Pagina:Storia delle arti del disegno II.djvu/275


da Alessandro il Grande ec. 269

di quest’epoca rarissimi sono, e rari erano anche presso gli antichi per la difficoltà grandissima di lavorarlo1.

§. 23. Le monete alessandrine celebri erano per la bellezza dell’impronto, di modo che al lor paragone grossolane sembravano e fatte senz’arte le monete d’Atene di que’ tempi2. Diffatti la maggior parte delle ateniesi, o antichissime sono, o d’un conio assai mediocre.

[Riflessioni sulle arti, e sulla poesia in Egitto a quell’epoca.]

§. 24. Io conchiudo da tai monumenti che l’arte greca, trasportata in Egitto a questi tempi, non sia stata corrotta dal cattivo gusto che depravò ed avvilì la poesia alla corte di Tolomeo Filadelfo, dal che nacque quel degeneramento nelle scienze che il osservò poscia in Roma sotto i cesari, e per l’Europa tutta nello scorso secolo. Callimaco e Nicandro, due della Plejade poetica, cioè de’ sette poeti d’Alessandria, studiavansi più di comparir eruditi che di mostrarsi poeti, e principalmente il secondo andava in traccia di parole antiquate e d’espressioni strane, scegliendo anche le più basse di tutt’i varj dialetti della Grecia. Licofrone, altro della medesima Plejade, amava di comparir invasato anzichè ispirato, e di affaticare con difficili pensieri e frasi oscure il leg-


gito-


  1. La ragione principale, per cui sono rari, e stata più probabilmente perchè il porfido non è una pietra propria a fare statue per il suo colore, come non lo erano tante altre pietre della Grecia non bianche, benchè di poca durezza, nelle quali perciò rarissimamente hanno scolpito i greci artisti. E che così pensassero gli antichi possiamo argomentarlo da ciò, che aggiugne Plinio loc. cit., cioè che le statue di porfido mandate all’imperator Claudio da Vitrasio Pollione furono guardate in Roma come cosa nuova, che non piacque; e che nessun altro fino al tempo, in cui egli scriveva, pensò di farne venire delle altre. forse gli uomini di qualche gusto si ristringevano a farne delle statue vestite, alle quali poi mettevano la testa, le mani, e i piedi di marmo bianco, come si è veduto nel Tomo I. pag. 30. che facevano gli antichi Greci alle statue in legno; e tali mi pare che siano le varie statue, che abbiamo ancora in Roma nelle ville Medici, e Borghese, e nel Campidoglio; tra le quali quelle che rappresentano re prigionieri, e un busto armato di corazza non finito, esistente nel palazzo Farnese, il nostro Autore nella prima edizione a questo luogo le dice opere lavorate in quella città. All’opposto vegliamo nelle rovine degli edifizj, che gli antichi facevano un uso grandissimo di tal pietra ridotta in lastre sottili, o in pezzi a modo di musaico, per ornare i pavimenti, e le mura impellicciate a varj marmi. Il Passeri Storia de’ fossili, ec. Disc. IV. §. XIV. pag. 141. crede che allora si lavorasse il porfido con maggior facilita, perchè cavato di fresco fosse più docile di quello, che ora si è: e lo argomenta dall’aver veduti in un pezzo di esso i tratti della sega così sensibili e distinti, che tre di quelli occupavan la larghezza d’una penna ordinaria da scrivere; segno evidente, che la sega, profittava molto sensibilmente.
  2. Laert. l. 7. segm. 18. Tom. I. p. 375.