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annotazioni 237

Ne’ Musei pitagorici non si offerivano sagrificj cruenti, quindi la voce che si vietasse l’uso delle carni. Forse col predicarne l’astinenza non s’inculcava che la temperanza.

L’ara d’Apollo, ch’è dietro la cornea. — [testo greco]. Intende l’ara cornea d’Apollo ch’era nell’isola di Delo, della quale dice Callimaco, nell’inno ad Apollo,

   Fanciullo ancora e nell’età più acerba
     Tessea di coma di caprette un’ara
     Là dove le bell’acque Ortigia serba.

Trad. di Strocchi


Quest’ara passava per una delle sette meraviglie del mondo.

XV. Lui possedere la voce di dio. — „In questo luogo non [testo greco], ma solo [testo greco] parrai guasto dal copista, il quale ignorava che la voce era dorica. Diogene scrisse, se non isbaglio, [testo greco]. Voce italica è [testo greco], che significa possessore, per testimonianza di Esichio, e dalla quale è derivato [testo greco], verbo di cui parlò il Köenio Ad Gregarium Cor. p. 229.“ — God. Hermannus.

XVII. Simboli suoi erano questi. — Molti altri simboli pitagorici, di cui fanno menzione gli antichi, furono ommessi dal nostro Laerzio. Di questi simboli tratta a lungo Lilio Giraldi. Veggasi in Plutarco il parallelo tra la dottrina di Numa e quella di Pitagora. Certo è che nelle leggi di Numa appajono le orme della filosofia pitagorica, e non di rado colle stesse parole. Quest’era il sentimento anche di Plinio.

Non concorrere a togliere il peso, ma ad accrescerlo. — Massima indicante la necessità di saper sopportare la fame, la sete, i travagli d’ogni maniera.