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E sa sopratutto — modestia a parte — d’esser stato l’anima del paese, lo svegliarino dei dormienti, un paladino strenuo di quella causa dell’autonomia contro la quale in allora la Patria tuonava.
La fondazione della Rivista popolare trentina era stata preceduta da un convegno, che ebbe luogo a Bolzano nel Gennaio dell’anno stesso. A quel convegno intervennero i rappresentanti dei compagni tedeschi e pochi fiduciari dei trentini, rappresentanti quest’ultimi, a dir vero, più di sè stessi che d’altri.
In quel ritrovo si parlò dell’autonomia, dell’atteggiamento, che di fronte ad essa avrebbero preso i socialisti di tutta la provincia e noi avemmo il piacere di trovarci concordi in questo coi compagni tedeschi della provincia.
Pei mille patriottoni d’occasione, la nostra andata a Bolzano fu dichiarata un’apostasia dalla patria; essa invece riusciva per la prima volta a conquistar dei veri alleati alla causa dell’autonomia.
Abortito il nostro primo giornale, si pensò a piantar le tende in luogo più sicuro. Nella capitale della monarchia esisteva già un esercito compatto di compagni, il quale avea saputo conquistarsi nella vita pubblica un tal grado di libertà, che a noi viventi nella Beozia trentina pareva un mito.
La stampa poteva colà parlare mille volte più francamente che da noi; il diritto di associazione e di riunione erano rispettati; le leggi, per quanto in sè ristrettive, erano interpretate con coscienza.
A Vienna noi avremmo potuto perciò stampare quello che a Trento non ci si permetteva.
E, raccolti in un piccolo congresso a Trento, nell’Agosto del 1895 — congresso al quale erano di già rappresentati compagni trentini di dieci luoghi — decidemmo di fondare a Vienna un giornale, che fosse organo nostro e insieme di tutti gli italiani dell’Austria.
Ai primi di novembre, atteso con ansia, usciva a Vienna il primo numero dell’Avvenire. Come programma esso portava in prima pagina le deliberazioni del congresso socialista di Heinfeld