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ATTO QUARTO | 247 |
SCENA II.
Un cortile dinanzi alla casa di Pandaro.
Entrano Troilo e Cressida.
Troil. Mia cara, riposati in pace; il mattino è freddo.
Cres. No, dolce amico, farò discendere mio zio che ci aprirà le porte.
Troil. Non frastornarlo: ritorna al tuo letto. Il sonno chiuda que’ begli occhi, e immerga tutti i tuoi sensi in un riposo così profondo e così scevro di cure, come è quello dei fanciulli.
Cres. Addio, dunque.
Troil. Te ne scongiuro, ritorna a letto.
Cres. Sei già fastidito di me?
Troil. Oh Cressida! se il giorno alacre svegliato dalla lodola non avesse già fatto alzare gli strepitanti corvi, e cacciati non avesse i sogni della notte, che non può più coprire colla sua ombra i nostri piaceri, io non mi dividerei dal tuo fianco.
Cres. La notte è stata troppo breve.
Troil. Maledizione a lei! Essa si piace nel consorzio dei delinquenti, fino ad istancarli colla sua lentezza, ma fugge gli amplessi dell’amore con ala più rapida che non è quella del pensiero. — Voi prenderete freddo, e me lo rimprovererete.
Cres. Te ne scongiuro, fermati; oh, gli uomini non vogliono mai aspettare. Ah insensata Cressida! — Io doveva tenervi lungi da me, ed allora avreste obbedito. Udite! qualcuno si è alzato.
Pan. (dal di dentro) Son già aperte tutte le porte qui?
Troil. È vostro zio.
Cres. La peste lo colga! Ora ne schernirà, e mi farà arrossire in modo..... (entra Pandaro)
Pan. Ebbene, ebbene? Come vanno i negozii? Siete qui, fanciulla! Dov’è ora la mia nipote Cressida? Ella era fanciulla.
Cres. Itevene, beffardo! Mi portaste al passo voi stesso..... e quindi mi deridete!
Pan. A qual passo vi condussi io, a qual passo? Ditelo, a che cosa vi condussi?
Cres. Andate, lasciateci soli. Voi non sarete mai buono, nè patirete che altri lo sia mai.
Pan. Ah, ah! Oimè, povera innocente! Forse non dormiste