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246 | TROILO E CRESSIDA |
En. Noi ci conosciamo a dovere scambievolmente.
Diom. Ed io aspiro anche a conoscerti meglio.
Par. Non mai vidi tanta ammirazione e tanto odio misti insieme. Ma cosa è che vi rende, signore, così sollecito questa mattina?
En. Fui chiamato dal re, ma ne ignoro la cagione.
Par. Io ve la dirò. Voi dovevate condurre questo Greco alla casa di Calcante, e cambiarlo colla bella Cressida. Vogliate accompagnarci, piuttosto precedeteci. Io credo che mio fratello Troilo abbia passata con lei la notte. Svegliatelo, e avvertitelo del nostro arrivo; temo che saremo male ricevuti.
En. Oh! potete essere sicuri di questo. Più piacerebbe a Troilo l’esilio della sua patria, che vedersi rapir Cressida.
Par. Forza è si rassegni: sono le crudeli strettezze dei tempi — Precedeteci, e nol verremo dopo.
En. Buon giorno a tutti. (esce)
Par. Ditemi, nobile Diomede, schiettamente; parlate colla ingenuità dell’amicizia. Chi fra Menelao e me stimate voi più degno del possesso di Elena?
Diom. Entrambi egualmente. Ei merita di riaverla, egli che, insensibile alla vergogna della di lei infedeltà, la cerca con tanti disagi, e affronta per lei mille ostacoli. Voi del pari la meritate perchè indifferente al suo disonore, la difendete a rischio della perdita immensa di tanti tesori e di tanti amici. Ei, sposo disonorato e gemente, berrebbe fino all’ultima stilla l’impuro vino che gli fu tolto; voi, adultero disonesto, ingenerate gli eredi vostri entro fianchi contaminati. Così pesati, i vostri meriti si bilanciano, ma egli come sposo la vince, sopportando tante pene per una meretrice.
Par. Voi siete troppo acre verso una bellezza del vostro paese.
Diom. È essa che acre è troppo pel paese suo. Uditemi, Paride, non v’ha una goccia di quel sangue che le empie le vene, che non costi la vita di un Greco; non v’è un poro di tutto il suo vil corpo che fruttato non abbia la morte a qualche Trojano: e dacchè ha facoltà di parlare, ella non ha proferite tante buone parole, quante son le vittime greche e troiane che caddero per lei.
Par. Bel Diomede, voi adoprate da mercatante che ostenta di spregiare le cose che comprar vorrebbe: ma noi ci accontentiamo di stimare in silenzio il suo merito, e non vanteremo quello che non vogliamo dare ad altri. Ecco la nostra via. (escono)