Trattato completo di agricoltura/Volume I/Coltivazione della vite

Coltivazione della vite

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COLTIVAZIONE DELLA VITE





[p. 470 modifica]§ 482. La coltivazione della vite occupava anticamente in Italia uno de’ primi posti nell’Agricoltura, se devesi giudicare dalla quantità degli scritti che ci lasciarono gli uomini più illustri d’allora. Ma in questi ultimi tempi andò scemando d’importanza, in modo che oggidì ben pochi sono quei luoghi dove ancora si osservi un metodo razionale ed accurato in questo ramo dell’industria agricola; e questi pochi luoghi, per nostra vergogna, sono in Francia, sulle sponde del Reno, a Tokai, nella Spagna.

In Lombardia poi, bisogna confessarlo, la vite è più trascurata che altrove; nel Bolognese, in Toscana ed in Piemonte vi sono dei paesi che hanno ancora qualche cura per la vite. Nè devesi confondere la buona coltivazione colla bella apparenza che mostrano i nostri vigneti in certe località, per regolarità di piantagione, e per esattezza e diligenza di disposizione; questa è pur cosa da lodarsi, e mostra che l’operosità esiste, ma non vuol dire che la vite sia bene coltivata.

Trascurata la coltivazione della vite, era necessaria conseguenza che la qualità de’ nostri vini avesse a scemare di [p. 471 modifica]pregio, ed a prestarsi difficilmente ad una lunga conservazione. Da qui l’enorme tributo che i nostri ricchi cominciarono a pagare alla Francia, alla Spagna ed al Reno, per vini che forse sarebbero inferiori ai nostri, se noi usassimo le loro cure nella coltivazione della vite e nella fabbricazione del vino.

Nè per iscusarsi basta il dire che il nostro clima è divenuto più freddo che non lo fosse una volta, perchè in qualunque modo sarà sempre più caldo di quello del Reno e di molte parti della Francia. Sappiate che dove matura il riso, l’uva non può essere cattiva che per colpa nostra. Noi abbiamo un estate quasi simile per temperatura a quello di Palermo, di Napoli, della Spagna, più caldo di quello delle coste superiori del Mediterraneo; e se l’epoca della vendemmia da alcuni anni in qua ha ritardato di qualche settimana, la cagione la troveremo ancora nel nostro sistema d’agricoltura.

Persuadetevi adunque che il nostro clima è più che favorevole alla coltivazione della vite, e che se non potremo fare del vino superiore a quello della Bassa Italia e della Spagna, ove l’inverno è meno freddo e la primavera è più anticipata, potremo farlo sicuramente superiore od uguale ai migliori di Francia e del Reno. Il proprietario potrà soddisfare meglio l’amor proprio, facendo vini di maggior pregio; ed il coltivatore troverà nel maggior valore dell’uva un vantaggio che compenserà le fatiche e le cure prestate alla vite. Queste fatiche in fine non superano di molto quelle che anche attualmente si sogliono fare, fuorchè se saranno ben dirette se ne trarrà il profitto, e continuando come si fa, verrà il momento che odieremo la vite come un fastidioso ingombro del terreno.

La società tutta dovrebbe poi anche riflettere all’utile che ne deriva al pubblico col migliorare i vini, perchè questi influiscono assai sulla moralità e sulla salute della popolazione. Il buon vino è una bevanda salubre e nutriente, e in quei luoghi dov’è facile ad aversi, la popolazione si riscontra sana e poco dedita all’ubbriachezza. Dove all’incontro il vino è scarso, costoso e cattivo, il vizio dell’ubbriachezza è più frequente, perchè al lavoratore, che può averne di rado, quando gli capita l’opportunità, ne vuol bevere a crepapelle. Non parlo poi dei paesi ove il vino è fatturato, e di quelli dov’è quasi intieramente surrogato dai liquori; ivi l’ubbriachezza è frequentissima, ed è notissimo che l’alta Francia, la Germania e la [p. 472 modifica]Russia dovettero stabilire pene e multe che opponessero un argine a tale frequenza; e che perciò s’istituirono società di temperanza; laddove nella Francia meridionale, nella Spagna e nella bassa Italia l’ubbriacarsi è più raro.

§ 483. Fra le cause per le quali la coltivazione della vite venne sempre più trascurata, si può annoverare l’incuria dei proprietarj e dei fattori, per cui tutto si abbandonò al capriccio ed alla poca cognizione del coltivatore; la coltivazione promiscua dei cereali; il maggior ombreggiamento del terreno; l’abbondanza crescente del concime da stalla prodotto dal miglioramento che subì l’agricoltura; e finalmente la carezza del legname.

Infatti, esaminiamo ora che cosa faccia il proprietario per formare una piantagione di viti. Esso, generalmente, acquista i magliuoli o le barbatelle dai venditori e coltivatori di vivaj, i quali per averle belle e rigogliose in poco tempo, le fanno di solito coi tralci delle viti che lussureggiano molto in fogliame, ma che d’ordinario sono le inferiori per qualità di uva. Pochissimi sono quei proprietarj o quelli agenti che vadano essi medesimi in tempo della vendemmia a segnare i tralci coi quali si possano ottenere buoni magliuoli. L’impianto poi si fa troppo fitto e col solito letame da stalla; e per cinque anni consecutivi si allevano innalzandole poco per volta, formando una infinità di nodi, di tagli, di seccumi, ed un gambo tortuoso e bernoccoluto, dal quale ogni anno sorge gran quantità di polloni e cacciate, a scapito delle principali che voglionsi mantenere in vigore. Dopo il quinto anno, munita la piantagione dell’occorrente legname, il proprietario la consegna al colono. Sin qui gli errori sono attribuibili al proprietario; ora vediamo se il coltivatore agisca meglio. Ma anche il colono coltivatore, per la qualità del contratto col quale lavora il fondo, è sgraziatamente trascinato a trascurare la coltivazione della vite.

Infatti il colono è obbligato a coltivare nello stesso campo il frumento di fitto, il gelso pei bachi da seta, il melgone ed altri generi pel mantenimento della propria famiglia, non che le erbe da foraggio pel bestiame. Così, per lavorare presto il terreno pel frumento, taglia subito dopo la vendemmia i tralci che ingombrerebbero il terreno, spesso senza distinzione di buoni o di inutili. In primavera per anticipare i lavori pel melgone, tarda troppo a potare e tendere le viti, oppure consegna alle donne questa importante operazione. In seguito, [p. 473 modifica]perchè il melgone, il frumento, e quanto si coltiva nel terreno sottoposto possa crescere più liberamente, alza di troppo i gambi delle viti, e ne mette a mazzo i tralci per acquistar spazio e risparmiar fatica e legname. Poi, per non danneggiare gli altri prodotti del suolo, ommette le zappature, e le mondature delle cacciate inutili, o le protrae sin dopo il raccolto, cioè per lo meno sino al luglio, nella quale epoca le cure divengono presso chè inutili, ii male essendo già fatto, ed i grappoli già diminuiti nel tempo della fioritura o del primo ingrossare degli acini. Inoltre, il concime da stalla usato dai contadini pei cereali che si coltivano al piede della vite, la fa vegetare rigogliosamente, producendo molti tralci e molte foglie, a scapito della quantità e specialmente della qualità dell’uva, poichè non si fa altro che aumentare l’ombreggiamento intorno alla vite, ombreggiamento già grande pel crescere dei cereali, e delle piante di gelso o d’altro, disposte a sostegno dei gambi. Come pure in tal guisa si aumenta l’umidità del terreno e si diminuisce l’effetto benefico dei raggi solari; perciò la maturanza divien sempre più tarda, e facili sono le malattie dell’uva e l’ammuffimento dei grappoli negli ultimi istanti, prima della vendemmia. Infine la scarsità e la conseguente carezza del legname, fece il contadino economo nei sostegni, e si moltiplicò invece il numero delle piante vive, e così crebbe ancor più l’ombreggiamento dei terreno. Del resto, come vi dissi, noi possiamo far buoni vini, e non dobbiamo screditare i campagnuoli attribuendo loro una pigrizia che non esiste in fatto, ma piuttosto dovremo far di tutto per avviarli ad una ragionevole coltivazione.