Una campagna autonomistica/Una campagna autonomistica (1895-1901)
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Una Campagna Autonomistica
(1895-1901)
L’azione dei socialisti trentini in favore dell’autonomia del Trentino risale alle fedi di nascita del partito stesso. Alle origini e al suo sviluppo bisogna accennare rapidamente per narrare quale fu la campagna autonomistica dei socialisti dal 1895 ad oggi. Nel suo primo documento, nel primo atto dichiarante la propria esistenza, il partito socialista trentino affrontò il problema dell’autonomia e della stessa si dichiarò senza reticenze fautore e sostenitore.
Il 2 Febbraio 1895 usciva a Trento il primo ed anche ultimo numero del primo giornale trentino di propaganda socialista col nome di «Rivista popolare trentina». Primo ed ultimo perchè quella nostra rivista non morì, ma abortì.
Il primo fascicolo fu confiscato da capo a fondo e il ristretto manipolo d’operai e di studiosi, che l’avea lanciato, di fronte agli ostacoli frapposti dalla polizia dovette ritirarsi. D’altronde le classi lavoratrici dormivano allora della grossa e il tentativo era opera di pochi neofiti. Di quella rivista molti di noi non ebbero il piacere di vedere nemmeno una copia, tale fu il rigore della confisca, ma tutti ricordiamo di essa il programma — a base se si vuole di latte e miele — riportato da altri giornali e in vari modi diffuso.
A quel programma abbiam voluto richiamarci come a fede di nascita del nostro partito perchè in esso e della questione nazionale e della questione dell’autonomia è detto esplicitamente così:
«Noi, che siamo giovani e che alla vita politica e sociale vogliamo portare il contributo delle nostre forze affermiamo la nostra piena solidarietà con chi si fa vero e disinteressato difensore degli interessi nazionali, perchè — all’opposizione recisa contro ogni violazione ad un sentimento innato, al rifiorire della coltura italiana nel nostro paese, alla maggiore partecipazione a tutto lo svolgersi della vita sociale, che specialmente per l’uomo del popolo è intimamente connessa colla chiara conoscenza della propria lingua — dovrà seguire nella coscienza del popolo una stima maggiore di sè stesso ed una convinzione più esatta dei propri doveri, dei propri diritti. Con questo intendiamo di dire che noi non esitiamo a proclamare santa la lotta per la nostra nazionalità, ma non vogliamo che essa ci impedisca di combattere per altri più grandi ideali — . . . . . .
Noi affermiamo il bisogno dell’autonomia del paese per impedire lo sperpero e la distruzione di tutte le nostre forze materiali e morali»1.
Di fronte al nostro tentativo i vari partiti del paese presero diversa posizione contro di noi. Liberali e clericali si divertivano a scherzare sopra i fiaschi solenni che noi avremmo raccolti. I governativi invece ci fecero il viso dell’arme e ci fecero l’onore di attaccarci non solo come socialisti, ma come autonomisti, come i promotori di una riscossa del paese.
La Patria, organo governativo, rivolse un appello a tutti i partiti invocandone la concordia contro il nemico rosso. In data 4-5 Febbraio 1895 scriveva:
«Di fronte ad una tale necessità (l’avanzarsi cioè, dei socialisti) le differenze dei partiti spariscano nella difesa dell’ordine, delle idee, dei diritti e delle tradizioni che sono patrimonio comune a noi tutti, tutti, senza distinzione dobbiamo trovarci pure a fianco a combattere.
E senza indugi, perchè i mali estremi i cui sintomi si manifestano oggi, già domani potrebbero formare una cancrena che difficilmente si riuscirebbe ad estirpare».
Malgrado questo appello il partito continuò imperterrito la sua via ed oggi sa ormai d’esser diventato la cancrena a cui alludeva la Patria.
E sa sopratutto — modestia a parte — d’esser stato l’anima del paese, lo svegliarino dei dormienti, un paladino strenuo di quella causa dell’autonomia contro la quale in allora la Patria tuonava.
La fondazione della Rivista popolare trentina era stata preceduta da un convegno, che ebbe luogo a Bolzano nel Gennaio dell’anno stesso. A quel convegno intervennero i rappresentanti dei compagni tedeschi e pochi fiduciari dei trentini, rappresentanti quest’ultimi, a dir vero, più di sè stessi che d’altri.
In quel ritrovo si parlò dell’autonomia, dell’atteggiamento, che di fronte ad essa avrebbero preso i socialisti di tutta la provincia e noi avemmo il piacere di trovarci concordi in questo coi compagni tedeschi della provincia.
Pei mille patriottoni d’occasione, la nostra andata a Bolzano fu dichiarata un’apostasia dalla patria; essa invece riusciva per la prima volta a conquistar dei veri alleati alla causa dell’autonomia.
Abortito il nostro primo giornale, si pensò a piantar le tende in luogo più sicuro. Nella capitale della monarchia esisteva già un esercito compatto di compagni, il quale avea saputo conquistarsi nella vita pubblica un tal grado di libertà, che a noi viventi nella Beozia trentina pareva un mito.
La stampa poteva colà parlare mille volte più francamente che da noi; il diritto di associazione e di riunione erano rispettati; le leggi, per quanto in sè ristrettive, erano interpretate con coscienza.
A Vienna noi avremmo potuto perciò stampare quello che a Trento non ci si permetteva.
E, raccolti in un piccolo congresso a Trento, nell’Agosto del 1895 — congresso al quale erano di già rappresentati compagni trentini di dieci luoghi — decidemmo di fondare a Vienna un giornale, che fosse organo nostro e insieme di tutti gli italiani dell’Austria.
Ai primi di novembre, atteso con ansia, usciva a Vienna il primo numero dell’Avvenire. Come programma esso portava in prima pagina le deliberazioni del congresso socialista di Heinfeld (1888-89) in cui è detto che il partito socialista condanna «i privilegi delle nazioni» e ad esso seguiva un articolo in cui si analizzavano i rapporti fra patria e socialismo.
Della stampa borghese trentina quella che gettò il grido di allarme fu anche questa volta il giornale la Patria che invocava la santa alleanza di tutti i borghesi contro noi.
Se non ci fu una santa alleanza ufficiale, l’invito a combatterci fu raccolto da tutti e noi ci trovammo falange minuscola assediata per ogni lato.
L’esserci noi ricoverati a Vienna ci valse anche questa volta l’ira dei patriotti, ai quali del resto l’Avvenire rispondeva nel suo primo numero dicendo cose e facendo promesse sull’attività che volea svolgere collo scopo di svegliare il partito liberale — troppo poco zelante dei diritti del paese in linea economica e nazionale — promesse che poi si avverarono.
Riportiamo integralmente:
«Ci siamo trasportati a Vienna perchè in mezzo allo stupido antisemitismo e al fedifrago liberalismo c’è un po’ di posto anche pel socialismo vero e senza sottintesi.
«Nelle nostre provincie italiane si respira un’aria afosa, soffocante, si sta fra una polizia paurosa, che non tien conto dei tempi ed un liberalismo anche più gretto.
«Non già che qui si respiri tutta aria ossigenata, tuttavia modo di camparla, magari con qualche mese di prigione, c’è.
«Saremo fortunati più qui che a Trieste o a Trento? Sì, cari lettori, non illudetevi, siamo sempre gli stessi. Le bravate poliziesche, le persecuzioni sorde, stupide dei liberali borghesi non ci hanno fiaccata la fibra.
«Si è tentato combatterci chiamando le teorie socialiste importazione esotica, si son sequestrati i nostri giornali, ci si è chiamati traditori della patria, nemici della nazionalità, mattoidi, utopisti, i. r. socialisti, si è insinuato perfino che siamo agenti della polizia, ma noi, fermi nel nostro ideale, abbiamo scrollate le spalle, abbiamo fatto i sordi a tutte le contumelie, abbiamo fatto fronte a tutte le persecuzioni e siam marciati..... sino a Vienna; ci siam ricoverati sotto il grande ombrello viennese perchè quello dei nostri paesi faceva acqua da tutte le parti.
«Anzi, vedi strano avvicendarsi dei pensieri, nel tragitto, ci siam detto: a Vienna potremo vedere cosa fanno i nostri deputati italiani, perchè è vero che nei nostri paesi, tranne qualche eccezione passano per fiori di liberaloni, ma i viennesi, i nostri compagni almeno, saranno forse cattive lingue, ci dicono che sono dei conservatori e della più bell’acqua, che pel suffragio universale si sono interessati ben poco, che hanno votato per le leggi eccezionali in Boemia, che hanno fatto parte molto premurosamente della coalizione, che sono delle nullità politiche, e che hanno una sola fortuna: di aver attorno a sè una popolazione che non può e non sa leggere i resoconti della Camera dei deputati; e che le poche notizie che essa conosce sono tutte storpiate e che a questa storpiatura contribuiscono molto i giornali ufficiali, ufficiosi e non ufficiosi, i quali non pubblicano se non quella parte che è favorevole al governo, o quella che salvaguarda i loro interessi di classe, così che non sarà mai possibile che la popolazione italiana dell’Austria possa farsi un vero concetto del come stanno le cose.
«Noi coi nostri occhi vedremo, con le nostre orecchie udremo e con la nostra penna.... riferiremo. — Non per niente ci siam trasportati a Vienna!
«E badate, l’andata degli italiani a Vienna era forse molto più difficile che l’andare a Roma. Molte ritrosie di vergine pudibonda si son dovute vincere; ma ormai le sculacciate dei nostri capoccioni non ci fanno paura e le vostre disperazioni più non ci commovono; ci commove al contrario molto più la miseria reale delle nostre popolazioni costrette a guadagnarsi ben duramente il loro tozzo di pane o a emigrare in lontane regioni per procurarsi una esistenza ancor più incerta, ci commove tutto quel analfabetismo, che ad onta dell’obbligo di frequentare le scuole sino a 14 anni avete mantenuto con la vostra indifferenza, ci commove tutta quell’ignoranza politica che avete nutrita colla vostra politica di frasi vuote, sicchè il povero lavoratore è oggi alla mercè del primo tirannello che gli sta contro o del primo liberalone cui riesce ostico il vedersi attraversata la strada, e perciò.... ci siam trasportati a Vienna».
I pochi numeri, che ad intervalli di quindici giorni, il partito nostro potè pubblicare a Vienna fecero sbalordire i nostri buoni borghesi e crediamo, anche i nostri signori procuratori di stato. Come mai, a Trento, era proibito di dire: siamo socialisti, siamo avversari del sistema di amministrazione provinciale tirolese, e a Vienna si poteva dir chiaro e tondo certe verità scottanti? Giammai gli italiani dell’Austria aveano potuto veder stampate dichiarazioni come queste sulla lotta nazionale in Austria:
«La democrazia socialista dell’Austria ha per sè l’avvenire, non solo nel senso in cui ciò si dice del socialismo in genere quando si guarda a tempi relativamente più o meno remoti. Per rispetto alla democrazia sociale dell’Austria io intendo parlare di un avvenire strettamente prossimo. Ponendo ogni suo sforzo presente nella lotta per la conquista pel suffragio universale e diretto, essa è l’anima, la vita, la forza impulsiva, il progresso delle varie nazionalità, che raccoglie e coalizza. Perciò duplice è la sua funzione. Da una parte raccoglie ed organizza il proletariato nel senso preciso del socialismo; e dall’altra parte rovescia le basi della costituzione politica. Per questo secondo rispetto compie l’ingrato ufficio di conquistare da sola quelle comuni libertà che altrove furono conquistate da una borghesia, o meno codarda, o più accorta, o più intelligente, o più animata dall’idealismo rivoluzionario2».
Ogni lettore capisce che fra quelle comuni libertà andava annoverata anche la libertà per ogni popolo di amministrarsi da sè.
E più oltre così dicevasi nell’articolo sopraccitato:
«Nei proletari soli è tutto l’avvenire di libertà, di progresso è di benessere per le diverse nazionalità, che dai tempi del dispotismo strapotente fino ad oggi furon tenute insieme solo per via dell’odio reciproco e della scambievole gelosia.
«La democrazia sociale le accomuna e affraterna, spingendole per una via, che non fu meno ignota al vecchio dispotismo, di quel che sia ignota ora al costituzionalismo moderno. I proletarii di così diverse razze, slava, latina, tedesca, magiara, di così varie religioni, tradizioni e provenienze di dominazione politica, i proletari dell’Austria, insomma, raccolti nel comune pensiero di combattere in nome del socialismo così l’ancien regime come la moderna borghesia ad un tempo solo, sono come i dissolventi della vecchia storia, e l’esemplare vivo e intuitivo della Internazionale».
In ogni numero di quel periodico il problema dell’autonomia fu sviluppato, chiarito, discusso. Polemizzando colla Patria, il nostro Avvenire scriveva in data 9 Gennaio 1896:
«L’avvento dell’autonomia rappresenta per noi una semplificazione della lotta che combattiamo. Quando avremo una dieta a Trento nessuno potrà dire che la miseria crescente del nostro paese sia una conseguenza immediata del regime tedesco; si vedrà fino a che punto la nostra borghesia saprà comprendere la necessità dei tempi nuovi ed essa sola sarà responsabile delle leggi e delle riforme che s’accingerà a fare. Quella lotta di classe, che è inevitabile, perchè il proletario possa arrivare alla conquista dei pubblici poteri, entrerà in una forma più semplice e chiara, quando sarà tolto di mezzo il fattore nazionale che troppo facilmente s’adatta a far apparire gli altri colpevoli delle proprie magagne.
«Per di più noi nutriamo piena fiducia che, data la completa separazione del Trentino dal Tirolo, ogni eventuale contatto dei trentini coi tirolesi sarebbe assai più civile di quello che non sia presentemente.
«Per queste e per molte altre ragioni noi siamo favorevoli alla completa autonomia e desideriamo che all’aspirazione di tutto il paese corrisponda altrettanto forte e vigorosa l’opera dei rappresentanti al parlamento».
Da Vienna la stampa nostra fece ritorno nel Trentino. Un avvenimento speciale — i fischi di Levico e Pergine — ci offrirono l’opportunità di stampare in casa nostra un numero unico di propaganda: «I nostri fischi». Con esso la breccia era fatta. Le tipografie del Trentino non ci boicottavano più. E nell’Ottobre del 1896 usciva a Rovereto l’Avvenire del Lavoratore continuando a battere la strada che gli avea aperta il suo predecessore di Vienna. Esso colla sua opera indefessa valse a creare il partito e a dargli una individualità sua, a farlo riconoscere dagli avversari. Le forze socialiste sorte nei vari centri sentirono il bisogno di un largo affiatamento, di un’intesa sulla tattica del partito e si riuscì a questo col congresso socialista di Trento del Settembre 1897.
Una serie di proposte, di pubblicazioni servì di preparazione al Congresso. Nell’ordine del giorno dello stesso figurava fra le cose più importanti un quesito sulla tattica del partito di fronte alla questione dell’autonomia.
Di questa s’era occupato assai il giornale e ad illuminare i compagni, gli amici e avversari era stato diffuso a migliaia di copie un opuscolo, esaurito e raro oggi, scritto in forma piana e popolare3.
E quì, per riuscir chiari, bisogna ricordare in quale stadio si trovasse allora (eravamo nel 1897) la lotta per l’autonomia.
Nel Gennaio del 1891 fu chiesta d’urgenza dai deputati dietali trentini in seno alla dieta d’Innsbruck la discussione sopra un progetto d’autonomia. A questa domanda il Luogotenente Conte Merveldt rispose col dichiarare, in nome dell’imperatore, immediatamente chiusa la dieta. Di fronte a tale contegno i deputati trentini rassegnarono il loro mandato dimettendosi dall’ufficio di deputati provinciali e inaugurando quella politica di astensione che durò fino al Dicembre del 1900.
L’astensione fu da principio incompleta, giacchè non venne accettata dai clericali intransigenti vocisti, ma le elezioni che si susseguirono nel decennio terminarono a dar piena vittoria agli astensionisti il cui manipolo era composto di conservatori, dii clericali nazionali e di liberali nazionali.
I frutti dell’astensione furono questi: il governo cercò anzitutto di reagire con metodi polizieschi, sciogliendo società, limitando il diritto di riunione, graziandoci di una stampa ferocemente antitrentina (la Patria), intervenendo nelle elezioni e con altri simili sistemi.
Questa reazione non fece male perchè servì assai bene a tener desto il paese nostro, che pur troppo ha i caratteri d’un paese stanco ed ha bisogno di punture e di iniezioni per non cadere in periodiche catalessi. Alla reazione si oppose una resistenza abbastanza energica ed il governo finì col ritornare agli antichi sistemi austriaci: alle blandizie, alle trattative, alle conciliazioni. Il governo capì di aver sbagliato strada e gli uomini politici della nostra borghesia non capirono invece che, inaugurando una tenace resistenza, s’eran messi sulla strada buona. E dalla strada buona sviarono abboccando all’amo delle lusinghiere promesse.
L’imperatore dichiarava ad una commissione di 70 rappresentanti di comuni trentini recatisi presso a lui ad Innsbruck e capitanata dal bar. Malfatti «che il suo governo si era già altre volte occupato di sì importante vertenza la quale riconosceva fino allora insoluta per molte difficoltà; che egli avrebbe incaricato il suo governo di prenderla nuovamente in esame per condurla ad una soluzione, tenendo conto dei maggiori interessi dello stato...., che non poteva fare una promessa, ma che dava l’assicurazione che gli interessi della popolazione italiana gli stavano a cuore non meno che quelli di qualunque altra».
Vari ministri dal 1893 al 1897 seppero tenere a bada i dirigenti la politica trentina con chiacchiere, con benevoli consigli, con promesse. Il Plener da prima, poi il Windischgrätz e da ultimo il Badeni.
Quest’ultimo seppe tener in ballo i deputati nostri dal 1895 al 1897; seppe ridurre il paese alla placida sonnolenza. Egli avviò — per adoperare la frase di prammatica — le famose trattative, invitò i deputati dietali ad elaborare un progetto, a chieder per esso il parere e l’approvazione dei colleghi dietali e poi li pregò a star zitti fino al giorno in cui avrebbe chiamati a Vienna due dei deputati trentini per la discussione dettagliata del progetto.
I deputati attesero, ma il signor Ministro non si sognò più di chiamarli; un bel giorno (Luglio 1897) invece, quattro di essi furono chiamati ad Innsbruck dal Luogotenente, ove, posti in sedia come scolaretti, ebbero l’alto onore di questa comunicazione testuale:
«Il governo è convinto di poter, d’accordo colla maggioranza della dieta, provvedere ai bisogni del Trentino, meglio che cogli organismi amministrativi proposti dai deputati trentini».
Non una parola di più nè una di meno fu lor detta e furono bruscamente licenziati. E il paese rimase freddo, inerte. La politica governativa di addormentare trionfava. Già da due anni le elezioni (necessarie pel decadimento dei mandati in seguito all’astensione) si ripetevano a intervalli di 10, 12 mesi con una fiaccona miserabile. Non pubblici comizi, non deputati che osassero parlare in pubblico, nulla che denotasse un po’ di vita e di vigore nel paese.
L’astensione dalla dieta era diventata astensione dalla vita pubblica, acquiescenza. In altre parole l’astensione pareva lo scopo, la meta, non il mezzo, non l’arma.
A questo punto stavano le cose alla vigilia del primo Congresso socialista trentino, nel momento in cui il partito lanciava l’opuscolo di cui dicemmo sopra e che — se non erriamo — ha il merito d’essere il primo opuscolo di propaganda popolare pubblicato in argomento.
L’opuscolo cominciava col deplorare che coloro, che aveano fino allora avuto il mestolo della politica, avessero sempre evitato di venire in contatto coi contadini, per interessarli ad una causa che in fine avea bisogno del valido aiuto di tutti. Spiegava poi quale fosse l’ordinamento della provincia, quale l’organamento della dieta.
Metteva in rilievo le differenze fra il Trentino e il Tirolo, enumerava i danni del sistema amministrativo attuale e poi veniva all’esposizione della tattica dei deputati trentini; e qui francamente diceva, che la politica dell’astensione — praticata com’era — giovava a poco.
«I deputati — si diceva in esso — che si astengono dalla dieta d’Innsbruck non dovrebbero astenersi — come fanno — dal lavoro di propaganda, dalla continua agitazione per l’autonomia, dal compito di istruire su queste questioni il popolo; d’altra parte invece i deputati che rappresentano il paese al Parlamento di Vienna non dovrebbero mantenere quell’eterno contegno di benevola aspettativa e di rassegnazione più o meno docile, nella speranza che il governo farà, penserà, provvederà.
«Vorremmo insomma un’azione più energica, che, anche se sfortunata, non lasciasse alcun dubbio sul buon volere e sull’attività dei deputati».
Spiegate quindi le ragioni per cui i socialisti aveano interesse a propugnare l’autonomia, si ricordava in quell’opuscolo come proprio nello stesso anno il congresso socialista austriaco (Giugno 1897) avesse, per bocca di Daszjnski dichiarato essere i socialisti «favorevoli all’autonomia delle provincie qualora queste non sieno il prodotto di intrighi diplomatici e di vecchie ingiustizie, ma rappresentino delle unità politiche nazionali a base democratica e corrispondano ai bisogni del grande e vitale complesso dei popoli, che furono incorporati e stretti insieme coll’Austria».
E qui s’avanzava una proposta complementare che fu poi integralmente accettata dal Congresso di Trento e che servì a dare la nota caratteristica all’agitazione dei socialisti per l’autonomia.
Riproduciamo:
«Ma assieme all’autonomia un’altra cosa devono chiedere i socialisti trentini; vale a dire il suffragio universale e diretto anche per la dieta. Fino ad ora ad Innsbruck non ebbero voce che i rappresentanti del clero, delle università, delle camere di commercio, dei grandi proprietari, dei comuni rurali e dei borghesi delle città; ora è tempo che i lavoratori, che sono 9/10 della popolazione e che in proporzione maggiore degli altri pagano le tasse di consumo alla provincia, non sieno considerati come minorenni e privati del voto. Questa lotta pel suffragio universale ingaggiata dai socialisti di tutto il mondo comincia a sciogliersi in favore dei proletari, e non è lontano il giorno — purchè i lavoratori sappiano resistere con concordia e fermezza — in cui saranno ad essi aperte le porte delle diete. Allora assisteremo all’entrata dei rappresentanti dei lavoratori anche nella dieta d’Innsbruck, e, sieno essi italiani o tedeschi, saranno contrari a qualsiasi ingiustizia e saranno nuovi alleati per raggiungere l’autonomia del Trentino. Di ciò siamo sicuri, perchè ne è un pegno saldissimo l’organizzazione cosciente dei proletari tedeschi del Tirolo e perchè è proposito nostro di render popolare anche fra essi e colla stampa e colla parola la questione dell’autonomia.»
Venne il congresso, delle cui discussioni molto non possiamo riferire, perchè la procura di Rovereto ci confiscò parecchi brani della relazione che ne fu fatta; qui non riporteremo se non quello che non fu sequestrato.
Il compagno Avancini Augusto di Trento fece la relazione sulla questione dell’autonomia; ed esposti per sommi capi i danni che ci derivano dalla mancanza di un’amministrazione autonoma, nella chiusa del suo discorso ebbe a dire:
«Non ci lusinghiamo che coll’autonomia entrino in paese l’uguaglianza sociale, la fratellanza. Abbiamo davanti il triste quadro sociale d’Italia. I grandi uomini che consacrarono la loro vita alla sua unità ed il popolo che sparse a tal uopo torrenti di sangue e di lagrime, sognavano pure la fratellanza italiana. Or questa manca, benchè sia fatta l’unità. Eppure nessuno rimpiange le guerre gloriose intraprese con un alto fine, nè Lassalle, Marx, Bebel ed altri nostri dispregiarono gli eroi dell’indipendenza. Il ritardo dell’indipendenza d’Italia avrebbe prodotto un ritardo nello sviluppo inevitabile della questione sociale, che ora vi si trova allo stadio acuto. E noi domandiamo l’autonomia, onde veder sciolta alfine una questione, che è arma agli avversari per denigrare il nostro partito e mezzo per sottrargli delle buone forze. La dimandiamo perchè ad autonomia ottenuta nessuno potrà più dire che in paese esistono nazionalisti e socialisti, ma solo vi saranno lavoratori e borghesi.
«Ora abbiamo lotta di principi contradditori e superfluamente complessi, poi avremo lotta economico-sociale.
«Coll’autonomia a ragione possiamo riprometterci incremento dell’industria, dei commerci ecc., insomma aumento di lavoro; con questo avranno incremento i nostri principii, l’organizzazione e la forza sociale dei lavoratori. La storia ci ammaestra a non prestare troppa fede a chi sta sopra di noi quando trattasi d’interessi; non dubitate, o compagni, che i lavoratori del Trentino non resteranno all’oscuro di tale esperienza. Ma è d’altro canto indicato di concorrere a quei movimenti politici che affrettano e facilitano l’opera nostra.»
Sull’ordine del giorno presentato da Avancini si ingaggiò una viva discussione, giacchè specie fra i lavoratori italiani dimoranti nel Tirolo, v’eran alcuni che si mostravano, se non contrari per lo meno scettici e indifferenti per la questione.
Ma la discussione che fu lunga e alla quale parteciparono molti operai — quel congresso era quasi esclusivamente composto di operai — servì ad approfondire l’argomento, a sviscerarlo, a presentarne anche ai più restii la vitale importanza.
E le parole di un compagno, il quale dimostrava che solo con un’amministrazione autonoma il Trentino avrebbe avuto un grande sviluppo industriale e che l’industria è la madre dell’organizzazione operaia e del socialismo, fecero larga breccia in tutti e li spinse a dare unanimi il voto al seguente ordine del giorno:
«I socialisti italiani del Trentino e del Tirolo, raccolti nel loro primo Congresso, affermando il diritto di tutti i popoli a reggersi ed amministrarsi da sè; considerando che l’annessione del Trentino al Tirolo è dannosa allo sviluppo economico del Trentino e quindi al sorgere di un proletariato cosciente;
considerando che solo la concessione dell’autonomia al Trentino porterà chiara e precisa la lotta fra borghesia e proletariato, stabiliscono:
1. di accettare nel loro programma minimo la lotta per il conseguimento dell’autonomia;
2. di lottare per essa indipendentemente dagli altri partiti, mediante comizi, opuscoli e conferenze ed estendendo la propaganda anche fra i compagni tedeschi della provincia.
«Affermano infine, come mezzo più opportuno di combattimento, la lotta per il suffragio universale alla Dieta di Innsbruck.»
Coll’accettazione di quest’ordine del giorno il partito assumeva, di fronte al paese, un impegno chiaro ed esplicito e lo mantenne anche. Giacchè da quel momento la campagna autonomistica dei socialisti fu continua, instancabile; e non un solo avvenimento importante vi fu, riflettente la lotta per quest’aspirazione, al quale i socialisti non abbiano contribuito.
La promessa di estendere la propaganda in favor dell’autonomia fra i compagni tedeschi trovava esplicazione in articoli favorevolissimi alla causa nostra pubblicati dai giornali socialisti tedeschi. L’Arbeiter Zeitung di Vienna s’era occupata della cosa già nell’Agosto 1897 e la nostra stampa borghese (Vedi Alto Adige N. 178) riportò non senza una tal quale meraviglia, le ottime ragioni del giornale socialista viennese.
Al primo opuscolo di propaganda ne seguiva un secondo, nel quale la questione era trattata in relazione alla richiesta del suffragio universale4).
Di quest’opuscolo, dovuto alla penna di un operaio socialista, Edoardo Costanzi, ci piace tener parola perchè in esso vi è un vigoroso attacco alla politica dell’astensione ed un invito ad adoperare l’arma dell’ostruzionismo.
Dopo di aver deplorato il pessimo modo, con cui la borghesia trentina praticava l’astensione, con l’unico vantaggio di lasciare ai maneggioni tedeschi della dieta il diritto di fare la pioggia e il bel tempo senza nessun controllo, soggiungeva:
«Noi siamo per principio contrari a questa astensione, giacchè dessa è segno di debolezza, e per di più si risolve in un profitto per gli avversari.
«Solo in determinati casi, non come sistema, bensì transitoriamente, potremo adottarla, e sempre a condizione ch’essa fosse tanto attiva e feconda da compensare i danni del non intervento.
«Dato il suffragio universale e data la riuscita di candidati nostri, a questi il partito imporrebbe l’intervento alla Dieta; e state certi che quella maggioranza di ultra-conservatori non incuterebbe loro soggezione. In breve tempo anzi la metterebbero in condizioni tali da esser costretta, se non a offrire essa l’autonomia, almeno a non opporsi alla sua attuazione.
«Immaginate che si incominciasse col non approvare i bilanci, coll’esporre ad ogni occasione le nostre pretese, col presentare progetti, col muovere interpellanze su interpellanze e interrogazioni; il tutto sempre nella nostra lingua e chiedendo la immediata traduzione in italiano di quanto viene esposto in italiano ed in tedesco di ciò che viene esposto in italiano. Non vi pare, che dopo qualche tempo, la maggioranza tedesca, vedendo l’impossibilità di poter compiere i lavori della Dieta, nel suo stesso interesse, dovrebbe rassegnarsi ad una separazione, che la libererebbe da una situazione insoffribile?»
Vedremo più tardi come sia stato il partito nostro a ribattere il chiodo dell’ostruzionismo e a spingere il paese a volerlo effettuato dai deputati.
Intanto, malgrado gli sgarbi e i rifiuti del governo, malgrado i nostri attacchi, che cominciavano a farsi ognor più vivi ed insistenti, il paese dormiva della grossa.
Ebbe uno scossone e si svegliò momentaneamente quando la dieta tirolese, raccolta nel Gennaio 1898, non solo respinse in blocco il progetto delle tramvie trentine, non solo negò qualsiasi contributo allo stesso, ma proibì alla città di Trento di prestare garanzia per un prestito sulla linea della Val di Fiemme. E, come ciò non bastasse, la dieta invitava il governo a staccare i comuni italiani della Val di Fassa dal capitanato di Cavalese per unirli al capitanato di Bolzano, tentando di iniziare lo smembramento della nostra unità linguistica.
A Trento si indisse immediatamente una seduta di protesta di tutti gli azionisti della tramvia di Fiemme e i socialisti colsero quell’occasione per dimostrare i loro sentimenti, organizzando un corteo di ben 700 operai, che, percorse le vie della città, si recò al Municipio dove area luogo l’adunanza. Ma di più vollero fare i socialisti. Visto che si limitavano le proteste contro i deliberati della dieta a poche dozzine di telegrammi e a pochi ordini del giorno, senza interessare della cosa la gran massa del popolo, pensarono d’indire a Trento un pubblico comizio.
Ed esso ebbe luogo il 20 Marzo 1898 e vi fece atto d’adesione la borghesia liberale, che del contegno dei socialisti si mostrò ammirata.
Non è qui il luogo di riassumere quello che dai vari oratori fu detto in quel comizio.
Ci basta ricordare come un leader del partito liberale il D.r Riccabona prendesse allora la parola per congratularsi coi lavoratori del loro comizio.
E ricordiamo questo non per il gusto di ripeter gli elogi fatti dagli avversari al nostro partito, quanto invece per mostrare l’incoerenza di quei partiti, che, a seconda del loro tornaconto, ci fanno passare ora per amici ora per nemici dell’autonomia, ora per antinazionali ed ora per difensori dei diritti nazionali. Se i socialisti avessero preso a norma del loro contegno gli applausi o gli insulti dei liberali, avrebbero dovuto stancarsi; ma essi seguivano e seguono dei criteri ben delineati e precisi e sanno di non dover lasciarsi sviare nè a sinistra nè a destra.
Gli ordini del giorno, presentati dai socialisti e votati per acclamazione in quell’adunanza furono tre.
Il primo del D.r Piscel suona così:
«Il presente comizio, promosso dal proletariato trentino, invita la locale società dei lavoratori a farsi iniziatrice di una sottoscrizione per poter far acquisto del maggior numero possibile di azioni delle imprese tramviarie, allo scopo che la classe lavoratrice trentina abbia voce e voto nel consiglio degli azionisti per tutelare l’interesse dei braccianti e muratori nella costruzione dei tram e per additare un minimo di orario e un massimo di salario in favore dei ferrovieri.»
Un altro relatore, Carlo Toller, rappresentante dei lavoratori italiani di Bolzano formulava una proposta di grande importanza. Fu pur essa accolta e attuata.
Il relativo ordine del giorno suonava:
«Il comizio promosso dal proletariato trentino,
delibera di incaricare il Comitato promotore di mandare un memoriale a tutte le società economiche e politiche dei lavoratori tedeschi della Provincia, allo scopo di mandare ai nostri fratelli di lavoro e di lotta un saluto da parte di questo Comizio di protesta contro una deliberazione dietale, che non sarebbe certo stata presa se in quell’assemblea invece di rappresentanti del privilegio sedessero i rappresentanti del popolo eletti dal suffragio universale, e di far loro conoscere l’importanza per il miglioramento della condizione economica, specialmente dei lavoratori trentini, che avrebbe la costruzione dei tram e di invitarli a tener conto anche di questa questione nella loro agitazione per il suffragio universale nella provincia.»
L’ultimo ordine del giorno proposto da Giuseppe Peterlongo assurgeva dalla questione tramviaria a tutta la questione trentina chiedendo un’amministrazione propria. Eccolo:
«Il comizio popolare per le tramvie elettriche tenuto in Trento il 20 marzo 1898:
considerando che l’effettuazione delle progettate tramvie, oltrechè rispondere ad un reale bisogno del paese, apporterebbe uno sviluppo notevole all’economia, facilitando l’incremento del commercio e l’impianto delle industrie, e un impulso allo sviluppo intellettuale delle popolazioni e che, perciò, i lavoratori non soltanto ne avrebbero l’utile immediato di trovare in patria quel lavoro che oggi sono costretti a cercare altrove, ma anche quello lontano di vedere il loro paese arrivare a quello sviluppo economico e civile che faciliterebbe l’opera della loro totale emancipazione, pur avendo presente che l’effettuazione di quest’impresa non eliminerà l’antagonismo degli interessi, causa delle misere condizioni delle classi lavoratrici e nello stesso tempo fattore di progresso civile, ma segnerà soltanto un passo verso la redenzione dei lavoratori,
considerando che la deliberazione della Dieta è contraria ad ogni criterio di equità e di giustizia,
persuaso che l’impresa è sana, e vitale in linea tanto tecnica, quanto economica e finanziaria, e che essa presenta un’ottima occasione d’investimento di capitali che, pur troppo, fino ad ora non furono impiegati nei commerci e nelle industrie,
protesta energicamente contro l’egoistico, ingiusto ed anticivile rifiuto della Dieta d’Innsbruck e coglie l’occasione per reclamare una volta ancora un’amministrazione provinciale propria,
chiede al governo che in base ai diritti garantitici dalla costituzione, concorra largamente all’appoggio dell’impresa ed invita i deputati trentini a volere sollecitare un’aperta risposta dal governo in merito al suo appoggio e, nel caso che quella risposta non fosse favorevole, essi passino senz’altro alla più viva opposizione.»
Dopo il comizio non mancarono conferenze, articoli, appelli, adunanze, ecc.
Fu un continuo succedersi di lotta a lotta, di propaganda a propaganda e si colse l’occasione di far ciò nelle elezioni politiche suppletorie della V.a Curia del Maggio-Giugno 1898. Allora, come adesso, i socialisti furono l’unico partito del paese che si valsero dell’occasione di un periodo di vita elettorale per spargersi fra le masse e portare la loro viva parola in ogni remoto paesello. Dovunque il programma nostro fu esposto, lì si trattò anche dell’autonomia. Ne fa fede del resto un appello scritto e stampato in forma d’opuscolo, diffuso, vorremmo dir quasi seminato, in quell’occasione in tutto il paese5.
Nell’ottobre 1899 i socialisti di Trento colsero l’occasione del terzo anniversario dell’inaugurazione del monumento a Dante per fare assieme ad altre istituzioni cittadine e al partito liberale una dimostrazione contro l’agire della dieta tirolese e nel tempo stesso del governo sempre pronto a sostenere gli interessi dei nostri nemici. In quell’occasione parlarono davanti al monumento a Dante due oratori di parte nostra, Battisti e Costanzi. Il riassunto del discorso Battisti, che era esplicazione del pensiero dei socialisti sulla questione dell’autonomia e nel tempo istesso invito ai borghesi di iniziare una politica energica, è riprodotto in calce a questa cronoistoria6.
Quasi contemporaneamente il giornale nostro l’Avvenire del Lavoratore iniziava una campagna energica contro le malversazioni verificatesi nel comune di Levico, svelando un mondo di porcherie e accusando esplicitamente il capo di quell’amministrazione di furto, di truffa, di spionaggio, ecc.
Della cosa trattarono anche gli altri giornali, ma mentre il pubblico in genere si occupava di quello scandalo con la pura curiosità con cui si può interessarsi di un’avventura romanzesca, il partito nostro fece del suo meglio per spiegare le origini, le cause di quel piccolo panamino, additandone come fonte precipua il sistema provinciale di amministrazione, l’abbandono in cui la Giunta provinciale di Innsbruck, ignara delle condizioni del nostro paese, lascia i nostri comuni, la sua inettitudine a sorvegliarli, la sua proclività a sostenerli, anche se cattivi, purchè sieno gregge docile alla greppia tirolese.
E vi riuscì e la lotta contro l’amministrazione Ognibeni fu considerata e fu in realtà lotta per l’autonomia.
E qui giova rilevare che se e liberali e clericali non furono sostenitori dell’Ognibeni, pure per conto loro preferirono che la cosa andasse quasi morendo e lasciarono ai socialisti il compito difficile, ma onorifico di esporsi al fuoco della battaglia.
Ed è storia troppo recente quella dei sequestri subiti per la questione ognibeniana dalla stampa socialista, dei processi alla stessa intentati, delle interpellanze fatte dai deputati socialisti al parlamento austriaco (e solo dopo presentate anche dai deputati borghesi del Trentino), perchè qui ci sia bisogno di ricordarla.
Il 1900 doveva riserbare ai socialisti il compito di dare alla lotta per l’autonomia un indirizzo nuovo, più energico, più preciso nei mezzi di combattimento.
Il compito, cioè, che il partito s’era prefisso fin dalle sue origini di voler cooperare fungendo da eccitatore da scuotitore delle forze borghesi troppo fiacche e inerti, dovea realizzarsi e con fortuna.
Nel febbraio 1900 si raccoglievano a Trento i socialisti italiani della provincia. Era il secondo congresso del partito. Ed ebbe importanza grande per due ragioni. Vi fu trattata la questione dell’autonomia e vi fu deliberata la fondazione del giornale Il Popolo, che, organo di un partito giovane e battagliero, per necessità di cose divenne la sentinella più avanzata del movimento autonomistico del Trentino.
Relatore sulla questione dell’autonomia fu in quel congresso il compagno Faustino Modena, scalpellino, il quale sviluppò anzi tutto i concetti fondamentali che aveano inspirato al congresso socialista di Brünn un chiaro ordine del giorno sui conflitti nazionalisti in Austria, poi si occupò, particolarmente delle cose di casa nostra proponendo un ordine del giorno analogo a quello votato nel Congresso del ’97 con una modificazione però essenziale al punto 2, dove invece di dire che il partito avrebbe combattuto indipendentemente dagli altri partiti, si accenna anche alla possibilità di lottare eventualmente alleandosi con le frazioni più avanzate della borghesia.
I congressisti dichiararono anzitutto di accettare l’ordine del giorno di Brünn e poi accolsero l’ordine del giorno proposto dal Modena.
E qui li riportiamo7. Il primo suona così:
1. «L’Austria deve costituirsi in una confederazione democratica:
2. Alle storiche provincie vengono sostituiti dei corpi nazionali autonomi circoscritti, la cui legislazione e amministrazione emana da Camere nazionali elette in base al suffragio universale eguale e diretto;
3. Tutti i territori della stessa nazione formano insieme un’unica confederazione nazionale, la quale provvede ai propri bisogni nazionali in modo del tutto autonomo;
4. Il diritto delle minoranze nazionali viene garantito mediante una legge speciale stabilita dal Parlamento della confederazione;
5. Noi non riconosciamo alcun privilegio nazionale e però respingiamo la tendenza ad introdurre una lingua di stato; per quanto concerne la necessità di una lingua di comunicazione, verrà deciso dal Parlamento della confederazione.»
Il secondo:
«I socialisti italiani del Trentino e del Tirolo affermando il diritto di tutti i popoli a reggersi ed amministrarsi da sè; considerando che l’annessione del Trentino al Tirolo è dannosa allo sviluppo economico del Trentino e quindi al sorgere di un proletariato cosciente;
considerando che solo la concessione dell’autonomia al Trentino porterà chiara e precisa la lotta fra borghesia e proletariato; stabiliscono:
1. di accettare nel loro programma minimo la lotta per la conquista dell’autonomia;
2. di lottare per essa, alleandosi eventualmente con quelle frazioni della borghesia che sono favorevoli ad una seria lotta, mediante comizi, opuscoli e conferenze, ed estendendo la propaganda anche fra i compagni tedeschi della provincia;
3. affermano infine come mezzo più opportuno di combattimento la lotta per il suffragio universale alla Dieta di Innsbruck.»
Due mesi dopo il congresso usciva il Popolo. Nel suo programma dichiarava di avere un duplice scopo: quello di cooperare alla conquista di quelle libertà, altrove ormai da decenni ottenute dalle borghesie e qui totalmente mancanti e quello di fare tra le masse operaie propaganda per le idealità del partito socialista. L’accenno alla inerzia fenomenale della borghesia ed alla politica meschina delle benevole aspettative vi era piuttosto vivo ed ebbe il suo effetto.
La stampa liberale ispirata in allora dal D.r Riccabona, l’uomo della famosa politica «ferma ma prudente», di Trento infatti, accolse quel programma con sorriso di scherno, ma mostrò di averlo capito assai bene: di aver intuito, cioè, quello che gli scrittori dello stesso pensavano e che nel primo numero non avevano per anco detto.
«Si capisce, scriveva l’A. Adige, che il Popolo avrebbe voluto che i nostri deputati facessero un po’ di commedia ostruzionistica.»8
Benissimo! Essi d’ostruzionismo non avevano ancora parlato, ma pensavano che l’ostruzionismo poteva esser una delle armi più adatte a conquistare quelle libertà che in Austria non si hanno.
Certo l’astensione, fatta come la facevano i deputati trentini, non poteva portar frutti; unico frutto che avea portato era stato un assopimento così letargico del paese che nell’elezione del 1899 i candidati-protesta del partito liberale conservatore ebbero in certi paesi meno voti del numero dei membri formanti la commissione addetta allo scrutinio elettorale!
Simili osservazioni costituivano un delitto di lesa patria e il vocabolario delle punzecchiature, delle frecciate ironiche, degli aggettivi di compassione e di sprezzo fu tutto messo in opera contro il Popolo.
A difesa dell’astensione o meglio del modo in cui si praticava l’astensione si diceva che mai dal governo centrale o provinciale e dai vari partiti tirolesi s’era potuto ottenere quello che negli ultimi anni s’era ottenuto: il riconoscimento della questione da parte dei ministeri, la discussione di essa da parte della stampa avversaria. Era questo un argomento suggerito solo o da ignoranza o da malafede. E diciamo ciò perchè non è punto vero che il governo avesse sdegnato ogni discussione prima della tattica d’astensione. Ci furono dei periodi nella storia nostra, in cui la questione dell’autonomia fu per le alte sfere una questione scottante.
Non diciamo del ’48 e degli anni seguenti in cui si fondevano in un solo concetto l’aspirazioni all’autonomia e all’annessione al regno d’Italia.
Se allora il governo distribuiva anni di galera a chi si professava autonomista, vuol dire che il problema dell’autonomia era più presente al governo allora che adesso.
Ma lo stesso governo non impedì che la questione venisse discussa, oltre che ad Innsbruck, anche a Vienna nel 1861 e rispettivamente nelle adunanze parlamentari del 1867 e del 1870.
Il 1874 poi doveva regalare al nostro Trentino nientemeno i che un progetto governativo sull’autonomia nel quale erano comprese tutte le concessioni domandate dai rappresentanti trentini stessi nel 1863. Il progetto naufragò nel parlamento, ma intanto era stato fatto dal governo e per di più come effettuazione della promessa che l’imperatore avea fatta personalmente nel 1871 — anno in cui visitò il Trentino per la prima’volta — ai rappresentanti di tutti i nostri comuni.
Il Popolo dovette dedicarsi alla narrazione della storia di casa nostra dal ’48 ad oggi per dimostrare che risultati migliori s’erano ottenuti quando ancora non si era inaugurata la tattica del servilismo, alla quale, si ascrivevano i mirabolanti risultati delle solite promesse non seguite neppure da quelle discussioni parlamentari, che se erano a noi sfavorevoli, pure tenevano vivamente desta l’attenzione dei popoli austriaci «e non coprivano col manto dell’ipocrisia il contrasto ineluttabilmente esistente fra i criteri dispotici del governo e gli interessi nel nostro paese e della civiltà.»9
Se non che ad aiutare il partito nostro, nella sua opera di svegliatore dei dormienti nuovi fatti successero: la questione del distaccamento dei comuni ladini di Fassa e del Trentino facea un passo in avanti nelle sedute dietali del Maggio nelle quali la dieta invitava quasi ad unanimità la giunta a introdurre la lingua tedesca nella scuola di Fassa.
Alcuni dei comuni di Fassa s’erano dichiarati favorevoli e al distaccamento e alle scuole tedesche, facendo per riguardo a quest’ultima ciò che avean fatto prima i contadini di Sopramonte.
Fu quella pel partito socialista occasione buona per comprovare coll’eloquenza dei fatti che il pover popolo delle nostre misere montagne nè avrebbe mostrato di avere affetto per la propria nazionalità, nè avrebbe avuto coscienza della propria indipendenza finchè lo si fosse lasciato in balìa del fanatismo clericale e non si fosse cercato di destare in esso il culto dell’ideale sollecitandone in pari tempo gli interessi materiali.
Dopo la deliberazione riguardante i comuni di Fassa e ledente il Trentino nei suoi interessi nazionali, ne dovea seguir una altrettanto disastrosa per i suoi interessi economici. Si votarono ben due milioni e mezzo di corone per spese stradali da eseguirsi nel Trentino.
Fu in questo momento che il partito nostro e per esso il Popolo prese posizióne decisa in favore dell’ostruzionismo alla dieta, non solo, ma si dette a propugnare la resistenza a oltranza contro il potere provinciale inscenando all’occorrenza lo sciopero dei comuni.
Ecco ciò che scriveva il Popolo nel N. 25 (8 Maggio) 1900:
«Nè parliamo solo della necessità di un intervento alla dieta dei deputati con propositi ostruzionistici, intervento che, secondo noi, raggiungerebbe per lo meno lo scopo di tener desto il paese.
«Ci sono ben altre istituzioni che possono pesare col loro intervento, colla loro azione, cioè, sulla bilancia delle questioni provinciali.
«Abbiamo i comuni. Essi possono col loro contegno diventar la spina nell’occhio della borghesia tirolese e del governo. Ai loro tentativi di progresso si oppone ben spesso l’autorità provinciale; insorgano essi e resistano ad oltranza.
«Trento chiede il diritto di dar garanzia a un progetto tramviario? La dieta di Innsbruck si oppone. E sia pure. Ma il consiglio comunale di Trento non si accontenti di una laconica protesta; si dimetta in massa; rieletto, rifaccia la domanda; sarà respinta; si dimetta di nuovo.
«I comuni della valle di Non chiedono per la loro tramvia l’appoggio della provincia? Questa offre l’elemosina di 100 mila fiorini, mentre dispone di milioni per le ferrovie del Tirolo. A fronte di simili sopprusi non tacciano quei comuni; resistino ad oltranza, si dimettano, provochino una situazione anormale; lascino pur venire i commissari governativi.
«E così si faccia dovunque, in ogni comune, di fronte ad ogni violenza, ad ogni torto; lo si faccia magari per puro atto di solidarietà verso i comuni oppressi.
«Se un bel giorno avremo in isciopero un centinaio e forse più di comuni, se sarà davvero inceppato tutto l’andamento della vita comunale, la questione diverrà pei potenti e pei prepotenti non più l’oggetto delle ipocrite «conciliazioni nazionali»; essa diverrà lo spettro contro il quale si dovrà irresistibilmente cedere.»
E trattando più particolarmente dell’ostruzionismo, poco dopo stampava:
«Si ha un bel dire che i deboli non devono affidarsi ad altr’arma che a quella della ragione, della discussione, ma quando la violenza e il dispotismo ci comprimono d’ogni parte, quando stravince e impera la brutalità del più forte, allora esiste il diritto di opporsi con ogni mezzo, senza correr dietro alle buone regole della cortesia e del galateo.
«Conveniamo: L’arma dell’ostruzionismo non è un’arma intellettuale. No: il cantare, il gridare, il valersi di un regolamento per far perder ore di tempo in vane formalità, il far rumore levando magari le assi delle panche, no, tutto questo non è intellettuale.
«Ma è forse intellettuale il contegno degli avversari che si valgono di una forza numerica per negarci il diritto alla vita, all’esistenza, allo sviluppo libero della nostra vita nazionale, economica, sociale?
«È forse intellettuale il criterio dei deputati tirolesi che votano, pei loro paesi, per le loro imprese due milioni e mezzo di corone (in gran parte nostre!) e danno al Trentino la vil carità di 28.000 corone? O non rappresenta tutto questo la prepotenza brutale e materiale del leone che si prevale della propria superiorità fisica e fa le parti in suo unico vantaggio?
«È forse un criterio intellettuale quello che spinge i deputati tirolesi a dichiarare terra di conquista le nostre valli, imponendoci a forza una lingua ignota? E contro una simile intellettualità non sarà lecito a noi recarci a quella dieta a far sentire in qualunque modo, ma con insistenza feroce, con accanimento, che usiamo parlare, e se occorre urlare in una lingua che non è la loro?
«Contro la violenza, la violenza.10»
Il nostro grido di guerra fu accolto coi soliti scherni.
Pure, a prender norma, dal contegno della stampa liberale di Trento, noi eravamo presuntuosi, mattoidi, ciarlatani, amici del governo, eravamo sopratutto una voce Isolata, senza seguito nel paese.
La smentita dovea seguire fulminea.
Il 5 Giugno si riunirono in Trento i deputati dietali per deliberare sulla situazione provinciale e decidevano di pretendere una definitiva risposta dalle autorità ministeriali e in caso di rifiuto di passare all’ostruzionismo.
La politica riccaboniana della «mano ferma ma prudente» cominciava a non esser più ben accolta. I deputati delle vallate trascinati dall’opinione pubblica furono i primi a ripudiarla.
Non basta. L’Alto Adige che tanto ci aveva combattuti per la nostra proposta di dar mano all’ostruzionismo, visto spirare in tutto il paese nuove correnti, si arrabbattava a sostenere e giustificare i nuovi propositi dei deputati e conciliare il suo contegno presente col passato.
Senza insuperbirsi per questo successo il partito continuò la sua campagna autonomistica e intuì d’essersi messo sulla buona via scegliendo per propria arma la sferza contro l’inerte borghesia locale. E la adoperò nel grande comizio che per iniziativa di socialisti e di alcuni liberali dissidenti, ebbe luogo, coll’intervento di circa 6000 persone, in piazza del Duomo, il 22 Giugno. Quello che in esso disse l’oratore designato dal partito socialista è riassunto in calce a questo lavoro, sotto il titolo: «Una protesta».
Frattanto veniva verificandosi la condizione posta, dai deputati dietali colla loro deliberazione di iniziare l’ostruzione alla dieta. Il governo rispose che non volea saperne di autonomia con un documento — la famosa lettera di Körber al nobilissimo barone Malfatti — che resterà memorabile per il cinismo e l’altezzosità con cui fu dettata.
L’ostruzione quindi si imponeva e fu definitivamente decisa.
La stampa liberale di Trento continuò pure a sostenerla, sottilizzando in modo puerile fra ostruzione socialista e ostruzione borghese, ostruzione pacificatrice e ostruzione rivoluzionaria, tanto per non darsi vinta. (V. A. Adige N. 140. Anno 1900).
La dieta fu convocata nel Dicembre 1900. L’ostruzione vi fu ingaggiata prontamente e per quanto blandamente con buon risultato.
Non si permise alla dieta di dedicarsi a vari lavori se prima non avesse deciso in via di massima la necessità di dare l’autonomia al Trentino.
Tale necessità fu riconosciuta a voti unanimi e la dieta, chiudendosi, elesse un comitato al quale affidò l’incarico di elaborare un progetto da discutere nella prossima sessione dietale.
Sessione che s’è aperta or ora (17 Giugno) e che, pare, debba terminare con la sconfitta della nostra causa.
Se sconfitta ci sarà, certo apparirà chiaro che essa da due cause precipuamente avrà origine: dalla slealtà e dalla viltà dei deputati tirolesi che hanno finto di cedere di fronte al primo assalto, riserbandosi poi di combattere con le armi dell’intrigo, dell’astuzia; e dalla somma ingenuità dei nostri deputati e di gran parte del paese nostro, che puerilmente hanno creduto che la promessa dei tirolesi fosse un’obbligazione. Promissa boni viri est obbligatio, dice il proverbio.
Ma si son forse mostrati boni viri verso di noi i borghesi del Tirolo? Sono cent’anni che il paese ha da fare con essi e in cent’anni non hanno dato prove eccessive d’esser per noi boni viri. Per noi sono stati solo cattivi padroni, che or colla forza, or coll’astuzia, ci hanno sempre tenuti soggetti e sfruttati.
Qualunque abbia ad esser l’esito della presente battaglia il partito socialista sa di aver compiuto anche dopo il Dicembre passato il proprio dovere e di avere compresa la situazione chiamando all’allarme e invitando a limitare la fiducia, a non esser troppo generosi, a non mostrarsi arrendevoli, a tener desto il paese, a pretendere sul progetto d’autonomia una discussione pronta, senza dilazioni, nella prima seduta dietale, non tollerando che il progetto fosse ancor da elaborarsi nel dì che fu aperta la dieta.
Certo a metter nell’animo dei nostri avversari tirolesi un po’ di rispetto alla parola data e sopratutto un po’ di paura nel tradirla, avrebbe giovato chiamar tutto il popolo nostro in grandi comizi e farne sentire la viva voce. E ciò fecero i socialisti per quel poco che consentirono loro e il tempo e le forze11, e vergognosamente non fecero i deputati dietali, liberali e clericali e i loro rispettivi partiti.
Qui termina la breve cronoistoria della campagna autonomistica del partito socialista.
Il quale sa di poter affermare che in qualunque evento continuerà la battaglia intrapresa con le armi usate nel passato: la sferza in casa coi dormienti; e coi nemici del di fuori quelle armi che essi... ci imporranno: discussione contro discussione, astuzia contro astuzia, violenza contro violenza.
A continuare l’opera iniziata, lo sospinge oggi, oltre a quelle idealità di giustizia che informano il suo programma fondamentale, la consapevolezza di poter ritenersi padre morale, ispiratore dei nuovi mezzi di lotta adottati dall’intero paese.
Note
- ↑ Cfr. Alto Adige, 30 Gennaio 1895.
- ↑ Avvenire N. 3, pg. 2.
- ↑ Il partito socialista e l’autonomia del Trentino. N. 3 della Biblioteca socialista trentina. Prezzo soldi 2. Rovereto, Grigoletti 1897.
- ↑ E. Costanzi - Il suffragio universale diretto per il parlamento e per la dieta — Riva, Benatti. 1898.
- ↑ Agli elettori della Curia del suffragio universale. — Trento Zippel 1898.
- ↑ Già due anni prima nell’occasione dell’inaugurazione del monumento a Dante i socialisti avean preso parte a quella solennità.
- ↑ Cfr. Atti del II. Congresso regionale socialista fra gli italiani del Trentino, Tirolo e Voralberg. — Trento. Soc. Tip. Edit. Trent. 1900 pg. 28. e seg.
- ↑ Vedi A. Adige del 9-10 Aprile.
- ↑ Vedi Popolo N. 18. Cito di frequente le fonti testuali per ricordare alla procura che non faccio ora se non dire e ripetere cose già dette e stampate.
- ↑ Vedi Popolo, 18 Maggio 1900.
- ↑ Comizi pro autonomia furono indetti dai socialisti a Rovereto, a Levico, a Borgo, a Scurelle e ad Innsbruck fra gli italiani colà dimoranti.