Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. II)/Libro decimo - Capo I

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LIBRO DECIMO.

Storia delle Arti del Disegno da Alessandro il Grande
sino al dominio de’ Romani in Grecia.


C a p o   I.


Circostanze della Grecia a que’ tempi – Artisti... Lisippo – Agesandro — Polidoro – e Atenodero... loro Laocoonte — Pirgotele... sue supposte gemme incise - Pittori — Apelle – Aristide – Protogene – Nicomaco – Immagini d’Alessandro... sue teste... Statue... Bassi-rilievi — Figure di Demostene.


All’epoca, di cui parlammo nel Capo antecedente, celebre nella storia delle arti, principalmente per l’alto grado di perfezione a cui fu portata la pittura, succedè il punto del maggior raffinamento, e degli ultimi grandi artisti, che illustrarono e renderono più memorabile il secolo d’Alessandro il Grande, e de’ primi suoi successori.

[p. 237 modifica] Circostanze della Grecia a que’ tempi §. 1. Molto a ciò contribuirono le esterne circostanze de’ Greci. Dopo che questi, e fra essi principalmente gli Ateniesi, per le intestine pertinaci guerre mosse e sostenute da gelosia d’impero, furonsi interamente indeboliti e spossati, si sollevò sovra di loro Filippo re di Macedonia; e Alessandro suo figliuolo e successore, facendosi dichiarare lor capo e duce, padrone si fece in fatti e re della Grecia intera. Avendo questa per tanto cangiata forma di governo, mutò pur carattere l’arte, la quale, siccome dianzi fondavasi sulla libertà, fu in seguito dall’abbondanza e dalla generosità de’ doviziosi cittadini sostenuta e nudrita. A tali circostanze, come ai talenti ed alle cognizioni d’Alessandro, ascrive Plutarco il fiorir dell’arte a que’ tempi1.

§. 2. Sotto il suo impero gustavano i Greci una libertà pacifica, senza provarne le amarezze, in un certo avvilimento bensì, ma in perfetto accordo fra di loro. Estinta erasi in essi la gelosia reciproca, onde tranquilli contentavansi di vantare qualche volta la loro passata grandezza. Altronde ad Alessandro, che frattanto conquistava l’Oriente, e ad Antipatro suo luogotenente in Macedonia, badava di veder la Grecia in calma, e dopo la distruzione di Tebe non le diedero mai altra cagione di disgusto.

§. 3. In tanta tranquillità abbandonaronsi i Greci alla naturale loro inclinazione per l’ozio e pei passatempi2: Sparta medesima deviò dalla prisca sua austerità3. L’ozio riempiva le scuole de’ filosofi e degli oratori, che allora moltiplicaronsi, e maggior considerazione ottennero. 1 pubblici divertimenti tenevano impiegato il poeta e l’artista, e questi, adattandosi al gusto dominante, ricercava il morbido e’l piacevole, poichè giovava lusingare i delicati sensi d’una nazione indebolita ed effeminata.

[p. 238 modifica]§. 4. In quell’epoca, piucchè in ogni altra, abbondarono gli artisti, e copiose furono le opere dell’arte, e perciò ragion vuole che ci si fermiamo alquanto, quelle sole cose esaminando però che essenzialmente alle belle arti appartengono. E siccome un maggior numero d’incisori si distinse allora pe’ lavori in gemme, e in pietre preziose, che dalla conquistata Persia apportate furono in Grecia, di questi egualmente che degli scultori e de’ pittori qui tratteremo.

Artisti.
Lisippo.
§. 5. Rinomatissimo fra gli statuarj fu Lisippo di Sidone4, che lavorava in bronzo, e solo aveva il privilegio di far l’effigie di Alessandro: il che, a mio parere, deve intendersi unicamente delle immagini in metallo5. Plinio6, fissando l’epoca della celebrità di quest’artista, ebbe probabilmente in mira, siccome avea fatto con Fidia e con Policleto, le circostanze di quel tempo favorevoli all’arte; poichè nell’anno primo dell’olimpiade cxiv., quando Alessandro tornato fu a Babilonia, regnava sulla terra una pace universale. In quella metropoli del regno persiano vennero allora ambasciadori d’innumerevoli popoli al conquistatore dell’Oriente, chi a complimentarlo, chi a recargli doni, e chi a confermare li conchiusi trattati o alleanze7.

§. 6. Lisippo è celebre per aver imitata la natura meglio che i suoi predecessori8. Egli cominciò i suoi studj ove cominciato avea l’arte, e ad imitazione de’ savj fisici moderni non facea progressi se non per la strada dell’osservazione e dell’esperienza: tali sempre furono i principj de’ primi uomini. Deggiamo quindi conchiudere che, essendo stato introdotto molto d’ideale nell’arte dagli antecedenti gran maestri, i quali a forza di voler sublimare e abbellire la natura eransi formati nella mente de’ modelli da essa affatto lontani, questa [p. 239 modifica]nelle sue parti non fosse più riconoscibile; ma Lisippo, osservandola ed imitandola esattamente, richiamò ad essa l’arte, e ciò fece principalmente collo studio, e colle ricerche su quella parte del disegno che chiamiamo la notomia9.

§. 7. Forse nessun lavoro di quello celebre artista è fino a noi pervenuto, e poco v’è da sperare di rinvenirne in appresso, poichè egli lavorò in bronzo. V’è chi a lui attribuisce i quattro bei cavalli posti sull’ingresso) della chiesa di s. Marco a Venezia10, ma senza recarne alcun valevole argomento. Egli è sorprendente però che tutte siansi perdute le opere di quello grand’uomo, principalmente per la quantità prodigiosa che fatta ne aveva; poichè sebbene sembri difficile che il solo Lisippo abbia potuto gettare seicentodieci opere di bronzo, come diceasi ai tempi di Plinio11, ciò non ostante è certo che deve averne lavorate molte, e venticinque fra le altre erano le figure a cavallo di coloro che erano rimasti uccisi per difendere Alessandro presso il fiume Cranico, le quali poscia Metello fece dalla città di Dios in Macedonia trasportare a Roma, ed esporre sopra il proprio portico12.

§. 8. Non devo ometter qui di parlare d’una statua d’Ercole in marmo esistente nel palazzo Granducale, detto Pitti, a Firenze, sul cui zoccolo leggesi inciso ΛΥΣΙΠΠΟΣ ΕΠΟΙΕΙ (Lisippo fece); non già pel merito che ella abbia, ma perchè uno scrittore inesperto l’ha creduta lavoro di quello celebre artista13. Nè io rigetto la sua opinione, perchè non creda antica la riferita iscrizione. So benissimo, per [p. 240 modifica]testimonianza di Flaminio Vacca14, che questa si trovò sulla statua quando disotterrata fu sul Palatino; ma so altresì, come ho notato altrove15, che gli antichi fecer talora simili imposture16: e ciò appunto era già stato osservato dal marchese Maffei riguardo a questa medesima statua17. Che tal lavoro diffatti non sia dello scultore di cui porta il nome, rilevasi e dal silenzio degli antichi, che mai non parlano d’opere di Lisippo in marmo, e più ancora dall’opera medesima, che non è certamente degna di lui18.

Agesandro e figli...
Loro Laocoonte
§. 9. Se innumerevoli opere si son perdute dei tempi, in cui più l’arte fioriva, un preziosissimo monumento di essa però si è conservato nella statua del Laocoonte. Che l’artista di essa vivesse ai tempi d’Alessandro il Grande, se pur non possiamo dimostrarlo col testimonio degli storici, lo argomentiamo almeno con molta verosimiglianza dalla perfezione del lavoro19. Plinio ne parla come di un’opera che tutte superava quante prodotte aveane la pittura o la scultura20. Essa fu lavoro di Agesandro, Polidoro, e Atenodoro di Rodi, il terzo de’ quali era figliuolo del primo, come rilevasi da un’iscrizione posta sulla base d’una statua nella villa Albani21; e tale forse era anche il secondo, perchè altrimenti [p. 241 modifica]non ben si comprende come tre artisti e lavorassero insieme al medesimo pezzo, ed avellerò la stessa maniera; e siccome la figura di Laocoonte è la più importante e la più celebre, quindi è verosimile che questa sia lavoro del padre, e le altre due opera siano dei figliuoli d’Agesandro.

§. 10. La statua del Laocoonte stava altre volte nel palazzo di Tito22, e ivi (non già, come Nardini23 ed altri scrissero, nelle così dette Sette Sale, che erano altrettanti recipienti d’acqua pe’ bagni) fu scoperta sotto la volta d’una camera che sembra essere stata parte delle terme di quell’imperatore. Tale scoperta ha servito a meglio determinare la situazione del di lui palazzo, il quale eravi unito. Ivi stava il Laocoonte in una gran nicchia in fondo di detta camera, in cui sotto alla cornice si è conservata la pittura pretesa di Coriolano nominata nel Libro VII.2425.

§. 11. Scrive Plinio che le tre figure del Laocoonte lavorate erano d’un pezzo solo; e siccome tal non è il gruppo di cui si tratta, giudicar dobbiamo che Plinio sia stato ingannato dal non vedervi nessuna commessura. Appena dopo due mila anni se n’è fatta visibile una, che mostra essere stato lavorato separatamente il maggior dei due figli2627. Manca [p. 242 modifica]al Laocoonte il braccio destro, in cui luogo ve n’è flato posto uno di terra-cotta. Michelangelo pensò a rifarlo di marmo, e sbozzollo diffatti qual si vede fotto la statua medesima, ma noi finì. Questo braccio avviluppato dal serpente piegar doveasi sopra la testa della statua28, e pare che lo scultore moderno, avvicinando quelle due parti per rinforzare l’espressione, presentasse unite nel braccio involto a più giri dal serpente e nel volto due idee del dolore, onde non lasciar campo allo spettatore di cercarvi la bellezza, che secondo l’arte antica avrebbe pur dovuto qui dominare. Sembra però che il braccio ripiegato sul capo avrebbe in qualche maniera fatto torto al lavoro, dividendo l’attenzione dello spettatore che principalmente dovea fissarsi alla testa, poichè lo sguardo sarebbesi al tempo stesso diretto necessariamente ai molti giri del serpente avvolto intorno al braccio. Quindi è che Bernini ha teso l’aggiuntovi braccio di terra-cotta per laciar libera la testa, senza avvicinarle al di sopra nessun altro oggetto29. I due scalini posti sotto il dado, su cui sta la figura principale, indicano probabilmente gli scalini dell’ara, presso la quale si suppone che avvenisse il caso ivi rappresentato30.


[p. 243 modifica]§. 12. Or poichè quella statua fu sempre riputata come la più pregevole fra le molte centinaja d’opere de’ più celebri artisti, che in Roma dalle greche città furono trasportate, merita tutta l’ammirazione e lo studio de’ moderni, i quali non seppero mai produr cosa, che di quella sostener possa anche un lontano confronto. Quì il savio trova materia da pensare, un gran fondo d’istruzioni vi si scorge dall’artista, e amendue rimangono persuasi che in tal figura vi son più cose che l’occhio non ne scopre, e che il genio dell’artista era più sublime ancora che l’opera sua.

$. 13. Veggiamo nel Laocoonte la natura nel suo maggior patimento: vi scorgiamo l’immagine d’un uomo che cerca di unire tutta la forza dello spirito contro i tormenti; e mentre l’eccessiva pena ne gonfia i muscoli, e ne stira i nervi, mostra il suo coraggio sulla fronte corrugata in alto. II petto sollevasi a stento e per l’impedita respirazione e per lo sforzo ch’egli fa di trattenere l’espressione della sensazion dolorosa, e di tutti concentrare e chiudere in sè stesso i suoi tormenti. I gemiti soffocati e ’l trattenuto respiro ritirangli il ventre, e incavangli i fianchi, onde in qualche modo par che ne veggiamo gl’intestini. Sembra egli frattanto sentir meno il proprio tormento che quello de’ figli, i quali in lui fissano l’afflitto sguardo, quasi chiedendogli soccorso: il cuor paterno ben si manifesta negli occhi dolenti, e sulle pupille par che si stenda la compassione, come una torbida nebbia. Un’aria lamentevole ha il suo volto, ma non già d’uomo che gridi ed esclami; e tien volti al cielo, per implorarne l’assistenza, gli sguardi. Mostran l’angofcia anche le labbra: l’inferiore che si abbassa ne sente il maggior peso, mentre il labbro superiore tirato in dentro indica il crudele dolore, e una certa indignazione per un non meritato castigo, la quale viene ancor meglio espressa dal naso un po [p. 244 modifica]gonfiato, e dalle aperte e aggrinzate narici. Sotto la fronte vedonsi colla più grande sagacità il contrasto fra ’l dolore e la resistenza quasi in un sol punto uniti: poichè, mentre il dolore solleva in alto le sovracciglia la resistenza abbassa sulla palpebra la parte carnosa che sta sovra l’occhio, cosicchè quella restane quasi interamente coperta. Poichè l’artista non poteva abbellir la natura, s’è studiato di maggiormente svilupparne gli affetti, e tutte mostrarne le forze: in quella parte eziandio, in cui pose la sede del dolore, la più gran bellezza vi ha fatto risaltare. Il lato manco, ove il serpe ha impresso il suo mortifero dente, deve per la sua prossimità al cuore dar segni d’un tormento maggiore, e tal parte diffatti può chiamarsi un prodigio dell’arte. Le sue gambe vorrebbono come sollevarsi per sottraersi a tanta pena: nessuna parte è in riposo; e i tratti dello scarpello medesimo, imitando una pelle aggricciata dal freddo e intirizzita, ne accrescono l’espressione31.

[p. 245 modifica]§. 14. A quelli tempi, insieme con Lisippo, fioriva Pirgotele incisor di gemme, che ebbe del pari il privilegio di fare solo l’effigie d’Alessandro. Due gemme son note agli antiquarj col nome di Pirgotele32; ma in una il nome è sospecto, e nell’altra scorgesi chiaramente l’inganno di moderno artista. La prima, che or appartiene all’illustre casa de’ conti di Schoenborn, è un picciolissimo busto in un’agatonice, e poco più grande della metà della stampa pubblicatane dal celebre Stosch. Avendola io esaminata su una forma in cera nel museo Stoschiano33, e sulla stampa medesima, mi nacquero due dubbj. Il primo circa il nome, che è in nominativo contro l’uso di tali artisti, che soleano sulle opere loro usare piuttosto il genitivo34, ond’io avrei voluto trovarvi scritto ΠΥΡΓΟΤΕΛΟΥΣ anzichè ΠΥΡΓΟΤΕΛΗΣ; il secondo circa la figura medesima, che è quella d’un Ercole piuttosto che d’un Alessandro; e ciò appare sì nei peli della barba, ossia in quella lanugine onde ha coperta la guancia (il che non osservasi in verun ritratto di quel re), sì ne’ capelli della fronte, che corti sono e ricciuti a guisa di quelli d’Ercole, [p. 246 modifica]e ben diversi da quei d’Alessandro, che se gli sogliono sollevar sulla fronte con una cert’aria di grandiosa negligenza simili alla chioma di Giove, come appare, fra gli altri di lui ritratti, da una sua testa esistente nel museo Capitolino, e da me pubblicata35. Aggiungasi che tale testa è coperta da una pelle di leone, ornamento affatto insolito a quelle d’Alessandro36, e vien rappresentata in gran turbamento, colla bocca aperta in atto di lagnarsi, o di sospirare; del che non hanno fatto caso coloro, che ivi ravvisano Alessandro. Essi, a vero dire, avrebbono potuto ciò spiegare del suo rammarico per la morte d’Efestione; ma più facilmente si spiega se rapportisi ad Ercole. Vi si volle forse esprimere la sua afflizione, allorchè dopo la pazzia, in cui ucciso aveva i suoi figli avuti da Megara, ritornò in sè stesso, e con doloroso pentimento pianse un sì orribile fatto. In tale guisa avealo pur dipinto Nicearco: Herculem tristem infamiæ pœnitentia37.

§. 15. L’altra gemma è un cameo pubblicato dal medesimo Stosch, rappresentante un uomo attempato ma senza barba. V’è il nome ΦΩΚΙΩΝΟС da un lato, e sotto l’orlo inferiore del busto vi si legge ΠΥΡΓΟΤЄΛΗΣ ЄΠΟΙЄΙ. Il primo nome esser deve quello dell’artista, e non già del famoso Focione; poichè siccome non metteansi mai i nomi delle divinità sotto le loro figure che credeansi cognite abbastanza38, per la stessa ragione ometteasi il nome ne’ ritratti degli uomini celebri39. Si trovano bensì nel museo Ercolanense alcune teste in marmo e in bronzo col nome della persona che rappresentano, anzi v’è la parola ΖΕΥΣ sotto la testa [p. 247 modifica]medesima d’un Giove del più antico stile in una moneta in bronzo della città di Locri, esistente ora nel museo del duca Caraffa Noya a Napoli40; ma nelle greche gemme di raro trovasi inciso il nome del dio, o dell’eroe rappresentatovi, come già altrove osservammo. Il secondo nome poi scopre manifestamente l’inganno, essendone diversa l’ortografia, poichè, ove nel primo la sigma ha la forma d’una С, nel fecondo ha la forma comune Σ; inoltre la epsilon è rotonda Є, e tal non usavasi certamente ai tempi d’Alessandro. Per ultimo non suole trovarsi sulle gemme in vece d’un genitivo assoluto il nominativo col verbo ЄΠΟΙЄΙ. Vero è che sul frammento d’una gemma incisa del museo Vettori a Roma, ai piedi armati di gambali d’una figura troncata leggesi .. ΙΝΤΟС ΑΛЄΞΑ .. ЄΠΟΙЄΙ cioè „ Quinto figliuolo d’Alessandro fece „41; ma quest’esempio è forse il solo di tal maniera, e quando altri pur ve ne fossero, sono indizio de’ tempi posteriori, in cui gli artefici, quanto minore era la loro abilità, tanto maggior orgoglio aveano, e maggior premura di parlar di loro stessi; del che vedesi un argomento in una piccola urna del museo Capitolino, in cui sopra una figurina di guerriere è inciso il nome dell’artista fecondo la più antica forma nel seguente modo:

ЄΥΤΥΧΗС ΒЄΙΤΥΝЄΥС
ΤЄΧΝЄΙΤΗС ЄΠΟΙЄΙ


Pittori. §. 16. Poichè si sono indicati i più celebri scultori ed incisori di gemme, che fiorirono ai tempi d’Alessandro il Grande, è dovere che parliamo pur de’ pittori contemporanei, de quali però quelle sole cose diremo che dai moderni scrittori sono state omesse, o non ben intese.

[p. 248 modifica] Apelle. §. 17. Plinio42 riferisce come un tratto glorioso della storia d’Apelle, ch’egli non abbia mai lasciato passar giorno in cui non abbia tirate delle linee per far esercizio: ut non lineam ducendo exerceret artem. Quest’espressione è stata generalmente mal capita. Plinio volle qui dire che Apelle tutt’i giorni difegnava qualche cosa o dal naturale, o dai lavori de’ più antichi maestri; e così deve spiegarsi la voce linea. Altronde darebbeci Plinio una notizia ben insulsa, se intender si volesse della quotidiana occupazione del pittore, poichè diffatti non v’è artista che ogni di non faccia sì poco, quanto è il tirare una linea; e qual lode sarebbegli mai, come ben osservò Bayle, il dire ch’adoperava ogni dì il suo pennello? 43

§. 18. Di Aristide tebano, coevo d’Apelle, scrive Plinio: Is omnium primus animum pinxit, & sensus hominis expressit, quæ vocant Græci ethe: item perturbationes; durior paulo in coloribus. Se la prima proposizione di quello giudizio è vera, bisogna convenire, che non ne è stato ben espresso il senso, e non gli si può dare altra spiegazione che la [p. 249 modifica]seguente:„ Aristide è stato il primo che abbia diretto il suo studio alla sola espressione, principalmente nelle passioni forti, di maniera che ha trascurato il colorito, e per ciò riuscì duro„44.

Protogene. §. 19. Protogene dell’isola di Rodi45, il quale fiorì circa questi tempi, sino all’età di cinquant’anni esercitossi in dipinger navi; il che non deve già intendersi che le sue pitture non rappresentassero altro che navi, ma bensì che egli abbia dipinto sulle navi stesse, cioè che abbiale ornate di pittura esteriormente, siccome usasi anche oggidì; essendovi al servigio del Papa un pittor particolare delle galee46. Il suo Satiretto o Fauno, in cui effigiar volle una tranquillità indolente, stava appoggiato ad una colonna47 con due tibie in mano, e si chiamava Anapavomenos48 (il riposantesi) a cagione di tal positura: avrà probabilmente avuta una mano sopra la testa come un Ercole, che rappresentasi in atto di riposo dalle sue fatiche, ed ha l’iscrizione ΑΝΑΠΑΥΟΜΕΝΟΣ49.

Nicomaco. §. 20. Farò qui menzione di Nicomaco celebre pittore. di questi tempi, se non ad altro titolo, almeno per esser egli [p. 250 modifica]stato il primo, al dir di Plinio, che dipinse Ulisse con un cappello conico che poscia gii fu dato generalmente; onde possiamo inferire che sì i bassi-rilievi in marmo, che le gemme incise, nelle quali trovisi Ulisse con simil cappello, non posson essere lavori anteriori a quell’epoca50.

Ritratti d’Alessandro. §. 21. Al pari de’ celebri artisti e de’ loro pregevoli lavori meritan d’essere qui mentovati i ritratti d’Alessandro, il quale non fu certamente men grande pei vantaggi apportati all’arte, che per le maravigliose sue intraprese. Non v’è alcun’immagine degli dei, degli eroi, o d’altri illustri mortali, che abbia tanto diritto di figurare nella storia delle arti del disegno, quanto quelle d’Alessandro, che ebbe in esse molta parte, che favorì e promosse quanto di bello e di grande si [p. 251 modifica]vide nel mondo, e della cui liberalità tutti gli abili artisti de’ tempi suoi sentiron gli effetti. Questa parte della sua gloria è ben più meritata che tutt’i suoi trionfi, le sue conquiste, e tutt’i monumenti delle sue invasioni fatte in molti regni, perchè con nessuno la divide, dovendoli tutto ciò al solo suo genio; ed è altresì più pura, onde il più severo giudice delle umane azioni nulla avrebbe a riprendervi.

§. 22. Che le pervenuteci antiche immagini di questo re siano veracemente de’ suoi tempi è molto incerto, e più difficile ancora è il formar ragionevoli congetture fu gli artisti de’ quali son opera. Abbiamo bensì dalla sua storia51 che ebbero il privilegio Lisippo di effigiarlo in bronzo52, Pirgotele in gemme, e Apelle in pittura53; ma che qualche scultore avesse la privativa di scolpirne l’immagine in marmo la storia no’l dice, forse perchè non v’era allora uno scultore che star potesse del pari a Lisippo.

Teste. §. 23. Fra le teste d’Alessandro tuttora esistenti tre sono le più ragguardevoli. La più grande è nel museo Fiorentino, la seconda nel Capitolino54, e la terza, che era in quello della regina di Svezia, è ora a s. Ildefonso in Ispagna. E’ noto che Alessandro portava la testa alquanto inclinata verso la spalla sinistra55; e perciò tutte le sue immagini sono [p. 252 modifica]rappresentate in guisa che n’è diretto all’alto lo sguardo56; della qual cosa fa pur menzione un greco epigramma, in cui parlasi d’una di lui statua, lavoro di Lisippo57. La disposizione de’ capelli sulla fronte è uguale in tutte le teste di quest’eroe, e s’assomiglia alla chioma di Giove, di cui Alessandro pretendeasi figlio. Vedasi ciò che ne dicemmo altrove58. Sapendo or noi che Lisippo rappresentar lo solea cogli attributi di tale divinità, è probabile ch’egli abbia pur pensato a dargliene qualche somiglianza, il che avrà potuto fare nella forma della capigliatura, e che lui abbiano in ciò quindi imitato gli statuarj suoi successori.

Statue. §. 24. Se scarse sono le teste d’Alessandro d’antico lavoro, più rare ancora sono le sue statue. Evvi bensì nella villa Albani una statua eroica maggiore della grandezza naturale, la cui testa armata d’elmo ha la figura d’un Alessandro, ma non è quella la testa propria della statua. La stessa osservazione dee farsi riguardo alle statue esistenti suor di Roma, alle quali, a cagion della testa, è stato dato il nome d’Alessandro. Se v’è rimasta una vera statua di quest’eroe in grandezza naturale, è quella che possiede a Roma il sig. marchese Rondanini. Il capo, ch’è senz’elmo, è rimasto sì intero che la stessa punta del naso non è restata offesa per una grazia singolare a poche teste antiche conceduta; anzi non è guasta nemmeno la stessa superficie, che ne esprime la cute. Alessandro è qui rappresentato all’eroica, cioè affatto ignudo, appoggiandosi col gomito sulla coscia destra, e per conseguenza inchinato. I capelli sulla fronte fono gettati in questa come nelle altre mentovate teste, e la disposizione delle [p. 253 modifica]ciocche degli altri non distinguesi punto da quelle de’ musei Capitolino e Granducale di Firenze59


Sua storia esposta in bassi-rilievi §. 25. Gli artisti, che riguardavano in Alessandro il loro eroe, avranno sovente scelto dai tratti della sua storia, come dalla eroica e dalla mitologia, l’argomento de’ loro lavori; e sarà egli stato il solo fra tutt’i re e gli uomini illustri, i cui veraci avvenimenti si vedessero espressi in bassi-rilievi. Doveva a ciò contribuire anche la singolarità delle sue avventure, essendo la sua storia simile a quella degli eroi, e in qualche modo poetica; onde ben conveniva all’arte, la quale ama di occuparsi del maraviglioso60: aggiungasi che le sue gesta erano a tutti note quanto le avventure d’Ulisse e d’Achille. E quì intendo parlare di que’ bassi-rilievi, con cui si fono rappresentate immagini significanti o allegoriche, adoperati per ornato nelle fabbriche e sulle tombe, [p. 254 modifica]escludendo i pubblici monumenti, ne’ quali gl’imperatori vollero talora esprimere qualche tratto della propria storia. Bisogna però convenire che, comunque atta per le addotte ragioni fosse la sua storia a fornire soggetti agli scultori, anche ne’ tempi seguenti, pure nessun basso-rilievo ci è rimasto, in cui quell’eroe si rappresenti, fuorchè un solo, cioè il suo colloquio con Diogene nella botte sotto le mura di Corinto61; questo lavoro, esiftente nella villa Albani, è stato da me pubblicato62.

Figure di Demostene. §. 26. Di Demostene, il più grande fra tutti gli oratori, sebbene vi fosse una di lui statua in Atene63, e in moltissimi luoghi se ne vedesser le immagini in bronzo e in marmo, pur non ne avremmo una giusta idea, per ciò che riguarda le sue sembianze, se due suoi piccoli busti in bronzo non si fosser trovati nelle ruine d’Ercolano64. Sono essi minori della grandezza naturale, e ’l più piccolo ha inciso in greco sullo zoccolo il nome di quel celebre oratore65. Siccome amendue le teste hanno la barba, e non somigliano punto ad un’altra col mento sbarbato d’un busto in basso-rilievo trovato in Ispagna, al cui lato havvi il nome medesimo, e che fu pubblicato da Fulvio Orsini come il ritratto dell’oratore ateniese; convien dire che tal busto rappresenti qualche altro Demostene66.

§. 27. Quando pensavamo di non avere altre immagini di Demostene che i due busti Ercolanensi67, ecco nel gennajo [p. 255 modifica]del 1768. uscir fuori un modello in gesso alto circa due palmi68, formato fu un piccol basso-rilievo di terra-cotta, forse già allora smarritosi69. Demostene è qui rappresentato nella sua vecchiaja, ma in guisa che la testa perfettamente somiglia a quella de’ mentovati busti. Siede fu una pietra quadrata, mezzo ignudo, e colla testa china, in atto di chi medita: tiene nella sinistra, che alla pietra s’appoggia, un volume, e si stringe colla destra il ginocchio. Sulla pietra v’è il suo nome

ΔΗΜΟΣΘΕΝΕΣ


e sotto di esso leggesi

ΕΠΙΒΩΜΙΟΣ


Quello vocabolo è poco usitato presso gli antichi, e significa colui il quale sta o siede presso un’ara; onde Polluce chiama επιβώμιον μέλος70 un inno che appiè dell’ara cantar soleasi. La pietra per tanto indica qui un’ara βωμός, anzi l’ara stessa del sacro e inviolabile tempio di Nettuno nell’isola Calauria, non lungi dalla spiaggia di Trezene, ove Demostene, fuggendo le persecuzioni che in Atene gli avea mosse Antipatro, luogotenente d’Alessandro in Macedonia, erasi ricoverato71, e ove nell’anno suo sessagesimosecondo72 morì di veleno, che portar sempre seco soleva in un anello, affine di non cader vivo nelle mani del suo nemico. Noi abbiamo per tanto in questo gesso Demostene sedente sull’ara, in quell’età in cui lasciò di vivere, in uno stato dubbioso e turbato, proprio di chi è necessitato a darsi la morte73. La forma delle [p. 256 modifica]lettere nell’iscrizione, paragonate con quelle del di lui nome sul mentovato bronzo d’Ercolano, ci fa argomentare che il basso-rilievo sia di più antica data che i busti. Nel recinto (περιβόλῳ) che rinchiudeva il menzionato tempio di Nettuno, vedeasi ancora ai giorni di Pausania la tomba di quello celebre oratore74.




Note

  1. De fort. Alex. orat. 2. princ. oper, Tom. iI. pag. 333.
  2. Arist. De Republ. lib. 7. cap. 14.
  3. ibid.
  4. Pausania lib. 2. cap. 9. pag. 133.
  5. Vedi appresso al §. 22.
  6. lib. 34. cap. 8. sect. 19. princ.
  7. Diod. Sic. lib. 17. §. 113. pag. 249. Tom. iI.
  8. Quintiliano lib. 12. cap. 10.
  9. Dir solea Lisippo che il suo maestro nell’arte era stato il Doriforo di Policleto. Cic. De clar. orat. cap. 86. n. 296. Eupompo gliene accennò un migliore, e proposegli la natura stessa. Plin. lib. 34. c. 8. sect. 19. §. 6. Benchè ne sia egli stato imitator esattissimo, nondimeno per far maggiormente risaltare le figure formò loro una testa più piccola, ed un corpo più svelto e gentile che non si era praticato dai maestri che lo precedettero. Id. ibid. Tra le tante statue di bronzo fatte da Lisippo, celebre è stata quella che fece pei Tarentini alta 40. cubiti.
  10. Vedi qui avanti pag. 33. 37- 47.
  11. lib. 34.. cap. 7. sect. 17. Secondo la lezione d’Arduino sono 1500.
  12. Arrian. De exped. Alex. lib. 1. cap. 17. pag. 47., Vell. Paterc. lib. 1. c. 11.
  13. Maffei Raccolta di statue, alla Tavola 49. col. 49.
  14. Memorie, ec. n. 77., e presso Montfaucon Diar. ital. cap. 13. pag. 180.
  15. Lib. VIII. Cap. I. §. 12. pag. 97.
  16. Fedro Fabul. l. 5. in prol. ce ne dà un’ampia testimonianza riguardo a simili imposture, che si facevano a’ suoi tempi, allorchè si estendeva sempre più in Roma il genio per li monumenti dell’arte:
    Ut quidam artifices nostro faciunt sæculo,
    Qui pretium operibus majus inveniunt novo
    Si marmori adscripserunt Praxitilem suo,
    Myronem argento. Plus vetustati nam favet
    Invidia mordax, quam bonis præsentibus.
  17. Osserv. lett. Tom. I. p. 398., e Artis crit. lapid. lib. 3. c. 1. can. 3. col. 76. 77, ove legge l’iscrizione, ΛΥΣΙΠΠΟΥ ΕΡΓΟΝ opera ai Lisippo, come la riferisce anche l’altro Maffei loc. cit. colla (differenza del Σ in C., e Flaminio Vacca l. cit. in latino.
  18. Presso il Boissard Antiq. & inscript. Par. iiI. fig 117: sotto una figura di marmo si legge MYRRI LINI LYSIPPI. Ma questo Lisippo non avrà niente che fare coll’altro.
  19. Se Atenodoro fosse lo stesso che quello da Plinio lib. 35. cap. 8. sect. 19. princ. detto scolare di Policleto, avrebbe vissuto circa l’olimpiade lxxxvii. come vuole il Maffei Raccolta di statue, Tav. 1., e dopo di lui Richardson, e l’Orlandi nella nota al Nardini citato qui appresso. Il nostro Autore nella prima edizione non avea saputo acconsentirvi, come ne anche nel Tratt. prelim. Cap. IV pag. LXIX.
  20. lib. 36. cap. 5. sect. 4. §. 1.
  21. Tal base fu trovata dal signor cardinal Albani nelle ruine dell’antica Anzio, ed è di marmo nericcio: eravi imposta una stanza di marmo bianco, di cui non altro è rimasto, che un pezzo della clamide pendente.
  22. Plin. ibid.
  23. Roma antica, lib. 3. cap. 10. pag. 99. [ Non dice tal cosa, ma soltanto che fu trovata presso a s. Lucia in Selce, e le Sette Sale.
  24. Capo iiI. §. 7. pag. 55.
  25. Ho trovato in una relazione manoscritta degna di fede, che Papa Giulio II. diede a Felice de Fredis, e a’ suoi figliuoli introitus & portionem gabellæ portæ s. Joannis Lateranensis in premio d’avere scoperto il Laocoonte; e che Leon X. restituendo queste rendite alla chiesa di s. Gio. in Laterano assegnò a lui in vece Officium scriptoriæ Apostolicæ, con un breve in data dei 9. Novembre 1517.
  26. Michelangelo Buonarruoti, come scrive Maffei Racc. di statue, Tav. 1., seppe accorgersi, nell’esaminarlo attentamente, che era di più pezzi. Questi sono almeno tre riconoscibili; cioè, la figura del figlio maggiore, che sta a sinistra, la figura di Laocoonte sin sotto alle ginocchia, e il resto del gruppo. Il detto figlio maggiore ha la gamba dritta notabilmente più lunga dell’altra. Il padre ha la ghirlanda di frondi come sacerdote; e si vede ben rilevata nella stampa, che ne dà Maffei loc. cit.
  27. Nella prima edizione osserva Winkelmann che l’essere in più pezzi il Laocoonte di Belvedere ha fatto dubitare, che non sia quello dello di cui parla Plinio, soggiugnendo sull’asserzione di Pirro Ligorio che nelle ruine d’un antico edificio presso il palazzo Farnese furono trovaci molti pezzi d’un altro gruppo consimile, e fra questi una testa che fu quindi trasportata a Napoli. D’un’altra testa di Laocoonte, somigliantissima a quella di Belvedere, ma senza collo, posseduta già dal card. Maffei, parla Aldroandi Statue di Roma, pag.241.; e Flaminio Vacca presso Montfaucon Diar. ital. cap. 9. pag. 136. rammenta altri pezzi, che aveano del rapporto col gruppo di cui si tratta. Abbiamo noi pure un’antica e bellissima testa, anzi un busto di Laocoonte in bianco marmo, che a giudizio de’ periti per l’espressione e per la diligenza del lavoro può andar del pari con quella di Belvedere, a cui è uguale in grandezza. Ne abbiam data la figura alla fine del Libro antecedente pag. 188. [In questa edizione Romana si è omessa, perchè in fine di quello Tomo Tav. IV. si dà in rame l’intera figura del Laocoonte ]. Vi si ravvisano tutt’i tratti che desrive qui l’Autore; la positura del capo è la stessa, ed eguale esserne dovea l’atteggiamento delle braccia, se giudicar ne vogliamo da quella piccola parte che resta attaccata alle spalle. Serbasi quello pregevole monumento nella magnifica villa di S. E. il sig. march. Litta a Lainate distante 10. miglia da Milano, ove pur sono parecchie altre teste ed altri antichi lavori sì in marmo che in bronzo.
  28. Così lo ha la figura dello stesso Laocoonte, rappresentata presso a poco nella maniera di quello gruppo colli figli, in una gemma del gabinetto reale di Francia, che credesi antica, data in rame dal sig. Mariette Traité des pierr. grav. Tom. iI. pl. XCV.
  29. A norma dell’attacco antico della spalla, nè quella, nè quell’altra mossa del braccio pajono giuste.
  30. Piuttosto vi sono stati fatti per garbo della composizione.
  31. Il signor Heyne nella prima Dissertazione della seconda Parte della sua Raccolta d’Antiquaria testè pubblicata, si trattiene a lungo sul Laocoonte. Sebbene riconosca egli con Winkelmann essere stata questa statua ritrovata ne’ bagni di Tito, ora ben noti per le pubblicatene pitture, non s’accorda però con lui circa il tempo in cui è stata guasta, nè circa l’artista, che 1’ha poscia restaurata. Nega che il braccio destro del padre siavi stato rimesso dal Bernini; poichè questi nacque nel 1598., e la figura era già restaurata nel 1544., come appare dalla stampa in legno presso Marliani Urb. Roma Topogr. lib. 4. cap. 14.pag. 110. Tal opera egli scrive a fra Giovannangelo, coevo ed amico di Michelangelo creduto da alcuni il restauratore di questo gruppo per un errore nato probabilmente dalla somiglianza di nome. I figli però furono rappezzati da Agostino Cornacchini pistojese. [ Fu Baccio Bandinelli fiorentino, che prima dell’anno 1526. restaurò il braccio di Laocoonte in cera nella forma, in cui si vede al presente, come attesta il Vasari Vite de’ più eccell. pittori, ec. Tom. V. par. 5. pag. 71. nella di lui vita, ove dice, che sullo stesso modello lo imitò nella copia di tutto il gruppo, ch’egli fece in marmo per la galleria Granducale a Firenze; e tale vi si osservava, prima che nell’incendio di quella galleria nell’anno 1762. andasse in parte a male, e si può riconoscere ora dagli avanzi. Nella stessa maniera si vede anche nella stampa del Marliani, e nell’altra aggiunta alla metalloteca del Mercati, fatta circa il 1565., in quella fatta da Perret nel 1581., e in tante altre di quel secolo. Non so chi l’abbia in seguito copiato in terra corta; ma non è credibile che sia stato il Bernini, sì perchè tal lavoro materiale a lui non conveniva; e sì perchè nè il di lui figlio Domenico Bernini, nè il Baldinucci, nelle vite, che ne hanno scritte, non ne fanno parola; e dicono soltanto, il primo nel c. 2. pag. 13:., e l’altro alla pag. 72., ch’egli ammirava come il più gran capo d’opera quel gruppo, e lo studiava. Siccome Baccio fece la sua copia intiera, e intiero si vede il gruppo nella detta stampa del Marliani, e nelle altre mentovate, convien dire, che qualch’altro scultore, seppur non è stato Baccio stesso, abbia restaurati anche i figli intorno a quel tempo, o in cera, o in terra cotta, e che poi li abbia restaurati in marmo, piuttosto malamente, il Cornacchini, variando qualche cosa nel disegno. Di fra Giovannangelo Montorsoli scrive lo stesso Vasari nella di lui vita dopo il principio, fra le citate Tom VI. par. 6. Pag. 5., che per ordine di Clemente VII., dopo il 1532., rifece in marmo il braccio sinistro, che mancava all’Apollo, di cui parleremo al Libro XI. Capo iiI. §. 12., e il destro del Laocoonte. Questo destro braccio non può esser altro, che quello abbozzato, di cui ha parlato Winkelmann credendolo colla comune opinione opera di Michelangelo: equivoco, che potrà esser nato appunto, come dice il sig. Heyne, dalla somiglianza del nome, e forse ancora perchè egli era uno di quelli, che lavoravano sotto la direzione di Michelangelo, e da lui fu proposto al papa per quei restauri, come aggiugne Vasari. Qualunque ne fosse la ragione fra Giovannangelo non finì il braccio suddetto, il quale peraltro si è lasciato sotto la statua sino a quelli ultimi anni, che è stato posto in altro luogo dello stesso Museo]. Dopo d’avere il sig. Heyne con più minuta esattezza di Winkelmann descritto il gruppo, nota che i figli sono fuor di misura più piccoli del padre: la qual cosa è stata pur osservata in quelli della Niobe. Conviene egli bensì col nostro Autore nel fissarne l’epoca; ma nega che di ciò giudicar si possa dal solo stile. Parla quindi di due teste, e d’alcuni rottami d’altri simili gruppi, e de’ più celebri modelli che ne sono stati ricavati. Per ultimo paragona il gruppo colla descrizione fatta da Virgilio di Laocoonte circondato da’ serpenti; e dimostra che comunque siavi della somiglianza tra il poeta e lo scultore, quella non è poi tale che necessariamente l’uno fa preso dall’altro. In ogni maniera però non potrà mai dirsi che l’artista abbia rappresentato in marmo ciò che avea letto nell’Eneide.
  32. Stosch Pierr. antiq. grav. pl. 55. 56.
  33. Ora unito al museo reale a Berlino.
  34. Il citato Stosch ne porta diverse altre nella stessa maniera col nome in nominativo, e tra queste, due di Dioscoride, delle quali parleremo al Libro XI. Capo iI. §. 9.; e non vedo che vi sia stata mossa difficoltà.
  35. Monum. ant. ined. num. 175.
  36. È solito alle di lui monete, e lo ha quella, che abbiamo data sopra alla p. 105.; avendo voluto Alessandro essere imitatore di Ercole. Plutarco De fort. Alex. orat. 1. in fine, pag. 332. princ.
  37. Plin. lib. 35. cap. 11. sect. 40. §. 36.
  38. Dio Chrys. Orat. 31. pag. 338.
  39. Dione scrive, che a qualcuno si metteva; e ciò vien confermato da tante gemme, ed ermi, tra’ quali e quello d’Alessandro, di cui parlerò qui appreso; e varj altri scavati non ha molto nella villa già di Cassio a Tivoli si conservano nel Museo Pio Clementino e sono nominati nel Tomo I. di esso, pag. 13. 14.
  40. Ora unito al museo reale.
  41. Descript. des pierres grav. du Cab. de Stosch, cl. 2. sect. 13. n. 959. pag. 196.
  42. lib. 35. cap. 10. sect. 36. §. 12.
  43. Apelle, il più celebrato dalla fama tra tutt’i pittori, non solamente diede lustro alla pittura col suo pennello, ma ancora con tre volumi, che scrisse su i principali precetti di tal arte. Plin. lib. 35. cap. 10 sect. 36. §. 10. Era egli persuaso che la scienza, ossia la teoria dell’arte avesse da andare del pari colla pratica per formare un artista perfetto. Mancando la prima non può esser questi che un imitator servile: in difetto della seconda sterile ed inoperosa rimane la teoria. Quantunque sia riuscito Apelle eccellente in tutte le parti della pittura, non isdegnava però di confessarsi qualche volta inferiore ad altri suoi contemporanei: soltanto nello stile grazioso non voleva riconoscere uguale alcuno, dicendo essere toccata a lui in sorte la grazia. Dipinse molte Veneri, nelle quali ebbe campo di far risplendere sì bella prerogativa del suo pennello: in esse, come pur nelle altre sue pitture, non adoperò che quattro colori, a cui nondimeno dava un maraviglioso risalto con una vernice di sua invenzione. Plin. l. cit. §. 15. 18. Siccome Alessandro non volle esser inciso in pietra che da Pirgotele, nè rappresentato in bronzo che da Lisippo; così non volle essere ritratto nelle tavole che da Apelle, Cic. Epist. ad famil. lib. 5. ep. 12., Plin. lib. 7. cap. 37. sect. 38., Valo. Max. lib. 8. cap. 11. n. 2. in extern. Fece anche il ritratto del re Antigono, e per coprir il difetto della mancanza d’un occhio lo ritrasse in profilo; maniera avanti di lui non praticata da altri, se crediamo a Quintiliano l. 2. c. 13., e a Plinio cit. sect. 36. §. 14. Un maestro nondimeno dì tanto merito era cortese, affabile, sincero, ed imparziale estimatore de’ professori dell’arte, e delle opere loro. Degli emoli suoi, dai quali fu esposto qualche volta a pericolosi cimenti, non fece altra vendetta che con un quadro, ove rappresentò la calunnia, del quale abbiamo un’esatta descrizione da Plinio, che ci ha in oltre conservato varj suoi faceti e spiritosi motti, e varie belle azioni della sua vita.
  44. Il capo d’opera d’Aristide, in cui espressi vedeansi gli affetti dell’animo e i sentimenti del cuore, fu quel quadro rappresentante una madre ferita a morte nella presa di una piazza. Le stava attacato alle poppe un pargoletto, e ben vi si scorgea il timor della madre moribonda, che in vece del latte non avesse il figliuolo a succhiar del sangue. Plin. lib. 35. cap. 10. sect. 36. §. 19.
  45. Di Cauno nella Caria, città soggetta a Rodi. Plinio lib. 35. c. 10. sect. 36. §. 20. princ., e ivi l’Arduino nella nota. num. 141.
  46. Narra Plinio lib. 35. cap. 10. sect. 36. §. 20., che Protogene riuscì a dipingere per caso la spuma d’un cavallo, cui non avea potuto riuscire con tutta l’arte, gettando per rabbia la spugna inzuppata di colori contro il quadro; e che lo stesso avvenne al pittore Nealce. Dione Grisostomo Orat. 64. pag. 590. D., e Sesto Empirico Pyrrh. hypot. l. 1. cap. 12. pag. 7. B. lo dicono d’Apelle.
  47. Strab. lib. 14. pag. 965. princ. Tom. iI.
  48. Plin. lib. 35. cap. 10. sect. 36. §. 20.
  49. L’opera più insigne di Protogene è stata la tavola rappresentante il cacciatore Ialiso: opera in cui impiegò sette anni. In tale stima fu essa tenuta dal re Demetrio Poliorcete che, per non distruggerla, s’astenne dall’incendiare un sobborgo di Rodi da lui assediato. Plin. lib. 7. cap. 38. sect. 39., A. Gell. Noct. att. lib. 15. c ult., & Plut. Apophthegm. oper. Tom. iI. pag. 183. B. Quintiliano lib. 12. cap. 10. ammira in lui l'esattezza, e Cicerone De clar. orat. c. 18. n. 70. lo paragona a più altri valenti pittori di que’ tempi. Apelle stesso restò grandemente sorpreso al vedere quel quadro, opera grande e maravigliosa chiamandola; in essa nondimeno non ravvisò quella grazia che a sè solo arrogavasi. Plut. in Demetr. oper. Tom. I. p. 892. F. [ il quale la dice portata in Roma, ove poi fu consunta da un incendio ], & Ælian. Var. hist. lib. 12. cap. 41. Fece altresì Protogene alcune statue in bronzo. Plin. l. 35. cap. 10. sect. 36. §. 20.
  50. A que’ tempi, o poco dopo fiorirono varj altri pittori. I più rinomati furono Pausia, Aristolao, e Nicia. A Pausia da Sidone Plinio lib. 35. cap. 11. sect. 40. princ. attribuisce la gloria d’essere llato il primo a dipingere le volte delle stanze. I quadri piccoli, e specialmente le figure dei puttini erano la sua occupazione più favorita. Riuscì per altro anche in opere grandi. Tra quelle la più celebre è stata un sagrifizio di giovenchi, uno de’ quali era messo in iscorcio con tal maestria che molti tentarono bensì d’imitarlo, ma che nessuno arrivò giammai ad uguagliare. Attese ancora a dipinger fiori, rendutosi emolo della bella Glicera inventrice di vaghe corone tessute di fiori. Figlio e discepolo di Pausia è stato Aristolao, pittore severissimo detto da Plinio l. 35. c. 11. sect. 40. §. 31., che rammenta eziandio varie opere del suo pennello. Fra i pittori ateniesi si novera da Plutarco Bellone an pac. clar fuer. Athen. pag. 346. princ. oper. Tom. iI. anche Nicia, eccellente nel chiaroscuro, talchè le sue figure distaccate sembravano dal fondo del quadro. Plinio lib. 35. c. 11. sect. 40. §. 31. lo dice diligentissimo nel dipinger femmine, e felicissimo nel rappresentar cani. Era sì grande la sua applicazione al lavoro che interrogava spesso i suoi servi: ho io desinato? Plut. An seni sit ger. respubl. oper. Tom. iI. pag. 786. B., Ælian. lib. 3. c. 31., & Stob. Serm. 29. pag. 206. lin. 34. Gli Ateniesi, a’ quali fece dono d’un quadro, per cui ricusato avea sessanta talenti, Plin. loc. cit., gli eressero un monumento sepolcrale nel luogo destinato a chi meritavasi l’onore della pubblica sepoltura. Paus. lib. 1. cap. 29. pag.74. [ È nominato qui fuor di proposito, avendone già parlato Winkelmann a suo luogo avanti pag. 232. seg.]. Potrebbersi qui anche nominare Asclepiodoro assai stimato da Apelle per la simmetria, Plin. l. 35. c. 10. sect. 36. §. 21., Nicotane pittor elegantissimo, ibid. %. 23., Nicerote ed Aristippo figliuoli e discepoli d’Aristide, e più altri riportati da Francesco Giunio, il quale scrisse diffusamente e con molta erudizione le vite degli antichi artisti. Facendo Crasso presso Cicerone De orat. lib. 3. cap. 25. n. 98. il confronto delle pitture di quelli più antichi maestri con quelle de’ pittori che fiorivano a’ tempi suoi, nota il diverso effetto da amendue prodotto. Le recenti, siccome più vaghe per bellezza e per varietà di colori, solevano piacer alla prima; ma ben presto perdeano gran parte del pregio: laddove le più antiche non destavano da principio impressione sensibile nell’animo, ma poscia più attentamente rimirate appagavano più delle altre, non ostante quel non so che di ruvido e disusato che vi si ravvisava. Di ciò ne assegna la ragion Dionisio d’Alicarnasso De Isæo judic. n. 4. oper. Tom. iI. pag. 167.: „Gli antichi, dic’egli, erano gran disegnatori, che sapevano perfettamente tutta la grazia e la forza dell’espressione, quantunque il loro colorito semplice fosse e poco variato. Ma i moderni, più intenti a distinguersi nel colorito e nelle ombre, non disegnano sì esattamente, nè le passioni trattano con egual successo„.
  51. Plinio lib. 7. cap. 37. sect. 38., Apulejo Floridor. c. 7. op. Tom. iI. pag.770., il quale per altro sbaglia nel mettere Policleto in vece di Lisippo.
  52. Valerio Massimo l. 8. c. 11. in ext. n. 2., Arriano De exped. Alex. lib. 1. c. 17. p. 47., Plutarco De fort. Alex. orat. 2. op. Tom. iI. pag. 335. B. Plinio lib. 34. cap. 8. sect. 19. §. 16. narra di Eufranore, che facesse in bronzo la figura d’Alessandro con quella di Filippo suo padre sopra una quadriga. Combinando i tempi si potrà dire, che facesse tali statue prima che Alessandro accordasse la privativa a Lisippo, il quale è fissato da Plinio nell’olimpiade cxiv., come ha notato Winkelmann qui avanti §. 5. p. 238., dieci olimpiadi dopo Eufranore.
  53. Valer. Massimo loc. cit. Secondo Plinio lib. 35. c. 10. sect. 36. §. 20. anche Protogene dipinse le di lui gesta.
  54. Bottari vuol che sia d’Alessandro anche la statua dello stesso museo, di cui dà la figura nel Tomo iiI. Tav. 47.
  55. Plutar. in Alex. Tom. I. pag. 666. C., De fort. Alex. orat. 2. Tom. iI. pag. 335. Caracalla, che nel suo portamento voleva imitare Alessandro, non la portava inclinata, ma un poco voltata verso la spalla sinistra, come scrive Aurelio Vittore nella di lui vita: Assentantium fallaciis eo perductas, ut truci fronte, & ad lævum humerum conversa cervice, quod in ore Alexandri notaverat, incedens, fidem vultus simillimi persuaderet sibi: e così vedesi rappresentato in un medaglione già del cardinal Carpegna, ora nella Biblioteca Vaticana, riportato dal Buonarruoti Osservaz. istor. sopra alc. med. Tav. 9. num. 2. L’erme, di cui parlerò qui appresso, pende verso la spalla destra.
  56. Non lo è nel suddetto erme.
  57. Anthol. lib. 4. cap. 8. n. 36. 37., [ e Plutarco loc. cit. pag. 335. B.
  58. Lib. V. Cap. V. §. 6. pag. 359.
  59. L’erme in marmo cipollino statuario colla iscrizione greca di Alessandro ritrovato l’anno 1779. negli scavi della villa de’ Pisoni a Tivoli per mezzo del tante volte lodato signor cavaliere de Azara, che lo possiede, ci fa dubitare, che tutte le figure citate da Winkelmann, e da altri, non possano dirsi ritratti di quel famoso conquistatore; seppure non si volesse riconoscere una qualche somiglianza nella testa più giovanile del palazzo Rondanini. In questo erme la testa è scoperta. I capelli sono gettati nella maniera presso a poco che dice Winkelmann. È senza barba, per la ragione, che ho detta alla pag. 207. n. A. I lineamenti del volto, quantunque un pò corrosi nell’epiderme, pare che mostrino l’età più avanzata d’Alessandro, e una fisonomia robusta, e leonina, come dice di lui Plutarco De fort. Alex. orat. 2. Tom. iI. pag. 335. B., li quale spirava un non so che di terribile misto ad una bellezza non curata, al dir di Eliano Variar. histor. lib. 12. cap. 14., e quel suo temperamento bilioso, e iracondo, notato dallo stesso Plutarco nella di lui vita, op. Tom. I. p. 666. C, da Arriano De exped. Alex. lib. 7. pag. 502., Plinio lib. 35. cap. 10. sect. 6 §. 12.; di cui è anche un argomento il muscolo mastoideo, che comparisce alquanto più carnoso, e rigonfio dalla parte sinistra del collo, ove la testa mostra di premere. Nella bocca non vi so scorgere espresso il difetto dei denti grandi, e prominenti in fuori, del quale parla Giovanni Antiocheno, cognominato Malala, scrittor greco de’ bassi tempi, e forse del ix. secolo, Hist. chronica, lib. 8. princ. p. 82. B. È danno, che gli manchi il naso per poterlo meglio rincontrare colle medaglie, fra le quali nel resto mi pare abbia della somiglianza con quella, che si è data qui avanti alla pag. 105.; siccome fra le gemme pare che abbia somiglianza con quella, che da il Gori Mus. Fior. Gemmi antiq. Tab. 25. n. 1. La maestria del lavoro lo fa credere opera di buona mano, e de’ buoni tempi; ed è notabile il giudizio, che ne diede il celebre sig. Mengs, il quale, al primo sguardo fissatovi sopra da un’altezza di venti palmi senza aver veduta l’iscrizione antica, lo giudicò scultura de’ tempi di Alessandro, anzi un’immagine d’Alessandro stesso, o di Efestione. Vi corrisponderebbe la forma delle lettere della iscrizione simili a quelle, che usavansi in que’ tempi, come può vedersi presso il P. a Bennettis Chronol. & crit. hist. ec., Par. I. Tom. I. proleg. I. §. LXII. pag. 131., §. CIV. p. 220. Veggasi la figura, che ne diamo in fine di quest Tomo Tav. V., e la descrizione delle figure nel Tomo iiI.
  60. Vegg. Plinio lib. 35. cap. 10. sect. 10. §. 10.
  61. Dione Grisostomo Orat. 4. pag. 61., Plutarco in Alex. oper. Tom. I. pag. 671., e De fort. Alex. orat. i. Tom. iI. p. 31. F.
  62. Monum. ant. ined. num. 174. [ Noi lo diamo appresso in fronte al Libro XII.
  63. Paus. lib. 1. c. 8. p. I g. infine, [Plutarco nella di lui vita, in fine, oper. Tom. I. pag. 860. C., Fozio Biblioth. cod. CCLXV. pag. 1478. Gli fu eretta dagli Ateniesi per onorare il di lui merito; e Fozio aggiugne, che avea la spada al fianco, perchè così armato recitò l’orazione allorchè Antipatro chiese che gli fossero mandati ambasciatori ateniesi.
  64. Pubblicati nel Tomo I. de’ Bronzi d’Ercolano, Tav. 11. e 13.
  65. L’altro non vi ha molta somiglianza, e potrebbe essere di soggetto diverso.
  66. Imag. illustr. n. 55. Così pensa Orsini.
  67. Colla sicurezza di quello, che ha l’iscrizione, se ne sono conosciuti degli altri in marmo, uno de’ quali è nel Museo Pio-Clementino, e un altro ne possiede il lodato signor cavaliere de Azara. Molto più poi è rimarchevole la scoperta di una statua intiera, passata in Inghilterra, di cui però si è conservato in Roma il gesso; e di un’altra ad ella somigliante nella villa Aldobrandini in Frascati, ma non tanto ben conservata. In amendue Demostene è rappresentato in piedi con un volume nella mano sinistra in atto di arringare. Veggasene la figura in fine di questo Tomo Tav. VI., e l’indice delle Tavole in rame nel Tomo iiI.
  68. Un palmo e un terzo circa, e largo un palmo.
  69. Passato in Inghilterra presso il dottor Mead prima di quel tempo. Ne daremo la figura nella pagina seguente.
  70. Onom. lib. 4. cap. 10. segm. 79.
  71. Paus. lib. 1. cap. 8. pag. 19. in fine.
  72. 60. secondo Gellio lib. 15. cup. 28., secondo altri presso Fozio loc. cit. 67., altri 70.
  73. È rappresentato sedente sull’ara dopo aver preso il veleno, con una lettera nella mano sinistra, in cui secondo alcuni era scritto soltanto: Demostene ad Antipatro; e secondo altri un epigramma. Vedasi Plutarco loc. cit. pag. 860. princ., e Fozio Biblioth. loc. cit., ove minutamente ne raccontano la storia secondo le diverse opinioni.
  74. lib. 2. cap. 33 pag. 189.