Vita di Giacomo Leopardi/Capitolo XV
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285 Capitolo XV. DA RECANATI A FIRENZE. 182C-1827. Sommario: Arrivo a Rocanati. — L'Antologia di prosa. — Il Co- pernico e il Dialogo di Plotino e di Porfirio. — Cessazione del« l'assegno dello Stella. — Giacomo scrive allo Stella che la Antologia è finita. — Lettera alla Malvezzi. — Eitorno a Bologna. — La Malvezzi prega il Leopardi a diradare le sue visite; ed egli non si fa più vedere. — Relazione affet- tuosa con la famiglia Tommasini. — Lo Stella va a Bologna a trovare il Leopardi. — Enciclopedia delle cognizioni inutili e delle cose che non si sanno. — Il Leopardi a Firenze. — È ma- Iato d'occhi. — Quei letterati gli fanno gran festa. — Il ga- hinetto Vieusseux e le sue riunioni serali. — Ij Antologia. — Differenza d' opinioni fra i letterati che si riunivano da Vieusseux. — Il Leopardi e il Manzoni. — / Promessi Sposi e le Operette morali. — Ragioni della fredda accoglienza fatta alle Operette morali. — Giudizio del Montani. — Tristezze per la malattia d'occhi e per altre ragioni. — L' indice dello Zibaldone. Giacomo arrivò a Recanati l'il di novembre 1826, dopo un viaggio pessimo, ma in buona salute. È fa- cile immaginare la gioia di lui nel rivedere la fami- glia, specialmente Carlo e Paolina, e i lunghi discorsi che nei primi giorni avrà fatti con loro. A Recanati trovò un inverno men crudo di quello che aveva avuto l'anno innanzi a Bologna ; e scrivendo il 15 dicembre al Brighenti, gli disse che di salute stava comportabilmente e dei corpo aveva un poco men freddo die a Bologna, ma delVanimo un freddo che lo ammazzava. 286 CAPITOLO XV. La sua vita a Recanati fu questa : la mattina stu- diare, la sera tremare e bestemmiare.^ Non usciva mai di casa, non vedeva nessuno, non aveva altra distrazione dallo studio che i colloqui con la Paolina e con Carlo. Dato ordine alle cose sue, si mise subito alla compi- lazione della Antologia ; il cui lavoro assorbiva gran parte del suo tempo : e per quanto fosse grave e fa- ticoso, lo faceva volentieri, perchè andando innanzi sempre piti si confermava nella speranza di fareun^ opera non indegna dell'Italia^ Aveva, credo, stabilito fin da principio di dividere gli scritti per generi ; ma la di- visione e l'ordinamento dèlia materia gli dava poco pensiero: la difficoltà e la fatica maggiore stavano nella scelta degli scritti. Si trattava di compulsare qualche centinaio di volumi ; perchè egli voleva leg- gere, almeno scorrere accuratamente tutte le opere dalle quali sceglieva qualche passo, e copiava da sé i passi scelti. Per mettere insieme i diciassette che trasse dal Galilei, dovè leggere tutte le opere di lui. Se si pensa che erano ottanta e più gli autori dai quali cavò la materia onde comporre l'Antologia, si capirà facilmente la gravità del lavoro. Il 27 dicem- bre scriveva allo Stella che l'Antologia si avanzava rapidamente e che i soli pezzi estratti dalle opere del Galilei farebbero un librettino molto importante: < Sarebbero, diceva, letti con piacere da tutti ; lad- dove nella farragine fisica e matematica dello opero di Galileo noKsuno li leggo né li conosco. >' Poco dopo il suo arrivo a Recanati, una lettera dello Stella gli chiese facoltà di cedere al Sonzogno le Huc traduzioni dcW J'^pitteto o deW Isocrate, ch'egli aveva stabilito di ])ubblicaro nella lìihUoteca amena, e di mettere invoco in questa lo Operette mornli. Il Leo- pardi assenti, con poco piacere, alla prima domanda; ' y«dl SpUtolarlo, Tol. II, png. 188.
- Utm, png. 170.
' Idem, p«g. 186. DA RECANATI A FIRENZE. 287 non si mostrò disposto ad assentire alla seconda; e glie ne scrisse le ragioni,' alle quali lo Stella si ar- rese, promettendo che a gennaio avrebbe messo mano alla stampa delle Operette morali in un volume a parte. E di fatti a gennaio ne cominciò a mandare al Leo- pardi le bozze di stampa. Per quanto Giacomo spendesse, come ho detto, il più del suo tempo nell'Antologia, attendeva contem- poraneamente anche ad altri lavori. Rammentandosi di aver promesso allo Stella qualche articolo pel Nuovo RicogUtore, il 9 febbraio gli mandò il Discorso in pro- posito di un'Orazione greca di Giorgio Gemisto Pie- ione, col volgarizzamento della medesima; e poiché l'editore gli aveva suggerito di scrivere un articolo sopra r inutilità dell'^" lungo, gli rispose che ci avrebbe ]iensato, e ch'egli condannava quella lettera, benché non le mancasse l'autoritil e l'antichità; ma poi non ne fece niente. Probabilmente attendeva a scrivere in quel tempo il Copernico e il Dialogo di Plotino e di Forfìrio, che sappiamo da lui stesso essere stati com- posti nel 1827.* Non intendo con ciò di escludere che possano essere stati scritti anohe più tardi, a Bologna, o a Firenze, dove fu pure in quell'anno, come vedremo. È singolare lo sfavorevole giudizio che l'autore diede qualche anno dopo di questi due dialoghi, il primo dei quali è generalmente tenuto per uno dei migliori e più originali, e tutti due sono degnissimi di far parte delle prose da lui approvate. Ristampando nel 1834 a Firenze le Operette morali con due scritti nuovi composti nel 1832, non vi comprese il Copeiiiico e il Plotino e Porfirio, dei quali scriveva nello stesso anno 1832 al De Sinner : < Non vi mando le due prose, ' Vedi Epistolario, voi. II, pag. 181.
- Vedi la notizia premessa alla edizione napoletana delle
Operette morali, riprodotta nel voi. II degli Scritti letterari del Leopardi per cui'a di G. Mestica, a pag. 386. 288 CAPITOLO XV. perchè avendole rivedute, ne sono stato pochissimo contento, e credo che le sopprimerò tutte due, almeno l'una di esse, >' Ma poi non le soppresse; anzi dispose che tutte due fossero comprese nella edizione napo- letana delle Prose del 1835. E fu bene; poiché se il Dialogo di Plotino e Porfirio non differisce molto dalla intonazione grave e trista delle 02ìerette morali, il Copernico vi porta una nota di umorismo bonario, che contrasta piacevolmente con l'ironia amara do- minante nella maggior parte degli altri dialoghi. Il Copernico è una specie di commediola in quattro scene, della quale sono attori il Sole, le Ore e Coper- nico. 11 Sole, eh' è stanco di aggirarsi intorno alla Terra, manda unu delle sue ancelle, le Ore, a cercare un filo- sofo il quale persuada essa Terra che, se vuol essere illuminata dal Sole, deve risolversi essa a correre in- torno a lui. L'Ora va, trova Copernico sul terrazzo di casa sua, che stava osservando il cielo ad oriente, perchè il Sole non si levava; gli fa l'ambasciata, se lo fa montare sulle spalle e lo conduce al cospetto del Sole, ('opernico e il Sole hanno insieme un lungo colloquio, nel quale il Sole riesce non senza fatica a persuadere il filosofo a fare quello ch'ei vuole. La commediola ò in sostanza una fine canzonatura della superbia del genere umano, il quale, considerandosi come l'opera più perfetta della terra, collocò la terra noi centro dell'universo, per persuaderò a sé mede- simo eh' esso ne è il re, o che l' universo è stato creato per lui. Cucciata dal suo trono la Terra, gli uomini diventano quello che sono in realtil, quattro animaliizzi che vivono in su un pugno di terra tanto piccino, die il Sole non li arriva a vedere.^ Argomento dell'altro dialogo ò il suicidio, cioè la questione tanto dibattuta, so V uccidersi sia lecito o utile. Il Leopardi ' Kpi»lnlario, voi. II, pAg. 609,
- V<'<iì l^Roi'ABi», (tptré, ed. oit., voi. II, pag. CO. DA RECANATI A FIRENZE. 289
la discute ampiamente e serenamente, facendo esporre le ragioni che condannano il suicidio da Plotino, le contrarie da Porfirio. Anche questo dialogo è vòlto a dimostrare l'infelicità della vita umana; ma nel lungo dibattito la vittoria rimane a Plotino, il quale con- danna la morte volontaria, dicendola un atto fiero e inumano, un atto non di sapiente, ma di barbaro. Quando il Leopardi lasciò Bologna, né egli né lo Stella non fecero parola dell'assegno mensile che que- sti gli corrispondeva. Lo Stella, intendendo che l'as- segno servisse al poeta per mantenersi fuori di casa, lo fece senz'altro cessare col ritorno di lui in fami- glia; ma Giacomo, il quale doveva, credo, ritenere che l'assegno gli fosse pagato come compenso dei lavori, ai quali attendeva anche stando a Recanati, probabil- mente ne fu meravigliato e dolente. Se non che lo Stella il 3 febbraio 1827 gli scrisse: < Quantunque Ella si trovi in seno della sua famiglia, non voglio per- dere quella specie di diritto paterno ch'Ella mi ha conceduto, e con tutta libertà figliale mi deve dire in qualunque tempo le occorra : mandatemi del denaro — precisandomi in circa la somma. >' Naturalmente il Leopardi dinanzi a questa profi'erta si sentì disar- mato ; e con quella stessa lettera del 9 febbraio, con la quale aveva mandato allo Stella l'articolo per il Nuovo Ricoglitore, gli rispose che dal termine di ot- tobre in poi non gli aveva più richiesto l'assegno per- chè trovandosi in casa non ne aveva bisogno ; ma che al principio della prossima primavera sarebbe partito da Kecanati per essergli più vicino, e allora avrebbe profittato della sua offerta.' Lo Stella aveva fatto sapere da un pezzo al Leo- pardi che desiderava di rivederlo, e che, quando egli fosse tornato a Bologna, sarebbe andato a trovarlo ' Epistolario, voi. Ili, pag. 376, 877. 5 Idem, pag. 192, 198. Chiarini, Leop. 19 290 CAPITOLO XV. per passare alcuni giorni con lui. Il Leopardi, che aveva stabilito di partire da Recanati nell'aprile, scrisse il 18 allo Stella che l'Antologia era quasi finita, che il poco che rimaneva da fare sperava di compierlo presto, in modo ch'egli alla sua andata a Bologna trovasse il lavoro terminato.' E tre giorni dopo scrisse al Puccinotti, che il 23 sarebbe partito per Bologna, donde faceva conto di passare a Firenze e starvi tutta l'estate. Il saluto che sul partire dava alla sua Recanati era questo : < Ogni ora mi par mil- l'anni di fuggir via da questa porca città, dove non so se gli uomini sieno più asini o più birbanti; so bene che tutti sono l'uno e l'altro. Dico tutti, perchè certe eccezioni, che si conterebbero sulle dita, si pos- sono lasciar fuori del conto. Dei preti poi, dico tutti assolutamente. Quanto a me la prima volta che in Recanati sarò uscito di casa, sarà dopo domani, quando monterò in legno per andarmene: sicché mi hanno potuto dare poco fastidio. >'
- *
Nei cinque mesi della sua dimora a Recanati, a parte gli altri lavori che abbiamo accennati, scrisse anche una settantina di pagine dello Zibaldone; dove sono non pochi pensieri filosofici importanti e belli, che si accordano perfettamente con le dottrine ma- terialistiche, alle quali oramai era giunto. Quanto alla corriiipondenza epistolare, mantenne viva quella col Brighcnti e con lo Stella; pochissimo altre lettere scrisse, e pochissimo ne ricevè; no ricovò duo dalla Tommasini od una dalla Maestri; dulia Malvezzi, che aveva promesso di scrivergliene molto, nessuna; ri- cevè soltanto, pochi giorni prima di partire, il vol- < Vedi Kpittolario, voi. Il, pag. 201.
- Idem, pag. 202. DA RECANATI A FIRENZE. 291
garizzaraento, da lei pubblicato allora allora, dei Frammenti della Repubblica di Cicerone, senza nem- meno una riga che gli portasse le nuove e un sa- luto di lei. Questo assoluto silenzio probabilmente aveva una cagione ed un significato ; ma il poeta non cercò, non sospettò né l'una né l'altro. E pieno di fiducia le scrisse questo dolce rimprovero. < Mia cara Contessa, Finalmente un libro che mi vien da voi, mi dimostra che voi vi siete ricordata di me, una volta almeno, dopo la mia partenza: e una soprascritta di vostro carattere mi assicura che il libro non è opera postuma, e che mi viene per dono, e non per testamento o per codicillo. Le molte lettere che mi volevate scrivere, e mi avete promesso più volte, si son ridotte ad una soprascritta. Se mai aveste intenzione di cominciare adesso, cioè dopo cinque mesi, sappiate che non siete più in tempo, perch'io parto per Bologna questa settimana, o, al più tardi, in prin- cipio dell'altra. > Perciò non vi dirò nulla del vostro libro, dove io ammiro la sobrietà e il buon giudizio della prefa- zione, la purità, della lingua e dello stile, e le tante diftìcoltà superate. Né anche vi domanderò nuove di voi : perchè spero che presto potrò dirvi a voce tutto quel che vorrete sapere, e domandarvi tutto quello che vorrò saper io. Intanto amatemi, come fate cer- tamente, e credetemi yoar most faithfid friend, or ser- vant, or both, or what yen liJìe. > Arrivò a Bologna il 2G aprile ; ed, essendo morto il suo albergatore, prese alloggio alla Locanda della Pace sul Corso. Una delle prime sue visite fu certo per la Malvezzi, che con sua meraviglia trovò fredda e riservata. Forse lì per lì non diede grande impor- tanza al fatto, e tornò presto da lei. Quante volte ci tornasse, non so: certo poche. L'ultima di quelle poche, la contessa, vedendo eh' egli non capiva ciò 292 CAPITOLO XV. che in certi casi le donne vogliono far intendere con un eloquente silenzio, gli disse chiaro e tondo che quelle frequenti e lunghe visite da solo a sola la di- sturbavano. Egli allora capì, e non si fece più vedere. A spiegare la rottura fu poi inventata, non si sa quando e da chi, una scenetta da romanzo. Un bel giorno, dissero, l'innamorato poeta si gettò ai piedi della contessa, facendole una focosa dichiarazione d'amore; e lei, sorridendo fra la compassione e lo sde- gno, suonò il campanello e ordinò ad un servo di por- tare un bicchiere d'acqua al signor conte. La sto- riella, destituita di qualsiasi prova o testimonianza, non merita nessuna fede : bastano a smentirla la volgarità di essa e la nobiltà d'animo del poeta e della signora. Egli, interrompendo le sue visite, desiderò conser- varlesi amico, e tenne a farglielo sapere. Qualche tempo dopo, quando stava per andare a Firenze, le scrisse questa lettera, che non ha data. < Contessa mia. L'ultima volta che ebbi il piacere di vedervi, voi mi diceste così chiaramente che la mia conversazione da solo a sola vi annoiava, che non mi lasciaste luogo a nessun pretesto per ardire di con- tinuarvi la frequenza delle mie visite. Non crediate ch'io mi chiami offeso; se volessi dolermi di qualche cosa, mi dorrei che i vostri atti, e le vostre parole, benché chiare abbastanza, non fossero anche più chiare ed aperte. Ora vorrei dopo tanto tempo venire a sa- lutarvi, ma non ardisco farlo senza vostra licenza. Ve la domando istantemente, desiderando assai di ripe- tervi a voce che io sono, come ben sapete, vostro vero i' cordiale amico. >' Questa lettera ò, parmi, una prova che la contessa nell'aprirc l'animo suo all'amico usò parole o maniero cortesi ; ma <> anche una prova, secondo me, ch'egli, sentendosi punto, volle alla sua volta pungere lei. Per m < KpMotarh, voi li, p»g. 218. DA RECANATI A FIRENZE. 293 quanto il modo fosse cortese, il fatto era duro : non il letterato né l'amico, ma l'amante era stato messo alla porta. Io giurerei che la contessa non pronunziò allatto il verbo annoiare. Essa avrà pregato il Leopardi di diradare lo sue visite; egli finse di capire che la sua conversazione annoiava la signora, e si allontanò per sempre: non solo; ma quando credè di doverle fare una visita di pura convenienza, le domandò prima il permesso, — Si poteva essere più cerimonioso V — Non sappiamo che cosa la contessa rispondesse alla lettera del poeta; ma sappiamo che, se quella volta egli andò a trovarla, fu l'ultima; sappiamo che l'anno dipoi, scrivendo da Pisa all'amico Papadopoli nominandogli il poema allora pubblicato dalla si- gnora, non ebbe per lei che queste due parole di com- miserazione — povera donna — ; sappiamo che ri- passando da Bologna nella primavera del 1830, e trattenendovisi alcuni giorni, mostrò essersi dimen- ticato che vi dimorava la famiglia Malvezzi ; sappiamo finalmente che la contessa si dolse di ciò con una let- tera a lui, piena di ammirazione e di ossequio, la quale rimase senza risposta. Era così rotta anche quella nuova illusione che aveva confortato per alcuni mesi la vita dell' infelice poeta. Non è credibile che nei primi momenti non gli restasse nell'animo un po' d' amarezza, la quale più tardi (come in lui soleva) si accrebbe ; ma egli ora- mai era così fortemente temprato contro ogni sorta di mali, che non si lasciava abbattere da nessuno. Il sentimento che aveva altissimo della sua dignità gli faceva opporre un superbo disdegno ai colpi della fortuna e del mondo. Nelle sue lettere di questo tempo non troviamo nessun segno di dolore e di abbattimento. Il 18 maggio scriveva alla sorella Pao- lina : < La stagione anche qui è ottima, e io mi di- verto veramente un poco più del solito, perchè, grazie a Dio, mi sento bene, e perchè quest'essere 294 CAPITOLO XV. uscito dall'inverno non mi può parer vero, e non finisce di rallegrarmi; e perchè gli amici mi tirano, sono stato all'Opera già due volte (l'Opera si è avuta finora tre sere), e non mai in platea. >' Notisi che, mentre egli scriveva così, era afilitto da disturbi di stomaco, e malato d' occhi ; ma perchè era tranquillo, diceva di sentirsi bene, lavorava assidua- mente, e si svagava nella compagnia degli amici. Se gli erano venute meno le conversazioni serali della contessa, non glie ne mancavano altre, meno tenere ma non meno affettuose, e più placide. Si era stretto sempre più d'amicizia con le famiglie Tommasini e Maestri, che gli dimostravano un' ammirazione ed un affetto profondo e sincero. Il professore lo assisteva amorevolmente de' suoi consigli come medico e amico; la moglie e la figliuola si mostravano sollecite della sua salute e lo circondavano di premure; tanto ch'egli ben presto in casa loro, come già in casa Brighenti, si trovò quasi in famiglia. Con la seconda delle due lettere scrittegli a Re- canati la Tommasini si era rallegrata delle nobili e generose parole di lui sulla Grecia nel Discorso su Gemisto Fidane : ciò gli fece tanto piacere, eh' egli ri- sposo alla signora: < Ancor io riguardo i poveri Greci come fratelli; e so più si fosse potuto dire in loro fa- vore, lo avrei detto certamente in quell'articolo: nondi- meno considerata la impossibilità in cui siamo di par- lare liberamente, mi paro di averne dotto abbastanza. >* La rottura con la Malvezzi dovè, so non affrettare la sua andata a Firenze, scemargli il dispiacere di abbandonare iiologna, dove si era trovato così bene. Per risolversi alla partenza, aspettava la venuta dello Stella; e intanto lavorava a finire l'Antologia, con l'aiuto dell'amico Pepoli, che gli provvedeva i libri necessari. ' KpUtolurio, voi. II, pag. 908. * Idotn, pag. 200. DA RECANATI A FIRENZE. 295 Lo Stella arrivò intorno alla metà di giugno, prese alloggio nella locanda ove abitava il Leopardi; si trattenne cinque giorni, e in quei cinque giorni fe- cero vita in comune. Giacomo lo presentò al Bri- ghenti e ad altre persone di sua conoscenza; lo ac- compagnò e lo introdusse dove egli volle. Intanto combinarono insieme i loro affari; e lo Stella, che dal maggio in poi gli aveva fatto continuare il so- lito appuntamento, gli promise che d'ora innanzi gli avrebbe fatto pagare al mese qualche cosa più del- l'ordinario, ma non disse quanto. 11 Leopardi gli consegnò finita l'Antologia, che stabilì di chiamare con nome più appropriato Crestomazia, e s' intese con lui quanto alla prefazione, che promise mandargli presto. Propose poi di fargli una Enciclopedia delle cognizioni imttili e delle cose che non si sanno, la quale non era altro che quel dizionario filosotico-tìlologico, di cui gli aveva già parlato la prima volta che com- binarono l'Antologia della prosa. « ♦ Partito lo Stella, e non restandogli altro da fare a Bologna, Giacomo il 20 giugno partì anche lui, e la mattina del giorno seguente arrivò a Firenze. Ebbe un viaggio ottimo; ma a Firenze la malattia degli occhi gli si acuì, tanto ch'egli era obbligato a star- sene tutto il giorno in casa, con sua noia e dispiacere, perchè, fra le altre cose, cadevano in quei giorni le feste di San Giovanni, che avrebbe vedute volentieri. Aveva preso alloggio alla Locanda della Fontana, dove, scriveva alla sorella, « si paga assai e si mangia poco: ma la biancheria si cambia quasi ogni giorno. >* Oltre il male degli occhi, era tormentato dal dolore di denti;
- ■ Epistolario, voi. II, pag. 220. 296 CAPITOLO XV.
e l'idea di doverseli cavare gli dava una malinconia incredibile. Visite in quello stato non poteva farne ; andò tutta- via a trovare il cav. Reinhold, allora Ministro d'Olanda in Toscana, il quale gli fece molta festa. Gli altri let- terati, appena lo seppero in Firenze, andarono loro a trovar lui ; andarono tutti i principali, compreso il Niccolini ; e tutti gli fecero grandi gentilezze e prof- ferte. Vide tra i primi il Vieusseux. Il Giordani, che lo aveva invitato e lo aspettava, era con lui dalla mattina alla sera. Se non fosse stato quell'incomodo degli occhi, a Firenze si sarebbe trovato bene ; e stava bene anche di salute. Né gli sarebbe mancato lavoro, se avesse voluto e potuto accettarlo ; ma volendo e potendo fa- ticar poco, nessun partito gli conveniva come quel dello Stella, e per conseguenza gli bisognava tenerlo fermo più che poteva.' Fra le nuove amicizie che fece, quella del Vieus- seux fu una delle più importanti. Dopo il Giordani e il Montani, che avevano per lui un'ammirazione en- tusiastica, il Vieusseux fu quegli che a Firenze lo ebbe in più alta stima e ne apprezzò meglio l' inge- gno ed il carattere. Sono note le riunioni serali che il Vieusseux te- neva in casa sua nel palazzo Buondelmonti; o rima- sero famoso quello del settembre 1827, alle quali intervenne il Àlanzoni. Fondato nel 1819 il gabinetto di lettura, e l'anno dopo il giornale V Antoloijia, quel brav' uomo del Vieus- seux aveva a poco a poco saputo raccogliere intorno a sA quanto era in Firenze d'uomini d'ingegno e di studi, letterati, scienziati, artisti, desiderosi del pub- blico bene e del buon nomo d' Italia ; nò solamente toscani. In quel decennio dal 1820 al 1830, in cui I Vedi EpUlolario, voi. II, pag. 21U. DA RECANATI A FIRENZE. 297 tutte le altre Provincie gemevano sotto il giogo di governi reazionari sospettosi e paurosi, la Toscana formava una eccezione per la mitezza del governo e per la libertà che vi si godeva. Onde molti di fuori vi accorrevano. Il Giordani che, esiliato da Parma, andò, come dicemmo, a stabilirsi a Firenze nel 1824, appena arrivato scriveva ad una amica : < Ben vi dico, che in questo paese è una rara felicità. È cosa rara un l)rincipe buono, un governo buono, una moltitudine d'uomini buoni; ma quel che può parere incredibile ò una Polizia, nel capo e nelle membra, cortese, gra- ziosa, amabile. >' E scrivendo agli altri suoi conoscenti ed amici, non faceva che ripetere su tutti i tuoni le lodi di Firenze, del suo governo e de' suoi abitanti, lii- uiase incantato del ministro Fossombroni ; e, più che incantato, commosso della accoglienza onorevole ed affettuosa che gli fecero il Vieusseux e Gino Capponi, il fondatore e l'ispiratore della Antologia. Il Capponi aveva avuta egli per primo l'idea del giornale; ma, irresoluto e poco fiducioso di sé, quel- l'idea gli sarebbe forse morta nel cervello, se non in- contrava il Vieusseux, il quale seppe farla sua e at- tuarla. Uomo di molto buon senso, pratico e accorto, il Vieusseux, come aveva subito veduto che Firenze era terreno propizio a fondarvi un gabinetto di let- tura, da divenire il centro e il richiamo delle migliori intelligenze, così, non appena il Capponi gli comunicò l'idea del giornale, ne capì l'opportunità, l'utilità, la possibilità. Capì che, se e' era città d' Italia ove il gior- nale potesse farsi, un giornale veramente italiano, com'era nei loro intendimenti, quella città era allora Firenze; capì di quanto vantaggio sarebbero stati al giornale il consiglio, l'opera e il nome di un uomo come il marchese Capponi, benveduto a Corte, amato e stimato da tutti, che aveva quella cultura che sen- ' Giordani, Epistolario, voi. V, pag. 275, 276. 298 CAPITOLO XV. tiva mancare a sé ; sentì infine che, come il giornale avrebbe giovato al gabinetto, così questo a quello, e completandosi a vicenda avrebbero formato quella istituzione, ministra e banditrice di cultura e di ci- viltà, di cui egli ambiva essere il creatore. Tanto il Vieusseux non si ingannò nelle sue pre- visioni, che il gabinetto divenne in pochi anni il ri- trovo di quanti italiani e. stranieri di qualche nome capitavano in Firenze; e il giornale, cominciato con meno di cento soscrittori, dopo sei o sette anni ne aveva intorno a cinquecento; ciò che per quei tempi era assai ; specie se si consideri che ben pochi esem- plari, lenti sempre e impediti, sempre sospetti, quasi mezzo proibiti,'^ riuscivano a penetrare nelle altre parti d'Italia. Due grandi virtù del Vieusseux, che contribuirono grandemente alla riuscita della sua impresa, furono la prudenza e una grande tolleranza; tolleranza che, col suo esempio, seppe comunicare a tutti coloro che frequentavano il suo gabinetto, che convenivano alle sue conversazioni, che scrivevano nel suo giornale. Figli non solo sapeva trovarsi d'accordo, ma sim- patizzava con uomini di carattere, di gusto e d' opi- nioni diverse, purchù, s'intende, bravi ed onesti. Onde gli riusciva facile adoperare a vantaggio del giornale le attitudini vario degli scrittori di ogni scuola. Duo questioni specialmente dividevano in quel tempo i letterati italiani; la questione della lingua, che si agitava in particolar modo fra i lombardi e i toscani, e la questiono del classicismo e del romanticismo. Fra i letterati che si accoglievano intorno al Vieusseux e alla Antologia c'erano i rappresentanti di tutte lo opinioni, anzi di ogni gradazione dello vario opinioni; c'erano, in maggioranza, i romantici temperati, come il Capponi ; c'erano i classicisti puri, ma d' ideo larghe, < Vedi Tommaseo, Di 0. P. ritMèunai te., Fironzo, 18G4, png. 26. 'Mm DA RECANATI A FIRENZE. 299 come il Giordani ; e quelli che, come il Niccolini e il Colletta, stavano con un piede in una scuola, e con l'al- tro nell'altra; c'era il Montani romantico, e tuttavia grande ammiratore del Giordani e del Leopardi. Na- turalmente i romantici stavano per la lingua popo- lare, benché il Capponi scrivesse con forbitezza di let- terato; i classicisti stavano per la lingua letteraria, benché taluni, come lo stesso Giordani, volessero in teoria la lingua popolare. La differenza delle opinioni non era men grande in filosofia, in religione, in politica; ma tutti, qua- lunque opinione professassero, erano uniti insieme da un sentimento forte e sincero di italianità; tutti erano d'accordo nel volgere la letteratura a scopi civili, nel propugnare con le scuole, con gli istituti (li beneficenza, e con ogni altro mezzo che le na- zioni più progredite insegnassero, il miglioramento materiale e morale del popolo. Questo, eh' era lo scopo della Antologia, voluto dal suo fondatore, era anche il cemento che stringeva in un concorde volere tante intelligenze, tanti caratteri, tante opinioni diverse. Nella storia della nostra cultura rimangono un bel- l'esempio di cortesia e di cordialità letterata quei dieci anni dal 1820 al 1830 in cui il meglio degli scrittori italiani era raccolto in Firenze intorno al Vieusseux. Fatto singolare e degno di nota ! nello stesso unno 1827 si incontrarono a Firenze nelle sale del palazzo Buondelmonti, presso il Direttore della ^n^oZo- gia, i due più grandi scrittori italiani del secolo, Gia- como Leopardi e Alessandro Manzoni; i quali avevano in quello stesso anno pubblicate, l' uno le Operette mo- rali, l'altro I Promessi Sposi. Quell'incontro in quella occasione fu come il bacio di pace e di fratellanza che si diedero, in faccia all'avvenire, la scuola clas- sica e la romantica. Il Leopardi, che fu così super- bamente classico, pur partecipando le migliori idee del romanticismo, lodò I Promessi Sposi; il Manzoni 300 CAPITOLO XV. disse delle Operette inorali : < comme style, on n'a peut- étre rien écrit de mieux dans la prose italienne de nos jours. >'
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Quella sera del 3 settembre 1827, in cui il Man- zoni intervenne per la prima volta alle riunioni del Vieusseux, rimase memoranda. C'erano fra gli altri il Giordani e il Leopardi: il Capponi non c'era; e il Vieusseux così glie ne scrisse la mattina di poi: < Manzoni est venu liier soir cliez moi, depuis 7 heures jusqu'à 9: il a paru très-con- tent de la réunion, et beaucoup moins timide qu'on le dit: nous étions nombreux. Il a fait à Giordani un accueil très-distingué et leur empressement à s'abor- der a été réciproque; mais Giordani gàtait tout par l'intempérance de sa langue en matière de religion; et Leopardi lui-méme en a été scandalisé pour sa part, >* Giacomo, scrivendo pochi giorni dopo allo Stella, gli diceva: < Io qui ho avuto il bene di conoscere per- sonalmente il signor Manzoni, e di trattenermi seco a lungo : uomo pieno di amabilità, e degno della sua fama. >' Ma del romanzo in una lettera precedente gli aveva scritto : < Del romanzo di Manzoni (del quale io ho solamente sentito leggere alcune pagine) le dirò in confidenza che qui le persone di gusto lo trovano molto inferiore all'aspettazione. Gli altri generalmente lo lodano. >^ Questo parole, se si corca in esse una im- pressione del Leopardi intorno al romanzo, vanno com- pletate con queste altre, che scriveva alcuni mesi dopo al Papadopoli, quando aveva letto il libro: < Ilo ve- ' Haintc-Druvs, PoiiraUt eonUmporain$, Pari; O.Levy, 1882, voi. IV, pag. 986.
- Cai'I'Oni, Ltttért, Firenze, Lo Mounier, 1882, voi. I, png. 281.
' LcorARDi, Kpittolario, voi. II, pag. 284.
- Idem, pag. 281. DA RECANATI A FIRENZK. 301
duto il romanzo del Manzoni, il quale, nonostante molti difetti, mi piace assai, ed è certamente opera di un grande ingegno. >' Chi fossero quelle persone di gusto, che trovavano il romanzo del Manzoni inferiore all'aspettazione, è difficile indovinare ; perchè i principali letterati che erano allora in Firenze, e convenivano tutti da Vieusseux, lo esaltavano; lo stesso Giordani ne di- ceva altissime lodi; ne lodava fino la religione, egli così tenero della sua incredulità. — Dunque ? — 11 Leopardi aveva saputo dallo Stella che l'edizione dei Promessi Sposi in poco più d'un mese era stata esaurita ; e forse pensava, non senza un po' di ma- linconia, che una simile fortuna non era toccata alle Operette morali. Il libro era stato pubblicato da oltre un mese; e l'editore, scrivendo all'autore che ne sentiva dir bene da tutti, soggiungeva : < benché l'Italia non sia ancora accostumata a quel genere di letture; >* la quale considerazione non lasciava spe- rare un grande spaccio dell'opera. Ciò non doveva riu- scire nuovo nò strano a Giacomo : egli, credo, era con- vinto che il suo libro, e come lavoro d'arte e come contenuto, fosse superiore al libro del Manzoni; ma anclie capiva che un'opera di filosofia, l'opera di un pensatore, nuovo, forte, originale, in perfetta opposi- zione con le idee e le tendenze del tempo suo, non poteva trovar gran favore; tanto meno pretendere alla popolarità di un romanzo. Tuttavia il capir ciò non gì' impediva di provare un certo rammarico del fatto. Non è quindi arrischiato il supporre che quelle persone di gusto esistessero soltanto, o quasi soltanto, nella mente del poeta. Probabilmente il Giordani, il Niccolini, e qualche altro, parlando del romanzo, avran detto che, come lavoro letterario, si poteva tro- ' Epistolario, voi. II, pag. 278. - Idem, voi. Ili, pag. 38G. 302 CAPITOLO XV. varci qualche cosa da ridire; e ciò, combinato con le impressioni personali del Leopardi, diventò per lui il giudizio delle persone di gusto. Ho detto che il Leopardi capiva da sé la ragione per la quale le Operette morali non potevano incon- trare gran favore ; ma forse non la capiva abbastanza, benché lo Stella glie ne avesse dato già qualche in- dizio; o forse credeva che il merito reale del libro dovesse imporsi ; ciò che avvenne, ma molto più tardi. Letto il saggio pubblicato nella Antologia, l'editore gli scrisse che lo trovava ammirabile per forza e no- vità: < Debbo però soggiungere, diceva, che quantun- que creda anch'io che stiamo qui tutti a penare iti hac lacrimaruni valle, non sempre però lo nostre la- grime sono d'amarezza, o di dolore, ma che talvolta ne spargiamo alcuna di contentezza. > ' Più tardi, dopo che ebbe pubblicato il volume, comunicava all'autore questo giudizio di un letterato; il quale non era altri che Niccolò Tommaseo : < Ho letto il libro del conte Leo- pardi: mi pare il libro meglio scritto; ma i principii, tutti negativi, non fondati a ragione, ma solo a qual- che osservazione parziale, diffondono nelle immagini e nello stile una freddezza che fa ribrezzo, una deso- lante amarezza. >' Lo parole dello Stella rappresentano, dirò così, l'opinione del buon senso; il giudizio del Tommaseo si può considerare come l'indice di ciò che intorno alle Operette morali dovevano pensare la grande mag- gioranza degli scrittori italiani che facevan capo al Vicusseux. Ma 86 i lettorati daW Antologia in generale, vinti dal preconcetto dello loro ideo, non apprezzarono dc- gnanicnto le Operette morali, uno di essi, il Montani, appena finito di leggerle, scrisse al Giordani, allora
- EpUtolat-io, voi. Ili, pAR. 835, nSA.
- Idvm, voi. II, png. 232 in notn. DA RECANATI A FIRENZE. 303
a Pisa, dicendogli che oramai dalla porta dell'albergo ove abitava il Leopardi non sarebbe più salito alla camera di lui se non col cappello in mano.' E il Vieus- seux, che aveva avuto il torto di chiamare sciocche le lodi date dal Giordani alle prose di Giacomo, cor- resse in parte l'error suo pubblicando nella Antologia del febbraio 1828 una recensione .del Montani, nella ({uale si leggono queste parole : < Le operette del Leo- l)ardi sono musica — musica altamente melanconica — lo cui voci tutte si rispondono e recano all'anima la più grande delle impressioni. > Tolte le vane speranze, si trova men diffìcilmente quella forza che rende più lieve ciò che l'evitare è im- possibile. > Le operette del Leopardi almeno sembrano di- rette ad ispirarla ; il che basta a meritar loro il titolo di morali. > Era naturale che il Capponi e quei del gabi- netto Yieusseux che più si accostavano alle sue idee non simpatizzassero molto col Leopardi ; ed era egual- mente naturale ch'egli non simpatizzasse molto con loro. Se ne togli il Giordani e il Montani, gli altri, più che apprezzarlo veramente per ciò che valeva, sentivano per lui un misto di compassione e d'am- mirazione, compassione per la infelicità, ammira- zione per la dottrina; il poeta e il pensatore non lo comprendevano. Il Leopardi invece, pur essendo agli antipodi con i più tra essi in fatto d'idee, spe- cialmente col Capponi, faceva, nonostante la poca sim- patia, giusta stima del loro valore letterario. Poco dopo il suo arrivo a Firenze scriveva al padre che quei letterati valevano molto più dei bolognesi.'
- Vedi Antologia, febbraio 1828, a pag. 158.
- Epistolario, voi. II, pag. 284. 304 CAPITOLO XV.
Della bellezza della città poco aveva potuto e po- teva godere, perchè la malattia d'occhi non gli per- metteva d'uscire di casa che verso sera come un pi- pistrello.* In queste condizioni è naturale che non si trovasse molto bene a Firenze. Rispondendo a Carlo, il quale non voleva che ne dicesse male, scriveva: < In verità non potrei dirne, bench' io ci stia poco contento; ma in che luogo si può star contento senza salute? e passando i giorni a sedere con le braccia in croce? >■ In uno dei momenti di maggiore scoraggiamento aveva scritto pochi giorni innanzi al Puccinotti : < Sono stanco della vita, stanco della in- differenza filosofica, eh' è il solo rimedio dei mali e della noia, ma che in fine annoia essa medesima. Non ho altri disegni, altre speranze che di morire. >' Poi quei momenti passavano; e come si sentiva un po' meglio e poteva uscire di giorno e lavorare, dava subito migliori notizie di sé. < Della mia vita, scriveva il 4 ottobre al padre, posso dirle solamente che non fo altro che divertirmi. Ho fatta una quan- tità di conoscenze di brave persone : ho anche molti buoni amici, e il soggiorno tutto insieme non mi di- spiacerebbe, se non fosse così lontano dai miei. >* Pen- sava intanto ai suoi quartieri d'inverno; e da alcune parole, che con la medesima lettera aveva scritte al padre, questi s'immaginò che avesse intenzione di pas- sare Pinverno a Kccanati: invece ora irresoluto fra Roma e Massa di Carrara. Poi si risolvo per Pisa, dove andò ai primi di novembre. Intanto durante il mese di ottobre ora andato sempre migliorando, o il 30 scriveva alla Paolina che stava meglio ilcyli oc- chi, molto meglio dei denti e cominciava a mangiare con appetito.* I Vddi h'pMolarlo, voi. II, pRg. 218. j
- Idom, pag. 220. '^\
- Idoli), pag. 888. * Idem, png. 242. 4r||
- Idem, pug. 846. p: DA RECANATI A FIRENZE. 305
Nei quattro mesi e mezzo circa che stette a Firenze di lavori letterari fece poco o niente, se pure non scrisse allora i due dialoghi eh' io supposi, e mi pare più probabile, composti a Ilecanati. Scrisse la prefazione alla Crestomazia, e compilò l'indice dello Zibaldone, cominciato agli 11 di luglio e tìnito ai 14 ottobre. Con lettera del 13 luglio, mandando allo Stella la prefa- zione, gli scriveva : < Ora son dietro ad ordinare i ma- teriali della Enciclopedia. Spero che sarà un'opera che si farà leggere per forza da ogni sorta di persone ; > e più tardi, il 20 settembre: < Io travaglio al mio Di- zionario quanto mi permette la mia salute, che in tutta l'estate e nel presente autunno, non sarebbe po- tuta e non potrebbe esser più infelice. > ÌJ Enciclope- dia e il Dinonario erano, come dicemmo, la stessa cosa. Più tardi ancora, il 23 novembre, quando era già a Pisa, riscriveva allo Stella : < V Enciclopedia, come cosa dipendente dalla fantasia, dalla vena e dall'umore, che non possono esser sempre al nostro comando, va più lentamente di quel eh' io vorrei. > Per ciò, aggiun- geva essere dispostissimo ad accettare la proposta che l'editore gli aveva fatta, di lasciar da parte VEnci- clopedia e mettersi a lavorare ad una Crestomazia poetica. Dalle parole del Leopardi parrebbe ch'egli avesse cominciato a lavorare alla Enciclopedia, e ne avesse fatto qualche cosa : invece non ne aveva fatto niente. Quando scriveva ch'era dietro a ordinare i materiali per quel lavoro, egli stava compilando l'Indice dello Zibaldone^ nel quale erano raccolti, come sappiamo, molti materiali per parecchie opere da comporre. Una di queste certo V Enciclopedia. Da Firenze il Leopardi mantenne le sue relazioni amichevoli con le famiglie Tomraasini e Maestri : quelle relazioni si fecero anzi più intime ed affettuose. Non potendo scrivere che poche lettere, scriveva a quelli di casa sua e a pochissimi altri : fra questi po- Chiaki.m, LeojK 20 306 CAPITOLO XV. — DA EECANATI A FIRENZE. chissimi c'erano l'Antonietta Tommasini e l'Adelaide Maestri. L'Adelaide andò nell'ottobre a Firenze ad aspettarvi il padre, che tornava da Roma ; e in que- sta occasione rividero il Leopardi e si trattennero lun- gamente con lui. Anche il Biinsen passò nell'ottobre da Firenze e rivide Giacomo. Questi oramai non pensava più agli impieghi; benché il Bunsen nel settembre avesse scritto al marchese Antici che l'ultima sua parola al Vati- cano era stata per Giacomo, e gli era stato risposto che partisse senza pensiero, poiché il Governo non si dimenticava di lui né per la cattedra né per il Censo. Giacomo non pensava più agi' impieghi : ma ci pen- sava per lui il suo Carlo, il quale sognava di poter prendere anch' egli il volo, e attaccandosi, come tutti i disperati, a qualsiasi più lontana speranza, non finiva di raccomandarsi al fratello che, se qualche impiego gli era oiferto non di sua sodisfazione, lo riserbasse a lui.