Troilo e Cressida/Atto quinto

Atto quinto

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William Shakespeare - Troilo e Cressida (1601-1602)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
Atto quinto
Atto quarto

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ATTO QUINTO


SCENA I.

Il campo greco - Dinanzi alla tenda di Achille.

Entrano Achille e Patroclo


Ach. Gli infiammerò questa sera il sangue col vino greco, e dimani glielo agghiaccierò col ferro della mia spada. — Patroclo, inebbriamoci di vino.

Patr. Viene Tersite. (entra Tersite)

Ach. Ebbene informe abbozzo di natura, quali novelle rechi?

Ter. Idolo vano adorato dagl’imbelli, quest’è una lettera per te.

Ach. Da qual parte viene?

Ter. Da Troja, insensato.

Ach. Mio caro Patroclo, ecco andato a vuoto il mio disegno di dimani. Quest’è una lettera della regina Ecuba, e una raccomandazione della figlia sua, ch’io amo, per cui sono astretto a mantenere il giuramento che ho fatto. Io nol violerò: cadete, Greci; disperditi, mia gloria; dileguati, onore; io mi atterrò solo al mio primo voto. — Andiamo, Tersite, passeremo la notte in feste: vieni meco, Patroclo. esce con Patr.)

Ter. Con troppo sangue, e troppo poco cervello, coloro diverranno pazzi: ma se dovessero divenirlo per troppo cervello e per poco sangue, vorrei io stesso farmi curatore dei dementi. Ecco Agamennone, uomo onesto, e grande amator di femmine: poi vi è suo fratello, vaga metamorfosi di Giove, toro di razza regia; emblema di tutti i mariti sbertati, che se ne sta sospeso per una catena alla gamba di suo fratello. Sotto qual altra forma infatti potrebbe ritrarlo lo spirito tinto di malizia, o la malizia tinta di spirito? Sotto la forma forse di ciuco? Bene non sarebbe; perchè egli è in pari tempo e bue e duce. Sotto quella di bue? Neppur così andrebbe bene, perchè le qualità del giumento che possiede verrebbero in tal pittura obbliate. Esser cane, mulo, gatto, topo, lucertola, civetta, aringa o acciuga sia col ben di Dio; ma esser Menelao, oh vergogna! cospirerei contro il destino. Non mi chiedete quello che volessi essere, se Tersite non fossi, perchè [p. 259 modifica]ferirei divenire la lebbra di un mendico anzichè colui. — Oh! oh! onta e vergogna! (entrano Ettore, Troilo, Ajace, Agamennone, Ulisse, Nestore, Menelao e Diomede con torcie)

Ag. Andiamo male, andiamo male.

Aj. No, è laggiù, dove vedete quei lumi.

Et. Io vi infastidisco.

Aj. No, in verità.

Ul. Viene egli stesso per guidarne. (entra Achille)

Ach. Siate il ben giunto, prode Ettore; siate i benvenuti tutti voi, nobili principi.

Ag. Ora, bel principe di Troja, vi do la buona notte. Ajace comanda le guardie che vi debbono scortare.

Et. Grazie, e buona notte al generale dei Greci.

Men. Buona notte, signore.

Et. Buona notte, caro Menelao.

Ter. (a parte) Caro, dice egli? Caro scheletro, cara cloaca.

Ach. Buona notte, e buona accoglienza a quelli che rimangono.

Ag. Buona notte. (esce con Men.)

Ach. Vecchio Nestore, sta, e tu pure, Diomede, fate compagnia ad Ettore, per un’ora, o due.

Diom. Non posso, signore: ho importanti negozii, e non debbo trattenermi: buona notte, grande Ettore.

Et. Datemi la vostra mano.

Ul. Seguitelo (a parte a Troilo), egli va alla tenda di Calcante: io vi accompagnerò.

Troil. Grazie, signore.

Et. Addio dunque; buona notte. (Diom. esce; Ulisse e Troilo lo seguono)

Ach. Venite, venite; entriamo nella mia tenda. (esce con Et., Aj. e Nest.)

Ter. Quel Diomede è uno scellerato senza onore: io non mi fiderei di lui quando guarda di traverso, più che di un serpente allorchè fischia. A ciancio e promesse è splendido come un cattivo cane, che latra senz’essere sull’orme della preda; ma quando egli compie la sua promessa, gli astronomi l’annunziano come un fenomeno, come un prodigio che deve far nascere qualche gran rivoluzione: il sole ha luce dalla luna allorchè Diomede osserva la parola. Vuo’ piuttosto non veder Ettore, che non seguire colui: dicono amoreggi una fanciulla trojana, e che gli è stanza la tenda del traditor Calcante: vuo’ seguitarlo. Libidini, e solo libidini: libertini, e null’altro! (esce) [p. 260 modifica]

SCENA II.

Dinanzi alla tenda di Calcante.

Entra Diomede.

Diom. Chi è là? Olà! Parlate.

Cal. (dal di dentro) Chi chiama?

Diom. Diomede. — Siete voi Calcante? Dove è vostra figlia?

Cal. (dal di dentro) Ella vien da voi. (Troilo ed Ulisse appariscono in distanza, dopo di loro Tersite)

Ul. Stiamoci in disparte, dove il lume della torcia non ci possa scoprire. (entra Cressida)

Troil. Cressida gli va incontro!

Diom. Ebbene, mia amica?

Cres. Mio dolce custode! Udite una parola. (gli parla a voce sommessa)

Troil. Già tanto familiare?

Ul. Ella farà lo stesso col primo che le verrà innanzi.

Ter. Ed ogni uomo la indurrà a compiere quello che vuole, se ne saprà prendere la chiave.

Diom. Vi rammentate?

Cres. Sì, me ne ricordo.

Diom. Fatelo dunque, e gli atti corrispondano alle parole.

Troil. Che cosa gli rammenta egli?

Ul. Ascoltate.

Cres. Dolce Greco, non mi tentate di più.

Ter. Infamia!

Diom. Mia amica...

Cres. Vi dirò qualche cosa.

Diom. Non mi direte nulla; siete una spergiura.

Cres. In verità non posso: che vorreste ch’io facessi?

Ter. Un’opera diabolica.

Diom. Qual fu la vostra promessa?

Cres. Ve ne prego, non mi obbligate a mantenere il mio giuramento: comandatemi ogni altra cosa, amato Greco.

Diom. Buonanotte.

Troil. Contentiamoci, pazienza!

Ul. Ebbene, Trojano?

Cres. Diomede...

Diom. No, no, buona notte: non vi sarò più di sollazzo.

Troil. Gente che val meglio di te è pur forza che lo sia. [p. 261 modifica]

Cres. Udite una parola all’orecchio.

Troil. Oh ira atroce!

Ul. Voi siete commosso, principe: usciamo, te ne prego, per tema che il vostro cruccio non irrompa in grida forsennate: questo luogo è pericoloso; l’ora è fatale; ve ne scongiuro, usciamo.

Troil. Vediamo, lasciatemi.

Ul. Usciamo, signore; andrete incontro alla vostra morte: venite.

Troil. Te ne prego, rimani Ul. Voi non avete pazienza; venite.

Troil. Restate, ve ne supplico: per l’inferno, e per tutti i tormenti dell’inferno, non dirò più una parola!

Diom. Ora dunque, buona notte.

Cres. Voi mi lasciate con sdegno?

Troil. Ti affliggi dì ciò? Oh fede corrotta!

Ul. Vedete dunque...

Troil. Per Giove! sarò paziente.

Cres. Caro custode... caro Greco.

Diom. Addio; voi mi schernite.

Cres. No, in verità; tornate qui.

Ul. Voi fremete, signore; andiamo: non vi conterrete.

Troil. Ella si percuote le guancie!

Ul. Venite, venite.

Troil. No, fermati; per Giove! non parlerò più: vi è fra il voler mio e tutte le offese un baloardo di pazienza insormontabile: fermiamoci anche un poco.

Ter. Come il demone della lussuria, colle sue dita di patata li solletica entrambi! A che riescirà?

Diom. Volete dunque?...

Cres. Sì, in verità: se no, non vi fidate mai più di me.

Diom. Datemi qualche garanzia di ciò: datemi qualche pegno.

Cres. Vado a cercarne uno. (esce)

Ul. Avete giurato di esser paziente?

Troil. Non temete, signore: obblierò me stesso e quello che sento; son tutto pazienza. (rientra Cressida)

Ter. Ora il pegno; vediamo, vediamo!

Cres. Prendete, Diomede, conservate questa manica.

Troil. Oh bellezza! dove è la tua fede?

Ul. Signore...

Troil. Sarò paziente; lo sarò almeno al di fuori.

Cres. Voi guardate quella manica: esaminatela bene. — Egli mi amava teneramente! Oh fanciulla perfida! Restituitemela. [p. 262 modifica]

Diom. A cui appartenne?

Cres. Non vale: rompo ogni promessa con voi: ve ne prego, Diomede, cessate dall’infestarmi.

Ter. Ora ella arrota i suoi desiderii... bene sta; pietra da aguzzare.

Diom. Lo riavrò.

Cres. Che cosa?

Diom. Quel pegno.

Cres. Oh buoni Dei! Oh dolce pegno! quegli che mi ti diede sta ora nel suo letto pensando a te e a me, e sospira e prende il mio guanto, e gli dà mille teneri baci in memoria mia, come io a te ne do, amato pegno. Ah! non mel togliete: chi mi toglie questo pegno deve togliermi anche il cuore.

Diom. Io l’ebbi prima il cuor vostro.

Troil. Giurai di essere paziente.

Cres. Voi non l’avrete, Diomede; no, non lo avrete; vi darò qualche altra cosa.

Diom. Vuo’ questo; di chi era egli?

Cres. Non importa che lo sappiate.

Diom. Ditemi di chi era.

Cres. Di un uomo, che mi amava più che voi non mi amerete. — Ma poichè ora lo avete ripreso, serbatelo.

Diom. Di chi era esso?

Cres. Per tutte le seguaci di Diana, che splendono là in cielo è per lei stessa, non vi dirò di chi fosse.

Diom. Domani lo porrò sul mio elmo, per cruciare chi lo diede a voi, che però non oserà rivendicarlo.

Troil. Fossi tu il diavolo, e lo portassi fra le corna, e sarebbe rivendicato.

Cres. Or bene; il fatto è irrevocabile... ma però sono anche in tempo... e non atterrò la mia parola.

Diom. Allora, addio dunque: tu non schernirai di più Diomede.

Cres. No, non ve ne andrete. Voi vi sdegnate ad ogni istante.

Diom. Tanta irresolutezza non mi piace.

Ter. Nè a me piace, per Pluto; ma dacchè a voi non piace, mi va un po’ più a sangue.

Diom. Ebbene verrò io?

Cres. Oh Giove!... Venite... Oimè...

Diom. Addio dunque.

Cres. Buona notte. Ve ne prego, venite. — (Diom. esce) Troilo, addio! Ho anche un occhio rivolto a te, ma l’altro segue il mio cuore. Ah! quanto è debole il nostro sesso! La sventura [p. 263 modifica]maggiore di noi è che l’errore dei nostri occhi guidi la nostra anima: e tutto quello che è guidato dall’errore deve necessariamente precipitare. Concludiamo quindi che i cuori che si lasciano vincere dagli occhi sono pieni di malizia. (esce)

Ter. Ella non poteva dare più forte prova della sua perfidia, se pur non avesse detto: io son divenuta una prostituita.

Ul. Tutto è finito, signore.

Troil. Sì.

Ul. A che restiamo dunque?

Troil. Per rimembrare e scolpirmi nell’anima ogni parola, che è stata qui proferita. Ma se narro il modo con cui quegli amanti si sono intesi non mentirò io, sebbene bandisca la verità? Vi è ancora una fede nel mio cuore, una speranza tenace che distrugge ogni testimonianza delle mie orecchie e de’ miei occhi, come se questi organi fossero stati fatti unicamente per ingannare. Era ella davvero Cressida quella che stava là?

Ul. Io non ho il potere di evocare fantasmi, principe.

Troil. Essa non vi era certamente.

Ul. Certamente anzi vi era.

Troil. Negando non parlo da insensato.

Ul. Nè io affermando, signore. Cressida era qui dianzi.

Troil. Ciò non sia detto, per l’onore del suo sesso, e rammentiamo che avemmo una madre. Non diamo questo argomento crudele a quei rigidi censori che inchinati sono di per loro, senza alcuna causa, solo per depravazione, a giudicare di tutte le donne sull’esempio di Cressida! Crediamo piuttosto che Cressida non fosse.

Ul. Quel ch’ella ha fatto, principe, può forse disonorare le nostre madri?

Troil. Tale tradimento sarebbe stato di poca importanza, se non l’avesse commesso Cressida.

Ter. Negherebbe dunque fede anche ai suoi occhi?

Troil. Essa? no, è la Cressida di Diomede: se la bellezza ha un’anima ella non era: se l’anima fa proferir voti, e tai voti son sacri e piacciono agli Dei, essa non era. Oh! delirio della ragione, mercè il quale l’uomo perora per e contro se stesso: autorità equivoca e contradditoria in cui la ragione si solleva, senza annientarsi, e l’intelletto perduto può riputarsi saviezza! Era o non era Cressida? Si innalza nella mia anima un combattimento di una natura strana, che in mezzo ad una cosa indivisibile pone un intervallo così immenso, come quello che separa la terra dal cielo. [p. 264 modifica]

Ul. Il savio Troilo può egli realmente sentire la metà di quelle che esprime?

Troil. Sì, Greco, e tutto ciò sarà divulgato in caratteri di fuoco. Non mai giovine alcuno amò con più costanza e con più tenacità, di quello ch’io amassi; Cressida adoravo quanto abborro Diomede. Quella manica ch’ei vuol portar sull’elmo era mia, e il suo elmo, fosse anche opera di Vulcano, dovrà dar adito alla mia spada che fragorosa e terribile gli cadrà sul capo. — Oh Cressida, perfida Cressida! donna spergiura! Tutte le perfidie paragonate alla tua divengono virtù.

Ul. Contenetevi: gl’impeti della vostra passione attirano gente. (entra Enea)

En. Vi cerco da un’ora, signore: Ettore si sta armando in Troia, e Ajace vi aspetta per ricondurvi in città.

Troil. Vi seguo, principe. — Addio, signore: addio, bellezza spergiura! Tu poi, Diomede, armati a dovere, e porta sul capo un elmo impenetrabile.

Ul. Vi accompagnerò fino alle porte.

Troil. Accettatene quei ringraziamenti che far vi posso nella mia desolazione. (esce con En. ed Ul.)

Ter. Vorrei scontrarmi con quel furfante di Diomede, e intronarlo con grida di mal augurio. Patroclo mi ricompenserà s’io gli fo conoscere questa prostituita. Niuno sa apprezzare più di lui tal merce. Sempre costumatezza a questo mondo: l’inferno la divori sicchè non ne rimanga più orma sulla terra. (esce)

SCENA III.

Dinanzi ai palazzo di Priamo.

Entrano Ettore ed Andromaca.

And. Quando fu mai dunque il mio sposo così scortese da non volere attendere a’ miei consigli? Disarmatevi, disarmatevi, e non combattete oggi.

Et. Voi mi eccitereste ad offendervi; rientrate. Per gl’immortali Dei! combatterò.

And. I miei sogni son sicuri e presagiscono oggi il vero.

Et. Non più, vi dico. (entra Cassandra)

Cas. Dov’è mio fratello Ettore?

And. Eccolo, sorella, armato, e non anelante che alle battaglia. Unitevi a me, e solleviamo concordi le nostre grida: [p. 265 modifica]scongiuriamolo inginocchiate. Ho sognata una mischia sanguinosa tutta questa notte, e non ho veduto che spettri e stragi.

Cas. Oh! infausti sono gli augurii.

El. Squilli la mia tromba.

Cas. Ma non dia il segnale della battaglia; in nome del Cielo! fratello.

El. Ritiratevi: gli Dei hanno inteso il mio giuramento.

Cas. Gli Dei sono sordi ai voti temerarii ed insensati: le offerte impure sono più abborrite dal Cielo, che non le viscere macchiate nei sagrifizii.

And. Lasciatevi piegare: non riputate opera più l’affligger gli altri, per uno zelo eccessivo dei vostri giuramenti: tanto varrebbe in noi il credere di far doni allorchè rubassimo per dare: o quando spogliassimo uno per esser generosi coll’altro.

Cas. È la legittimità del voto, che ne fa la forza e l’importanza: giuramenti arrischiati non debbono esser compiti: disarmatevi, Ettore.

Et. Cessate da tai clamori, vi dico! È l’onor mio che regge i miei destini. Ogni uomo ha cara la vita, ma l’uomo virtuoso collega maggior prezzo all’onore che all’esistenza. (entra Troilo) — Ebbene, giovine? Vuoi tu combatter oggi?

And. Cassandra, va a chiamare mio padre, onde piegare costui. (Cas. esce)

Et. No in verità, giovine Troilo; spoglia la tua armatura; lascia combattere me solo. Prima di avventurarti agli urti terribili della guerra, aspetta che robusti sian divenuti i tuoi muscoli. Disarmati, e non temere; ch’io combatterò oggi per tutti.

Troil. Fratello, voi avete un vizio di generosità, che si addice più ad un leone, che a un uomo.

Et. Che vizio è questo, caro Troilo? rimproveramelo.

Troil. Mille volte, allorchè i Greci cadono al solo fischio, o al lampo della vostra spada, voi dite loro di rialzarsi e di vivere.

Et. Ciò è ben fatto, fratello.

Troil. Ma è la parte di un insensato, pel Cielo!

Et. Perchè?

Troil. In nome degli Dei! lasciamo alle donne tal pietà religiosa, e quando rivestite abbiamo una volta le nostre armi, la vendetta più terribile animi i nostri cuori: avvezziamoli ad opere sanguinose e vietiam loro ogni pentimento ed ogni pietà.

Et. Vergogna, vergogna, fratello.

Troil. Son questi, Ettore, i diritti della guerra.

Et. Troilo, non vuo’ che oggi combattiate. [p. 266 modifica]

Troil. Chi potrebbe Impedirmelo? No, nè il destino, nè il dovere dell’obbedienza, nè il braccio di Marte, quand’anche ei ne ne desse il segnale colla sua spada fiammeggiante, nè Priamo nè Ecuba, a’ miei ginocchi bagnati di lagrime, nè voi, fratello, col vostro terribile ferro appuntato contro di me sapreste impedirmi di andar oggi a pugnare, se pure non mi uccideste. (rientra Cassandra con Priamo)

Cas. Impossessatevi di lui, Priamo, ritenetelo. Egli è il sostegno della vostra vecchiaia, e se lo perdete, Troia e tutti noi cadremo con lui.

Pr. Ritorna, Ettore, ritorna indietro; la tua sposa ha avuto sogni funesti; tua madre non ha veduto che larve minacciose: Cassandra presagisce l’avvenire, ed io stesso mi sento compreso da un impeto profetico per annunziarti un sinistro dì: ritorna dunque indietro.

Et. Enea è sul campo di battaglia, e promisi a molti Greci di presentarmi io pure stamane dinanzi ad essi.

Pr. Tu non v’andrai.

Et. Non mancherò alla mia fede. Voi mi conoscete pieno di sommissione; onde, mio padre, non mi forzate a mancarvi di rispetto, ma concedetemi la grazia di seguire col vostro assentimento quel cammino dell’onore che mi vorreste precludere.

Cas. Non aderite, Priamo, alla sua dimanda.

And. Oh no, mio tenero padre.

Et. Andromaca, voi mi muovete ad ira; in nome dell’amore che mi portate, rientrate in casa. (Andromeda esce)

Troil. (additando Cassandra) È quella fanciulla insensata e piena di superstizioni che fa tutti questi vani presagi.

Cas. Oh! addio care Ettore. Mira come sei moriente, come i tuoi occhi si appannano! Il sangue tuo sgorga da mille ferite! Odi i gemiti di Troja, le grida di Ecuba, i lai d’Andromaca! Mira la distruzione, il dolore, la morte l’un coll’altro scontrantisi, e tutti esclamanti: Ettore, Ettore è morto!

Troil. Vattene di qui.

Cas. Addio. — Fermati, Ettore: io mi accommiato da te, ma tu deludi te stesso, e con te la tua patria. (esce)

Et. Voi restaste afflitto, padre delle sue esclamazioni. Tornate in Troja e rassicuratene gli abitanti: noi andremo a combattere per compiere opere degne di eterna lode, che questa sera poi vi narreremo.

Pr. Addio: gli Dei ti proteggano. (Priamo ed Ettore escono da diverse parti; allarme) [p. 267 modifica]

Troil. Ora incomincia la battagliai Superbo Diomede, io ti abbatterò o troverò la morte. (mentre Troilo sta per uscire si fa innanzi Pandaro)

Pan. Udite voi, signore? udite?

Troil. Che cosa?

Pan. Ecco una lettera di quella povera fanciulla.

Troil. Fa ch’io la legga.

Pan. È così cocente il dolore che mi divora pensando a quella tapina, che uno di questi giorni vi lascierò per andar da lei. — Che vi dice ella nella sua lettera?

Troil. Parole, parole, vane parole, e nulla che derivi dal cuore. (stracciando la lettera) Le opere son diverse dai detti. — Itene al vento, frasi vuote, e partecipate alla sua incostanza; ella alimenta il mio amore con inutili ciancie, e concede ad un altro i suoi veri favori. (escono da diverse parti)

SCENA IV.

Fra Troja e il campo greco.

Allarme ed escursioni. Entra Tersite.

Ter. Stanno ora alle prese: e vuo’ andarli a vedere. Quell’abbominevole ipocrita, quell’infernal Diomede si è posto sull’elmo la manica dell’idiota Troilo, di quel balzano amante: sarei lieto di mirarli combattere insieme, e che quello sciocco giovine troiano, che ama una prostituita, potesse spedire quel dannato Greco colla sua manica verso la sua perfida e lasciva amante, onde recarle un innesto messaggio. D’altra parte la politica di costoro, di quel Nestore, avanzo di cacio secco corroso dai topi, e di quel veltro Ulisse non val una mora di siepe; per astuzia essi hanno opposto il feroce mastino Ajace all’altro cane, di razza egualmente pessima. Achille, ed ora il cane Ajace è più superbo del cane Achille, che per oggi non volle armarsi: i Greci malcontenti fanno un remore d’inferno. — Ma ecco i due campioni, che vengono allo scontro. (entra Diomede; Troilo lo segue)

Troil. Non fuggire; dovessi tu varcare lo Stige, ch’io lo nuocerei per seguirti.

Diom. T’inganni sul mio conto; non fuggo, ma mi ritiro. Fu l’amore della gloria che mi fece uscire dalla mischia: combatti!

Ter. Sostieni la tua druda, Greco! Sostieni la tua meretrice, Trojano. Onore a chi resterà possessore di quella bella manica! (Troil. e Diom. escono combattendo; entra Ettore) [p. 268 modifica]

Et. Chi sei tu, Greco? Sei tu degno di combatter Ettote? Hai tu onore?

Ter. No, no; sono un miserabile che non mi piaccio che di beffe: e nulla valgo.

Et. Ti credo; e ti lascio la vita. (esce)

Ter. Grazie della tua bontà: ma la peste ti sconci per avermi fatto paura! Che è accaduto dei nostri campioni? Credo si siano mangiati l’uno coll’altro: riderò di tal prodigio. Nondimeno la libidine suole in qualche modo divorar se stessa. Vuo’ andarli a cercare. (esce)

SCENA V.

La stessa.

Entra Diomede e un domestico.

Diom. Va, mio servo, prendi il cavallo di Troilo, e presentalo alla mia bella Cressida: vantale i miei servigi; dille che ho punito l’amoroso Trojano, e ch’io solo sono il suo cavaliere.

Dom. Vado, signore. (esce; entra Agamennone)

Ag. Rinnovate, rinnovate la battaglia. Il bollente Polidamo ha atterrato Mennone. Lo spurio Margarelone ha fatto prigioniero Doreo; e diritto come un colosso brandisce la lancia sui pesti corpi di Epistrofo e di Codio, entrambi re. Polisseno è ucciso; Anfimaco e Toa son feriti a morte. Patroclo è preso, o estinto; Palamede è trafitto; il terribile sagittario spaventa i nostri soldati; affrettiamoci, Diomede, in loro soccorso, o tutti periremo. (entra Nestore)

Nest. Ite, recate ad Achille il corpo di Patroclo, e dite al lento Ajace di affrettarsi a prendere le armi se è pure sensibile alla vergogna! Vi sono mille Ettori sul campo di battaglia. In una parte ei combatte sul suo corridore, e gli mancano dopo breve le vittime; nell’altra pugna a piedi, e tutti fuggono, e muoiono come una torma di pesci involantisi dinanzi alla balena. Più lungi ricompare, e quivi i Greci scendono in folla allo Stige inviativi dalla sua spada, che li miete come l’erba è mietuta dalla falce: ei va e viene, parte e riede con tanta alacrità, che si compie tutto ciò che egli vuole: e sì grandi cose opera che quel che ha eseguito sembra impossibile. (entra Ulisse)

Ul. Coraggio, coraggio principi! Il grande Achille s’arma piangendo, maledicendo e profferendo voti di vendetta. Le ferite di Patroclo hanno acceso il suo sangue intorpidito, così come la vista [p. 269 modifica]de’ suoi Mirmidoni, che storpi e mutilati corrono a lui gridando vendetta contro di Ettore. Ajace ha perduto un amico ed è tutto tumido di rabbia: egli è armato, e rugge dietro a Troilo, che ha fatto oggi prodigii di temerità e di valore, mischiandosi sempre nei più folto della battaglia, e sempre del pari ritirandosene con una foga incauta, come se la fortuna a dispetto d’ogni prudenza sii comandasse di tutto abbattere. (entra Ajace)

Aj. Troilo! codardo Troilo! (esce)

Diom. Sì, per di là, per di là.

Nest. Andiamo, usciamo insieme. (entra Achille)

Ach. Dov’è Ettore? Appariscimi, appariscimi, uccisor di fanciulli! mostrami il volto. Impara cosa sia l’aver a fare con Achille sdegnato. Ettore! dov’è Ettore? Niun altri che Ettore io chieggo. (escono)

SCENA VI.

Un’a1tra parte del campo.

Entra Ajace.

Aj. Troilo, codardo Troilo, mostrami il tuo viso! (entra Diomede)

Diom. Troilo! dico, dov’è Troilo?

Aj. Che vuoi da lui?

Diom. Vuo’ punirlo.

Aj. Foss’io generale, e mi dovresti togliere tal grado prima che io a te cedessi il combattimento con Troilo. — Troilo, dico, dove sei? (entra Troilo)

Troil. Oh traditor Diomede! volgi a me il tuo infame volto, e sconta colla tua vita il cavallo che mi rapisti.

Diom. Ah! sei tu qui?

Aj. Io vuo’ combatter solo: fermati, Diomede.

Diom. Egli è mia preda, e non resterò ozioso.

Troil. Venite entrambi, perfidi Greci, entrambi vi abbatterò. (escono combattendo; entra Ettore)

Et. Oh! sì, Troilo, mio giovine fratello, tu oggi ben combattesti! (entra Achille)

Ach. Alfine ti trovo. — Difenditi, Ettore.

Et. Riposati prima, se vuoi.

Ach. Disprezzo le tue cortesie, superbo Trojano. Rallegrati che le mie armi non sono ora in istato di battaglia; la mia [p. 270 modifica]negligenza, il mio riposo ora ti proteggono; ma in breve udrai parlare di me: segui frattanto la tua fortuna. (esce)

Et. Addio: ti avrei atterrato se avessi combattuto. Ma ecco mio fratello. (entra Troilo)

Troil. Ajace ha preso Enea; lo patirem noi? No, pei fuochi di quel Cielo! ei non ce lo toglierà o farà prigioniero me pure. — Odi, destino, quello ch’io dico: nulla mi preme che la mia vita abbia oggi termine. (esce; entra un guerriero splendidamente armato)

Et. Fermati, fermati, Greco: degno avversario per me tu sei. Tu non vuoi aspettarmi? La tua armatura mi piace, e intendo impossessarmene. Tu tenti di fuggire, ma io ti verrò dietro, e non ti lascierò, che prima non abbia avute le tue spoglie. (escono)

SCENA VII.

La stessa.

Entra Achille coi Mirmidoni.

Ach. Avvicinatevi, miei guerrieri, e rammentate quello ch’io dico. Seguitate il mio carro. Non vibrate un solo colpo, ma serbate la lena, e allorchè avrò trovato il sanguinoso Ettore, attorniatelo, e dispiegate tutto il vostro valore. Seguitemi, amici, e mirate com’io combatta: è deciso che il grande Ettore muoia oggi. (escono)

SCENA VIII.

La stessa.

Entrano Menelao e Paride combattendo: quindi Tersite.

Ter. Lo schernito e chi lo schernì sono alle prese. Cane e toro, l’un contro l’altro. Su, Paride, coraggio: Paride non arretrarti, il toro la vince sopra di lui: gran vantaggio sono le corna. (Paride e Menelao escono; entra Margarelone)

Mar. Volgiti, schiavo, e combatti.

Ter. Chi sei tu?

Mar. Un figlio spurio di Priamo.

Ter. Io pure sono uno spurio; amo gli spurii, fui generato spurio, son spurio d’educazione, spurio d’animo e di valore, in ogni cosa spurio. L’orso non morde l’orso; perchè dunque gli [p. 271 modifica]spurii si farebbero male l’uno coll’altro? Bada che la disputa ci sarebbe fatale a entrambi. Se il figlio d’una meretrice combatte per una meretrice, egli è giudicato: spurio, addio.

Mar. Il demone ti porti, codardo. (escono)

SCENA IX.

Un’altra parte del campo.

Entra Ettore.

Et. Cuor vile sotto sì splendidi addobbi, ìa tua bella armatura ti è dunque costata la vita! Ora le mie opere di questo dì sono finite: è tempo che mi riposi. Rientra nel tuo fodero, mia spada: versasti sangue abbastanza! (si toglie l’elmo e appende dietro a sè il suo scudo; entra Achille coi Mirmidoni)

Ach. Mira, Ettore, il sole sta per tramontare: guarda come la lurida notte lo segue da presso, bramosa di regno: col tramontare di quell’astro si deve estinguere la tua vita.

Et. Io sono disarmato; non approfittare di tal vantaggio, Greco.

Ach. Feritelo, soldati, feritelo; è lui ch’io cerco. (Ettore cade) Tu, Ilio, precipiterai dopo di lui; Troja, l’ora della tua ruina è giunta. Qui giace chi ti facea forte, chi solo li sosteneva. Su, Mirmidoni, gridate tutti: Achille ha ucciso il possente Ettore. (si ode una ritirata) Udite! I Greci riedono dal campo.

Un Mirmidone. Anche le trombe di Troja suonano a raccolta, signore.

Ach. L’ala dei draghi notturni si stende sulla terra, e separa gli eserciti, come il giudice i pugilatori. La mia spada, quantunque assetata ancora, pure riposerà. Su, legate il di lui corpo alla coda de’ miei cavalli; ch’io lo trascinerò per queste pianure di Troja. (escono)

SCENA X.

La stessa.

Entrano Agamennone, Ajace, Menelao, Nestore, Diomede ed altri in marcia. Grida al di dentro.

Ag. Udite, udite! Che grida son queste?

Nest. Silenzio, tamburi. (dal di dentro: Achille! Achille! Ettore è ucciso! Achille!) [p. 272 modifica]

Diom. Il grido è, che Ettore fa ucciso da Achille.

Aj. Se anche ciò fosse, non ne meni egli gran vanto, perchè Ettore era un guerriero prode al pari di lui.

Ag. Avanziamoci a passi lenti. Vada qualcuno a pregar Achille di venir da noi. Poichè gli Dei ci hanno dimostrato il loro favore colla morte di Ettore, la gran Troja è nostra, e le nostre sanguinose guerre sono compite. (escono)

SCENA XI.

Un’altra parte del campo.

Entra Enea con alquanti Trojani.

En. Fermatevi: siam signori del campo: non ritorniamo fra le mura; passiam qui la notte. (entra Troilo)

Troil. Ettore è ucciso.

Tutti. Ettore? Gli Dei nol vogliano.

Troil. Egli è morto, è legato alla coda dei cavalli del suo uccisore, e viene trascinato come il più vile degli animali per le pianure. Cielo, afforza il tuo sdegno, e compi la tua vendetta! Assidetevi, o Dei, sui vostri troni, e atterrate Troja, ve ne supplico: mostrate la vostra demenza nella rapidità dei nostri disastri, e non aggiornate la nostra inevitabile distruzione.

En. Signore, voi ci contristate.

Troil. Poichè mi parlate così, non bene mi intendete. Io non dico di fuggire, o di temere la morte, ma disprezzo invece tutti i pericoli, e tutti i mali di cui ci minacciano gli uomini e i Numi. Ettore più non è! Chi lo dirà a Priamo, o ad Ecuha? Quei che vorrà essere riguardato come l’augello più sinistro o più odioso, vada in Troja, e vi annunzi che Ettore è spento! Tal annunzio muterà Priamo in sasso, e le spose e le fanciulle in fontane, o come Niobe, in fredde statue, e immergerà la patria intera nella costernazione. Ma andiamo, Ettore è spento, e null’altro rimane a dire. — Infami tende erette sulle pianure della Frigia, appena Titano si alzi, io in tutte voi penetrerò. E tu, Achille gigante vile, non potrai sottrarti al mio braccio; io ti investirò, come una coscienza colpevole che crea tanti spettri quanti pensieri accoglie la mente. Date il segnale della marcia verso Troja: coraggio: la speranza della vendetta coprirà gl’interni nostri dolori. (Enea esce coi Trojani; mentre Troilo pure sta per escire, viene da un’altra parte Pandaro)

Pan. Ma udite, udite! [p. 273 modifica]

Troil. Lungi da me, ignominioso mezzano! La vergogna e la infamia ti facciano disperare in vita, e non si separino mai più dal tuo nome. (esce)

Pan. Eccellente farmaco ai miei dolori! Oh mondo! mondo! mondo! È così che si disprezzano i poveri agenti! Intriganti di amore, con quant’ardore siete esortati ad operare, e come misero è il frutto che ritraete dalla vostr’opera! Perchè dunque i vostri sforzi son tanto ricercati, e sono così sdegnati i nostri accessi? Quali sentenze vi hanno intorno a ciò? Vediamo: «l’umile ape ronza lietamente finchè conserva il mele ed il pungolo: ma una volta perduti che gli abbia, essa tace come se più non vivesse». Mezzani d’amore, rammentate questo detto — Ora voi tutti, che in questa assemblea siete miei confratelli, compiangete la caduta di Pandaro, o se non potete piangere, accordategli almeno qualche gemito, se non per me, almeno pei dolori delle inferme vostre ossa, fratelli e sorelle, che fate il mestiere di vigilare dinanzi alle porte. Fra due mesi alla peggio verrà composto il mio testamento. Esso sarebbe fatto già senza il timore che qualche maliziosa oca di Winchester1 non lo volga in riso: per ora vivrò con gran cura e gran misura, e quando il momento della mia morte sia giunto, lascierò in legato a voi le mie malattìe.

(esce)



FINE DEL DRAMMA.

Note

  1. Le donne pubbliche erano anticamente sotto la giurisdizione del Vescovo di Winchester.