Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. II)/Libro decimo - Capo II

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C a p o   II.


Stato dell’arte sotto i primi successori d’Alessandro... in cui influirono le vicende di que’ tempi... sotto Antipatra... Cassandro... e Demetrio Poliorcete — Lavori di quell’età... Moneta di Antigono I. – Gruppo detto il Toro Farnese — Pretese effigie del re Pirro – Passò l’arte dalla Grecia... in Egitto... e n’abbiamo de’ monumenti – Riflessioni sulle arti, e sulla poesia in Egitto a quell’epoca — Passò l’arte in Asia sotto i Seleucidi – Ulteriori vicende della Grecia – Lega achea... e guerra, cogli Etolj ruinosa per le arti.

Stato dell’arte sotto i primi successori d’Alessandro... Alessandro il Grande, la cui morte, come la vita, forma una rimarchevole epoca nella storia dell’arte, mancò nel fior de’ suoi giorni, nell’anno primo dell’olimpiade cxiv.1; e l’arte medesima mancò, al dir di Plinio, poco dopo di lui, cioè nell’olimpiade cxx. (cessavit deinde ars). Io non esaminerò qui se ciò detto sia giustamente, e con quella verità con cui disse Tacito, che dopo la battaglia d’Azio Roma più non produsse nessun gran genio, e con cui molti scrissero che dopo la morte d’Augusto si corruppe il romano linguaggio, e degenerò l’eloquenza2. E’ probabile che Plinio, siccome vedremo più sotto, abbia particolarmente avuto di mira ciò che avvenne in Atene; poichè se prendiamo la storia della Grecia in generale, troveremo l’opposto.

...in cui influirono le vicende di que’ tempi. §. 1. Dopo la morte d’Alessandro insorsero rivoluzioni, e si fecero sanguinose guerre non meno nelle provincie conquistate che nella Macedonia medesima fra i suoi capitani e successori. Di quelli nessun più vivea nell’olimpiade cxxiv., [p. 258 modifica]ma le guerre duravano ancora fra i loro figliuoli e discendenti. La Grecia, sì per le nemiche armate che la inondarono, sì pel quasi annuale cangiamento di governo, e per gli esorbitanti tributi che a pagare era corretta, ebbe a soffrire in breve tempo più danno che sofferto non aveva in tutte le precedenti guerre intestne.

Sotto Antipatro. §. 2. Gli Ateniesi, presso i quali alla morte d’Alessandro ridestato erasi lo spirito di libertà, fecero gli ultimi sforzi per sottrarsi al giogo de’ Macedoni, comunque mite, e indussero altre città a sollevarsi contro Antipatro; ma dopo alcuni leggieri vantaggi ebbero una rotta presso Lamia, e furono sforzati a sottoscrivere dure condizioni di pace, che gli obbligavano a rimborsare le spese della guerra, a pagare in oltre una grossa somma, e a ricevere una guarnigione straniera nel porto di Munichia; anzi quegli Ateniesi, che dopo tale sconfitta eransi tolti al furor de’ Macedoni, furon da questi ricercati, strappati anche con violenza3 dai tempj ne’ quali eransi rifugiati, e una parte de’ cittadini fu esiliata in Tracia. Finì in tal guisa la libertà d’Atene. Polisperconte successsore d’Antipatro, mentre reggea la Macedonia come tutore, permise con un pubblico decreto a tutt’i Greci di ripigliare in ciascuna città l’antico governo e ’l regime primiero4; ma non ottenne ciò che erasi proposto, cioè di ridonare la libertà alla Grecia; anzi in Atene avvenne il contrario, poichè per consiglio di Focione questa città ritenne ne’ suoi porti la guarnigione macedone5.

Cassandro. §. 3. Cassandro, figliuolo d’Antipatro, e re di Macedonia, dopo ch’ebbe interamente distrutta la stirpe d’Alessandro il Grande diede agli Ateniesi il celebre Demetrio Falereo per loro governatore; e questi seppe per un decennio sì ben [p. 259 modifica]reggerli, e indurli ad eseguire ogni suo cenno e volere, che essi in un anno gli eressero trecensessanta statue di bronzo6, e parecchie di esse erano fu un cocchio o a cavallo; dal che si deve inferire che vi fossero in Atene molti ricchi cittadini, e copia grande d’artefici.

Demetrio Poliorcete §. 4. Durò tal governo sino a Demetrio Poliorcete, figliuolo d’Antioco re di Siria, che vinse Cassandro, e conquistò la Macedonia, nella di cui rovina ebbe a soffrire anche Atene. Questa città si trovò per tanto soggetta a quel vincitore fortunato, e ’l governatore se ne fuggì in Egitto, ove trovò ricovero presso il primo de’ Tolomei. Ciò avvenne nell’olimpiade cxviii. Ebb’egli appena abbandonata Atene, che il popolo incostante ed ingrato tutte le sue statue rovesciò e fuse7, e cancellonne da ogni luogo il nome.

§. 5. Per l’opposto si dimostrarono gli Ateniesi sì propensi a venerare Demetrio Poliorcete, che fu pubblicamente decretato di ergere a lui e ad Antioco suo padre una statua d’oro8; forse sull’esempio della città di Sigeo nel territorio di Troja, che fece un consimile decreto di alzare una statua aurea equestre al medesimo Antioco9. Da questa prodigalità d’oro si può inferire che si cercasse allora nell’arte più l’apparenza che la sostanza; e diffatti, secondo l’osservazione di Plinio, lo stile fiorito de’ Greci non si manifestò se non dopo Alessandro10.

§. 6. Le vili adulazioni degli Ateniesi aveanli renduti dispregevoli agli occhi medesimi di Demetrio, il quale duramente reggeali come meritavano; ma in ciò avendo egli [p. 260 modifica]oltrepassato il segno, sollevaronsi contro di lui dopo la battaglia d’Ipso, in cui suo padre lasciata avea la vita, e prese allora Lacare il governo della città. Ben però seppe Demetrio punir la loro ribellione, poichè discacciò Lacare, fortificò il Museo, e vi pose guarnigione straniera, le quali cose parvero con ragione a quel popolo tratti di schiavitù11. Ne’ seguenti tempi quella, che altre volte era stata la più potente fra le greche città, decadde talmente che, essendosi alleata a Tebe contro Sparta, fu costretta ad imporre una tassa generale sopra quanto possedevano in terre, in case, e in denaro effettivo gli abitanti del territorio ateniese per soddisfare alle spese della guerra ascendenti a sei mila talenti; e nemmeno vi riuscì, poichè ne mancarono ancora dugencinquanta12: a tanta miseria ridotti erano gli Ateniesi poco tempo dopo d’aver alzate, come poc’anzi si disse, entro il giro d’un anno, trecensessanta statue di bronzo ad un sol uomo. In un sì povero paese, a cui mancava altresì il commercio e la navigazione, sorgenti principali della ricchezza, non poteano più sussistere gli artisti, e costretti vidersi ad abbandonare la primaria lor sede, e cercare altrove ricovero e sostegno. L’arte medesima dovè, per così dire, lasciar la Grecia per qualche tempo, e trasportarsi in Asia ed in Egitto.

Lavori di quell’età... §. 7. Prima di venire a questo passaggio dell’arte greca in estere contrade, e al destino che ivi ebbe, piacerà senza dubbio al lettore di ben sapere qual ella fosse allora, e giudicarne potrà da due opere di que’ tempi sino a noi conservatesi; cioè da una medaglia d’Antioco, o d’Antigono I. padre del mentovato Demetrio Poliorcete, che è senza alcun dubbio di quello tempo; e dal famoso gruppo chiamato il Toro Farnese. A quest’occasione diremo pur qualche cosa delle supposte effigie di Pirro.


[p. 261 modifica] Medaglia di Antigono I. §. 8. La medaglia, di cui parlo e che posseggo io stesso, è stata da me pubblicata e spiegata13. Essa era stata altrove mal disegnata e peggio esposta, poichè le foglie d’ellera, che circondano la testa d’un vecchio, ivi prendonsi per foglie di canna, il vecchio per Nettuno, e nel rovescio credesi una Venere armata l’Apollo che siede fu una nave14. Io per l’opposto vi scorgo nel diritto piuttosto il dio Pan; ma non istarò a ridir qui le ragioni che servon d’appoggio alla mia opinione. La figura del rovescio, di cui chiaramente distinguesi il sesso maschile, e che ha sotto di sè un delfino, dee prendersi per l’Apollo Δελφίνιος, così detto perchè si cangiò in delfino quando condusse sopra una nave cretense la prima colonia nell’isola di Delo15. Apollo vien pur da Euripide chiamato Πόντιος, cioè dio marino, perchè co’ suoi cavalli scorre anche sovra l’onde del mare16. Or siccome gli Ateniesi ascrissero al dio Pan la vittoria presso Maratona, così è probabile che il re Antigono abbia fatta coniare quella medaglia in memoria di qualche vittoria navale ottenuta, a suo parere, pel favore di Pan e d’Apollo. Questa medaglia, del diametro di due pollici di palmo romano, ha un impronto molto rilevato, e meritava d’esser qui mentovata come uno de’ più bei monumenti dell’arte di que’ tempi17.

Gruppo detto del Toro Farnese. §. 9. Possiamo pure con molta verosimiglianza riferire quest’epoca un monumento di molte figure, opera d’Apollonio e Taurisco, fatto d’un sol masso di marmo, esistente [p. 262 modifica]a Roma nel palazzo Farnese, detto perciò il Toro Farnese18(a). Dico che verosimilmente è di questi tempi, poichè Plinio riguardo a questi artisti nulla ci determina, benchè abbia fissate le epoche de’ più celebri sino a questi tempi. Si fa che tal gruppo rappresenta Zeto ed Anfione, i quali per vendicare la loro madre Antiope, presero Dirce, cui Lico padre loro sposata avea dopo il ripudio di quella, e legatala ad un toro fecerla crudelmente strascinare.

§. 10. Ci narra Plinio che tal lavoro portato fu dall’isola di Rodi a Roma: ci addita in oltre la patria di Taurisco, cioè la città di Tralli in Cilicia19, e osserva che nell’iscrizione v’erano mentovati del pari il padre d’ambi gli artefici Artemidoro, e ’l lor maestro Menecrate, tra i quali era rimasto indeciso, quale de’ due fosse stato riconosciuto da essi per vero padre, se quello che loro avea data la vita, ovvero l’altro che gli aveva istruiti nell’arte20. Questa iscrizione or più non v’è, ma il luogo più cospicuo, ove può credersi che fosse incisa, è il tronco dell’albero che serve d’appoggio alla statua di Zeto, e che è quasi tutto moderno, come la maggior parte delle figure medesime.

§. 11. Parecchi hanno scritto l’opposto21, e per quel che m’immagino, dall’aver male inteso il Vasari, il quale narra che questo gruppo è stato lavorato in un sasso solo, e senza pezzi22. Ma è chiaro che egli qui parla del gruppo qual era stato scolpito anticamente, e non vuol già dire che sia stato disotterrato senza che alcun pezzo ne mancasse. Da quest’abbaglio, e dal non avere ben distinto l’antico dal [p. 263 modifica]moderno, l’opera del greco scarpello dal recente lavoro, è nato il falso giudizio che alcuni ne hanno portato, riputandola indegna de’ greci artisti, e dichiarandola scultura della scuola romana23.

§. 12. I rappezzamenti fattivi da certo Battista Bianchi milanese alla maniera de’ suoi tempi, e senza punto intendere l’antico, sono nella figura di Dirce legata al toro la testa e ’l petto sino all’umbilico e le braccia, come pure la testa e le braccia d’Antiope; nelle statue d’Anfione e Zeto sono antichi i due torsi ed una gamba, e nel toro nuove sono le gambe e la corda, di cui un inesperto viaggiatore si maraviglia come siasi conservata24. Quello che v’ha qui d’antico può disingannare chiunque sappia un po' gustare il bello degli antichi lavori, e giustificare l’onorata memoria che Plinio fa degli scultori mentovati. Tali sono la figura d’Antiope, tranne la testa e le mani, e quella del giovanetto sedente e inorridito alla crudele punizione di Dirce, il quale non può rappresentar Lico suo marito, come immaginò Gronovio25. Lo stile della testa del giovanetto s’assomiglia a quello delle teste de’ figliuoli di Laocoonte26. Il finimento grande dello scarpello vedesi negli accessorj, e principalmente nella cista mistica tessuta di vimini e circondata d’ellera, posta fotto Dirce per indicar in lei una Baccante27. E’ [p. 264 modifica]questa sì esattamente e con tanta diligenza lavorata, quanta usata n’avrebbe l’artista, che avesse dovuto in essa sola dare un saggio della sua abilità28.

§. 13. Il medesimo avvenimento, in parte almeno, vedesi espresso su due bassi-rilievi nelle ville Borghese ed Albani in tre figure, cioè Antiope fra i suoi due figliuoli in atto di eccitarli alla vendetta. Ne ho già parlato a lungo nel Libro VIII. Capo IV.29.

Pretese immagini del re. Pirro. §. 14. Oltre le monete del re Pirro di bellissimo conio, meriterebbono la nostra attenzione una statua maggiore della grandezza naturale nel museo Capitolino30, e due teste in rilievo somiglievoli a quella della statua, se fosser queste l’effigie di Pirro, come generalmente si crede. Una delle teste è in marmo nel palazzo Farnese, e l’altra in porfido nella villa Lodovisi31. In conseguenza di questa opinione il Gori32 ha dato il nome di Pirro a una simile testa incisa in una gemma nel museo Granducale. Per conoscere l’insussistenza di questa opinione balla osservare che tutte le mentovate teste, compresavi pur quella della statua, hanno una barba folta e crespa, laddove i successori d’Alessandro, e Pirro medesimo soleano portar il mento raso; come riguardo a Pirro avea già prima di me osservato Pignorio33, argomentandolo dalle genuine sue monete; e riguardo agli altri re, oltre le monete loro, ce ne fa fede Ateneo34. V’è bensì nel suddetto museo Granducale un’unica moneta di Pirro in oro, in cui ha un poco di barba, ma questa è cortissima.

[p. 265 modifica]§. 15. Non potendosi per tanto ravvisare nella mentovata statua il re Pirro, ed essendo altronde la testa ideale, potrebbe credersi ivi effigiato Marte; ma a ciò pur si oppone il non trovarsi mai data a questo dio la barba nelle opere antiche. Vennemi in pensiere che quella statua fosse di Giove, a cui più che ad altro dio somiglia, e ivi si rappresentasse il Giove Ἄρειος (guerriere), che ebbe pur l’aggiunto di Στράτιος (condottiere d’eserciti); ben sapendosi che eziandio ad altri dei, oltre Marte, è stato talora dato l’usbergo, come a Bacco su un’ara della villa Albani, e a Mercurio in bronzo del museo Hamiltoniano. Ma abbandonai tal opinione, poichè sì i capelli che la barba son diversi da quelli che suole aver Giove; e siccome la testa di essa ha molta somiglianza con quella di Agamennone, che vedesi nello stesso museo fu un’urna in cui rappresentasi la sua contesa con Achille per Briseide35; quindi ho giudicato essere tali teste l’effigie di quel re, il quale aveva altresì a Sparta un tempio36, ove veneravasi col soprannome di Ζεύς (Giove): nome che diedero pur Gorgia a Serse37, ed Oppiano a Comodo38.

Passò l'arte dalla Grecia.. §. 16. Dopo che soggiogate furono tutte le città libere passò l’arte della Grecia, ed ebbero perdute colla libertà le ricchezze, le arti, che nella loro patria non aveano più sussistenza e ricompense, obbligate vidersi ad abbandonarla quali interamente. Furon esse però e in Asia dai Seleucidi, e in Egitto dai Tolomei accolte e ricompensate generosamente; onde parvero sotto un nuovo cielo una nuova vita ricevere, e riavere in qualche modo il loro vigor primitivo.

...in Egitto. §. 17. I più grandi protettori della perduta arte greca furono i successori d’Alessandro in Egitto, Tolomeo Sotere39, [p. 266 modifica]primo fra loro, non solo accolse tutt’i greci artisti, ma eziandio tutti gli uomini di merito in qualunque genere, che abbandonata aveano la patria loro. Era fra questi Demetrio Falereo40, di cui parlammo pocanzi, e fra quelli Apelle il principe dell’arte greca41. Tolomeo e i successori suoi, che nella divisione del regno d’Alessandro avean avuta miglior parte che gli altri, erano perciò i più potenti e i più ricchi; e se possiamo credere ad Appiano Alessandrino42, tenevano in piedi un’armata di 200000. fanti, e di 40000. cavalli, con 300. elefanti addestrati alle battaglie, e 2000. carri falcati, oltre 1500. fra triremi e quinqueremi. Sotto Tolomeo Filadelfo, il secondo dei re greci in Egitto, Alessandria divenne a un di presso ciò che era stata in altri tempi Atene, poichè i più celebri letterati e i poeti greci lasciarono la patria loro per andar colà, ove la gloria e la fortuna invitavanli. Euclide di Megara v’insegnò la geometria, il tenero Teocrito vi cantò i suoi idillj nel dialetto dorico, mentre Callimaco con più sublime linguaggio vi celebrava gli dei. Dalla pomposa processione che fece quello re in Alessandria, argomentar possiamo quanto numero vi fossero gli artefici. Le statue vi si portarono in giro a centinaja, e nel gran padiglione per lui eretto in quell’occasione v’erano le statue in marmo di cento differenti animali, lavoro de’ più valenti artisti43. Tra tutti questi però non ci è pervenuto il nome di altri che di certo Satirio, il quale incise in cristallo l’effigie d’Arsinoe sposa dello stesso Tolomeo Filadelfo44.

... e n’abbiamo de’ monumenti §. 18. Sotto i Tolomei, e anche sotto il primo di essi, vidersi in Egitto bellissime opere dell’arte greca scolpite su pietre egiziane, cioè in basalte ed in porfido, delle quali, tranne due figure, non si sono conservati che de’ rottami: [p. 267 modifica]tali però che mostrano un lavoro sorprendente e superiore a quanto si fa fare oggidì. O questo lavoro si consideri, o lo stile del disegno, non possiamo ascrivere tali opere al tempo de’ cesari, che abbiano fatto trasportare in Roma i massi di tali pietre dall’Egitto quando colà dominavano; nè possiamo crederle anteriori ai Tolomei, non essendo probabile che i Greci facessersi venire i sassi dall’Egitto; e altronde Pausania non parla mai di statue di basalte o di porfido esistenti presso di loro.

§. 19. Di basalte abbiamo due teste, che possono riferirsi a quelli tempi: una di basalte nericcio è presso di me ma le manca il mento colle mascelle e ’l naso; l’altra servatasi intera è presso il signor cavalier di Breteuil45. Si conosce che questa tefla rappresentante un bel giovane, come la precedente, era altre volte su una statua; e poichè ha orecchie da pancraziaste, dee risguardarsi come l’effigie d’un atleta vincitore ne’ grandi giuochi olimpici, a cui sia stata eretta una statua in Alessandria sua patria46.

§. 20. Non può qui ravvisarsi un di que’ vincitori, dai quali prendeva il nome l’olimpiade in cui erano stati coronati, perchè quell’onore riserbavasi a chi riportava la corona nello stadio, ossia alla corsa de’ cocchi47. Di quattro atleti alessandrini di quella maniera, i quali coronati furono sotto i primi Tolomei, troviamo fatta menzione nelle [p. 268 modifica]storie48: cioè di Perigene nell’olimpiade cxxvii., d’Ammonio nella cxxxi., di Demetrio nella cxxxviii., e di Crate nella cxlii. Essendo dunque qui rappresentato un lottatore, o un pancraziaste, dovremo ravvisarvi piuttosto uno dei due atleti alessandrini allor coronati, cioè Cleosseno per la lotta49 nell’olimpiade cxxxv., e Fedimo pel pancrazio nella cxlv.50.

§. 21. Per la stessa ragione io penso che sia l’effigie d’un atleta alessandrino l’altra testa guasta di basalte nericcio, lavorata nel medesimo stile della precedente, se non che n’è scolpita con più arte la capigliatura. Non avendo questa le orecchie da pancraziaste, ma bensì secondo la forma ordinaria, non dobbiamo in essa cercare l’effigie d’un lottatore, ma piuttosto d’un vincitore nella corsa de’ cocchi, e d’uno de’ quattro summentovati, essendo altronde probabile che, ad esempio delle città greche, Alessandria abbia erette delle statue ai luoi primi vincitori ne’ giuochi olimpici51; e che di là abbiale volute a Roma l’imperator Claudio insieme alle statue di porfido, che fu il primo a farvele trasferire dall’Egitto52.

§. 22. Delle opere dell’arte greca in porfido ho già parlato altrove53, e qui solo avvertirò che i lavori in tal sasso [p. 269 modifica]di quest’epoca rarissimi sono, e rari erano anche presso gli antichi per la difficoltà grandissima di lavorarlo54.

§. 23. Le monete alessandrine celebri erano per la bellezza dell’impronto, di modo che al lor paragone grossolane sembravano e fatte senz’arte le monete d’Atene di que’ tempi55. Diffatti la maggior parte delle ateniesi, o antichissime sono, o d’un conio assai mediocre.

Riflessioni sulle arti, e sulla poesia in Egitto a quell’epoca. §. 24. Io conchiudo da tai monumenti che l’arte greca, trasportata in Egitto a questi tempi, non sia stata corrotta dal cattivo gusto che depravò ed avvilì la poesia alla corte di Tolomeo Filadelfo, dal che nacque quel degeneramento nelle scienze che il osservò poscia in Roma sotto i cesari, e per l’Europa tutta nello scorso secolo. Callimaco e Nicandro, due della Plejade poetica, cioè de’ sette poeti d’Alessandria, studiavansi più di comparir eruditi che di mostrarsi poeti, e principalmente il secondo andava in traccia di parole antiquate e d’espressioni strane, scegliendo anche le più basse di tutt’i varj dialetti della Grecia. Licofrone, altro della medesima Plejade, amava di comparir invasato anzichè ispirato, e di affaticare con difficili pensieri e frasi oscure il [p. 270 modifica]leggitore anzichè dilettarlo; credesi egli il primo che fra’ Greci usasse l’anagramma56. Gli altri poeti faceano co’ versi loro delle are, de’ flauti, delle scuri, e delle uova ec. Teocrito medesimo fece de’ giuochi di parole57; e ciò che è ancora più strano, Apollonio di Rodi, altro dei sette poeti, sembra aver sovente trascurate le leggi della grammatica e della poesia58.

Passò l’arte in Asia sotto i Seleucidi §. 25. I Seleucidi, così detti da Seleuco, uno dei successori d’Alessandro, che alla di lui morte occupò il regno, dell’Asia minore, cercarono al par de’ Tolomei di attirar presso di loro le arti esuli dalla Grecia, e quelle incoraggire e migliorare che già da qualche tempo nel regno loro fiorivano; il che riuscì in maniera da uguagliare gli artisti che in Grecia erano rimasti59. Le arti però non crebber colà a tanta fama come in Egitto; la qual cosa dobbiamo probabilmente attribuire all’essere stata Seleucia, a cui i re trasportata aveano da Babilonia la loro fede, posta nel cuor dell’Asia, ove pur era situato tutto il regno loro, e per conseguenza lungi dal resto della Grecia. Vi farà succeduto come avviene oggidì per quegli artisti che lungi stanno da Roma, sede delle belle arti: a poco a poco degenerano, e se ne corrompe il gusto, poichè manca allo spirito e alla immaginazione loro l’alimento continuo d’aver sott’occhio i più pregevoli lavori. Gli Egizj all’opposto aveano in Alessandria, per mezzo della navigazione e del commercio, sempre aperta la comunicazione coi Greci, e gli artisti aver poteano facilmente dalla Grecia ciò che lor bisognava: vantaggio che non aveano a Seleucia. E che diffatti alla situazione de’ Seleucidi, e alla loro lontananza dal mare e dalla Grecia attribuirsi debbano i pochi progressi che fece colà l’arte greca, [p. 271 modifica]argomentar lo possiamo dal vedere come quella fiorisse ne’ tempi seguenti alle corti dei re di Bitinia e di Pergamo, piccole Provincie dell’Asia jonica. Fra gli artisti della corte de’ Seleucidi è celebre certo Ermocle di Rodi, che scolpi la statua del bel Combabo60.

Ulteriori vicende della Grecia. §. 26. Quest’epoca dell’arte greca sotto i primi successori d’Alessandro terminò nell’olimpiade cxxiv. in cui erano morti Tolomeo I. in Egitto, Seleuco in Siria, Lisimaco in Tracia, e Tolomeo Cerauno in Macedonia. Nella stessa olimpiade61, un’impensata lega, che strinsero fra di loro alcune poco riguardevoli città della Grecia, pose i fondamenti per darle una nuova forma, con cui risorsero poi colà le arti per l’ultima volta. Provarono allora i Greci quello che avviene sovente agli uomini, cioè che i mali giunti all’eccesso divengono eglino stessi il rimedio, come la corda d’uno stromento musicale soverchiamente tesa e rotta fa luogo ad un’altra, che con maggior cautela accordata alla fine mette il giusto suono.

Lega achea. §. 27. La preponderanza de’ Macedoni aveva alterato in Grecia l’antico sistema. Sparta medesima avea degenerato da quel prisco regime in cui vissuta era per quattro secoli62; poichè essendone stato costretto a fuggire il re Cleomene, che troppo dispoticamente reggeala, vi restarono soli gli Efori, parecchi de’ quali furono pur in varie successive rivoluzioni trucidati. Dopo la morte di Cleomene si venne all’elezione d’un nuovo re: fu scelto Agesipoli, ma siccome era fanciullo ancora, Licurgo, sebbene non fosse di regio sangue, donando un talento a ciascun degli Efori, si fece conferire la dignità suprema. Essendosi però penetrata l’iniqua [p. 272 modifica]via da lui tenuta per conseguire tal carica, fu costretto egli pure a fuggire, ma fu poscia richiamato nell’olimpiade cxl.63. Non molto dopo, essendo morto il re Pelope, insorsero a Sparta varj tiranni, l’ultimo de’ quali Nabide dispoticamente la resse, e la difese con una guarnigione di truppe straniere64.

$. 28. Tebe dianzi sì celebre giacea distrutta, e stava Atene in una totale inazione. Non essendovi nessun difensore della libertà, sollevaronsi molti tiranni, che Antigono Cenata re di Macedonia sostenea65. In tale stato di cose tre o quattro città appena note nella storia tentarono di scuotere il giogo del Macedone, il che avvenne, come dissi pocanzi nell’olimpiade cxxiv. Riuscì a queste città di espellere o trucidare i loro tiranni; e rimasero libere, poichè l’alleanza loro non credeasi di veruna importanza. Fu questa però il fondamento della famosa lega achea. Molte delle città più ragguardevoli, e fra quelle Atene, vergognose d’essere siate prevenute, cercarono con egual coraggio di riinettersi nella libertà primiera. Si formò allora una confederazione generale di tutta l’Acaja, furon fatte nuove leggi, e nuova forma si diede al governo. Allora i Lacedemoni e gli Etolj, gelosi della gloria degli Achei, unironsi essi pure, avendo alla testa Arato e Filopemene, gli ultimi eroi della Grecia66, de’ quali il primo non avea che vent’anni67: [p. 273 modifica]e valenti difensori furono della patria libertà nell’olimpiade cxxxviii.

...e guerra cogli Etolj ruinosa per le arti §. 29. Ma la gelosia tra gli Achei e gli Etolj suscitò aJla fine un’aperta e crudele guerra, in cui le ostilità da amendue le parti giunsero al segno di non perdonarla nemmeno alle più ragguardevoli opere dell’arte. Ad usare tanta barbarie furono i primi gli Etolj che, entrati nella città di Dios in Macedonia abbandonata dagli abitanti, ne atterrarono le mura e le case, ne incendiarono i peristilj e i portici de’ tempj, e le statue ne distrussero68. La stessa ruina menarono gli Etolj nel tempio di Giove a Dodona nell’Epiro, ove arsero le gallerie, infransero le statue, e ’l tempio stesso uguagliarono al suolo69; e dal discorso d’un ambasciatore degli Acarnani, rapportatoci da Polibio70, rilevasi che siano stati depredati e devastati dagli Etolj molti altri tempj71. La stessa provincia di Elide che, a cagione de’ pubblici giuochi soliti a celebrarvisi, godeva il diritto d’asilo, ed era stata sempre anche dai nemici rispettata, divenne preda allora degli Etolj al pari d’ogni altro nemico paese72.

§. 30. Per l’altra parte gli Achei e i Macedoni sotto il re Filippo usarono o abusarono piuttosto del diritto di rappresaglia, trattando nello stesso modo Terma capitale dell’Etolia. Rispettarono però allora le statue e le altre figure degli [p. 274 modifica]dei73; ma le abbattè e le distrusse in seguito il mentovato re quando vi venne per la seconda volta74, e mostrò egli ancor maggiormente il suo furore nella presa della città di Pergamo, ove non solo atterrò le statue e i tempj, ma ne ruppe per fino in minuti pezzi le pietre, affinchè mancassero i materiali a chi avesse in seguito voluto riedificarli75. Diodoro attribuisce questa barbarie a un re di Bitinia76, ma probabilmente prende qui un abbaglio. Era in Pergamo allora fra le altre una celebre statua d’Esculapio, lavoro di Filomaco77, o come altri lo chiamano Firomaco78. Lo stesso avvenne a un di presso agli Ateniesi: Filippo, perchè gli Achei seco non vollero allearsi contro Sparta e ’l tiranno Nabide, mise a fiamme l’Accademia che era avanti la città, e distrusse i tempj che le stavano intorno, senza nemmeno rispettare i sepolcri79: dal che irritato questo popolo una legge promulgò, nella quale ordinavasi80, che le di lui statue ed immagini tutte, e quelle de’ suoi maggiori d’ambi i sessi, tolte fossero e distrutte, e si avesse per profano ed immondo qualunque luogo, ove posti fossero di lui titoli d’onore o iscrizioni81.



Note

  1. Arriano lib. 7. pag. 502., Giuseppe Flavio Contra Apion. lib. i.c.32. pag. 445. over. Tom. iI.
  2. Veggasi il chiarissimo Tiraboschi Storia della Lettur. ital. Tom. iI. Dissertaz. prelim. sull’origine del decad. delle scienze.
  3. Polyb. lib. 9. pag. 562. princ.
  4. Diod. Sic. l. 18. §. 56. p. 229. Tom. il.
  5. idem ibid. §. 65. p. 306.
  6. Tante ne conta Plinio lib. 34. cap. 6. sect. 12., e Varrone presso Nonio riportato dall’Arduino al detto luogo di Plinio. Dione Grisistomo Orat. 37. pag. 465. le dice 1500., e Plutarco Reipubl. ger. pæcepta, Op. Tom. iI. 820. F. 300. solamente.
  7. Diogene Laerzio lib. 5. segm. 77. nella di lui vita dice, che ne fu salvata una nella rocca della città.
  8. Diod. Sic. l. 20. §. 46. p. 439. Tom. iI.
  9. Chishull Antiq. as. ad pseph. Sig. p. 52. & 57.
  10. lib. 21. cap. 8. sect. 24. [ Cioè, scrive, che non fossero conosciute ai tempi di Alessandro tutte le diverse qualità dei fiori, perchè non ne parlarono gli scrittori se non che molto dopo la di lui morte; e ciò per rapporto alla storia naturale, non all’arte.
  11. Dicaearch. Geograph. pag. 168.
  12. Polyb. lib. 2. pag. 148. B.
  13. Monum. ant. ined. num. 41. [L’abbiamo data nel Tomo I. pag. v.
  14. Froelich Ann. reg. Syr. Tab. 2. n. 1.
  15. Hom. Hymn. in Apoll. vers. 495.
  16. Eurip. Andr. vers. 1010.
  17. Il signor Dutens Explicat. de quelq. méd. grecq & phenic. pl. 4. n. 3. dà la figura di una medaglia d’Antigono, ch’egli dice simile a quella data da Winkelmann, e nella stessa maniera la spiega nella dissertazione prima, pag. 105. 106. Anch’io credo che possa essere simile; ma il signor Dutcns che dice di averla nel suo museo, non avrà fatto confronto della stampa, che dà, con quella data dal nostro Autore; poichè vi sono molte differenze nella fisonomia, nella corona, e in altre cose del rovescio.
  18. Veggasene la figura presso Maffei Racc. di statue, Tav. 48., e Gronovio, di cui parla Winkelmann qui appresso.
  19. Nella Caria secondo Plinio stesso lib. 5. c. 29. sect. 29., Tolomeo Geograph. lib. 5. c. 2.; o nella Lidia secondo Stefano, perchè stava nei confini di quelle due Provincie al dir di Strabone lib. 14. pag. 959. D.
  20. Plin. lib. 36. cap 5. sect. 4. §. 10.
  21. Maffei Raccolta di stat. ant. Tav. 48., Cayl. De la fculpt. & des sculpteurs anc. selon. Pline, Acad. des Inscr. Tom. XXV. Mém. pag. 325.
  22. Vite de più eccell. pittori, ec. Vita di Michelang. Tom. VI. par. 6. pag. 264.
  23. Ficoroni Le singol. di Roma mod. c. 7. pag. 44. [ Pretende che questo gruppo non sia quello di cui parla Plinio, perchè vi sono più cose, di quelle, che esso descrive: ragione ben debole se si considera, che Plinio non ha voluto descriverlo minutamente, ma darlo ad intendere col nominarne le parti principali.
  24. Blainville Voyage &c.
  25. Thes. antiq. græc. Tom. I. Dd.
  26. I pezzi più ragguardevoli sono anzi il toro, le figure dei figli, il giovanetto, e la parte inferiore di Dirce.
  27. Hyg. Fab. 7. [ Come Polignoto, secondo che riferisce Pausania lib. 10. cap. 28. pag. 886., dipinse la vergine Cleobe colla cista sulle ginocchia della forma di quelle di Cerere, per indicare che essa era una cistifera dedicata a quella Dea; e così la teneva anche un’altra in marmo porta accanto alla dea, di cui lo stesso Pausania lib. 8. c. 37. pag. 676. Nel gruppo più probabilmente Dirce ha la cista, perchè era occupata nelle feste di Bacco sul monte Citerone allorchè fu attaccata al toro, secondo Euripide presso lo stesso Igino Fab. 8.: e questo monte pare che venga rappresentato nel marmo; siccome ai baccanali pare che alludano altri simboli, che vi si veggono.
  28. Altrove l’Autore loda molto il lavoro della clamide d’Anfione gettata sulla cista. Tratt. prelim. ai Mon. ant. ined. Capo IV. pag. LXXXI. [ Sbaglia però dicendo Anfione per Dirce, la di cui veste è gettata sulla cista, come può vedersi anche nelle citate stampe in rame.
  29. §. 3. pag. 142. seg.
  30. Mus. Capit. Tom. iiI. Tav. 48.
  31. Montf. Diar. ital. cap. 15. pag. 221.
  32. Mus. Florent. Gemmsæ. antiq. Tom. I. Tab. 25. num. 4.
  33. Symb. epist. 8. pag. 2.
  34. V. Descript. des pierr. grav. du Cab. de Stosch, cl. 4. sect. 1. n. 28. pag. 412., [ e sopra pag. 207. not. a.
  35. Vedi qui avanti pag. 132.
  36. Schol. Lycophr. Alex. vers. 124.
  37. Long. De subl. cap. 3. pag. 18.
  38. Cyneget. lib. 1. vers. 3.
  39. Tolomeo Lago, cognominato anche Sotere, o Salvatore. Pausania lib. 1. cap. 8. pag. 21.
  40. Diog. Laerzio lib. 5. segm. 78. Tom. I. pag. 308.
  41. Plinio lib. 35. c. 10. sect. 36. §. 14.
  42. Proœm. hist. pag. VI.
  43. Athen. Deipn. lib. 5. c. 6. pag. 196.
  44. Anthol. lib. 4. cap. 18. n. 4. vers. 3.
  45. Vedi sopra pag. 18. seg.
  46. Nel Tratt. prel. cap. IV. p. LXXXII. princ. Winkelmann aggiugneva, che non si sa, che in tempo degl’imperatori su ergessero tuttavia statue agli atleti vincitori ne’ giuochi pubblici della Grecia. Qui ha lasciata questa ragione, e anzi la ritratta appresso al §. 20. tacitamente. Infatti anche Luciano, vivente ai tempi di Trajano, come si è detto qui avanti alla pag. 213., Pro imagin. §. 11. oper, Tom. iI. pag. 490 scrive, che al tempo suo durava la legge, che gli atleti non potessero farsi ergere in Olimpia le statue maggiori della loro vera statura; e che dai soprintendenti si usavano più esami, e diligenze a questo riguardo, che nell’ammissione degli stessi atleti. Anzi da una iscrizione del palazzo Chigi riferita dal Reinesio Class. 5. num. 44. pag. 381., dallo Sponio Miscell. erud. antiq. sect. 10. num. 108. pag. 362, dal Vandale Dissert. 8. pag. 638., e dal P. Corsini Dissert. agonist. Diss. IV. n. 12. pag. 99 si rileva, che l’uso d’onorare i vincitori atleti colle statue durasse sino ai tempi degl’imperatori Valentiniano, Valente, e Graziano, cioè sino circa l’anno 570, dell’era cristiana.
  47. Voleva dire, alla corsa a piedi, perchè fu il primo giuoco istituito.
  48. Ὀλυμπιάδων ἀναγραφὴ [ appresso alla cronica d’Eusebio ] pag. 331. seqq.
  49. Per il pugilato.
  50. Pausania lib. 5. cap. 8. in fine. p. 395. lo dice della città di Troade nell’Eolia. Il dotto padre Corsini Fasti att. olymp. cxlv. Tom. IV. pag. 100. osserva, che ciò non contradice a Giulio Africano, perchè la detta città fu chiamata anche Alessandria, essendo stata fondata da Alessandro il Grande; e perciò nella numerazione alfabetica dei vincitori olimpici riportata dallo Scaligero in appendice alla citata cronica d’Eusebio p. 349. vien detto Alessandrino di Troade: al che non ha badato Winkelmann, il quale ha preso questa Alessandria per l’Alessandria di Egitto.
  51. Volendo sostenere queste teste fatte in Alessandria, e in onore d’atleti alessandrini, potrebbe dirsi piuttosto, che fossero state fatte colà per onorare qualcuno di essi vincitore nei giuochi olimpici, che vi s’introdussero circa l’olimpiade ccxi. come osserva il lodato Corsini Dissert. agonist. Diss. I. n. 12. pag. 20. 20., ossia circa i tempi dell’imperator Comodo. Potrebbero rappresentare anche atleti vincitori nei giuochi della Grecia al tempo de celati, dei quali molti ne numera lo stesso Corsini nel catalogo, che ha fatto molto più esatto e compito dei vincitori olimpici, in appendice alla detta opera, pag. 121. segg.
  52. Plin. lib. 36. cap. 7. sect. 11.
  53. Vedi sopra pag. 20. seg.
  54. La ragione principale, per cui sono rari, e stata più probabilmente perchè il porfido non è una pietra propria a fare statue per il suo colore, come non lo erano tante altre pietre della Grecia non bianche, benchè di poca durezza, nelle quali perciò rarissimamente hanno scolpito i greci artisti. E che così pensassero gli antichi possiamo argomentarlo da ciò, che aggiugne Plinio loc. cit., cioè che le statue di porfido mandate all’imperator Claudio da Vitrasio Pollione furono guardate in Roma come cosa nuova, che non piacque; e che nessun altro fino al tempo, in cui egli scriveva, pensò di farne venire delle altre. forse gli uomini di qualche gusto si ristringevano a farne delle statue vestite, alle quali poi mettevano la testa, le mani, e i piedi di marmo bianco, come si è veduto nel Tomo I. pag. 30. che facevano gli antichi Greci alle statue in legno; e tali mi pare che siano le varie statue, che abbiamo ancora in Roma nelle ville Medici, e Borghese, e nel Campidoglio; tra le quali quelle che rappresentano re prigionieri, e un busto armato di corazza non finito, esistente nel palazzo Farnese, il nostro Autore nella prima edizione a questo luogo le dice opere lavorate in quella città. All’opposto vegliamo nelle rovine degli edifizj, che gli antichi facevano un uso grandissimo di tal pietra ridotta in lastre sottili, o in pezzi a modo di musaico, per ornare i pavimenti, e le mura impellicciate a varj marmi. Il Passeri Storia de’ fossili, ec. Disc. IV. §. XIV. pag. 141. crede che allora si lavorasse il porfido con maggior facilita, perchè cavato di fresco fosse più docile di quello, che ora si è: e lo argomenta dall’aver veduti in un pezzo di esso i tratti della sega così sensibili e distinti, che tre di quelli occupavan la larghezza d’una penna ordinaria da scrivere; segno evidente, che la sega, profittava molto sensibilmente.
  55. Laert. l. 7. segm. 18. Tom. I. p. 375.
  56. Dickins. Delphi phoeniciz. cap. 1.
  57. Idyll. 27. vers. 26.
  58. Argon. lib. 1. vers. 242., lib. 3. v. 99. 167. 335. 395. 600. &c.
  59. Theophr. Charact. cap. ult. [Non dice tal cosa.
  60. Lucian. De dea syr. §. 26. op. Tom. iiI. pag. 472. [ Plinio lib.34. cap. 8. sect. 19. §. 26. nomina Aristodemo, che fece in bronzo l’immagine del re Seleuco; ma non dice quale fosse tra i varj Seleucidi.
  61. Polibio lib. 2. pag. 128. B., Corsini Fasti att. olymp. cxxiv. Tom. IV. p. 80.
  62. Constant. Porphyrog. Excerpta Diodor. pag. 225. lin. 19.
  63. Polyb. lib. 5. pag. 377. A., p. 431. B. [Dopo morte gli fu eretto dagli Spartani un tempio per onorare il di lui merito. Costant. Porfirog. Excerpta Nic. Damasc. p. 448.
  64. Tit. Liv. lib. 4.. cap. 12. n. 27.
  65. Polyb. lib. 2. pag. 12. princ. [ Antigono fu solamente tutore di Filippo re di Macedonia, e nel tempo della tutela amministrò il regno, come dice lo stesso Polibio lib. 2. pag. 131. in fine, l. 4. in fine, p. 348. Gli fu eretta in Olimpia una statua di bronzo coronata con una mano da una statua rappresentante la Grecia, la quale coll’altra mano coronava altra statua del re Filippo.
  66. Pausania lib. 8. cap. 52. pag. 705. seg. Filopemene vien chiamato l’ultimo eroe della Grecia anche da Plutarco nella di lui vita, op. Tom. I. p. 356. F. Questi narra. p. 362. B., p. 368. E., che gli furono erette molte statue, che Mummio nel famoso spoglio di Corinto, del quale su parlerà nel Capo seguente §. 17., non ardì portar via; e uno in Delfo esisteva ancora a’ suoi giorni, cit. p. 356. F. Gli Achei gli alzarono un tempio. Costantino Porsirogen. Excerpta Diod. pag. 300.
  67. Polibio l. 2. pag. 130. A. Winkelmann per equivoco nel Trattato prelim. Cap. IK. pag. LXXXIII, lo dice di Filopemene. Di Arato abbiamo da Plutarco nella di lui vita pag. 1032. D. E. Tom. I. che fosse molto intelligente di pittura, di cui si era mantenuta in credito fin allora la scuola di Sicione sua patria. Ivi raccoglieva quadri de’ più bravi artisti, e principalmente di Panfilo, e di Melanto, che poi mandava al re Tolomeo in Alessandria, al quale mandò anche i ritratti dei tiranni di quella città, che vi trovò dopo che l’ebbe liberata dal loro giogo. Come vincitore nel quinquerzio gli fu eretta una statua in Elide, che lo stesso Plutarco pag. 1028. diceva esistere ancora a’ suoi tempi; e un’altra come vincitore nella corsa de’ cocchi nominata da Pausania lib. 6. cap. 12. pag. 480.; seppure non è la stessa: al che non ha badato il P. Corsini nel catalogo dei vincitori olimpici pag. 123., forse perchè non avrà veduto Plutarco. Lo stesso Pausania l. 2. cap. 7. pag. 127. lin. 30. ne nomina un’altra esistente a’ suoi giorni nel teatro di Sicione, che teneva lo scudo; e di altre ne parla Polibio presso il citato Costantino Porfirogeneta Excerpta, pag. 192.
  68. Polyb. lib. 4. pag. 326. C.
  69. idem ibid. pag. 331. princ.
  70. lib. 9. pag. 567. D.
  71. Parlavisi degli stessi tempj di Dios, e Dodona.
  72. idem lib. 4. pag. 336. C. [ Dice che fu depredata dai Macedoni sotto il re Filippo.
  73. Polyb. lib. 5. p. 358. & l. 9. p. 562. D.
  74. Constant. Porphyrog. Excerpta Polyb. lib. 11. pag. 45.
  75. idem ibid. lib. 16. pag. 67.
  76. idem Excerpta Diod. pag. 294. [Anzi l’attribuisce al re Filippo stesso, non parlando di altri.
  77. idem Excerpta Polyb. pag. 160.
  78. Anthol. lib. 4. cap. 12. n. 91. vers. 2. Constant. Porphyrog. Excerpta Diod. p. 7.
  79. idem ib. pag. 295., Liv. lib. 31. c. 23. n. 26., cap. 26. n. 30.
  80. Liv. loc. cit. cap. 30. n. 44.
  81. Tra gli artisti, che hanno fiorito dopo la morte d’Alessandro il Grande, è da nominarsi particolarmente Carete di Lindo scolaro di Lisippo, accennato ad altro proposito alla pag. 149., e il suo colosso di Rodi in bronzo alto 70. cubiti. Di questo abbiamo detto qualche cosa alla pag. 34. not. a., secondo Filone di Bisanzio, che a lungo lo descrive come una delle sette maraviglie del mondo, quale è detto anche da Strabone lib. 14. pag. 964. B. Vi furono impiegati 11. anni a farlo. Si compì nell’olimpiade cxxiv., o cxxv.; e dopo 56. anni rovinò per un orribile terremoto. I pezzi vi si sono conservati per terra sino all’anno 653. dell’era cristiana, in cui dal re de’ Saraceni Mauria, che s’era reso padrone dell’isola, venduti furono ad un mercante ebreo, che ne caricò 900. cammelli. Veggasi Plinio lib. 4. c. 7. sect. 18., e ivi l’Arduino, e Giunio Catal. archit. ec. pag. 10. Sesto Empirico Adv. Mathem. lib. 7. pag. 156. scrive, che Carete si uccidesse dopo aver impiegata nei soli preparativi la somma, che avea richiesta per tutta l’opera.