Troilo e Cressida/Atto quarto
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ATTO QUARTO
SCENA I.
Troia. — Una strada.
Entrano da un lato Enea ed un servo con una torcia; dall’altro Paride, Deiforo, Antenore, Diomede,ed altri pure con torcie.
Par. Chi è quegli che veggiamo laggiù?
Deif. Enea.
En. Voi prìncipe, qui in persona? Se avessi le buone ragioni che avete voi, Paride, per star a letto, non ci sarebbe che un comando del Cielo che mi potesse separare dalle braccia della mia bella compagna.
Diom. Io pure penso così.
Par. È questo un prode Greco, Enea! Accettate la di lui mano, ch’egli è quel Diomede che per un’intera settimana seguì le vostre orme sul campo di battaglia.
En. Salute, valoroso guerriero! Questo è il mio voto per voi, finchè durerà fra di noi questa pacifica tregua: ma quando vi scontrerò armato, vi farò udire allora la sfida più sanguinosa che il pensiero possa formare il coraggio compiere.
Diom. Diomede riceve con cuore allegro l’uno e l’altro voto. Il nostro sangue è ora tranquillo, e finchè lo sarà, vivete, Enea. Ma quando la battaglia mi darà occasione di raggiungervi, per Giove! io diverrò allora l’infaticabile cacciatore della vostra vita, e a tal impresa consacrerò tutte le mie forze, tutta la mia alacrità.
En. E tu caccierai un leone che, fuggendo, vedrà in viso il suo cacciatore. — Sii il benvenuto a Troja, e abbiti il più generoso accoglimento: sì, pei giorni d’Anchise, tu sei il benvenuto! Lo attesto sulla mano di Venere, che non vi è vivente che possa amare di amicizia più salda l’oggetto ch’ei si propone di distruggere, di quello ch’io te ami.
Diom. Le nostre anime si accordano. Gran Giove, fa che Enea viva, se la sua morte non deve accrescere lustro alla mia spada! Vegga egli il sole compier mille volte il suo corso! Ma se è per soddisfare al mio cuore, ch’ei muoia, ed ognuno de’ suoi muscoli sia trapassato da qualche ferita; e ciò prima di dimani
En. Noi ci conosciamo a dovere scambievolmente.
Diom. Ed io aspiro anche a conoscerti meglio.
Par. Non mai vidi tanta ammirazione e tanto odio misti insieme. Ma cosa è che vi rende, signore, così sollecito questa mattina?
En. Fui chiamato dal re, ma ne ignoro la cagione.
Par. Io ve la dirò. Voi dovevate condurre questo Greco alla casa di Calcante, e cambiarlo colla bella Cressida. Vogliate accompagnarci, piuttosto precedeteci. Io credo che mio fratello Troilo abbia passata con lei la notte. Svegliatelo, e avvertitelo del nostro arrivo; temo che saremo male ricevuti.
En. Oh! potete essere sicuri di questo. Più piacerebbe a Troilo l’esilio della sua patria, che vedersi rapir Cressida.
Par. Forza è si rassegni: sono le crudeli strettezze dei tempi — Precedeteci, e nol verremo dopo.
En. Buon giorno a tutti. (esce)
Par. Ditemi, nobile Diomede, schiettamente; parlate colla ingenuità dell’amicizia. Chi fra Menelao e me stimate voi più degno del possesso di Elena?
Diom. Entrambi egualmente. Ei merita di riaverla, egli che, insensibile alla vergogna della di lei infedeltà, la cerca con tanti disagi, e affronta per lei mille ostacoli. Voi del pari la meritate perchè indifferente al suo disonore, la difendete a rischio della perdita immensa di tanti tesori e di tanti amici. Ei, sposo disonorato e gemente, berrebbe fino all’ultima stilla l’impuro vino che gli fu tolto; voi, adultero disonesto, ingenerate gli eredi vostri entro fianchi contaminati. Così pesati, i vostri meriti si bilanciano, ma egli come sposo la vince, sopportando tante pene per una meretrice.
Par. Voi siete troppo acre verso una bellezza del vostro paese.
Diom. È essa che acre è troppo pel paese suo. Uditemi, Paride, non v’ha una goccia di quel sangue che le empie le vene, che non costi la vita di un Greco; non v’è un poro di tutto il suo vil corpo che fruttato non abbia la morte a qualche Trojano: e dacchè ha facoltà di parlare, ella non ha proferite tante buone parole, quante son le vittime greche e troiane che caddero per lei.
Par. Bel Diomede, voi adoprate da mercatante che ostenta di spregiare le cose che comprar vorrebbe: ma noi ci accontentiamo di stimare in silenzio il suo merito, e non vanteremo quello che non vogliamo dare ad altri. Ecco la nostra via. (escono)
SCENA II.
Un cortile dinanzi alla casa di Pandaro.
Entrano Troilo e Cressida.
Troil. Mia cara, riposati in pace; il mattino è freddo.
Cres. No, dolce amico, farò discendere mio zio che ci aprirà le porte.
Troil. Non frastornarlo: ritorna al tuo letto. Il sonno chiuda que’ begli occhi, e immerga tutti i tuoi sensi in un riposo così profondo e così scevro di cure, come è quello dei fanciulli.
Cres. Addio, dunque.
Troil. Te ne scongiuro, ritorna a letto.
Cres. Sei già fastidito di me?
Troil. Oh Cressida! se il giorno alacre svegliato dalla lodola non avesse già fatto alzare gli strepitanti corvi, e cacciati non avesse i sogni della notte, che non può più coprire colla sua ombra i nostri piaceri, io non mi dividerei dal tuo fianco.
Cres. La notte è stata troppo breve.
Troil. Maledizione a lei! Essa si piace nel consorzio dei delinquenti, fino ad istancarli colla sua lentezza, ma fugge gli amplessi dell’amore con ala più rapida che non è quella del pensiero. — Voi prenderete freddo, e me lo rimprovererete.
Cres. Te ne scongiuro, fermati; oh, gli uomini non vogliono mai aspettare. Ah insensata Cressida! — Io doveva tenervi lungi da me, ed allora avreste obbedito. Udite! qualcuno si è alzato.
Pan. (dal di dentro) Son già aperte tutte le porte qui?
Troil. È vostro zio.
Cres. La peste lo colga! Ora ne schernirà, e mi farà arrossire in modo..... (entra Pandaro)
Pan. Ebbene, ebbene? Come vanno i negozii? Siete qui, fanciulla! Dov’è ora la mia nipote Cressida? Ella era fanciulla.
Cres. Itevene, beffardo! Mi portaste al passo voi stesso..... e quindi mi deridete!
Pan. A qual passo vi condussi io, a qual passo? Ditelo, a che cosa vi condussi?
Cres. Andate, lasciateci soli. Voi non sarete mai buono, nè patirete che altri lo sia mai.
Pan. Ah, ah! Oimè, povera innocente! Forse non dormiste questa notte? Forse questo malvagio non vi lasciò dormire? Un demonio se lo porti. (si ode battere)
Cres. Non ve l’avevo detto? Vorrei che si abbattesse la testa a quello che batte così. Chi è alla porta? Ite a vedere, buon zio. Signore, (a Troil.) rientrate nella mia stanza: voi sorridete come s’io alludessi a qualche malizia.
Troil. Ah, ah!
Cres. Errate, vi dico, io non penso a tali cose. — (si ode battere di nuovo) Con quanta forza battono! Ve ne prego, entrate. Non vorrei per la metà di Troja che foste veduto qui. (esce con Troil.)
Pan. (andando alla porta) Chi è là? che volete? Volete atterrare la porta? Chi è là? Chi è là? (entra Enea)
En. Buon giorno, signore, buon giorno.
Pan. Che! Enea? In verità, non vi aveva riconosciuto. Che vi è dì nuovo?
En. Non è qui Troilo?
Pan. Qui? A che fare?
En. Via, egli è qui, nol nascondete; ho gran bisogno di lui.
Pan. Egli è qui, voi dite? È più ch’io non so, ve lo giuro. — Io venni a casa assai tardi. — Ma che farebbe egli qui?
En. Nulla, nulla: ora voi gli nuocereste assai senza saperlo, rifiutandovi a chiamarlo. Ite, fatelo venire. (mentre Pandaro sta per escire, entra Troilo)
Troil. Che volete da me?
En. Appena ho tempo di salutarvi, signore, tanto è incalzante il mio messaggio. A poca distanza sta Paride, vostro fratello, Deifobo, il greco Diomede, e il nostro Antenore che ci è restituito, ma in cambio di cui dobbiamo dare la giovine Cressida.
Troil. È ciò pattuito?
En. Sì, da Priamo e dal consiglio di Troja; poco lungi sono i migliori duci, e tale risoluzione vogliono vedere in atto.
Troil. Vado a raggiungerli, e voi rammentate che non mi trovaste qui.
En. Basta, signore; i segreti della natura non stanno nascosti entro tenebre più profonde. (esce con Troilo)
Pan. È ciò possibile? Vinta appena, e già perduta? Il diavolo si porti Antenore! Il giovine principe ne perderà la ragione. Maledizione sopra Antenore! Vorrei gli avessero fiaccato il collo. (entra Cressida)
Cres. Che cos’era? Chi era qui dianzi?
Pan. Ah!
Cres. Perchè sospirate così profondamente? Dov’è il mio amante? Ditemi, caro zio, che cosa fu?
Pan. Vorrei essere tutto sepolto sotto terra.
Cres. Oh Dei! Che vi è?
Pan. Te ne prego, vattene: oh non fossi mai tu nata! L’avevo ben previsto che tu saresti cagione della sua morte! Principe sfortunato! Maledizione ad Antenore!
Cres. Buon zio, ve ne supplico inginocchiata; ditemi che fa?
Pan. Bisogna che tu parta, povera fanciulla, bisogna che tu parta! sei stata cambiata con Antenore, e devi ritornare da tuo padre, abbandonando Troilo: Troilo ne morrà: tale separazione avvelenerà i suoi giorni; egli non potrà sostenerla.
Cres. Oh immortali Dei! io non partirò.
Pan. Questo far devi.
Cres. Nol voglio, zio: ho dimenticato mio padre ed ogni vincolo di parentela. Nulla vi è che io ami come Troilo. Oh Dei del Cielo! fate del nome di Cressida quello della perfidia, se mai essa abbandona Troilo. Tempo, violenza, morte, esercitate su questo corpo tutti i vostri flagelli; ma la solida base sulla quale poggia l’amor mio è come il punto centrale della terra: tutto attira verso di sè. Rientrerò per piangere.
Pan. Sì, va, va.
Cres. E per svellermi la bella chioma, e straziar queste gote tanto celebrate; per perder la voce fra i singhiozzi, e far che il cuor mi scoppi, gridando: Troilo, no, non escirò da Troia. (escono)
SCENA III.
La stessa. Dinanzi alla casa di Pandaro.
Entrano Paride, Troilo, Enea, Deifobo, Antenore e Diomede.
Par. È giorno; e l’ora fermata coi Greci si appressa celeremente. Fratello Troilo, annunziate a Cressida quello che bisogna ch’ella faccia, e decidetela ad acconsentir tosto.
Troil. State qui: io ve la condurrò fra poco: e quando vedrete che la pongo fra le mani del Greco che venne a prenderla, vedrete in vostro fratello un sacerdote che immola il proprio cuore. (esce)
Par. Conosco che cosa è amore, e vorrei poterlo soccorrere, come posso compiangerlo! Vogliate venir meco, signori. (escono)
SCENA IV.
Una stanza della casa di Pandaro.
Entrano Pandaro e Cressida.
Pan. Calmatevi, calmatevi.
Cres. A che mi dite di calmarmi? Il mio dolore è estremo come l’amore che lo generò, e fa violenza ad ogni mio senso. Come posso io calmarmi? Se potessi far tacere la mia passione, o indebolirla, potrei alleviar del pari il dolor mio; ma il mio amore è di una tempera che non accetta conforti, e dopo perdita così cara sento che non ho più lena per vivere. (entra Troilo)
Pan. Eccolo, egli è qui. — Oh povere tortori!
Cres. (abbracciandolo) Oh Troilo! Troilo!
Pan. Qual coppia di sfortunati mi veggo dinanzi! Lasciate ch’io pure v’abbracci: oh cuore..., come dice il proverbio... oh cuore, oh tristo cuore! perchè sospiri tu senza infrangerti?... e a ciò si aggiunge: poichè tu non puoi alleviare il tuo cocente dolore nè coll’amicizia, nè colle parole?.. non mai vi fu rima più vera. Ebbene, miei agnelli?
Troil. Cressida, io t’amo di un amore così puro, che gli Dei gelosi di me vogliono separarci.
Cres. Son gelosi anche gli Dei?
Pan. Si, e questa ne è una prova manifesta.
Cres. Debb’io veramente lasciar Troja?
Troil. Odiosa verità?
Cres. E lasciar Troilo anche?
Troil. E Troja e Troilo.
Cres. Oh, oh!
Troil. E con tanta sollecitudine, che la crudeltà della sorte ci toglie fino il tempo dì accommiatarci l’uno dall’altro: rompe ogni indugio, frustra con efferatezza le nostre labbra delle dolcezze dei baci, ne vieta ogni amplesso, e soffoca i nostri teneri voti nel nascer loro. Noi che ci siam comprati l’un l’altro a prezzo di tanti sospiri, costretti ora siamo ad abbandonarci con un solo singulto fuggevole! Il tempo ladro colla fretta che è da lui fa bottino di quello che ne ruba, e mentre dovremmo darci tanti addii quante sono le stelle del firmamento, ci costringe a porgercene un solo, contristato da un torrente di lagrime.
En. (dal di dentro) Signore? È ammanita Cressida?
Troil. Udite? Siete chiamata. V’è taluno cbe pensa che il genio della morte gridi vieni a quegli che deve in breve morire. — Ditegli d’esser pazienti; ch’ella andrà frappoco.
Pan. Dove son le mie lagrime? Sgorgate dunque per dileguare la tempesta che rugge nel mio cuore, o egli scoppierà. (esce) Cres. Dovrò io tornare fra i Greci?
Troil. Non v’è riparo.
Cres. La sfortunata Cressida andrà fra i Greci!... quando ci rivedrem noi?
Troil. Odimi, mio amore: pensa soltanto ad essermi fedele...
Cres. Io fedele! Perchè solo il sospetto?..
Troil. No, non dubbii ora, non rimproveri quando l’istante della nostra separazione è giunto. Non ti esorto ad esser fedele perch’io tema di te; avvegnachè sfiderei la morte per sostenere che tu sei purissima: ma ti dico di esser fedele solo per proferire quelle parole che van dietro ad esse, sii fedele e certamente mi rivedrai.
Cres. Oh Principe! voi sarete soggetto a mille, ma io vi serberò sempre il mio amore.
Troil. Ed io per tal promessa avrò il pericolo in conto di amico. — Portate questa manica.
Cres. E voi questo guanto; quando ci rivedremo?
Troil. Corromperò le scolte dei Greci per vederti di notte. Amami ognora.
Cres. Oh Cielo! parli di nuovo di ciò?
Troil. Odi, mia amica, io ti favello così perchè so che i giovani Greci son favoriti dalla natura, dotati di grazie, e perfezionati dalle arti. Al pensiero dell’impressione che produr possono in te i nuovi giovani che stai per vedere, una specie di gelosia mi empie di turbamento.
Cres. Oh Cielo! voi non mi amate.
Troil. Possa io morire da vile se non ti amo! Sebbene così ti parli è però meno delia tua fedeltà ch’io dubito che del merito mio; la mia voce non sa adattarsi al canto, nè i miei piedi alla danza, nè la mia lingua all’adulazione; io non ho queste doti familiari ai Greci, ma affermo che sotto tali doti sta nascosto un demone pericoloso, che ti tenderà insidie colla maggiore astuzia: sii cauta nel lasciarti tentare.
Cres. Credi che mi lascierei tentare?
Troil. No; ma noi facciamo qualche volta cose che far non vorremmo, e precipitiamo per troppo presumere della nostra potenza.
En. (dal di dentro) Venite, caro signore.
Troil. Abbracciamoci e dividiamoci.
Par. (dal di dentro) Fratello Troilo!
Troil. Caro fratello, entrate e conducete il Greco ed Eneaa con voi.
Cres. Mi sarete fedele?
Troil. Io? Oimè! è questo appunto il mio fianco vulnerabile. Mentre gli altri si cattivano una grande stima, io colla mia troppa onestà non ottengo che una semplice approvazione. Altri indorano con arte la loro corona di rame, ed io porto la mia senz’ornamenti con candore e semplicità. Non temete nalla di me: una fede ingenua è la mia dote più cospicua. (entrano Enea, Paride, Antenore, Deifobo e Diomede) Siate il benvenuto, Diomede; ecco chi ricambiamo con Antenore. Alle porte della città io porrò questa donzella fra le vostre mani, e lungo la via vi farò conoscere tutto il suo merito. Trattatela degnamente, e se mai voi bel Greco, aveste ad essere soggetto ai colpi della mia spada, nominate soltanto Cressida, e la vostra vita diverrà così sicura come è quella di Priamo in Ilio.
Diom. Leggiadra Cressida, astenetevi dai ringraziamenti che questo principe aspetta da voi; lo splendore dei vostri occhi, e la bellezza dei vostri lineamenti vi fan sicura di ogni rispetto: voi sarete la sovrana di Diomede, che è sottomesso agli ordini vostri.
Troil. Greco, tu manchi alla civiltà verso di me, obbliando la mia preghiera per far le lodi alla bellezza sua; io ti dico, principe greco, ch’ella è tanto al disopra delle tue lodi, come to sei indegno di portare il titolo di suo servitore. Ti comando di ben trattarla, a mia sola considerazione, perchè giuro che se nol fai, quand’anche Achille ti sostenesse, ti farei mordere la polvere.
Diom. Tregua agli sdegni, principe Troilo, e mi sia concesso di parlare con libertà, avuto risguardo al mio grado e al mio messaggio. Quando sarò fuori di città farò il voler mio; e sappi, Troiano, che nulla io farò per comando: ella sarà trattata in ragione del suo merito, ma allorchè comandar mi vorrai, ti risponderò che non ti obbedisco.
Troil. Usciamo: le tue parole, Diomede, ti costringeranno a nascondere più di una volta il capo. — Bella Cressida, datemi la mano, e per via compiamo insieme un colloquio necessario. (esce con Cress. e Diom.; squlllano le trombe)
Par. Udite! è la tromba di Ettore.
En. In che sperdemmo questa mattina! Il principe mi dirà neghittoso e tardo, poichè gli avevo promesso di andare al campo di battaglia prima di lui.
Par. La colpa è di Troilo: ma via, accompagnatelo, e avanziamoci nella pianura.
Deif. Facciamolo tosto.
En. Sì, andiamo colla sollecitudine d’un giovine sposo sulle traccie d’Ettore: la gloria di Troja dipende oggi dal suo valore e questa tenzone. (escono)
SCENA V.
L’accampamento dei Greci. — È preparata la lizza.
Entra Ajace armato, Agamennone, Achille, Patroclo, Menelao, Ulisse, Nestore ed altri.
Ag. Eccovi interamente vestito della vostra armatura, pieno di ardore e d’impazienza pel lento trascorrere degl’istanti. Terribile Ajace, comandate a vostro messaggiere di portar fino a Troja la vostra sfida, e l’aria spaventata colpisca il commosso orecchio del suo eroe, e lo faccia venir qui.
Aj. Araldo, va, e dispiega tutta la forza de’ tuoi polmoni. Dà fiato alla tromba fino che le tue guancie, fatte rotonde e simili ad una sfera, vincano i fischi del furioso aquilone. Su, obbedisci; è Ettore che chiamo. (squilla la tromba)
Ul. Nessuna tromba risponde.
Ach. È anche presto.
Ag. Quello che viene a noi è Diomede, colla figlia di Calcante?
Ul. Sì: lo riconosco all’aspetto: egli incede superbo, come se fosse il re della terra. (entrano Diomede e Cressida)
Ag. Non è questa la donzella Cressida?
Diom. È questa.
Ag. Siate la ben giunta nel nostro campo, bella fanciulla.
Ach. Dissipate quel pallore che vi cuopre: Achille vi saluta.
Men. Io pure potevo salutare un tempo una donna.
Patr. Il procace Paride ha fatta un’irruzione così subitanea nei vostri lari, che v’ha diviso dall’oggetto dei vostri saluti.
Ul. Oh pensiero, mortale sorgente di tante sventure!
Men. Donzella, vi saluto.
Ul. Io pure.
Patr. Ed io anche.
Diom. Cressida, usciamo: debbo condurvi da vostro padre. (esce con Cres.)
Nest. È una vaga fanciulla.
Ul. Più vaga della stella che addita di sera il cammino ai naviganti. (s’ode una tromba)
Tutti. La tromba dei Trojani.
Ag. Il corteggio s’avanza. (entra Ettore armato: Enea, Troilo ed altri Trojani con seguito)
En. Salute a voi tutti, principi della Grecia. Qual prezioso otterà il vincitore? Dovranno i due campioni farsi guerra fino a morte, o saran separati da qualche voce, da qualche segnale? Ettore ciò domanda.
Ag. Qual cosa piacerebbe ad Ettore?
En. Egli è indifferente a tutto; e si rassegnerà alle convenzioni.
Ach. Tal procedere è degno di lui, ma mostra molta presunzione, molto orgoglio e molto disprezzo pel suo avversario.
En. Se voi non siete Achille, signore, qual’è il vostro nome?
Ach. Se non sono Achille, nessuno sono.
En. Ebbene, se anche siete Achille, sappiate che i due estremi del valore e dell’orgoglio si riuniscono in Ettore: l’uno va all’infinito, l’altro scende al nulla. (rientra Diomede)
Ag. Ecco Diomede. — Nobile guerriero, state vicino al nostro Ajace; e quello che fermato avrete con Enea, rispetto al combattimento, sarà fedelmente seguito. (Ajace ed Ettore entrano nella lizza) Eccoli già pronti a combattere.
Ach. Chi è quel Trojano dell’aspetto sì tristo?
Ul. II minor figlio di Priamo, un vero eroe impareggiabile già quantunque così giovine: sincero, coraggioso, illibato, scevra d’ogni viltà, prode quanto Ettore, e più forse di lui terribile. Lo chiamano Troilo, e la sua patria ripone in esso dopo Ettore la sua speranza. Così ben lo dipinse Enea, che ben lo conosce e che non sa adulare nessuno. (allarme, Ettore ed Ajace combattono)
Ag. Son già alle prese.
Nest. Sii cauto, Ajace.
Troil. Ettore, coraggio.
Ag. I loro colpi son diretti a meraviglia: coraggio, Ajace.
Diom. Tregua al combattimento. (le trombe tacciono)
En. Combatteste abbastanza, principi.
Aj. Non mi sono ancora infiammato; lasciateci tornar da capo.
Diom. Come vorrà Ettore...
Et. Io vuo’ che qui finiamo. Nobile guerriero, tu sei figlio della sorella di mio padre, cugino germano dei figli dell’augusto Priamo. I vincoli del sangue ci vietano un’emulazione sanguinaria: in te si congiungono tanti elementi greci e trojani, che tu puoi dire: io appartengo ad entrambe le nazioni. Per l’onnipossente Giove! tu non ti trarresti così d’impaccio, s’io non pensassi che tu derivi da una mia cara zia. Lascia ch’io ti abbracci, Ajace! Per quel Dio che tuona in Olimpo! tu hai vigorose braccia, ed ecco come Ettore vuole incontrarle. Gloria a te cugino!
Aj. Ti ringrazio, Ettore. Sei troppo leale e generoso. Io era venuto per ucciderti, e raccogliere dalla tua morte un’immensa gloria.
Et. Neottolemo stesso, quell’eroe che tanto si ammira, la di cui fama vola per tutto il mondo, non si potrebbe ripromettere tal palma sopra di Ettore.
En. Le due parti aspettano quello che vorrete fare.
Et. Tosto le appagheremo: l’esito del combattimento è un mutuo amplesso: addio, Ajace.
Aj. Se posso sperare d’ottenere quel che desidero, vi pregherei, mio illustre cugino, di venire alle nostre tende.
Diom. Tale è pure il desiderio d’Agamennone.
Et. Enea, dite a mio fratello Troilo d’appressarsi a me, e annunziate a tutti l’esito del nostro scontro. Dammi la tua mano, cugino. (a Aj.) M’assiderò a mensa con te, per vedere i guerrieri greci.
Aj. Ecco l’illustre Agamennone che s’avanza.
Et. Nominami uno dopo l’altro i più valenti; quanto ad Achille i miei occhi lo riconosceranno da se soli.
Ag. Illustre eroe, abbi ogni buona accoglienza da un nome che vorrebbe non aver contro un tal nemico! Ma questo, non è un ricevimento grazioso: odi dunque il mio pensiero in termini più manifesti. Il passato e l’avvenire sono coperti l’uno d’un velo denso, l’altro d’uno inscrutabile obblio: ma ora la fede, monda d’ogni simulazione e d’ogni intenzione fraudolenta, la indirizza, grande Ettore, il saluto più sincero.
Et. Ti ringrazio, Agamennone, capo illustre dei Greci.
Ag. (a Troil.) E tu, principe Trojano, già tanto celebrato dalla fama, ricevi da me il saluto istesso.
Men. Lasciate ch’io confermi i sentimenti e i saluti del re mio fratello: nobile coppia di guerrieri, siate i benvenuti nel nostro campo.
Et. A cui dobbiamo noi rispondere?
Men. Al nobile Menelao.
Et. Ah! siete voi signore? Per la manopola di Marte! io vi ringrazio: nè vogliate trovarmi goffo, se scelgo giuramento sì poco usato. Una donna, che fu un tempo vostra, giura sempre pel guanto di Venere.
Men. Non la nominate! è un oggetto fatale.
Et. Perdonatemi, m’accorgo ch’io v’offendo.
Nest. Prode trojano, io v’ho visto spesso, adoprandovi pel destino, aprirvi una via sanguinosa fra le fila della gioventù greca, e visto v’ho più ardente di Perseo sospingere il vostro frigio cavallo, ma sempre sdegnoso di ferire i caduti, ciò che mi fea dire: quegli è Giove che dà la vita! E mirato v’ho cinto da una torma di Greci, sostare e riprender fiato, come un lottatore dei giuochi olimpici. Ecco com’io v’ebbi fin qui davanti ai miei occhi. Ma non mai avevo veduto il vostro volto, che un’impenetrabile acciaro ricopriva. Conobbi il vostro avolo, e combattei seco: era un prode guerriero, ma non paragonabile a voi. Concedete ad un vecchio di stringervi fra le sue braccia, e siate, degno eroe, il ben giunto nel nostro campo.
En. (a Et.) È il vecchio Nestore.
Et. Ch’io v’abbracci, venerando vecchio, monumento d’un secolo intero, Nestore riverito vincitore del tempo.
Ul. Stupisco che quella città si sorregga quando sta in mezzo a noi, la colonna sulla quale è appoggiata.
Et. Rimembro il vostro voto, Ulisse. Ah! quanti Greci e quanti Trojani son morti, dacchè vi vidi per la prima volta con Diomede in Ilio, deputatovi dal vostro campo!
Ul. Io vi predissi allora quel che accadrebbe: la mia profezia non s’è avverata finora che per metà. Quelle mura che scorgiamo laggiù, e quelle torri ambiziose saranno in breve per terra.
Et. Non sono obbligato a credervi, ed ho per fermo che la caduta d’ogni pietra frigia costerà una goccia di sangue greco.
Ul. Il tempo mostrerà chi di noi si apponga. Intanto ricevete di mio saluto, prode Ettore. Vi prego di venire alla mia tenda per dividervi il mio pasto.
Ach. Ora, Ettore, che i miei occhi sono sazii di guardarti, ora io t’indirizzo la parola.
Et. È Achille questo?
Ach. Sì, Achille.
Et. Fatti innanzi, ch’io meglio ti vegga.
Ach. Appagati.
Et. È già fatto.
Ach. Sei troppo sollecito: io vuo’ esaminarti di nuovo, come se volessi far acquisto di te.
Et. Tu credi vedere in me un oggetto di curiosità, o di sollazzo: ma vi è invece qualche cosa di più. Perchè mi opprimi con quello sguardo minaccioso?
Ach. Cielo! mostrami in qual parte del corpo io debba ferirlo, onde io possa nominare esattamente il colpo che gli avrò dato, e la breccia per la quale sarà fuggita la grand’anima di Ettore. Cielo, rispondi!
Et. Gli Dei arrossirebbero di far ragione ad una tale inchiesta. Uomo vano e superbo, credi tu ch’io sia sì facile conquista?
Ach. Vorresti essere conquista ardua per me?
Et. Se anche tu fossi un oracolo non ti crederei: ma per l’avvenire sii cauto, perchè io non vivo più che pel desiderio di toglierti la vita. Per l’ancudine su di cui fu fatto l’elmo di Marte, sì, io ti ucciderò. — Illustri Greci, perdonatemi tal impeto a cui il suo orgoglio mi ha trascinato: io farò ogni sforzo perchè le mie azioni confermino le mie parole; o possa io non mai...
Aj. Non vi sdegnate, cugino. E voi, Achille, desistete dalle minaccie fino a che non abbiate il potere di compierle. Voi potete ogni giorno affrontar Ettore se ne avete tanto desiderio; ma penso che tutta la Grecia non sapesse indurvi a combattere contro di lui.
Et. Pregovi di venire sul campo di battaglia: tremende sono state le mischie pei vostri Greci dacchè voi non gli avete sostenuti.
Ach. Di ciò mi preghi, Ettore? Dimani ti raggiungerò, crudele come la morte.
Et. La mano in pegno della promessa.
Ag. Ora seguitemi tutti, nobili Greci, e abbandoniamoci alle ricreazioni del banchetto: festeggiamo Ettore com’egli merita. Squillino le trombe in segno di esultanza, e lieti pensieri soltanto rallegrino le menti. (tutti escono tranne Troilo ed Ulisse)
Troil. Ditemi, Ulisse, in qual parte del campo sta Calcante?
Ul. Nella tenda di Menelao, nobile Troilo. Diomede vi banchetta con lui questa sera: e questi non vede più nè cielo nè terra; tutta la sua attenzione e i suoi sguardi amorosi sono rivolti sopra Cressida.
Troil. Dolce signore, vi avrò io l’obbligo grande di là condurmi quando usciremo dalla tenda di Agamennone?
Ul. Ciò farò di buon grado: voi corrisponderete alla mia compiacenza dicendomi in qual conto era tenuta Cressida a Troja. Aveva ella un’amante che deplori ora la di lei assenza?
Troil. Oh Signore! quelli che per vantarsi mostrano le cicatrici meritano d’esser derisi. Volete che andiamo, signore? Ella era amata, ed amava: è amata, ed ama: ma il tenero amore è sempre preda della fortuna. (escono)