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ATTO QUARTO


SCENA I.

Troia. — Una strada.

Entrano da un lato Enea ed un servo con una torcia; dall’altro Paride, Deiforo, Antenore, Diomede,ed altri pure con torcie.

Par. Chi è quegli che veggiamo laggiù?

Deif. Enea.

En. Voi prìncipe, qui in persona? Se avessi le buone ragioni che avete voi, Paride, per star a letto, non ci sarebbe che un comando del Cielo che mi potesse separare dalle braccia della mia bella compagna.

Diom. Io pure penso così.

Par. È questo un prode Greco, Enea! Accettate la di lui mano, ch’egli è quel Diomede che per un’intera settimana seguì le vostre orme sul campo di battaglia.

En. Salute, valoroso guerriero! Questo è il mio voto per voi, finchè durerà fra di noi questa pacifica tregua: ma quando vi scontrerò armato, vi farò udire allora la sfida più sanguinosa che il pensiero possa formare il coraggio compiere.

Diom. Diomede riceve con cuore allegro l’uno e l’altro voto. Il nostro sangue è ora tranquillo, e finchè lo sarà, vivete, Enea. Ma quando la battaglia mi darà occasione di raggiungervi, per Giove! io diverrò allora l’infaticabile cacciatore della vostra vita, e a tal impresa consacrerò tutte le mie forze, tutta la mia alacrità.

En. E tu caccierai un leone che, fuggendo, vedrà in viso il suo cacciatore. — Sii il benvenuto a Troja, e abbiti il più generoso accoglimento: sì, pei giorni d’Anchise, tu sei il benvenuto! Lo attesto sulla mano di Venere, che non vi è vivente che possa amare di amicizia più salda l’oggetto ch’ei si propone di distruggere, di quello ch’io te ami.

Diom. Le nostre anime si accordano. Gran Giove, fa che Enea viva, se la sua morte non deve accrescere lustro alla mia spada! Vegga egli il sole compier mille volte il suo corso! Ma se è per soddisfare al mio cuore, ch’ei muoia, ed ognuno de’ suoi muscoli sia trapassato da qualche ferita; e ciò prima di dimani