Trattato completo di agricoltura/Volume I/Coltivazione della vite/10
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della potatura.
§ 509. La potatura è l’operazione di levare quella parte della vite che ha già fruttificato, per disporne a frutto la nuova; e dalla diligente e cognizione con cui essa viene eseguita, dipende spesso e la quantità del frutto e la durata della vite.
§ 510. Circa all’epoca della potatura non si può dare una regola costante, dovendo essa pure variare a norma del clima, del terreno e dell’esposizione. Certo è però che, dove si possa, sarà meglio farla in autunno. Nei climi caldi, ed anche nei temperati, ben esposti, di terreno asciutto e poco soggetti a nebbie ed altre umidità, si farà costantemente in autunno subito dopo cadute le foglie. Potando in autunno la ferita non geme, e quindi la pianta non s’indebolisce; la ferita ha tempo di indurirsi prima che sopraggiungano i freddi jemali; la vite durante il verno resta alleggerita dal peso dei tralci, e questi offrono minor appoggio all'acqua ed alle nevi; i tralci si rompono meno perchè non ancora induriti dal freddo; inoltre, dopo il seminerio del frumento pochissimi sono i lavori e quindi s’acquista tempo per la primavera; il terreno si può lavorar meglio anche nel verno; e finalmente i tralci tagliati via e ridotti a pezzetti possono servire di concime in primavera.
Nell’inverno si tagli la parte più vigorosa della vigna e meglio esposta, purchè non geli, e la vite non sia bagnata.
In primavera si taglieranno le viti dei climi un poco freddi, dei terreni umidi e male esposti; come pure si taglieranno le viti che avessero un tralcio poco maturo, e quelle che essendo troppo rigogliose, perdendo un poco d’umore, durante la lacrimazione, faranno meno foglie e maggior frutto.
Facendo però il taglio in primavera troppo avanzata l’abbondanza della lacrimazione sarebbe a scapito del vigore della pianta; l’umore viscido che geme, scorrendo sul gambo o sui tralci, dove si ferma e si condensa, impedisce la traspirazione della corteccia, l’annerisce, e sopprime anche quelli occhi sui quali si fermasse; inoltre in quest’epoca i tralci si rompono assai facilmente, e più facilmente ancora si corre pericolo di spiccarne le gemme nel maneggiarli.
In ogni modo, nell’autunno si dovrà tagliare ogni tralcio che abbia fruttificato, quand’anche il resto della potatura si volesse differire sino alla primavera.
§ 511. Circa al modo di eseguire la potatura non posso dirvi altro che le cose generali, applicabili a ciascuna località, cioè: si toglieranno tutti quei tralci che sorgono dal pedale o sul gambo; quelli che si rinvenissero grami, tortuosi, guasti e guardanti in basso. I tralci che si vogliono mettere a frutto devono essere rimondati dai viticci secchi, e dai rametti laterali, avvertendo di non guastare gli occhi o gemme che sono alla base. Questi tralci, ancorchè lunghi, abbisogna accorciarli, levandone la cima, in modo da renderli più robusti e fruttiferi, poichè la cima sottrae molto per la di lei tendenza ad allungarsi in tralci e far molte foglie; di questi tralci non se ne deve lasciare più di due per gambo; pochi tralci e corti vi daranno maggiore e migliore quantità di uva che non tanti e lunghi. Fammi povera che ti farò ricco, dicevano i vecchi coltivatori italiani. Ed il fatto prova l’esattezza di questo detto. Dopo un anno di copiosa vendemmia, essendosi alquanto indebolita la vite, la si dovrà impoverire maggiormente che non dopo un anno scarso d’uva. Come pure si dovranno lasciare tralci minori e più corti nei luoghi umidi e freddi, che non in quelli asciutti e caldi; minori nei terreni magri e dove la vite sia poco vigorosa, che non dove il terreno sia buono, profondo e la vite assai rigogliosa.
La potatura varia poi essenzialmente secondo il modo di allevare la vite. Così abbiam già veduto quanto differiscano tra loro le potature delle viti educate sulle piante, da quelle allevate a pergola, e più ancora quanto queste due maniere differiscano da quella usata per le viti a ceppata bassa. Alle viti in filari, dove si conservano i nuovi tralci sorti presso il collo della vite, e che salirono sulle maneggie o pertiche poste in vicinanza ed a sostegno dei gambi, non si dovrà mai lasciare più di tre tralci per pedale, lunghi non più di 1m50. Ma il più delle volte si crede di ottenere maggior quantità di uva lasciandovene persino cinque o sei, tutti in fascio, i quali soffocandosi reciprocamente con molte foglie, perdono la massima parte dei fiori, e quelli che possono fruttificare danno un’uva scadente, perchè troppo ombreggiata, e poco ventilata; finalmente la vite si snerva, e vi dà foglie ed ombra, invece di buona uva. Le stesse regole pei filari valgono per le viti educate a ronco. Quando poi la vite, per essere in terreno poco profondo, magro e molto asciutto, vegetasse poco ed irregolarmente, abbisognerà salvare e mettere a frutto quel poco di buono che seppe fare la natura.
Nel caso che la vite sia corsa troppo alta, e che i nuovi tralci da frutto troppo si allontanino dal collo, abbisognerà lasciare in basso qualche recente cacciata o bastardo con due o tre occhi, in luogo proprio, ben situato e capace di produrre un buon tralcio, per istabilirvi la vite l’anno venturo, tagliando via tutta la parte superiore, e così ridurla a minor altezza senza scapito del frutto. Per ottenere da questo mozzicone o bastardo un buon tralcio, abbisognerà lasciare minor numero di tralci e più corti, affinchè il nutrimento non scorra tutto in quelli, ma passi anche a dar vigore a questa parte più bassa. Così per non allungare di troppo i gambi si abbia riguardo di pigliare i tralci possibilmente in vicinanza al vecchio collo o capo della vite.
§ 512. Finalmente, per eseguire i tagli con maggior precisione, prestezza, senza torcere, nè stirare le viti, ritengo essere indispensabile che si abbandoni l’uso del falcetto e che si adotti quello della tanaglia (fig. 150).
Colla tanaglia il taglio si fa più rapidamente perchè la persona resta ben collocata in ogni posizione, il che non succede col falcetto. I tagli fatti colla tanaglia sono meno lunghi e più vicini alla corteccia e perciò più presto sanabili che non quelli fatti col falcetto (fig. 151), i quali, riescendo sempre oblunghi e prominenti, non possono essere prontamente ricoperti.
Infine colla tanaglia meno facilmente si guastano le gemme prossime o lontane, come avviene col falcetto, col quale, scorrendo talvolta, senza previdenza si tagliano occhi e tralci, vicini e lontani.
Si oppone che adoperando la tanaglia il taglio non riesce così pulito come quello eseguito col falcetto (fig. 152); e questa osservazione e verissima, specialmente se si pon mente ai tagli fatti sui legni 152.153.dolci, e con tanaglia poco affilata: da una parte il legno resta contuso, e dall’altra spesso è quasi lacerato, come vedesi al punto A della (fig. 153), il che riuscirebbe di danno alla vegetazione della gemma sottoposta. Ma nel caso della potatura si deve avvertire che il taglio dei nuovi tralci si fa alquanto lontano dai nodi, come è mostrato dalla figura 154, e dalla distanza che esiste dal punto A al luogo del taglio superiore della fig. 152, e che solo i tagli presso il legno vecchio devonsi fare in prossimità di esso, non lasciando mozzicone di sorta; e per conseguenza una tanaglia bene affilata val meglio ancora del falcetto.
154.Vorrei inoltre che s’introducesse il costume di escludere le donne ed i ragazzi dall’eseguire la potatura. Infatti non è raro il vedere nei campi, e singolarmente in quelli coltivati a massajo, una torma di donne, ragazze e ragazzi con qualche vecchio che non è più buono a sostenere la vanga, scorrere come un’orda nemica lungo i filari delle viti, stirando in basso, tagliando e riducendo a fascine i tralci recisi con una furia e confusione, che ci dà certo indizio di un lavoro nojoso, ma che pur bisogna fare una volta all’anno. Non è quindi a meravigliarsi che la vite renda poco e deperisca presto essendo così malmenata e guasta. Io invece vi dico, giacchè abbiamo queste viti, e che dobbiamo soffrirne l’ombra, essere necessario che se ne ricavi il maggior frutto, il maggior compenso possibile per questo ombreggiamento, il che non si potrà mai ottenere in quel modo.
§ 513. Del palare, tendere o legare le viti. Tutte queste operazioni devono essere fatte colle seguenti cautele:
La distanza del palo dalla linea delle viti deve essere misurata dalla loro vigoría, dalla bontà del terreno, e dall’uso cui si vuol sottoporlo.
Il numero dei pali dev’essere in proporzione dei tralci; e di questi non se ne tireranno più di due o tre per palo, possibilmente provenienti da due diversi pedali, onde riescano più divisi fra di loro, e quindi godano di maggior sole e ventilazione.
Nelle viti disposte da mezzodì a tramontana si dovranno suddividere i tralci per modo che da ciascun lato ve ne sia un numero pressochè uguale, procurando anche di mantenere, ove si possa, ciascun tralcio dal lato ove sorge.
I tralci devono essere legati ai pali in modo da non essere troppo stirati; e la legatura si farà in un punto più basso relativamente al collo della vite, cosicchè la cima del tralcio pieghi in basso ad arco. Questa piegatura è la più propizia perchè il tralcio faccia e mantenga una maggior quantità di grappoli; e voi infatti la vedrete posta in uso per le spalliere per aver maggior quantità di frutto; e la vedrete anche naturalmente nelle piante fruttifere, i di cui i rami orizzontali sono sempre i più carichi di fiori e di frutti che non i rami che salgono verticalmente in alto. Tanto nei rami delle altre piante fruttifere quanto nel tralcio della vite, se l’umore salisse direttamente, portandosi facilmente sino alla cima, il tralcio sperderebbe la sua vigoría nel fare cacciate e foglie invece di produrre e mantenere il frutto. Guardate le cacciate vicine al collo e che salgono sulle pertiche a formare il tralcio del venturo anno, e le vedrete quasi sempre senza fiori, e se per caso ne hanno, dopo qualche tempo scompajono coll’allungarsi ed innalzarsi rapidamente del tralcio. Quando poi il tralcio fosse troppo lungo, è meglio tagliarlo qualche occhio dopo la legatura al palo.
Tutti i legami della vite, e singolarmente quelli presso il collo, devono essere piuttosto larghi, per non impedire la libera circolazione degli umori; e se si legassero i tralci a fili di ferro, si dovrà porre un cartoccio di melgone od altro che valga a difenderli contro la corrosione che eserciterebbe il ferro durante le giornate ventose.
I pali più usitati fra di noi sono quelli di castano dagli anni sei alli nove, secondo la forza di vegetazione; questi sono i più dritti e danno bell’aspetto alla vigna. Ve ne sono di quercia, ma riescono più costosi e più ritorti. Assai comuni sono pur quelli di robinia, ma questi devono essere scortecciati presto in autunno, e restare all’acqua in piedi, onde essere dilavati dal loro sugo proprio, che facilmente annerirebbe il tralcio. Si usano anche pali dolci di pioppo e di salice, ma durano pochissimi anni; quelli di quercia, castagno e cerro durano più di 8 o 9 anni, quelli ai robinia 5 o 6, e quelli dolci non più di quattro. Per aumentare la durata di questi pali sarebbe bene abbrustolirne la porzione che dev’essere conficcata nel terreno; oppure tagliarli in autunno, scortecciarli immediatamente e tenerli immersi nell’acqua per tutto l’inverno.
Dove le viti si tengono basse, a gambi separati fra di loro, oppure riunite in numero non maggiore di tre, servono abbastanza bene anche le canne. Gli antichi scrittori italiani mostrano che ne’ loro tempi i canneti erano molto in uso per questo scopo, perchè infatti in poco tempo ci forniscono un sostegno; e tuttora le canne sono assai adoperate in molti luoghi del Piemonte e del mezzodì della Francia, ove scarseggia il legname. Fra noi però l’uso delle canne diviene inutile, non potendosi applicare al nostro modo di allevare le viti, e soltanto potrebbero essere utilissime quando si coltivasse qualche pezzo di vigna bassa a ceppata.
§ 514. Altre operazioni che si possono considerare secondarie ma che pure sono di gran vantaggio alla vite ed alla quantità dell’uva, sono: la zappatura, la scalzatura, il levare la corteccia morta dal gambo, lo sgarzolare e lo sfrascare.
La zappatura non si deve mai tralasciare ogni anno, anzi le viti vogliono essere zappate più volte all’anno, tanto più se sono in terreni freddi, compatti, o facili a lasciar crescere le erbe. Con questa operazione il terreno si fa più soffice, penetrabile all’aria ed al calore solare, ed asciuga più presto dopo le pioggie.
La zappa non deve essere molto grande, ma piuttosto lunga e non più larga di 0m,07, perchè meglio e con minor fatica serva a smovere profondamente il terreno, senza lacerare e tagliare una infinità di radici. Nei primi anni è meglio zappare superficialmente, ma in seguito bisogna smuovere più profondamente, e levare anzi le radici troppo superficiali. La zappatura non deve limitarsi presso il gambo, ma è necessario che comprenda almeno 1m,50 per ciascun lato, onde il vantaggio sia risentito dalle radici minori e più giovani. In primavera si zapperà di mattino, e nell’estate invece dopo il mezzogiorno; nè mai si praticherà questa operazione quando il terreno sia troppo bagnato, o nelle ore troppo calde.
§ 515. Un’altra operazione, pure assai utile per la vite, è la scalzatura, la quale consiste nel levare la terra presso il gambo; lasciandovi così una specie di fossa per circa un mese, per poi rimettervi la terra, rincalzando nuovamente e facendo anzi un rialzo presso la vite.
Questa operazione si fa allo scopo di togliere e levar via diligentemente le radici superficiali, per meglio concimare, e perchè le radici più profonde si riscaldino più facilmente. Allo scopo di levare le radici superficiali si deve eseguire in autunno, subito dopo la vendemmia, perchè in quest’epoca la vite non geme e soffre di meno; il taglio dev’essere netto e rasente al pedale, perchè più presto si rimargini; subito dopo il taglio si copriranno le ferite con parte della terra, rimettendo il resto dopo un mese, in momento che non sia troppo bagnata, ma il più scorrevole ed asciutta che sia possibile. Nella primavera abbisognerà levare diligentemente i teneri germogli che venissero dai luoghi ove sono state tagliate le radici.
Quando la scalzatura si faccia per concimare la vite, si farà parimenti in autunno, ricoprendo immediatamente. La terra si apre un poco più lungi dal pedale onde il concime si faccia sentire anche dalle radici lontane e più sottili, che sono quelle che assorbono il nutrimento per la pianta. Se trattasi di concime grosso, come di fusti di melgone o di sarmenti secchi o verdi della vite, sarà bene tagliarli a pezzi perchè meglio si ricoprano e putrefino. Nel rincalzare s’abbia l’avvertenza di rialzare la terra presso i gambi, acciò l’acqua scoli più facilmente, e meglio si difendano le radici dal freddo. A questo proposito vi ricorderò che se la terra soffice è quella che asciuga più presto e che lascia penetrare il calore atmosferico, essa è pur quella che meno si lascia congelare profondamente.
Nei terreni troppo tenaci, queste scalzature si fanno anche in primavera al solo scopo di far penetrare il calor solare nel terreno. Si apre la terra verso la fine di febbrajo e la si rimette in aprile; mentre la vite è scalzata si può nell’egual tempo tagliare le radici superficiali o concimarla.
§ 516. Quando le viti sono vigorose e giunte ad una certa età, vedesi che la loro scorza più superficiale si stacca per liste longitudinali, e noi ajuteremo la natura in questa operazione, che favorisce la traspirazione della corteccia, e che rende meno facile l’annidarsi degli insetti, ed il fermarsi delle pioggie, delle nevi e della umidità naturale, che nell’inverno può far danno congelandosi sopra di essa.
§ 517. Operazioni poi della massima importanza per la vite nel nostro clima e specialmente negli anni piuttosto freddi ed umidi, sono: lo sgarzolare, il cimare e forse anche lo sfogliare o sfrascare.
Lo sgarzolare consiste nel levare a mano i teneri germogli appena nati, che si considerano inutili perchè sorgono dal pedale o sul gambo, o perchè siano troppo fitti e mal disposti sul collo della vite. Questo si fa onde acquistino maggior forza i rami che devono dar frutto, o formare tralcio per l’anno seguente. Con ciò si rende più liscio il gambo, e non si lascia fin dapprincipio vagare di troppo l’umore e la forza della vite.
Nel maggio, quando le cacciate mostrano i fiori, si dia una seconda passata alle viti, per togliere tutte quelle che non ne portano, e che non servono a dar tralcio pel venturo anno; levando anche i caprioli se la stagione fosse umida e piovosa.
Nella seconda metà di giugno si ripeta la visita alla vigna dopo la fioritura, poichè non di rado succede che per contrarie circostanze atmosferiche, di freddo o di pioggia, molti fiori vadano a male e molti giovani tralci rimangano senza frutto; importa quindi togliere alla pianta questo inutile dispendio di umori.
Con queste prime cure noi avremo già diminuito di molto l’ombreggiamento; ed il sole potrà meno difficilmente riscaldare il terreno, e lo asciugherà più presto dopo le pioggie; oltre di che il nutrimento della vite sarà stato concentrato soltanto nei tralci utili, e non a mantenere inutile fogliame, diminuendo anche il fastidio della potatura pel venturo anno.
§ 518. Ad accrescere questi effetti, singolarmente negli anni umidi o piovosi, conviene nella seconda metà d’agosto o nella prima metà di settembre, levare la cima ai tralci che portano uva, rispettando però quelli che devono servire per mettere a frutto successivamente. Questa operazione dicesi cimare. La cima poi deve levarsi un occhio o due al di sopra del grappolo. Che se non bastasse, per la stagione troppo fredda o piovosa, gioverà anche sfrascare la vite presso i grappoli, dopo i primi dieci giorni di settembre.
§ 519. I giovani tralci che mano mano si levano alle viti e le foglie possono utilizzarsi verdi o secche pel mantenimento del bestiame, od anche conservarsi in luogo apposito qual concime da sotterrarsi all’epoca della scalzatura.
Io vorrei che gli agricoltori si persuadessero che queste cure sono nè troppo lunghe, nè costose. Lungo le rive del Reno ed in molte provincie del mezzodì della Francia sono tutte eseguite a puntino ogni anno, e trovano un abbondante compenso nella miglior qualità del vino.