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292 CAPITOLO XV. che in certi casi le donne vogliono far intendere con un eloquente silenzio, gli disse chiaro e tondo che quelle frequenti e lunghe visite da solo a sola la di- sturbavano. Egli allora capì, e non si fece più vedere. A spiegare la rottura fu poi inventata, non si sa quando e da chi, una scenetta da romanzo. Un bel giorno, dissero, l'innamorato poeta si gettò ai piedi della contessa, facendole una focosa dichiarazione d'amore; e lei, sorridendo fra la compassione e lo sde- gno, suonò il campanello e ordinò ad un servo di por- tare un bicchiere d'acqua al signor conte. La sto- riella, destituita di qualsiasi prova o testimonianza, non merita nessuna fede : bastano a smentirla la volgarità di essa e la nobiltà d'animo del poeta e della signora. Egli, interrompendo le sue visite, desiderò conser- varlesi amico, e tenne a farglielo sapere. Qualche tempo dopo, quando stava per andare a Firenze, le scrisse questa lettera, che non ha data. < Contessa mia. L'ultima volta che ebbi il piacere di vedervi, voi mi diceste così chiaramente che la mia conversazione da solo a sola vi annoiava, che non mi lasciaste luogo a nessun pretesto per ardire di con- tinuarvi la frequenza delle mie visite. Non crediate ch'io mi chiami offeso; se volessi dolermi di qualche cosa, mi dorrei che i vostri atti, e le vostre parole, benché chiare abbastanza, non fossero anche più chiare ed aperte. Ora vorrei dopo tanto tempo venire a sa- lutarvi, ma non ardisco farlo senza vostra licenza. Ve la domando istantemente, desiderando assai di ripe- tervi a voce che io sono, come ben sapete, vostro vero i' cordiale amico. >' Questa lettera ò, parmi, una prova che la contessa nell'aprirc l'animo suo all'amico usò parole o maniero cortesi ; ma <> anche una prova, secondo me, ch'egli, sentendosi punto, volle alla sua volta pungere lei. Per m < KpMotarh, voi li, p»g. 218.