduce a poco, e non è essenziale.“ — Ritter.
IV. Faceva incantamenti. — Al dire di Scinà, che lo purga di ogni accusa di magia, il meraviglioso sapere di Empedocle, tanto in fisica che in medicina, gli attirò, dall’ignoranza invidiosa, questa calunnia. L’antichità per altro ebbe a considerarlo come un ente sovrumano, un nume, e forse ei stesso, secondo che appare da’ suoi frammenti, attribuivasi una scienza che sembra oltrepassare ogni umano potere. A mostrare quanta fosse la celebrità di Empedocle basti ciò che giunse a dire Lucrezio di lui, che, cioè, credibile non pareva ch’e’ fosse di progenie umana.
E i turbini che soffiano la state. — [testo greco]. Lommatzschius in un suo libro di Empedocle approva l’interpretazione della volgata. Vedi molte congetture di molti eruditi nella nota di Huebnero a questo verso, dopo il quale J. Cühnio crede vi sia una lacuna.
V. Pausania — Soprannomato il medico. — [testo greco] qui significa che ha un nome conveniente alla cosa; poichè Pausania, scaccia-dolori, a buon dritto, essendo tale, doveasi chiamare il medico.
IX. Procedendosi nel bere. — [testo greco], cioè il [testo greco], che precedeva il desinare degli antichi, ed era il gustare che facciasi di alcuni vini, non di rado addolciti col miele, prima di pranzo.
Medico sommo Acrone ec. — È impossibile esprimere in Italiano il giuoco delle parole [testo greco] ec.
XI. Quindi egli morì nel Peloponneso. — La favola ch’è si gettasse nell’Etna fu confutata, appena si divulgò, dagli stessi amici del filosofo, il quale, recatosi di certo a’ giuochi olimpici, più non comparve in Agrigento.
Fiorì nell’ottantesima quarta Olimpiade. — Quando Girgenti, scosso il giogo de’ suoi tiranni, si rivendicò a libertà, e corsero i più felici tempi della siciliana grandezza. — Scinà fa nascere Empedocle circa l’Olimpiade settantesima quinta; quattro o cinque Olimpiadi dopo Anassagora, e due o tre prima di Socrate.
XII. Erano sue opinioni queste. — Ecco, al possibile in iscorcio, il sistema Empedocleo, svolto colla solita acutezza dal Ritter. — „Empedocle, partendo dall’idea eleatica che ciò che è vero è uno, considera siccome uno il mondo. Simile nella sua unità ad una sfera, ei lo chiama sfero. Lo sfero è rotondo, pago di riposo, immobile nel seno, possente dell’armonia, ed è, secondo gli antichi, il dio di Empedocle. Unità perfetta, opra dell’amore, esso è diretto da questo sovrano della felicità e dell’innocenza della vita ec. L’amore è la forza unitrice, la sola forza vera che dal centro del mondo, ov’è il centro della sua attività, penetra tutto. Quest’amore è una necessità da cui dipende ogni cosa ec. L’unità dello sfero contiene tutti gli elementi dell’esistenza, rinchiusi nell’amore ec. Ma quest’unità della natura disparve per la colpa stessa dei membri del dio. Era necessità che il male e l’omicidio imprimessero una macchia ai membri uniti di un démone e ciò per sempre. Così, al pari dell’amore, si concepisce, nelle stesse cose, da Empedocle la forza dell’odio distruttore ec. Nelle cose naturali distingueva la forza movente e la massa ch’è mossa. La sua fisica è meccanica. — Ammetteva quattro elementi, sotto nome di iddii, i quali rappresentano l’antica mitologia, poichè compaiono come numi, come forze immortali della natura, e formano ciò che costituisce i fenomeni particolari del mondo. — La separazione degli elementi, uniti in origine e immobili nel seno dello sfero, s’operò da principio per l’odio. — Talvolta l’odio unì, l’amore separò; poichè entrambi uniscono e separano. — L’odio decompone la mescolanza degli elementi, e mescola il fuoco col fuoco, l’aria coll’aria, ogni elemento coll’elemento simile, mentre l’amore agisce ne’ contrarj ec. — Per ispiegare i fenomeni egli non parte dalla dominazione dell’amore, ma forma le singule cose per mezzo di uno stato in cui l’odio le muove, e le ha isolate separando un elemento da un altro, quantunque lo stato primitivo fosse al tutto diverso. Consegnenza del suo carattere sacerdotale, che cercava ricondurre al bene il mal presente con pratiche morali. Le prime formazioni furono mescolanze elementari, sole, aria, mare, terra, da cui nacquero gli enti organizzati ec. Pare ch’ei concepisse una evoluzione di sistema mondiale, dipendente dal perfezionamento dell’organizzazione, in principio imperfettissima, come ne’ vegetabili, formali i primi, per l’azione solare e per gli altri elementi, anche innanzi che il giorno e la notte si separassero, e che i raggi del sole fossero sparsi intorno la terra. — Dalla mescolanza umida della terra fa da principio sortire, per l’azione del fuoco, la forma avviluppala ([testo greco]). Questi tipi non sembrano essere che i germi dei membri isolati; poichè l’amore forma prima ad uno ad uno i membri degli animali, ed essi si uniscono senza formare un tutto, impediti dall’odio di combinarsi a tale scopo. Ma l’amore trionfa, e li raccoglie e ne forma un tutto armonico, per quattro gradi di sviluppamento: prima produzione dei membri isolati; poi la loro unione disordinata, origine dei mostri; in seguito l’unione naturale; finalmente la propagazione degli animali nelle singule specie. Ora non essendo che quattro gli elementi primitivi, le varie specie del mondo sensibile non possono provenire che dalla loro svariata combinazione. Dessi pajono differenti secondo la diversità del rapporto delle parti costitutive fra loro. — Sembra che Empedocle facesse un grande sforzo per determinare il rapporto ([testo greco]) della mescolanza de’ quattro elementi fra loro ne’ diversi membri organici. L’azione che presiede a queste ordinate mescolanze va considerata come un attributo dell’amore, ed ei considera la natura organica siccome una transazione alla vita felice nello sfero; poichè la natura delle piante equella degli animali è parente a quella dell’uomo, e i sapienti sono destinati alla vita divina. Il che s’accorda colle sue idee morali, o piuttosto sacerdotali, della vita, e colla sua dottrina della migrazione degli spiriti in diversi corpi. Il suo carattere ieratico appare sopra tutto nell’opposizione che vi ha tra la vita felice assoluta e la vita deplorabile dell’uomo e delle cose nel mondo, per una trasgressione antica, da espiarsi, e per le purificazioni, [testo greco], ed anche per l’opinione di un’unione più intima col divino ec. — Tutto è pieno di ragione e partecipa alla conoscenza, e però tutto, nel mondo, partecipa di una natura demoniaca e spirituale: gli stessi elementi infiammati di odio e d’amore sono eziandio ciò che conosce. Ora le singole parti elementari, separate dallo sfero, e mosse dall’odio, non godono nella vita del mondo di alcun riposo; da che, mosse dall’odio contro il resto delle cose, l’odio le persegue anche in ogni cosa, il soffio etereo le spinge con forza nel mare; il mare le vomita sulla terra; la terra le abbandona agli sguardi del sole infaticabile, che dal canto suo le abbandona ai turbini dell’etere ec. — Queste parti, mosse dall’odio, non hanno direzione certa, sebbene pajano dotate di un movimento proprio, generandosi l’odio ne’ loro stessi membri; ma questo moto è disordinato ec. — Da questi moti le parti elementari acquistano differenti forme; e in questo consiste ciò che chiamasi la metempsicosi di Empedocle. — Siccome nella vita cosmica non possiamo permetterci alcun riposo di spirito, così non possiamo sperare alcuna sicurezza di pensiero, finchè ci abbandoniamo alla vita sensibile, e che non cerchiamo la verità nel profondo del nostro cuore; quindi la conoscenza del mondo, come la vita del mondo, nella dipendenza di ciò che ci colpisce, nel movimento delle molecole elementari. Empedocle ammetteva il simile essere conosciuto dal simile, conoscendosi da noi la terra per la terra, l’acqua per l’acqua, l’amore per l’amore ec. Il che torna alla percezione sensibilo, la quale risulta dall’azione dell’unione meccanica de’ corpi tra loro; unione operata da emanazioni ed effondimenti delle cose, i quali suppongono delle correnti in altri corpi con pori proporzionati. Pare ch’egli spiegasse l’unione delle impressioni sensibili, nella coscienza dell’uomo, per la confluenza del sangue nel cuore. Questa conoscenza per altro, a mezzo dei sensi, non è che subordinata; essa dà l’opinione, non la vera scienza. Onde non dobbiamo fidarci a’ sensi, ma cercare la verità col mezzo della ragione ec. Nulla di meno, facendo egli derivare, da un canto, la conoscenza dai sensi, e dall’altro, rigettando la conoscenza sensibile, la sua dottrina parve scettica a molti. Ma questi non abbadarono ad uno scopo di purificazione della rappresentazione sensibile, la quale potè sembrargli un mezzo atto a spogliare l’anima dei moti dell’odio, e quasi un santo delirio che ci sottrae al mondo sensibile. — Così la dottrina eleatica condusse Empedocle per vie opposte, cioè, il punto di veduta sensibile e il punto di veduta razionale dell’ente, ad una contemplazione mistica delle cose. Primo tentativo di rettificare, conchiude il Ritter, il mondo delle conoscenze sensibili colle pure idee della ragione. Prima volta che l’elemento speculativo è stato distinto, nel pensiero, dall’elemento empirico, e che, per questo mezzo, fu la coscienza preparata alla vera idea della filosofia, ec. ec.“ — Questo filosofo intese quella forza che noi oggi diciamo affinità, e ch’ei poeticamente nomina amicizia, la quale congrega le particelle omogenee, ed intese del pari una forza contraria che disgrega i composti, da lui detta odio, e ne fece partecipe il fuoco ec.; pose per gli animali ed i vegetabili uno stesso fine, il riprodursi, e venir la pianta dal seme come l’animale dall’uovo, ed essere comune la natura dell’uomo e del seme, chiamando ovipare le piante, e così precedendo il Cesalpino e l’Harvey; preparò a Linneo il sistema sessuale delle piante, di cui conobbe il fecondarsi mediante la mescolanza dei sessi; Empedocle scoprì nell’orecchio, dilicatissima ricerca, la chiocciola, e riconobbe l’udire dal percuotere dell’aria nell’orecchio; conobbe il peso dell’aria e vide ciò che il sommo Galilei non seppe spiegare ai fontanieri di Boboli; stabilì farsi, negli animali e ne’ vegetabili, la nutrizione per mezzo di pori, e per mezzo di pori la traspirazione; disse, divinando in parte il Newton, i colori non essere sui corpi, ma negli occhi, così chiamandosi i movimenti eccitati nei nervi, ed essere quindi le sensazioni bensì reali, ma non rappresentanti la vera natura dei corpi; Empedocle insegnò forse i primi elementi del sistema dinamico alemanno; egli imaginò una cosmogonia, i cui sogni furono adottati da E. Darwin; finalmente non ultimo testimonio del suo stupendo ingegno fu il vedere laute cose per congettura e l’accorgersi quanto la sua età andasse lontana dal vero. — Piacenti conchiudere questa lunga nota con un passo di Plutarco (del primo freddo), dal quale è manifesto che non solo gli antichi conobbero il fuoco centrale, ma che Empedocle pensò, di tanto precedendo i moderni, i monti formarsi per emersione, e quest’emersione essere cagionata da quello. — „Questi precipizi, queste rupi elevale e questi scoglj che noi reggiamo, Empedocle stima essere sollevati e sostenuti dal fuoco ch’è nel profondo della terra.“
XIII. I suoi libri intorno la natura. — I tre libri della natura erano la celebratissima delle sue opere, dalla quale sono tratti i principali frammenti che noi possediamo, e che sono forse la più veneranda reliquia dell’antichità. — Il libro intitolato Purificazioni insegnava come la mente umana potesse, purificandosi, congiugnersi degnamente colla divinità. Pare al Ritter che questo libro non sia che una parte dell’altro sulla natura. Queste opere, in forma epica, erano imitazioni dei poemi didattici di Parmenide. Gli antichi vantano l’energia dei versi di Empedocle. — Del trattato medico non rimane vestigio, nè sicura è l’asserzione di Laerzio che fosse in versi, da che, secondo Suida, era in prosa. Anche il poema sulla sfera, che taluno gli attribuì, reputasi d’incerto autore. — Scinà, Vita e fram. di Empedocle, da cui traggo alcune notizie, radunò ed illustrò 393 versi di Empedocle. Sturz (Emped., Agrig., Lips., 1805) ne pubblicò con dotti commenti e correzioni 426. Anche Am. Peyron stampò a Lipsia nel 1810 Empedoclis et Parmenidis fragmenta. ex cod. bibl. taurinensis.
CAPO III.
Epicarmo.
II. A molti commentarj fece gli acrostici. — [testo greco] si traduce da altri brevi versi, da altri annotazioncelle.
CAPO IV.
Archita.
VI. Non mai ebbe il di sotto. — La fama della sua prudenza, dell’impero che aveva sopra sè stesso, della purezza de’ suoi costumi, del suo candore infantile è pervenuta sino a noi congiunta a quella di gran capitano; il perchè l’armi tarentine furono
“E temute e vittrici
“Finchè alla pugna le condusse il senno
“Del magnanimo Archita, e di lui prive
“Armi vinte dal vinto e fuggitive.
Monti, I Pitagorici.
VII. Aggiunse ad una figura geometrica il movimento organico. - Si allude forse alla celebre colomba volante.
Col mezzo della sezione del semi-cilindro. — A cessare un castigo che affliggeva i Delj, Apollo area ordinato che si duplicasse il numero di piedi quadrati che aveva il suo altare. Sembra che Platone e Ippocrale chio dimostrassero che ciò poteasi ottenere determinando due medie proporzionali continue fra il lato del cubo dato ed il suo doppio, e che Archita si servisse dei semicilindri. Eratostene spiegò questo problema col mesolabio. — Si attribuisce ad Archita la soluzione di altri problemi di geometria non che il ritrovamento della carrucola; anzi e non isdegnò di inventare uno strumento, il rumore del quale serviva a divagare e divertire i bimbi. Archita fu autore eziandio di una teorica musicale assai lodata e di un libro sull’agricoltura. Per altro non è autentica la maggior parte de’ frammenti filosofici che a lui si attribuiscono.
CAPO V.
Alcmeone.
I. Trattò, il più, di cose mediche. — Celebratissimo in medicina, non esigeva mercede da alcuno. Si crede che fosse il primo a notomizzare cadaveri ed a studiare la struttura dell’occhio.
Le cose sono due. — Forse la monade e la diade, principii, secondo i Pitagorici, dei fenomeni dell’universo — forse gli elementi o le qualità delle cose, doppj, opposti, contrarj.
CAPO VI.
Ippaso.
I. Ippaso metapontino. — Secondo altri da Crotone. Tiensi per un Pitagorico infedele, avendo mutate, al dire di Jamblico, le ragioni della scuola, e divulgatone gli arcani.
CAPO VII.
Filolao.
III. Crede tutto farsi per necessità. — La necessità, per avviso di Ritter, è qui posta in opposizione all’armonia, come la causa della perfezione alla causa dell’imperfezione.
CAPO VIII.
Eudosso.
II. Scrisse un’Octaedria. — Ciclo di ott’anni, al termine dei quali si aggiungono tre mesi.
VI. Corre fama ch’Eudosso ec. — Huebnero dice che questi pessimi esametri non compajono come tali che nella sola edizione dello Stefano. Or chi s’accorgerebbe, senza dividerli in righe, che fossero versi? Al paziente lettore, ignaro di greco, lo dica la mia versione al solito, anzi più che al solito, slombata, e compatisca alla non lieve fatica di aver tradotto in versi tanti epigrammacci, serbando, come mi sono proposto, anche in essi, una scrupolosa fedeltà; solo pregio di che parvemi suscettiva la versione di un libro, spoglio di ogni qualità di stile, ma autorevole e prezioso per la materia.