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LA FINE DELL'ULTIMO AMORE. 383 a voi, che siete bella, e privilegiata dalla natura a risplendere nella vita, e trionfare del destino umano. So che anche voi siete inclinata alla malinconia, come sono state sempre, e come saranno in eterno, tutte le anime gentili e d'ingegno. Ma con tutta sincerità, e non ostante la mia filosofia vera e disperata, io credo che a voi la malinconia non convenga ; cioè che quantunque naturale, non sia del tutto ragionevole. Almeno così vorrei che fosse. >' Le espressioni di tristezza e di sconforto con le quali comincia la lettera si spiegano facilmente con la condizione tutt'altro che lieta nella quale si tro- vava a Roma il Leopardi. Aveva consentito al Ra- nieri di allontanarsi da Firenze con la speranza di trovare un po' di calma ; e appena arrivato a Roma si trovò, come vedemmo, assediato dai suoi odiati Re- canatesi e si ammalò. Le persone ch'egli doveva vi- sitare per desiderio di suo padre non erano fatte dav- vero per rallegrarlo. Un monsignor Cupis gli fece mille amorevolezze, e lo pregò di tornare spesso da lui, promettendo che gli avrebbe fatto sentire, per- chè glie li rivedesse e limasse, un migliaio e mezzo tra sonetti, canzoni e capitoli di sua fattura. < Que- sta cosa, scriveva al padre, mi ha spaventato talmente, che non ho avuto il coraggio di ritornarci. >* E sog- giungeva che il guardare la lista delle visite che per istretta convenienza avrebbe dovuto fare, gli agghiac- ciava il sangue. Aggiungasi a ciò il caro dei viveri, specialmente degli alloggi, e l'avere questa volta tro- vata l'aria di Roma contrarissima al suo fisico, e nemica mortale del digerire ; e ce ne sarà più che ab- bastanza per rendersi ragione della sua scontentezza. A Firenze almeno vedeva di tratto in tratto la Tar- gioni ; e se la vista di lei lo esaltava e lo faceva dare in pazzie, almeno quella era vita. » Epistolario, voi. II, pag. 443. « Idem, pag. 446.