Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. II)/Libro decimo - Capo III

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C a p o   III.


Fiorì l’arte in Sicilia... e presso i re di Pergamo - Risorse in Grecia, dopo la lega achea – Artisti... e monumenti di quel tempo — Torso di Belvedere — Ercole Farnese — Ricadde l’arte in Grecia... e i Romani depredaronvi le migliori opere — Vi furono però degli stranieri che v’ersero de’ nuovi monumenti — Cadde pur l’arte in Egitto... e in Siria — Risorse per poco in Grecia... ov’ebbe l’ultimo crollo dalla guerra mitridatica.

Fiorì l’arte in Sicilia... Mentre l’arte era decaduta in Grecia, e n’erano avviliti i lavori, fioriva essa tuttavia fra que’ Greci che dalla patria loro eransi trasferiti in Sicilia, e più ancora presso i re di Bitinia e di Pergamo. Sebbene di questo fiore dell’arte in Sicilia non parlino gli antichi scrittori, pur argomentar lo possiamo dai bellissimi impronti delle monete di quell’isola1, ove le colonie doriche, capo delle quali era Siracusa, sembrano aver gareggiato colle joniche, tra le quali una delle più ragguardevoli era Leonzio2, a chi coniar sapesse più belle monete.

§. 1. Io parlo qui de’ tempi che trascorsero tra i primi successori d’Alessandro sino alla conquista di Siracusa fatta da’ Romani: tempi torbidi e miseri per quell’isola, altronde sì favorita dalla natura; onde è da maravigliarsi che in mezzo a guerre continue non siansi spenti colà i semi stessi delle arti.

§. 2. E’ noto che ne’ tempi più antichi, sotto i re di Siracusa Gelone, Jerone, e i due Dionisj, ivi l’arte avea grandemente fiorito, e non v’era allora nessuna città in Sicilia, che di bei monumenti non abbondante. Le porte del tempio [p. 276 modifica]di Pallade nella mentovata città, incise in oro ed in avorio, erano superiori a tutte le altre opere di quello genere3.

§. 3. Non ostanti le miserie de’ tempi e le ostinate guerre sostenute dai Siciliani, principalmente contro Cartagine, furonvi sempre in Siracusa de’ grandi artisti, come fede ne fanno le belle monete argentee d’Agatocle, che da un lato hanno una testa di Proserpina, e dall’altro una Vittoria che adatta l’elmo su un trofeo. Ciò che qui deve sorprenderci si è il vedere l’arte fiorente sotto il dispotismo tirannico; ma trovasi la ragione di questo paradosso, se ci rammentiamo che Agatocle era stato vasajo4, onde avrà probabilmente in sua giovinezza, nello studiare l’arte di foggiare e dipingere i vasi, appreso pure il disegno; e fatto re avrà, per un’inclinazione presa ne’ primi anni, protette le arti che dal disegno dipendono, e favoriti gli artisti. Fra le altre opere fece dipingere una battaglia datasi dalla sua cavalleria, mentre egli n’era alla testa, e appender ne fece nel mentovato tempio di Pallade il quadro, che fu in seguito sommamente pregiato; e perciò da Marcello, nel saccheggio che fece di Siracusa, lasciatovi unitamente ad altri monumenti più cari ai cittadini, affine di guadagnarsene la benevolenza5.

§. 4. Jerone II., successore d’Agatocle, fu da semplice cittadino eletto e chiamato al trono di comune consenso nell’olimpiade cxxii.6. Le grandi forze di terra e di mare, che egli teneva in piedi per la sicurezza della Sicilia, vi [p. 277 modifica]mantennero durante il suo regno una tranquillità, da cui l’arte ebbe quasi una nuova, vita. Delle idee grandiose di questo re ne abbiamo un argomento nella gran nave di venti ordini di remi a ciascun lato fatta da lui costruire, la quale più ad un vasto palazzo che ad una nave era simile, poichè conteneva acquedotti, giardini, bagni, e tempj, ed una camera fra le altre v’era col pavimento a musaico, in cui tutta vedeasi rappresentata l’Iliade: e tal opera, nella quale impiegati furono 300. artefici, è stata eseguita in un anno solo. Mostrò egli altresì la grandezza del suo animo e delle sue forze, mandando a’ Romani ne’ tempi per loro assai difficili per le frequenti sconfitte ricevute da Annibale, una flotta con abbondante provigione di grano, oltre un simulacro della Vittoria in oro, che pesava trecento venti libbre. E’ da notarli che il Senato accettò allora tai doni7, sebbene altre volte, ridotto a maggiori strettezze, di quaranta auree patere presentategli dagl’inviati della città di Napoli, una sola e la più leggera n’avesse ritenuta8, e tutte avesse rimandate generosamente con molti ringraziamenti quelle che mandate aveagli la città di Pesto nella Lucania910. Questi tratti storici io qui apporto come appartenenti in qualche modo all’arte, essendo ben probabile che tutti que’ vasi, oltre il pregio del metallo, un altro ne avessero per la finezza del lavoro. Terminò questo re fortunato la gloriofa sua carriera dopo novant’anni di vita, e settanta11 di regno, nell’olimpiade cxli. Nell’anno primo dell’olimpiade seguente essendo stato Jeronimo, suo indegno nipote e successore12, [p. 278 modifica]trucidato con tutta la real famiglia, i capi della fazione si unirono ai Cartaginesi; il che diede occasione a Marcello d’invadere quella città e devastarla13, come si dirà in fine di questo Libro.

e presso i re di Pergamo. §. 5. Fra i protettori dell’arte a quelli tempi annoverarsi denno due re di Pergamo, Attalo II. ed Eumene II. suo fratello e predecessore14. Questi due principi, cui la saggezza e l’amore pe’ sudditi renderono immortali, d’una piccola provincia ne fecero un regno possente, e tante ricchezze ammassarono, che le dovizie attaliche passarono poscia in proverbio15. Cercarono amendue di guadagnarsi l’amore e la stima de’ Greci colla liberalità; ed Attalo fra le altre cose fabbricò presso all’Accademia d’Atene un giardino al filosofo Lacide, capo della nuova setta accademica16, in cui tranquillamente viver potesse ed insegnare. Molte greche città provarono gli effetti di sua beneficenza, e Sidone fra quelle fecegli in riconoscenza ergere nella pubblica piazza una statua colossale presso quella d’Apollo17. Al pari d’Attalo avea saputo meritarsi Eumene l’amor de’ Greci, onde molte città del Peloponneso gli erezzero delle statue18.

§. 6. Mirando que’ sovrani al vantaggio e alla gloria de’ loro stati, fu il primo loro pensiere d’invitarvi e proteggervi le scienze. A tal fine formossi in Pergamo una collezione numerosissima di libri, destinata all’uso pubblico, e tale che Plinio dubitava se si fosse dovuta preferire alla biblioteca Alessandrina eretta al tempo stesso sulla medesima idea19. Grandissima era la sollecitudine de’ letterati sì d’Alessandria che di Pergamo per raccogliere i libri migliori, e sì [p. 279 modifica]liberamente pagavansi, che allora per la prima volta vidersi degl’impostori scriver de’ libri sotto il falso nome d’antichi celebri scrittori20; e poichè Tolomeo Filadelfo, per gelosia di gloria in tale impresa, vietato aveva di trasportare fuori d’Egitto il papiro, allor necessario pe’ libri, si trovò a Pergamo l’arte di preparare a tal uopo la pelle d’agnello, che quindi ebbe il nome di pergamena21.

§. 7. All’amore di que’ re per le scienze congiunta era una grande inclinazione per le arti, onde sen fecero trasportar dalla Grecia de’ celebri monumenti; e vedeansi a Pergamo i due famosi lottatori, lavoro di Cefissodoro figliuolo di Prassitele22, e il quadro d’Apollodoro rappresentante Ajace fulminato (Ajax fulmine incensus)23: cioè quest’eroe quando in un naufragio suscitatogli da Pallade si salvò su uno scoglio, daddove continuava a vilipender gli dei, e ad esclamare che, malgrado il voler loro, sarebbesi salvato; onde fu con un fulmine incenerito. Lo stesso avvenimento rappresentasi fu un’antica gemma incisa24. Questa pittura sarà senza dubbio stata pagata con quella regia munificenza con cui Attalo pagò cento talenti un quadro del celebre Aristide, rappresentante un ammalato25.

§. 8. Tra gli artisti, che alla corte dei mentovati re fiorirono, quattro scultori ne rammenta Plinio, cioè Isigono, Piromaco, Stratonico, ed Antigono, i cui scritti sopra le arti erano molto pregiati; e soggiunge che molti pittori rappresentate aveano le famose sconfitte date dai due mentovati re ai Galli nella Misia26. Ci parla altresì di Soso, celebre pe’ lavori a musaico, il quale ne fece uno in Pergamo a varj colori rappresentante gli avanzi d’una cena sparsi per [p. 280 modifica]terra colle spazzature della stanza; onde quell’opera chiamavasi ἀσάρωτος οἶκος (la casa non spazzata). Nel medesimo pavimento, e probabilmente nel mezzo, v’era una colomba che beveva ad una tazza, e vedeasene l’ombra nell’acqua, mentre altre colombe sull’orlo della tazza medesima pareano stender le ali al sole e ripulirsi col becco27. E’ stato disotterrato nella villa d’Adriano a Tivoli un musaico rappresentante il medesimo soggetto, ed alcuni vogliono che sia lo stesso ivi per ordine dell’imperatore trasportato da Pergamo; ma io molto ne dubito, e addurronne altrove le ragioni28.

§. 9. Poichè allora l’alto prezzo, a cui pagavansi gli antichi libri, indusse gl’impostori ad attribuire a celebri scrittori le opere proprie; ragionevole sospetto nascer dee che per la ragion medesima gli artisti vendessero i loro lavori sotto il nome de’ gran maestri de’ bei tempi dell’arte. Di tale impostura diffati ne abbiamo tuttora le prove sott’occhio, come s’è già detto altrove29. E’ pur verosimile che cominciasse allora il tempo de’ copisti, opera de’ quali sono que’ molti Satiri30 esattamente fra di loro somiglievoli, che ci sono restati, e che creder deggiamo copie del celebre Satiro di Prassitele. Lo stesso dicasi di parecchie altre figure che lavorate scorgonsi sul medesimo modello, quali sono, a cagion d’esempio, due Sileni con Bacco ancor fanciullo fra le braccia, nel palazzo Ruspoli, simili interamente al famoso Sileno della villa Borghese; e le varie figure dell’Apollo Sauroctono, copie senza dubbio di quello di Prassitele, che era celebre sotto quello nome31. Sono pur note le molte Veneri messe nella stessa positura di quella del medesimo [p. 281 modifica]scultore32; e parecchie pur sono le figure d’Apollo col cigno ai piedi, e col braccio posato sul capo33.

Risorse in Grecia dopo la lega achea. §. 10. Dalla Sicilia e da Pergamo ritorniamo or alla Grecia, ove essendo cessate le ostilità, l’arte quasi risorta nuovamente ci si presenta. Poichè la guerra distruggitrice aveva indebolite ambe le partì, gli Etolj bisognosi d’ajuto contro gli Achei invitarono i Romani, che allora misero piede in Grecia per la prima volta. Ma poichè gli Achei uniti ai Macedoni sotto la condotta di Filopemene riportarono un’insigne vittoria contro degli Etolj e de’ loro alleati, i Romani meglio informati degli affari della Grecia, abbandonando coloro che aveanli chiamati, si posero dalla parte de’ vincitori, de’ quali migliori erano le circostanze, e con loro uniti espugnarono Corinto, e ’l re de’ Macedoni Filippo sconsissero. Questa vittoria produsse un celebre trattato di pace le cui condizioni, lasciate all’arbitrio de’ Romani, furono che il re avrebbe abbandonate tutte le piazze che occupate avea nella Grecia, ritirandone le guarnigioni prima de’ giuochi istmici34. In tali circostanze il cuor de’ Romani si mostrò sensibile per la libertà di un’estera nazione; e ’l proconsole T. Quinzio Flaminino ebbe nell’anno suo trentesimoterzo la gloria di dichiarare i Greci per un popolo libero, il che gli meritò poco meno che le adorazioni di quelle genti35.

[p. 282 modifica]§. 11. Avvenne ciò nell’anno quarto dell’olimpiade cxlv.36, cioè 194. anni avanti l’era cristiana37, ed è probabile che questa olimpiade avesse di mira Plinio, quando parlò del risorgimento delle arti38, anzichè la cencinquantesimaquinta, in cui i Romani erano tornati in Grecia come nemici: ognuno ben comprende che per richiamare le arti a vita vi vuole un particolare concorso di favorevoli circostanze, anzichè i tempi torbidi e miseri della guerra.

Artisti... §. 12. In tale risorgimento delle arti fra gli scultori si renderono celebri Anteo, Callistrato, Policle, Ateneo, Calisseno, Pitocle, Pitia, Timocle, e Metrodoro pittore insieme e filosofo, i quali però vengono stimati da Plinio molto inferiori per merito agli artisti precedenti39. E’ questa, a propriamente parlare, l’ultima età dell’arte greca.

...e monumenti di quel tempo.
Torso di Belvedere.
§. 13. A questi tempi, a mio credere, dee fissarsi Apollonio figliuolo di Nestore ateniese scultore del Torso di Belvedere, cioè dell’Ercole tranquillo e deificato, di cui non ci è rimasto che il torso. E’ certo almeno che tal opera è stata fatta qualche tempo dopo Alessandro, e lo argomento dall’omega Ω in questa forma ω nel nome dell’artista: forma che non trovasi mai data a questa lettera prima d’Alessandro, e comincia solo a riscontrarsi sulle monete dei re di Siria. Il più antico monumento dell’arte fu cui si vede quest’omega è un bel vaso di bronzo scanalato trovato nel porto [p. 283 modifica]d’Anzio, ed esistente ora nel museo Capitolino40. Dall’iscrizione portavi sull’orlo rilevasi che dono fosse di Mitridate Eupatore, ultimo e celebre re di Ponto, fatto ad un ginnasio, poichè usavasi allora di ornare tai luoghi con de’ vasi41. Oltre questa iscrizione vi si leggono in carattere piccolo e corsivo le parole ευφα διασωζε42 finor non intese, e che probabilmente denno così compirsi εὐφάλαρον διάσωζε (mantienlo pulito), poichè la voce εὐφάλαρον trovasi adoperata per indicare il pulimento dato ai lucenti arnesi de’ cavalli43.

§. 14. In questa sì mutilata statua, mancante di testa, di mani, e di gambe, coloro che penetrar sanno i segreti dell’arte, scorgono tuttora un chiaro raggio dell’antica bellezza. L’artista ha effigiata in quest’Ercole la più sublime idea d’un corpo sollevatosi sovra la natura, e d’un uomo nell’età perfetta inalzatosi al grado di quella privazion de’ bisogni che è propria degli dei. Ercole qui rappresentasi quale esser doveva allorchè si purificò col fuoco da tutte le umane debolezze, e fatto immortale ottenne di seder fra gli dei, quale dipinto avealo Artemone44. Egli è espresso senza la necessità di nutrirsi e di oltre usar delle forze, poichè non se gli veggono le vene, e ’l ventre sembra satollo senza aver preso cibo. Aver dovea, come giudicar si può da quel che rimane, la destra posata sul capo per indicarne il riposo dopo tutte le sue fatiche; e in tal positura si vede su una gran tazza di marmo, e sul celebre basso-rilievo della sua espiazione ed apoteosi, ove leggesi l’epigrafe ΗΡΑΚΛΗΣ ΑΝΑΠΑΥΟΜΕΝΟΣ (Ercole riposantesi). Amendue questi monumenti trovansi nella villa Albani45. La testa aver dovea lo sguardo [p. 284 modifica]rivolto in alto, qual si conveniva all’eroe che meditava contento sulle compiute grandi imprese, e appunto curvato n’è il dorso come d’uomo meditabondo46. Il petto maestosamente elevato ci richiama l’idea di quello contro cui compresso perì il gigante Anteo; e nella lunghezza e forza delle cosce ravvisiamo l’istancabile eroe, che la cerva fornita di piedi di bronzo inseguì e raggiunge, e scorrendo immense terre pervenne sino ai confini del mondo. Ivi ammirar deve l’artefice nei contorni del corpo la morbidezza delle forme, il dolce loro passaggio da una all’altra, e i tratti quasi moventisi, che con un molle ondeggiamento si sollevano e si abbassano, e l’un nell’altro insensibilmente si perdono. Troverà il disegnatore che, nel volerlo copiare, non può mai assicurarsi della dirittura e corrispondenza delle parti, poichè il moto, con cui s’immagina di coglierla, se ne allontana insensibilmente, e prendendo un’altra piega inganna del pari l’occhio e la mano. Le ossa sembrano d’una pingue cute ricoperte, carnosi sono i muscoli, ma senza una superflua pinguedine; e la carnosità è sì bene equilibrata che l’eguale non trovasi in nessun’altra figura. Dir potrebbesi che quest’Ercole s’avvicina ancor più che l’Apollo ai tempi floridi dello stile sublime dell’arte47.

Ercole Farnese §. 15. Le proprietà da me indicate nel Torso di Belvedere meglio ancor si ravvisano, se questo si confronti con [p. 285 modifica]altre statue del medesimo eroe, e principalmente col famoso Ercole Farnese, opera di Glicone48. In quella statua egli è rappresentato quieto e fermo, ma nel mezzo delle sue fatiche, con vene gonfie e con forti muscoli, che mostrano un’elastcità non ordinaria; onde ci pare di vederlo riscaldato ed ansante riposarsi dopo l’impresa dell’orto delle Esperidi, il cui pomo tiene ancor nella mano. Glicone in quell’opera non fu men poeta che Apollonio, e sollevossi sopra le forme dell’umana natura ne’ muscoli disposti a foggia di collinette che da presso succedonsi; ivi si propose d’esprimere l’elaterio delle fibre, e restringendole mostrarle tese a guisa d’un arco. Tali riflessioni devono farsi nell’esaminare quest’Ercole, ed allora non si prenderà per un’ampollosità lo spirito poetico dello scultore, nè la forza ideale per un’arditezza eccessiva; poichè a lui, che seppe eseguire sì bell’opera, si possono senza esitare attribuire tali viste. Veggasi a quello proposito ciò che s’è detto altrove49 intorno alla proporzione tra la testa e ’l corpo di quella statua, e lo stesso si applichi alla statua d’Ercole in bronzo esistente nel Campidoglio50, la cui testa è proporzionatamente ancor più piccola. Dello scultore Glicone non ci hanno gli antichi tramandata nessuna notizia; e prende abbaglio du Bos51, pretendendo che Plinio parli della di lui opera con lode52. Dall’iscrittovi nome solo possiamo inferire che Glicone non [p. 286 modifica]fosse più antico l’Apollonio, poichè l’omega ha la medesima forma ω53.

§. 16. Lavoro d’Apollonio, come appariva dall’iscrizione, era un altro torso d’Ercole, o secondo altri, d’Esculapio, che vedeasi alla fine dello scorso secolo nel palazzo Massimi. Dal Tomo X. dei manoscritti di Pirro Ligorio esistenti nella regia Biblioteca Farnese (pag. 224.) rilevo che quello pezzo fosse dianzi nei bagni d’Agrippa presso il Panteon, e abbia appartenuto in seguito ai celebre architetto Sangallo. Dovea certamente essere un lavoro prezioso, poichè l’imperatore Trajano Decio, che fecelo colà porre, volle pure che con un’iscrizione, dallo stesso Ligorio riportata, venisse indicato il cambiamento di luogo, che fatto avea tale statua54. Che poi avvenuto ha di quel torso, io l’ignoro.

Ricadde nuovamente l’arte in Grecia... §. 17. Il Torso di Belvedere sembra essere una delle opere più perfette dell’arte fatta in Grecia avanti la perdita della libertà. Dacchè ella divenne provincia romana non si trova più fatta menzione di nessun chiaro artista greco sino ai tempi del triumvirato. I Greci, circa quarant’anni dopo che da T. Quinzio Flaminino erano stati dichiarati liberi, la libertà nuovamente perderono, sì pei torbidi suscitati dai capi della lega achea55, sì per la gelosia che tal lega dava ai Romani. Questi, rendutisi padroni della Macedonia dopo la sconfitta data al re Perseo56, aveano molto a temere [p. 287 modifica]dell’alleanza che fra di loro faceano i popoli confinanti, e quelli altresì doveano sempre stare in guardia per la vicinanza d’una nazione conquistatrice e possente. I Romani dopo ch’ebbero lungo tempo procurato invano colla direzione di Metello di vivere in buona armonia coi Greci (per quanto almeno scrivono i romani storici), finalmente costretti furono a mandar colà L. Mummio a combatterli, e questi gli sconfisse presso Corinto, prese la città, e come capo della lega achea a suon di trombe la distrusse57. Avvenne ciò nell’olimpiade clvi., in quello stesso anno in cui fu conquistata Cartagine58. Pel sacco di Corinto vennero dalla Grecia a Roma i primi monumenti dell’arte, pe’ quali magnifico oltre modo fu e sorprendente l’ingresso trionfale di Mummio. Pensa Plinio59, che il famoso Bacco d’Aristide sia la prima pittura portata dalla Grecia a Roma. Lasciaronsi nella città saccheggiata le statue più antiche, e quelle di legno, fra le quali eranvi un Bacco indorato col volto colorito di rosso60, un Bellerofonte di legno colle estremità di marmo61, e un Ercole pur di legno che teneasi come un lavoro di Dedalo62. Tutto il resto poi, che agli occhi de’ Romani sembrò di qualche pregio, fu da loro depredato63, senza eccettuarne64 gli stessi vasi di bronzo collocati nell’interiore del teatro per accrescere la voce degli attori65: cosicchè Polibio, altronde grand’encomiasta de’ Romani, non seppe trattenersi dal biasimarli acremente pel barbaro saccheggio fatto a Corinto66. Sebbene però quella città fosse distrutta, non si omisero i giuochi istmici, che ivi celebrarsi solrano, e i Greci ogni

[p. 288 modifica]terz’anno67 adunavansi a! medesimo luogo come dianzi68; avendosi preso allora la città di Sicione l’incarico di ordinarli69.

§. 18. Fabretti70 pende a credere che due statue, esistenti a Roma in casa Carpegna, alle quali sono poscia state imposte le teste di M. Aurelio, e di Settimio Severo71, debbano annoverarsi fra i lavori che Mummio portò dalla Grecia a Roma, poichè sulle basi d’amendue leggeasi M. MVMMIVS COS. Ma oltrechè Mummio conquistator di Corinto fu Lucio, e non Marco, i conoscitori vi scorgono chiaramente il lavoro di tempi posteriori, il che pure s’argomenta dall’armatura che è d’imperatore. E’ probabile che quelle basi siansi perdute, poichè veggonsi fatti di nuovo e di un sol pezzo i piedi e le basi che sono senza iscrizione.

... e i Romani depredaronvi le opere migliori. §. 19. Questo saccheggio d’una greca città avrebbe potuto agevolmente sopportarsi per la quantità grande di statue e di pitture, che era in tutte le città, anzi in tutt’i luoghi della Grecia. Ma quella nazione, vedendoli continuamente esposta al depredamento e al saccheggio, si perde di coraggio, e non osò più spendere ne’ pubblici sontuosi monumenti dell’arte, che erano divenuti l’oggetto della cupidigia de’ loro vincitori. Diffatti la Grecia soggiaceva allora alle rapine continue de’ Romani. Marco Scauro edile prese alla città di Sicione, per certi debiti contratti con Roma, tutte le sculture e le pitture de’ tempj e de’ pubblici edifizj, le quali servirongli ad ornare il magnifico teatro che fece allor costruire per pochi giorni72. Da Ambracia, dianzi sede dei re [p. 289 modifica]re d’Epiro, portate furono a Roma tutte le statue73, fra le quali v’erano le nove Muse74, collocate poi nel tempio d’Ercole Musagete (Hercules Musarum); anzi persino le stesse pitture, coi muri a cui erano attaccate, mandaronsi dalla Grecia a Roma: e così usarono gli edili Murena e Varrone colle pitture di Sparta75. Non bastava a trattenerli nemmeno il timore di guastare e perdere quelle pitture: timore che ai tempi di Caligola salvò a Lanuvio nel Lazio76 le pitture di Atalanta e di Elena77. Metello dopo la sconfitta di Perseo78 fece trasportare a Roma un’infinità di statue, fra le quali v’erano tutte le statue e quadri di mano di Lisippo fatte da Alessandro innalzare a coloro che erano periti nella battaglia presso il Granico; e fu di esse ornato il portico edificato per ordine del medesimo Metello79, il quale molte statue equestri fece altresì collocare nel Campidoglio80.


§. 20. E’ quindi facil cosa l’immaginarsi che gli artisti e principalmente gli scultori e gli architetti poche occasioni avessero d’esercitare i loro talenti. Sembra però che si continuasse ad ergere le statue ai vincitori de’ giuochi olimpici in Elide, l’ultimo de’ quali, per quanto almeno ne troviamo fatta menzione, chiamavasi Mnesibolo, e fu coronato nell’olimpiade ccxxxv. nei primi anni dell’impero di M. Aurelio81.

Monumenti dell'arte erettivi dagli stranieri. §. 21. Ciò che in questi tempi lavoravasi in Grecia di tempj, di edifizj, e di statue, per lo più faceasi a spese di [p. 290 modifica]re stranieri, cioè di quei di Siria, d’Egitto, e d’altri. Alla regina Laodice, figlia di Seleuco e sposa di Perseo, fu fatta alzare una statua in Delo, come un monumento di gratitudine alla sua generosità verso gli abitatori di quell’isola, e verso il tempio d’Apollo ivi edificato. Se ne vede ancora fra i marmi Arundelliani la base coll’iscrizione82. Antioco IV. Epifane re di Siria fece nel tempio medesimo ornare di molte statue l’ara di quel dio83.

§. 22. Leggendo presso Vitruvio84 che il suddetto Antioco chiamò da Roma in Atene Cossuzio architetto romano, per terminare il tempio di Giove Olimpico, che sin dai tempi di Pisistrato era rimasto imperfetto, argomentar potrebbesi che vi fosse allora scarsezza d’abili artisti in quella stessa città che era stata dianzi la principal sede dell’arte; ma v’è altronde ragion di sospettare che quel re abbia ciò fatto solo per compiacere o adulare i Romani. Ebbe probabilmente le stesse mire Ariobarzane II. Filopatore re di Cappadocia, quando, per riedificare l’Odeo degli Ateniesi, che Aristione generale di Mitridate avea fatto atterrare in parte all’occasione dell’assedio di Siila, scelse due architetti romani, cioè Cajo Stallio, e Marco suo fratello unitamente al greco Menalippo85.

Cadde pur l’arte in Egitto... §. 23. L’arte greca in Egitto, trovandosi sotto un cielo straniero, non potè ben prosperare, e in mezzo alla pompa delle corti de’ Seleucidi e de’ Tolomei molto perdè della sua grandezza e del suo gusto. Essa veramente vi avea fiorito insieme alle scienze sotto i primi tre Tolomei, i quali furono pur solleciti di mantenere i monumenti dell’arte egiziana. Tolomeo Evergete, dopo la vittoria riportata fu Antioco Dio (Theos) re di Siria, trasportar fece in Egitto due mila [p. 291 modifica]cinquecento statue, molte delle quali in Egitto medesimo aveva in altri tempi depredate Cambise86. I cento architetti, che Tolomeo Filopatore suo figliuolo e successore mandò con doni ricchissìmi alla città di Rodi, a cui un terremoto recati aveva immensi danni87, possono darci un’idea della quantità degli artisti stipendiati al servigio di quella corte. Ma i successori di Tolomeo Evergete furono tutti principi indegni, che contro il proprio regno, anzi contro il proprio sangue stesso incrudelirono, e portarono l’Egitto all’estrema confusione. Da Latiro, quinto re dopo Tolomeo Epifane, quasi del tutto rovinata fu Tebe, e dell’antico suo splendore interamente spogliata; da lui cominciò la distruzione di tanti monumenti dell’arte egiziana; Pausania però attribuisce principalmente quelli danni a Tolomeo Filometore88. Le arti greche, sebbene ivi decadute assai dal primiero splendore pur vi si conservarono sino a Tolomeo Fiscone, settimo re d’Egitto, e padre di Latiro. Sotto quello tiranno, che governò crudelmente Alessandria, allorché ritornovvi dopo d’esserne stato discacciato, la maggior parte de’ letterati e degli artisti abbandonando quel regno si rifugiarono in Grecia; ond’ebbesi a dire allora89 che le arti esuli da Alessandria erano nuovamente ritornate al loro natio paese, e agli altri popoli90. Tra quelli artisti alcuni riportaronsi a Messene, e [p. 292 modifica]ivi scolpirono tre statue, cioè un Mercurio, un Ercole, ed un Teseo91, collocate nel Ginnasio. Tal crudeltà di Fiscone rendè memorabile il secondo anno del suo regno, che cadde nell’olimpiade clviii.; ma ciò non ostante vi ebbero sempre in Alessandria de’ filosofi, e vi si mantennero sino ai tempi de’ cesari con numeroso concorso di scolari92. Ho parlato altrove d’una pretesa testa di Tolomeo Aulete93.

...e in Siria. §. 24. In Asia, e alla corte dei re di Siria, perì l’arte come una face cui manchi l’alimento, che getta per un istante una luce viva, e scompare. Antioco IV. Epifane secondo figlio d’Antioco il Grande, successore di Seleuco IV. Filopatore suo fratello primogenito, amava la tranquillità, e voleva voluttuosamente godere di tutt’i piaceri della vita. Fra questi però occupavasi molto delle arti del disegno, ed amava di conversare cogli artisti94, cui impiegò a lavorare non solo per sè stesso, ma eziandio pe’ Greci, siccome già osservammo. Nel tempio di Giove Capitolino in Antiochia non solo fece fare la soffitta e indorarla, ma volle pure che coperte ne fossero di lastre indorate le pareti95, e fece in esso collocare una statua simile al Giove Olimpico di Fidia96. II tempio di Giove Olimpico in Atene, il solo che sembrò agli antichi proporzionato alla grandezza del padre degli dei, fu d’ordin suo magnificamente compito: da lui pure, come dicemmo, ornato fu di molte are insigni e di statue in copia97 il tempio d’ Apollo a Delo, e fu fatto costruire un sontuoso teatro di marmo nella città di Tegea98.

[p. 293 modifica]§. 25. Colla morte di quello re sembra che perisse pur l’arte greca in Siria; poichè essendo stati costretti i suoi successori, dopo la sconfitta avuta presso Magnesia, di fissare per confine del regno il monte Tauro, e ceder tutto ciò che dianzi possedevano nell’Asia Jonica e in Frigia, fu tolta allora ogni comunicazione colla Grecia; e ’l paese d’oltremonti non era altronde adattato per farvi fiorire una scuola d’artisti greci. Aggiungasi che quello regno erasi sommamente indebolito per la sollevazione d’Arface, che nell’olimpiade cxlii. fondò il regno de’ Parti99. I re di Siria medesimi presero a poco a poco le costumanze de’ Persi e de’ Medi, e in luogo del greco diadema usato dai loro predecessori, si misero in capo la berretta cilindrica de’ Persi detta cidari da’ Greci. Trovasi questa impressa come indizio di regia dignità fu alcune delle loro monete100.

§. 26. Dopo la riferita vittoria riportata da’ Romani su Antioco il Grande nell’olimpiade cxlvii. L. Cornelio Scipione avea fatte trasportare dalla Siria a Roma innumerevoli statue. Le monete de’ successori del suddetto Antioco IV. annunziano già la decadenza delle arti; anzi una del re Filippo, che fu il vigesimo dopo Seleuco, chiaramente dimostra che l’arte più non fioriva alla corte di quel re, e appena direbbesi che la di lui testa nel diritto, e ’l Giove sedente nel rovescio sian lavoro de’ Greci. Non v’è quasi moneta de’ Seleucidi che non sia pel conio inferiore a quelle d’ogni greca città, comunque piccola. Su quelle dei re Parti, che hanno un’epigrafe greca, ed in parte assai bella, vedesi già la barbarie sì nel disegno, che nel conio; eppure è certo che erano lavoro di greci maestri, poiché quei re faceansi una [p. 294 modifica]gloria di comparire amici de’ Greci, e ne prendeano il titolo sulle monete medesime101. Nè questo ci recherà maraviglia, se osserveremo che la stessa greca lingua talmente si alterò nella Siria, che il nome della loro città di Samosata cangiato poi in Comagene è scritto in guisa che appena è riconoscibile sulle loro monete102.

§. 27. Quando l’arte greca venne in decadimento nel suo paese originario e negli altri regni ove trovato avea favore e nutrimento, cominciò ad essere sostenuta, unitamente alla greca letteratura, dai Romani, i quali deponevano allora la prisca loro ruvidezza, e lo stesso popol di Quirino vedeva con piacere le opere de’ greci maestri. Perciò, quando in Roma non ancor lavora vasi nel greco stile, volendo l’edile C. Claudio Pulcro ornare di statue il foro per una pubblica festa di quattro giorni, collocovvi fra le altre una copia di Prassitele presa in prestito a quest’oggetto, e la rendè poscia a chi n’era il possessore103.

Risorse per poco in Grecia. §. 28. Ricominciò l’arte allora a nuovamente fissarsi in Grecia e a fiorirvi, poichè colà eziandio i Romani la proteggevano, facendo eseguire in Atene le statue per ornare le loro ville. Leggiamo diffatti presso Cicerone che Attico così fatto avea pel suo Tusculano, ove fra gli altri lavori v’erano degli Ermi di marmo pentelico con teste di bronzo104. Il lusso introdottosi in Roma fu una seconda sorgente pel mantenimento degli artisti anche nelle provincie; poichè le leggi permettevano ai proconsoli e ai pretori d’immortalare il loro nome, e di farsi ergere eziandio de’ tempj a spese di quegli stessi Greci, che la loro libertà credeano protetta dai Romani 105. Pompeo aveva un tempio in tutte le provincie. [p. 295 modifica]Quest’abuso crebbe molto sotto gl’imperatori, ed Erode fece edificare in Cesarea ad Augusto un tempio, in cui eravi la di lui statua simile per la forma e per la grandezza al Giove Olimpico, e la statua della dea Roma somiglievole alla Giunone d’Argo106.

§. 29. Talora però i Romani stessi portati dall’amore per la Grecia pensarono ad ergersi de’ monumenti di gloria, facendo colà costruire a proprie spese delle magnifiche fabbriche. Così fra gli altri Appio, padre del famoso Clodio, fece edificare un portico ad Eleusi107; e par che Cicerone scriva seriamente ad Attico di voler far elevare un nuovo portale nell’Accademia presso Atene108.

§. 30. Sembra che una simil ventura abbia avuta l’arte a Siracusa, anche dopo l’ultimo saccheggio, ed esser certamente dovea colà buon numero d’abili artisti; poiché Verre, che raccoglieva in tutt’i luoghi i migliori monumenti dell’arte109, fece principalmente a Siracusa lavorar de’ vasi, [p. 296 modifica]avendo a tal effetto formata una gran fabbrica dell’antico palagio dei re, ove per otto mesi intieri occupati furono tutti gli artisti, altri a disegnar de’ vasi, altri a gettarli e cisellarli; e in quelli non altra materia vi s’impiegava che l’oro.

...ov’ebbe poi l’ultimo crollo dalla guerra mitridatica. §. 31. La tranquillità, di cui per alcuni anni goduto aveano in Grecia le arti, fu nuovamente turbata dalla guerra mitridatica, in cui Atene alleata ai re di Ponto si sollevò contro i Romani. Delle molte isole a cui quella città dominato avea nel mare egeo, non altra era loro rimasta, che la piccola isola di Delo, e quella pure erasene pocanzi sottratta, ma a loro nuovamente assoggettata l’aveva Archelao, generale di Mitridate110. Agitavanla grandemente i diversi partiti, in mezzo ai quali Aristione, filosofo epicureo, tentò d’impadronirsene; e vi riuscì, sostenendo l’usurpato dominio con forze straniere, e facendo perire i cittadini più propensi a Roma111. Essendo per tanto al principio della mentovata guerra Archelao assediato da Siila in Atene, quella città trovossi in una necessità estrema; e tanta era la mancanza [p. 297 modifica]de’ viveri, che non solo mangiava il cuojo degli animali, di cui non bastavan le carni, ma dopo la resa trovaronsi pur dei resti di membra umane, che aveano servito di cibo112. Silla distrugger fece allora il porto di Pireo, l’arsenale, e tutt’i pubblici edifizj spettanti alla marina; onde Atene, secondo l’espressione degli antichi storici, più non era che lo scheletro d’Atene altre volte sì florida e possente. Prese quello dittatore le colonne stesse dal tempio di Giove Olimpico113, e fecele trasportare a Roma insieme alla biblioteca d’Apelliconte114; e senza dubbio depredate pur n’avrà molte statue, sapendosi che fra le altre cose spedi a Roma una Pallade tolta dal borgo di Alalcomene nella Beozia115. Silla coll’eccidio d’Atene proposto si era di portare lo spavento e ’l terrore in tutt’i Greci, come ve lo portò diffatti. Avvenne allora (nell’olimpiade clxxv.) in Grecia ciò che non era mai succeduto dianzi, cioè che, tranne la corsa de’ cavalli, non si celebrò in Elide nessuno degli altri solenni giuochi olimpici; poichè questi allora furono da Silla trasportati a Roma116. Leandro Alberti parla della metà superiore d’una statua di Silla esistente a’ suoi giorni a Casoli nella diocesi di Volterra in Toscana117. I Romani talora per lasciare un monumento di sè ai posteri non ebbero difficoltà di far incidere il loro nome sulle statue degli uomini celebri dell’antica Grecia, come se a loro stessi fossero state erette118.

§. 32. In tempo di tanta miseria d’Atene comprarono i Romani de’ monumenti dell’arte da que’ cittadini: così Cicerone acquistò colà per mezzo d’Attico que’ greci lavori co’ quali abbellì la sua villa, e mandogli i disegni dei lavori che [p. 298 modifica]bramava. Tale almeno, cred’io, esser deve il senso della voce latina typus119, che da nessuno è stata sinora ben esposta120, se non che potrebbe pure intendersi della misura de’ pezzi che Cicerone voleva eseguiti. Egli richiese in oltre a quello amico una nota delle pitture esistenti in una di lui villa dell’Epiro, detta Amaltea, per farle imitare nella propria villa d’Arpino, promettendo nello stesso tempo di mandargli in iscambio nota di quelle che ivi già avea121.

§. 33. Tutte le altre contrade della Grecia non offrivano allo sguardo se non tracce funeste di desolazione. Tebe, la famosa Tebe, che era pur giunta a rimettersi nel suo splendore dopo i disastri sofferti sotto Alessandro, non mostrava allora, se si eccettuino alcuni tempj nell’antica rocca, che distruzione e ruine122. Silla saccheggiati avea i tre più celebri tempj della Grecia, cioè quello d’Apollo a Delfo, quello d’Esculapio in Epidauro, e ’l terzo di Giove in Elide123. Sparta, sebbene avesse ancora i suoi re e un territorio ai tempi della guerra civile tra Cesare e Pompeo124, era allora poco men che disabitata125: di Messene non altro più rimaneva che il nome126; ed osserva Plutarco che la Grecia tutta poteva appena armare 3000. uomini, quanti dati ne avea la sola città di Megara nella battaglia di Platea contro i Persi.

§. 34. In migliore stato non erano la Sicilia e la Magna Grecia, e riguardo a quella n’era stato in gran parte cagione l’abborrimento generale destatosi contro i Pittagorici; incendiate ne furono tutte le scuole, e i più ragguardevoli fra loro esigliati si videro, o messi a morte127. Allora gran [p. 299 modifica]danno ne venne alle arti, le quali insieme alla filosofia erano colà state nel più bel fiore. Delle molte celebri e possenti città, che in quelle contrade fiorito aveano al principio della romana monarchia, appena serbavano qualche splendore Taranto, Brindisi128, e Reggio. Nella prima v’era una bella Europa sedente sul toro, ed una statua di giovane Satiro nel tempio di Vesta; e nell’ultima una assai pregevole Venere di marmo129. Crotone, le cui mura altre volte aveano avute dodici miglia di circuito, e i cui abitatori oltrepassato aveano il miglione, nella seconda guerra punica appena conteneane ventimila130. Poco prima della guerra contro Perseo re di Macedonia, il censore Quinto Fulvio Fiacco scoprir fece il famoso tempio di Giunone Lacinia presso la mentovata città, per trasportarne a Roma le tegole marmoree desinate a servir di tetto al tempio della Fortuna Equestre da lui fatto edificare131; sebbene portate appena in Roma, dovè rimandarle ove prese le avea132.

[p. 300 modifica]§. 31. In Sicilia allora, dal promontorio di Lilibeo al capo Pachino, cioè in tutta la colla orientale dell’isola, [p. 301 modifica]non vedeansi che ruine ed avanzi di città altre volte floridissime133. Siracusa però teneasi ancora per la più bella tra [p. 302 modifica]le greche città, di modo che Marcello, quando l’ebbe espugnata, guardandola dall’alto versò lagrime di [p. 303 modifica]compiacenza134. Cominciò a disusarsi allora la lingua greca nelle greche città d’Italia; e al riferir di Livio135, poco prima della contro Perseo, cioè nell’anno di Roma 572., il [p. 304 modifica]Senato conceduto aveva alla città di Cuma di usare il romano linguaggio ne’ pubblici affari, e nella vendita delle mercanzie136. Io son però d’opinione che il decreto del Senato fosse un comando anzichè una grazia.




Note

  1. V. Bianconi Par. int. a una med. di Sirac.
  2. Thucyd. lib. 3. cap. 86, pag. 221.
  3. Cicer. in Verr. act. 2. lib. 4. cap. 56.
  4. Ateneo 1. 10. c. 3. p. 45. princ., Ammiano Marcellino lib. 14. in fine; ed era figlio di vasajo. Vedasi Tom. I. p 221. nota 1.
  5. Erano più quadri, che poi furono portati a Roma da Verre. Cicerone loc. cit. cap. 55.
  6. Anno iiI. come osserva il Casaubono Hist. Polyb. synops. chronolog. pag. 1051.; o piuttosto, secondo la ferie de’ vincitori olimpici allo stadio, nell’anno iI. dell’olimpiade cxxvi., in cui vinse Idèo, ossia Nicatore, di Cirene, come dice anche Pausania lib. 6. cap. 12. pag. 479., ove per errore dell’antico amanuense leggesi cxx. Vegg. Corsini Fasti att. olymp. cxxvi. Tom. IV. pag. 83.
  7. Liv. lib. 22. cap. 22. n. 7.
  8. Liv. ibid. cap. 20. n. 32.
  9. ibid. cap. 21. n. 36.
  10. A Rodi, che chiesto aveagli soccorso, Jerone non solo mandò vettovaglie e armi, ma fece in oltre collocare in una sua piazza delle statue rappresentanti il popolo Siracusano, che coronava quello di Rodi. Egli amico e parente d’Archimede lo indusse ad applicare la geometria alla meccanica.
  11. Cinquantaquattro
  12. Polibio Excerpta legat. n. I. pag. 783., e ivi Casaubono loc. cit. pag. 1060.
  13. Liv. lib. 24. c. 2. n. 4. 5., c. 11. segg.
  14. Strabone lib. 13. pag. 925. seg.
  15. Costant. Porfirog. Excerpta Polyb. pag. 167. e 168.
  16. Laert. lib. 4. segm. 60. p. 262. Tom. I.
  17. Constant. Porphyrog. Excerpta Polyb. lib. 17. pag. 97.
  18. Ibid. lib. 27. pag. 132. [che poi volevano atterrare.
  19. lib. 35. cap. 2. sect. 2. [ Dice che gareggiarono que’ due sovrani d’Egitto, e di Pergamo per fare una più bella libreria; e che non sapeva se dessi fossero stati i primi a darne il comodo al pubblico.
  20. Galen. in Hippocr. de Nat. hom. comment. 1. in fine, & comment. 2. proœm. oper. Tom. iiI. pag. 127. seg.
  21. Plin. lib. 13. cap. 11. sect. 21.
  22. idem lib. 36, cap. 5. sect. 4. §. 6. [ Del quale si è parlato qui avanti pag. 225.
  23. idem lib. 35. cap. 9. sect. 36. §. 1.
  24. Monum. ant. ined. num. 142.
  25. Plin. lib. 35. c. 10. sect. 36. §. 19.
  26. id. lib. 34. cap. 8. sect. 19. §. 24.
  27. Plin. lib. 6. cap. 24. sect. 60.
  28. Vegg. appresso al Libro XII. Capo I. §. 8. e segg.
  29. Vegg. qui avanti pag. 240.
  30. Vegg. Tom. I. pag. 292. not. a.
  31. Vegg. qui avanti pag. 223. Cosi si dica delle tante copie del famoso Discobolo di Mirone, delle quali abbiamo parlato sopra alla pagina 213. L’impostura però non poteva aver luogo nè in queste, nè in quelle di Prassitele, che sono in marmo; essendone stati gli originali in bronzo.
  32. Vuol intendete di quella de’ Medici a Firenze; ma più volte abbiamo detto, che le copie di quella di Gnido stanno nel Museo Pio-Clementino, e tre ve ne sono. Veggasi qui avanti pag. 192. not. a.
  33. Vedi Tomo I. pag. 300. §. 20. Dioniso d’Alicarnasso, fra gli altri scrittori, De Dinarcho judic. n. 7. oper. Tom. iI. pag. 183. parla, per modo di esempio, delle copie delle opere di Fidia, di Policleto, e d’Apelle; dando due regole per distinguerle dagli originali: la prima, che ripete nell’altra opera De admir. vi dic. in Demosth. c. 50. Tom. iI. pag. 314., è uno studio grande, e una gran pratica dello stile dell’artista, di cui voglionsi conoscere le opere: l’altra si è, che gli originali hanno sempre una certa grazia, e venustà naturale; all’opposto le copie, quantunque siano per quanto è possibile imitate, hanno sempre un non so che di non naturale, e affettato.
  34. Polibio Excerptæ legat. n. IX. p. 795 segg., Livio lib. 33. cap. 19. n. 30.
  35. Livio loc. cit. cap. 21. n. 32.
  36. Casaub. Hist. Polyb. synops. chronol. pag. 1066. Secondo l’osservazione del Padre Corsini Fasti att. Tom. IV. pag. 101. sarebbe l’anno 1. dell’olimpiade cxlvi., di Roma 556.
  37. Sarebbero 196. anni, o 197, secondo la detta osservazione di Corsini; poichè Gesù Cristo nacque nell’anno iv. dell’olimpiade cxciv., nell’anno di Roma 753. Vedasi lo stesso Corsini loc. cit. olymp. cxcv. p. 146.
  38. Cessavit deinde ars, ac rursum olympiade centesima quinquagesima quinta revixit, lib. 34. cap. 8. sect. 19. §. 1.
  39. Plinio loc. cit. non parla di Metrodoro; ma bensì lib. 35. cap. 11. sect. 40. §. 30. ove dice, che fu dato a Paolo Emilio dagli Ateniesi per ornare di pitture il di lui trionfo per la vittoria contro Perseo ultimo re di Macedonia, di cui si è parlato qui avanti p. 169.; e siccome questa vittoria fu riportata nell’olimpiade clii. anno iv. secondo Casaubono l. cit. pag. 1073., ovvero nella cliii. anno i. secondo Corsini parimente l. cit. pag. 105., l’anno di Roma 584.; Metrodoro si dovrebbe collocare sette olimpiadi, o siano ventott’anni dopo l’epoca, che vorrebbe Winkelmann.
  40. Illustrato dal P. Corsini. Lo dà anche Bottari Mus. Cap. Tom. I. in fine, pag. 48., ove è scorretta l’iscrizione seguente.
  41. Polyb. lib. 5. pag. 429. C.
  42. ΕVΦΑ ΔΙΑσωΖΕ Cosi sono formate; e in caratteri majuscoli le dà l’Autore Tratt. prelim. ai Mon. ant. Cap. IV. p. LXXXIV.
  43. Esych. in Φάλαρα, εὐφάλαροv [ Εὐφᾶ contratto da εὐφαή, senza supplirlo significa ben lucente, da εὖ e φαής, come ἀμφιφαής, ec.
  44. Plin. lib. 35. cap. 11. sect. 40. §. 32.)
  45. Vedi qui avanti pag. 216. Nel gabinetto reale di Francia vi sono due gemme riportate da Mariette Traitè des pierr. grav. Tom. iI. pl. LXXXIV. e LXXXV., ove Ercole è sedente, e pare abbia qualche somiglianza coll’atteggiamento, che poteva avere l’Ercole del Torso.
  46. Non può quest’attitudine farlo credere un Ercole che fila; nè so ove Batteux Principes de litterat. Tom. I. prèm. part. chap. 4. pag. 57. abbia letto che tale n’era stato giudicato l’atteggiamento da Raffaello. [Non dice l’autore di questa opinione; e Raffaello lo nomina ad altro proposito.
  47. V’ha degli abbagli che meritano appena d’esser notati. Tal è quel di le Comte Cabin. des singular. d’architect. &c. Tom. I. p. 18., che chiama Erodoto di Sicione l’autore del Torso di Belvedere. Pausania fa bensì menzione di certo Erodoto d’Olinto, ma tra i celebri scultori non trovasi mai nominato un Erodoto di Sicione. Il medesimo scrittor francese parla d’un torso femminile, attribuito da lui al medesimo scultore, e detto il più bello di quanto si vede fra gli antichi monumenti dell’arte; ma questo è a me ignoto. Un altro scrittore, Demontios. De la sculpt. antiq. pag. 12., vuole che lo stesso Apollonio, oltre il Torso, abbia lavorata Dirce, Zero, ed Ansione del mentovato Toro Farnese; il che è falso.
  48. Vegg. la Tav. vii. in fine del Tomo.
  49. Lib. V. Capo VI. pag. 392.
  50. Vedi qui avanti pag. 42. §. 19.
  51. Rèfl. sur la poes. &c. Tom. I. sect. 37. pag. 387.
  52. Egualmente sbaglia il sig. Guglielmo Sandby, il quale ha creduto che quello Glicone sia lo stesso che il Glicone nominato da Orazio lib. 1. epist. 1. v. 30.: e perciò nell’edizione di questo poeta nominata qui avanti pag. 58. nota a., al detto verso ha posta la figura dell’Ercole, di cui si tratta. Ma poteva ben osservare, che questo Glicone è l’atleta di tal nome, lodato da Orazio per la sua robustezza, e da tanti altri scrittori. Una congettura per confermare l’opinione del nostro Autore potrebbe ricavarsi da questo atleta. Egli prima si chiamava Licone, col qual nome è menzionato da Winkelmann nel T. I. p. 376. In appresso per la dolcezza nel dire fu detto Glicone, da Glico che appunto significa dolcezza, aggiugnendo un gamma a Licone, come narra Laerzio lib. 5. segm. 66. Da ciò pare che possa ricavarsi ch’egli sia stato il primo a portare il nome di Glicone, dato poi al nostro artista. E siccome egli successe a Stratone nella scuola peripatetica nell’olimpiade cxxvii., secondo lo stesso Laerzio segm. 68.; l’artista dovrebbe collocarsi almeno x. olimpiadi appresso.
  53. Una statua consimile alla Farnese, nella medesima positura, espressione, e membra robuste, per quanto dice il Ficoroni Le singol. di Roma mod. cap. 7. pag. 52., colla medesima iscrizione, e forma di lettere, la possiede in Volterra monsignor Guarnacci, che la comprò in Roma. Se ne può vedere la stampa in rame presso lo stesso Ficoroni, e Maffei Art. crit. lapid. ec. pag. 4. Il nome di Glicone si trova pure sotto un bassorilievo rappresentante Ercole in piedi avanti un erme di Satiro, e diversi altri simboli, riportato dal Boissard Antiq. & inscript. Par. iiI. fig. 117.; ma potrebbe essere il nome del dedicante.
  54. Era cosa solita, principalmente presso i Romani, l’indicare con una iscrizione il cangiamento di luogo delle statue. Ciò costa da Plinio lib. 34. cap. 8. sect. 19. §. ult., e da tante di quelle iscrizioni riportate dal signor abate Marini nella più volte citata dissertazione inserita nel Giornale de Letterati, Tomo iiI. anno 1771. an. 5. princ. pag. 144., e dal signor abate Amaduzzi Monum. Matthæj. Tom. iiI. cl. 10. Tab. 61. n. 7. p.117.
  55. Pausania lib. 2. princ. pag. 117.
  56. Nell’olimpiade clii. anno iv. secondo Casaub. Hist. Polyb. synops. chron. p. 1073., o nell’anno i. dell’olimpiade seguente, secondo il P. Corsini Fast. att. Tom. IV. pag. 105. di Roma l’anno 584.
  57. Flor. lib. 2. cap. 16.
  58. Plin. lib. 33. cap. 3. sect. 18., cap. 11. sect. 53., lib. 34. cap. 2. sect. 3.
  59. id. lib. 35. cap. 4. sect. 8.
  60. Paus. lib. 2. cap. 2. pag. 115. in fine.
  61. Paus. lib. 2. cap. 4. pag. 119. [ Era una Minerva Frenatrice, così detta perchè avea frenato il cavallo Pegaso dato a Bellerofonte.
  62. ibid. pag. 121. princ.
  63. O rovinato. Floro lib. 2. cap. 16., Strabone lib. 8. pag. 584.
  64. Vedi qui avanti pag. 272. not. a.
  65. Vitruv. lib. 5. cap. 5.
  66. lib. 9. pag. 549.
  67. Ved. Corsini Diss. agon. Dissert. IV. n. 2. 3. pag. 83. segg.
  68. Paus. lib. 2. cap. 2. pag. 114.
  69. Mummio però dedicò in Elide dopo la presa della detta città vent’uno scudo o clipeo indorati, come riferisce Pausania lib. 5. c. 10. p. 399. princ., e una statua di Giove in bronzo, cap, 24. p. 440. princ.
  70. Inscript. cap. 5. num. 292. pag. 400. V. Buonarruot. Osserva. sopra alc. medagl. Tav. 14. num. 4. pag. 264.
  71. Passata in Inghilterra.
  72. Plin. lib. 34. cap. 7. sect. 17., lib. 35. c. 11. sect. 40. §. 24., lib. 36. c. 15. sect. 24. §. 7.
  73. Polyb. Excerpta legat. num. xxviii. pag. 830. C.
  74. Plin. lib. 35. cap. 10. sect. 36. §. 4.
  75. ibid. lib. 35. cap. 14. sect. 49.
  76. ibid. cap. 3. sect. 6.
  77. Si fa pure a giorni nostri l'operazione di trasportare le pitture fatte sul muro di san Pietro di Roma, dopo che si sono eseguite in musaico. Elle vengono segate insieme al muro, sul quale sono dipinte, e poscia trasportansi senz’alcun danno nella chiesa de’ Certosini. Le pitture etrusche del tempio di Cerere sono in tal guisa state portate via col muro. Plin. lib. 35. cap. 12. sect. 45., Vedi sopra pag. 153.
  78. Datagli da Paolo Emilio. Vedasi qui avanti pag. 160. §. 30.
  79. Vedi qui avanti pag. 239. §. 7.
  80. Vedi pag. 37. not. a.
  81. Paus. lib. 10. cap. 34. pag. 886. [ Vedi qui avanti pag. 267. not. b.
  82. Num. 29. pag. 26. ed. Malttaire.
  83. Chishull Antiq. asiat. Pseiph. Sig. p. 52.
  84. Præfat. ad lib. 7.
  85. Belley Expl. d’une Inscript. ant. sur le rétabl. de l’Odeum, Acad. des Inscr, Tom. XXIII. Hist. pag. 189. seqq.
  86. Chishull Antiq. asiat. Monum. adulit. p. 79. seqq., s. Hier. Comm. in Daniel. c. XI. v. 7. 8. 9. oper. Tom. V. col. 706. B. [ Vegg. Tomo I pag. 79. col. 1.
  87. Polyb. lib. 5. pag. 429. E.
  88. lib. I. cap. 9. pag. 21.
  89. Athen. Deipn. lib. 4. in fine, p. 184., Justin. lib. 38. cap. 8.
  90. Vaillant Hist. Ptolem. pag. 111. non avendo ben capito Ateneo, loda questo principe indegno, come se avesse dato un nuovo lustro alle scienze e alle arti. Ateneo parla d’un rinuovamento delle scienze fatto non in Egitto, ma in Grecia. Gli autori inglesi della Storia universale Tom. VI. liv. iI. chap. iI. sect. X. pag. 474.. seguendo Vaillant sono caduti in una troppo manifesta contraddizione. Come mai accordare insieme che le scienze e le arti sotto questo principe fiorissero in Egitto, e che sotto di lui i letterati e gli artisti fossero corretti a fuggirsene? Citan essi pure S. Epifanio De pond. & mens. c. 12.; ma questo s. Padre non altro fa che dare a Tolomeo il nome di Φιλολίγος senz’altro aggiugnerne. Nè dice Ateneo [ lib. 14. cap. 20. pag. 654.]. come asserisce Vaillant, che Fiscone avesse fatti raccogliere i libri per tutto il mondo, ma solo che v’erano 14. libri di commentarj di questo re, nei quali faceva sapere alla posterità, ch’egli non avea mai mangiato pavone in vita sua. [ Ateneo scrive, che Tolomeo nel libro duodecimo dei detti commentari descrivendo la sua regia d’Alessandria, e gli animali diversi, che vi manteneva, raccontava che v’era una gran quantità di fagiani, parte fatti venire dalla Media, e parte nati nella stessa regia, da potersene cibare ogni giorno; ma che non ne avea mangiato mai.
  91. Paus. lib. 4. cap. 32. pag. 359.
  92. App. De bell. civ. lib. 2. pag. 483. E.
  93. Ved. Lib. V. Cap. V. pag. 360.
  94. Polibio presso Ateneo l. 5. c. 6. p. 193. E. Narra alla p. 195. princ., che nella magnifica processione, fatta fare da questo sovrano prima di dar principio ai giuochi celebrati in Dafne, furono portate in giro infinite statue di divinità, e di eroi.
  95. Liv. lib. 41. cap. 20. num. 25.
  96. Ammian. lib. 22. cap. 13. [Dice, che fece fare la statua d’Apollo della grandezza del Giove Olimpico, e la fece collocare nel tempio vastissimo, che gli avea fatto innalzare a Dafne sobborgo d’Antiochia.
  97. Polibio presso Ateneo l. cit. p. 194. B.
  98. Liv. loc. cit.
  99. Polyb. lib. 10. pag. 598. [ Giustino lib. 41. c. 5. lo mette all’olimpiade cxxxii.; o come altri vogliono nella cxxxiii. Onde converrà dire che sia un altro Arsace, o che vi sia errore nel di lui testo; come nota il Casaubono Histor. Polyb. synops, chronolog. pag. 1053.
  100. Vegg. Tom. I. pag. 154.
  101. Spanhem. De præst. & usu numism. Disser. 8. n. 4. Tom. I. pag. 467.
  102. Pellerin Rec. de méd. Tom. iI. p. 180.
  103. Cic. in Verr. act. 2. lib. 4. cap. 3.
  104. ad Att. lib. 1. ep. 4. 6. 8. 9.
  105. Mongault Dissert. sur les honneurs divins, qui ont esté rendus aux gouverneurs &c. Acad. des Inscript. Tom. I. Mem. pag. 353.
  106. Jof. De bell. jud. lib. I. cap. 21. §. 7.
  107. Ma però Appio, altro di lui figlio, col pretesto di ornare i giuochi che dar dovea in occasione della sua edilità, tolse dai tempj, e luoghi pubblici della Grecia e delle isole circonvicine quanto vi era restato di statue, di quadri, e d’altri ornamenti, che poi collocò in sua casa. Cosi riferisce Cicerone Pro domo sua, cap. 43. esagerando un poco, poichè è certo, che moltissimi antichi monumenti rimasero in quelle parti anche nei secoli appresso. Vegg. al Libro XI. Capo iiI. §. 17.
  108. lib. 6. ep. 1. ad fin. & ep. 6.
  109. Quante belle opere dell’arte avesse raccolto Verre nella sua pinacoteca, ossia galleria, frutto delle sue rapine, apprendesi da varj luoghi delle orazioni pronunziate contro di lui da Cicerone, dette perciò Verrine, d’onde il signor abate Fraguier ha tratta la materia per una dissertazione intitolata la Galleria di Verre inserita nelle Memorie dell’Accademia delle iscrizioni di Parigi Tomo VI. L’oro, l’argento, lavorio, i diamanti, le perle, e le suppellettili preziose di cui era adorno il suo palazzo, lo renderono il più ricco e sontuoso di quanti fossero allora in Roma, ove il lusso era portato all’eccesso. La parte però più sorprendente del palazzo era la galleria, che a ragione dir poteasi un impareggiabile tesoro per le statue e pei quadri de’ migliori maestri, e per altri eccellenti lavori che vi si ammiravano. Tra le rarità ivi da Verre adunate Cicerone in Verr. act. 2. lib. 4. novera una bella Diana di bronzo rapita da lui ai Segestini, statua che era già stata preda dei Cartaginesi, e poi restituita ai Segestini da Scipione l’Africano; due statue di Cerere d’un lavoro finissimo, trasportate l’una da Catania, l’altra da Enna, dove erano tenute in somma venerazione; un Mercurio, signum magnæ pecuniæ, spettante una volta ai Tindaritani; un Apollo ed un Ercole del famoso Mirone, posseduti pria dagli Agrigentini; un altr’Ercole dello stesso artista, ch’ebbe Verre da Messina, d’ond’ebbe pure un Cupido, opera pregiatissima di Prassitele. Pl. l. 36. c. 5. sect. 4. §. 5. La raccolta però, ossia lo spoglio maggiore di tali preziosità, fecesi da Verre in Siracusa, la quale durante il governo di lui perdette più statue che non uomini nella fatale sconfitta, che i suoi cittadini ebbero da Marcello. Cosi si esprime Cicerone, ma quella è forse un’esagerazione oratoria. Che che ne sia, egli è certo che, fra le più belle statue siracusane possedute da Verre, vedevasi quella di Giove, da’ Greci chiamato Οὔρεος ossia dispensator del buon vento, statua da lui tolta a que’ cittadini, insieme alle due statue d’Aristeo e di Peano, de’ quali il primo venerato era dai medesimi nel tempio di Bacco, e ’l secondo in quello d’Esculapio. Preda fatta nel loro Pritaneo era similmente una bella Saffo di bronzo del celebre statuario Silanione. Dal tempio di Minerva della stessa città non solamente fece egli trasportare nella sua galleria ventisette ritratti di altrettanti re o tiranni della Sicilia, ma volle pur adattarvi le porte stesse del tempio, delle quali non si videro mai le più belle, come osserva anche il nostro storico qui avanti pag. 276. princ. Oltre la Sicilia, molte altre provincie e città hanno contribuito ad accrescere ed abbellire la galleria di Verre, come Scio, Samo, Perge, e tutta la Grecia. Tenedo in ispecie gli somministrò la statua di Tene suo dio tutelare, Atene due canefore di bronzo lavorate dal celebre Policleto, Aspenda un suonator di lira, tra tutte le statue, la più cara a Verre, che agli amici suoi soltanto più intimi lasciava vedere. Varietà ed ornamento accrescevano alla stessa galleria le molte corazze, i cimieri, le coppe, le urne, e i vasi, tutte cose per la materia, ma più per la finezza del lavoro pregevolissime. Fra tutte però faceasi distinguere l’idria di Boero cartaginese [ nominato da Winkelmann nel Tomo I. pag. 148. §. 7., e detto autore di due statue in due iscrizioni presso il Muratori Nov. thes. inscr. Tom. iI. pag. 966. n. 7. 8., il quale a torto lo prende per Sejoboeto, come osservano il marchese Maffei Art. crit. lapid. lib. 3. c. 1. can. 5. col. 110., e Bimardla Bastie nelle Osservazioni al detto Tesoro del Muratori inserite in appendice a quest’opera di Maffei col. 500. ], e quel candelabro e gemmis opere mirabili perfectum chiesto da Verre in prestito, né mai più restituito, cui due gran principi dell’Oriente destinato aveano in dono al tempio di Giove Capitolino.
  110. Appian. De bell. mithrid. pag. 188. in fine.
  111. ib. pag. 189. A. [ Pausania lib. 1. c. 20. pag. 47. e 48., Costantin. Porfirogeneta Excerpta Dionis Cocc. pag. 648.
  112. ibid. pag. 199. B.
  113. Plin. lib. 36. cap. 6. sect. 5.
  114. Strab. lib. 13. pag. 907. A.
  115. Paus. lib. 9. cap. 33. pag. 777.
  116. App. De bell. civ. lib. 1. pag. 412. C.
  117. Desciz. d’Ital. pag. 56. b.
  118. Cic. ad Att. lib. 6. ep. 1, [ Vedasi al Libro XI. Capo I. §. 2. in fine.
  119. idem lib. 1. epist. 10.
  120. Vegg. Tom. I. pag. 186. not. e.
  121. ibid. epist. 16. [ Promette di mandargli qualche sua opera da leggere.
  122. Paus. lib. 9. c. 8. pag. 727., Dio Chrys. Orat. 7. pag. 123. B. [ Era (lata diftrutta con Calci, e Corinto da L. Mummio, Epitome Livii lib. 43.
  123. Constant. Porphyrog. Excerpt. Diodor. pag. 406.
  124. App. De bell. civil. l. 2. p. 472. princ.
  125. Strab. lib. 8. pag. 557.
  126. ibid. pag. 559. B.
  127. Polyb. lib. 2. pag. 126. B.
  128. Strab. lib. 6. pag. 430. A.
  129. Cic. in Verr. ad. 2. lib. 4. cap. 60.
  130. Liv. lib. 23. cap. 4. n. 3.
  131. idem lib. 42. cap. 4. n. 3. [Vedi qui avanti pag. 160.
  132. Per non interrompere ai leggitori il filo della Storia colle troppo frequenti note si è giudicato più spediente di qui raccogliere in una sola le principali osservazioni che fa il signor Heyne in una sua Memoria intitolata, Saggio sulle epoche degli artisti presso Plinio. V. Sammlung Antiquarischer aufsaetze &c. Leipzig 1778., sopra quanto dice ne’ due Libri IX. e X. il nostro Autore, gli abbagli del quale ha preso a rilevare e correggere, ove specialmente colla scorta di Plinio vuol fissare le epoche degli artisti. Non può negarsi che non abbia egli spesso ragione; ma gli amici di Winkelmann avrebbero desiderato in lui un certo ritegno nel riprendere uno scrittore accreditato, e che egli stesso coronò coll’elogio di cui abbiam data la traduzione.
    Due sono i principali quesiti proposti dal celebre professore di Gottinga:
    I. Su quali fondamenti s’appoggino le epoche degli artisti fissate da Plinio ?
    II. Ove abbia quegli preso quanto scrive intorno la storia dell’arte?
    Dicesi che un artista fioriva in un determinato tempo, o perchè allora prodotte abbia le opere che gli hanno fatto un nome, o perchè felici fossero le circostanze di quel tempo, e favorevoli al miglioramento delle arti. Sembra che Winkelmann nel fissare le epoche, per lo più abbia a queste riguardo; e fra esse molto concede alla libertà ed al clima. Osserva però Heyne che nemmeno in ciò è costante; poiché talora ne attribuisce l’avanzamento al patrocinio de’ grandi, al lusso, al capriccio, e ad altre simili cagioni.
    La libertà però sembra a Winkelmann quella che v’abbia avuta la maggior influenza; ma Heyne osserva che essa nulla opera, se unita non sia con altre circostanze; onde l’azion sua a poco riducesi, e sovente anzi nuoce al fisico, al morale, e al politico in guisa da essere anche ruinosa per le arti. Avverte egli che, siccome non si sa ben definire l’essenza della libertà, così nemmeno si può ben determinarne l’attività, che diversa è ne’ varj tempi e luoghi: Atene, Sparta, e Tebe, dic’egli, avean una libertà ben differente da quella che regnava nelle tranquille campagne d’Arcadia, a Foci, e a Dori; e coll’esempio di queste ultime città, clic certamente libere erano in Grecia, e pur arti non aveano, mostra che poco alla libertà si deve. Dopo aver ciò provato con molti argomenti, passa Heyne ad esaminare le altre ragioni per cui cotanto in que’ luoghi e a quell’età si perfezionarono le arti; e vuole che, più che ad altro, questo si debba alle molte ricchezze della nazione [ come infatti da queste Diodoro lib. 12. princ. Ppag. 479. ripete il fiorir dell’arte nei cinquant’anni di pace, de’ quali parla Winkelmann qui avanti alla pag. 179.], e al poco lusso de’ privati nella domestica economia [cui si deve aggiugnere una indicibile avidità di gloria, che tutta animava la nazione, e una gara perpetua fra le rispettive città di sorpassarsi in ogni cosa ].
    Ma su qual principio mai Plinio, nel fissare le epoche degli artisti, per lo più sceglie i tempi migliori per la nazione, che sovente pur furono quelli della libertà? Qui Heyne propone una ingegnosa congettura. Plinio, dic’egli, non s’è già immaginate le epoche degii artisti, ma da altri più antichi scrittori le ha tratte. Questi erano cronisti o storici, che i fatti della Grecia esponevano; e per dare un certo ordine agli scritti loro, divideanli in epoche, fissandole a que’ tempi ne’ quali, dopo qualche grande evento o disastro, la Grecia rimanea tranquilla. Questi momenti di riposo sceglieva lo storico per terminare il libro o ’l capo, e in fine ad esso soggiugneva tutto ciò di cui naturalmente non s’era potuto far menzione nel racconto degli avvenimenti, rammemorando per tal modo gli uomini celebri nelle scienze e nelle arti. Ecco, secondo lui, come naturalmente dopo un avvenimento rimarchevole passavasi da quegli storici de’ chiari artisti, senza che quindi inferir si dovesse che appunto in que’ tempi aveano vissuto. Plinio avea tali storie sotto gli occhi mentre scriveva la sua; e avendo a parlare degli artisti, ne fissò le epoche a quelle olimpiadi, sotto le quali ne trovava notati i nomi. [ Converrebbe però supporre una gran negligenza, e inesattezza tanto in quegli storici, che in Plinio loro seguace; difetti, che per questa parre non veggiamo in nessuno degli antichi storici, che ci sono rimafti, come Tucidide, Diodoro, Pausania, Eusebio, ed altri, i quali seguono l’ordine delle olimpiadi, e dei vincitori in esse, siccome neppur si vede nelle epoche fissate nel Marmo d’Oxford. A me pare più verosimile che Plinio, senza andar a leggere tante storie, o croniche universali, abbia potuto leggere, e copiare qualcuno, o più dei tanti scrittori, che particolarmente aveano trattato degli scultori, e pittori, e delle loro opere, e in generale delle arti del disegno, varj de’ quali egli stesso allega, altri ne riportano Ateneo, Laerzio, i Filostrati, ed altri, e possono vcdersi numerati da Giunio De pict. veter. lib. 2. c. 3. §. 3. p. 55. e 56 e dal Fabricio Biblioth. græca, Tom. iI. l. 3. c. 24. p. 500. segg. Essi potevano entrare in un più minuto racconto, e dettaglio, che que’ cronisti, o storici; e avranno avuto le loro ragioni di assegnarne le epoche in quella guisa; e alcuni tanto maggiormente potevano dar giudizio delle opere, e del merito degli artisti rispettivi, quanto che eglino stessi erano artisti ugualmente. ]
    Se questa spiegazione non si ammetta, come renderemo noi ragione di quegli artisti che veggonsi eccellenti tutto in un tratto, dopo quindici o venti anni di vuoto? Si son eglino formati senza maestri, e in un momento? Se sono l’effetto della libertà e del clima, perchè sol nafcono in Atene, alcuni a Sidone e a Corinto, e pochi o nissuno altrove? Se sono l’effetto della tranquillità, come mai una pace tra Atene e Sparta produce gli artisti ad Efeso e a Rodi? Aggiungasi che alcune di queste epoche cadono in tempo di guerra, ed altre in tempi in cui la Grecia, avea perduta la sua libertà.
    Fissa Plinio l’epoca prima della scultura all’olimpiade lxxxiii., e Fidia in essa, perchè, soggiugne Winkelmann [nella prima edizione in lingua tedesca pag. 332., e pag. 189. Tom. iI. della traduzione francese], Fidia fatto aveva allora il suo Giove Olimpico, e regnava la pace in tutta la Grecia.
    Ma, dice qui Heyne, la pace generale, di cui parla Diodoro citato da Winkelmann, appartiene all’anno terzo dell’olimp. lxxxiv., e nell’anno secondo dell’olimpiade antecedente erano in guerra gli Ateniesi contro la lega Beotica. [ Con questa osservazione del signor Heyne, il signor Huber nella sua traduzione Tom. iiI. pag. 26. ha voluto emendare il testo di Winkelmann. Forse il sig. Heyne non avrà letto bene Diodoro al luogo citato sopra alla pag. 188. not. a. ove precisamente fissa la detta pace all’olimpiade lxxxiii. anno iiI.; e avrà equivocato coll’altro passo dello stesso Diodoro poco dopo, cioè §. 26. pag. 495., ove all’olimpiade lxxxiv. anno iiI. parla degli effetti di quella pace. L’errore di ’Winkelmann è di aver detto anno iI. in vece del iiI., quale si ricava da Diodoro, e da Pausania, che ho aggiunto alla detta pagina]. Altronde Fidia non aveva allora lavorato ancora il suo Giove. Passa quindi a trattare a lungo di questo principe degli scultori; dimostra che nell’olimpiade lxxxiii. cominciò la sua Minerva, e finilla nell’olimpiade lxxxv. [secondo Eusebio Chron. l. 2. ad ann. mvlxx. pag. 132., e così avea scritto Winkelmann nella detta prima edizione tedesca pag. 333., e traduzione francese pag. 199. citando Dodwello, e lo Scoliaste d’Aristofane in Pag. vers. 604.; ma poi in questa seconda edizione, sopra alla pag. 192. §. 12. fissa l’anno i. dell’olimpiade lxxxvii., probabilmente dopo lo Scaligero, il quale nelle Animadversioni all’opera d’Eusebio, pag. 105. avverte, che dovrebbe esservi errore di due olimpiadi, della lxxxv. per la lxxxvii.; argomentandolo dall’anzidetto Scoliaste, che dice finita la Pallade sotto l’arconte d’Atene Pitodoro, il quale appunto cade nel detto anno i. dell’olimpiade lxxxvii., come può vedersi anche presso il P. Corsini Fasti att. Tom. iiI. pag. 227. Questi però alla pag. 218. col Palmerio crede che abbia errato lo Scoliaste nel nome dell’arconte; e che veramente Fidia abbia cominciata la detta statua nell’olimpiade lxxxiii., e l’abbia terminata nella lxxxv.]; sospetta che supposto sia quanto leggiamo interno alla sua fuga in Elide, e alle accuse dategli di replicato furto d’oro sì nella Minerva che nel Giove; prova che a quello lavorar non potè se non nell’olimpiade lxxxvi., o piuttosto nella feguente [come ha detto Winkelmann in questa seconda edizione, sopra alla pag. 192. e 194.], traendone principalmente argomento [come avea fatto il Padre Corsini loc. cit. pag. 219.} da una figura che ivi era simile al suo Pantarce, cioè alla statua d’un fanciullo da lui amato, in atto di legarsi con una benda la fronte, in segno della corona da lui riportata nell’olimpiade lxxxvi.; e congettura con molto ingegno che gli errori di cronologia intorno a Fidia siano nati dal non aver riflettuto che gli storici parlarono di lui e delle cose sue, non avendo riguardo ai tempi proprj, ma ad alcune grandi circostanze che loro servivano a fissar le epoche generali della storia. A questi abbagli riguardo a Fidia hanno anche dato luogo certi antichi scolj da più d’uno fatti ad Aristofane, i quali insieme uniti hanno presentato un senso diverso da quello che avessero originalmente, e divisi.
    Fissa Plinio un’altra epoca nell’olimpiade xcv. Ma non v’è nessun tratto storico relativo all’arte, che ciò determini, e nemmeno alcuno di quegli avvenimenti, che secondo Winkelmann faceano germogliare le arti. [Pare giustissimo quello assegnato da lui alla pag. 217. Potrebbe essere anche il secondo incendio del tempio di Diana Efesina, fissato all’anno iv. di questa olimpiade da Eusebio.] Succede bensì un fatto memorabile per servir d’epoca ad uno storico, cioè la morte di Socrate; ond’è verosimile che gli artisti, riferiti da Plinio a tal olimpiade, altro rapporto non v’abbiano che quello già da noi divisato. La terza [quarta] epoca è all’olimpiade cii., epoca convenevole alla storia generale della Grecia, poiché in essa allearonsi gli Ateniesi coi Lacedemoni, e in essa pur si diede la battaglia di Leutra sì gloriosa pe’ Tebani.
    Nella vita di Prassitele e d’Eufranore, posti da Plinio nell’olimpiade civ. nulla troviamo, per cui in questa piuttosto che in un’altra debbansi fissare; ma troviamo bensì a questo tempo un’epoca memorabile nella greca storia, cioè la battaglia di Mantinea, in cui perì Epaminonda, e che seguita fu poi da una pace generale. Winkelmann riferisce a questi tempi la liberazione d’Atene per opera di Trasibulo; ma questa avvenuta era nell’olimpiade xciv. [Questa è stata una svista di Winkelmann, che non si è ricordato a quel luogo, cioè alla pag. 222., di aver già fissata prima alla pag. 217. la liberazione d’Atene per mezzo di Trasibulo a questa olimpiade xciv., com’è veramente seguito.]
    Una delle epoche più rimarchevoli per l’arte presso Plinio è l’olimpiade cxiv., in cui viveano Lisippo ed Alessandro il Grande che morì nell’anno quarto di essa [anzi nell’anno primo, come ha detto Winkelmann alla pag. 257. Diodoro lib. 17. §. pen. pag. 253. Tom. iI. Veggasi Corsini Fasti att. Tom. IV. pag. 50. 51.]. Winkelmann vuole che abbia in ciò avuta molta influenza la pace generale; ma tal pace, che riguarda la Persia e l’India, qual rapporto aver potea colla Grecia? Qui non potendo Winkelmann più fondarsi sulla libertà, cerca d’attribuire i progressi dell’arte alle ricchezze e al lusso. Ma è ben più naturale il dire che lo storico, cui Plinio avea sotto gli occhi, abbia fissata un’epoca nell’olimpiade in cui morì Alessandro, e che ivi abbia fatta menzione degli artisti di que’ tempi, anziché immaginare che Plinio per fissare l’epoca, abbia calcolata l’influenza della pace e delle ricchezze sull’arte. Lo stesso dicasi dell’epoca fissata nell’olimpiade cxx., in cui dopo la battaglia presso l’Ipso, e la sconfitta d’Antigono e di Demetrio s’accrebbe la possanza de’ regni della Siria e dell’Egitto per le nuove conquiste. Qui soggiugne Plinio: cessavit deinde ars: le quali parole denno intendersi del silenzio della storia riguardo agli artisti in bronzo per un cerco tempo, cioè sino all’olimpiade clv., e non già, come spiegolle Winkelmann, che l’arte sia veramente mancata in tutto quel tempo. [A me pare chiaro, che Plinio vada inteso come crede Winkelmann. Egli dice, che l’arte mancò nell’olimpiade cxx., e che poi rifiorì (revixit) nella clv. In questa nomina otto soli artisti, dicendoli di gran lunga inferiori per merito ai nominati nelle epoche precedenti. Or questo non è un chiaro segno, che in quel frattempo erano mancati i buoni maestri, e l’arte avea languito? Oltracciò Plinio lib. 35. cap. 5. sect. 11. parlando della pittura a’ suoi tempi, dice che andava a perire, e si ferve di parola corrispondente alle suddette cessavit, e revixit, cioè, hactenus dictum sit de dignitate artis morientis; e qui non può intendersi nel senso del signor Heyne, cioè del silenzio degli storici; ma bensì che veramente ai di lui tempi la pittura fosse degenerata, e quasi perduta, come si è veduto qui avanti alla p. 72. 73., e 129. che avvenne realmente. ]
    L’olimpiade clv. fu certamente poco favorevole ai progressi dell’arte nella Grecia, ove l’Acaja e la Macedonia erano già provincie romane; ma in cita avvenne la morte di Eumene II. re di Pergamo, morte che interessava egualmente la politica che le scienze e le arti; e quindi fu questo tempo scelto dallo storico per far epoca. Osserva qui Heyne che Winkelmann pag. 267. volendo trovare l’originale delle due teste di basalte, nulla dice di verosimile, tanto più che moltissimi saranno stati i vincitori alessandrini, tra i quali di quattro soli ci sono a caso pervenuti i nomi. Nota altresì che l’olimpiade non prendea già il nome dal vincitore nella corsa de’ cocchi, come scrive il nostro Autore; ma bensì dal vincitore nello stadio, ossia nella corsa a piedi. [Si riveda quel che abbiamo detto noi alla detta pag. 267. e seg.]
    Plinio in un distinto capo parla delle epoche de’ pittori antichi, e sempre sul medesimo principio, poiché le trasse dai medesimi fonti. Fissa l’epoca prima nell’olimpiade xc., ma dalla storia abbiamo esser la pittura in Grecia molto più antica. Se gli autori, dai quali estraeva Plinio l’opera, non ne parlavano, egli è perchè proponeansi di riferire solamente i nomi de’ pittori rinomati, quali al certo non furono i più vecchi. Del resto erangli ben noti Paneno fratello di Fidia, e Fidia stesso, Polignoto e Micone; anzi scrive altrove che ne’ giuochi istmici e pitici eravi contesa di pittura, ove Timagora ebbe il premio. [ Veggasi Tom. I. p. 257. E perchè non dire, che appunto fu questi fondamenti Plinio lib. 35. cap. 8. sect. 34. vuole, che sia molto anteriore l’epoca della pittura, e critica gli scrittori greci, che volevano fissarne la prima alla detta olimpiade xc., quando era cosa indubitata presso tutti, che appunto Paneno fratello di Fidia nell’olimpiade lxxxiii. avea dipinto lo scudo, che imbracciava la statua di Minerva in Elide, opera di Colore; e che Fidia era stato pittore prima che scultore, cioè molto prima dell’olimpiade lxxxiv., in cui fissa la di lui celebrità nella scultura; e Bularco, di cui si è parlato da Winkelmann qui avanti pag. 166., erasi reso chiaro prima dell’olimpiade xviii., in cui morì Candaule re di Lidia, e circa i tempi di Romolo?]
    L’epoca prima de’ pittori, come dicemmo, vien fissata all’olimpiade xc., epoca ottima per la storia, poiché si stabilì allora nella Grecia la celebre tregua di 50. anni. [Si stabilì nell’olimpiade lxxxix., come ha detto Winkelmann alla pag. 193. princ.; e precisamente nell’anno iiI. Diodoro lib. 12. §. 74. P. 530] Scrive Plinio [ l. 35. c. 9. sect. 36. §. 2. ] che alcuni collocano a questi tempi Seusi [non ha mai detto tal cosa] posto da altri all’olimpiade lxxxix., e da lui alla xcv. Ma quelle difficoltà cronologiche nel sistema di Heyne facilmente si spiegano, ammettendo differenti scrittori, che in diverse epoche abbiano divisa la loro storia. Chi sa eziandio che qualche scrittore non abbia parlato di Seusi relativamente a qualche anno anteriore alla sua esistenza e alla sua fama, e che uno scrittore susseguente non abbia preso tal anno per quello della sua gloria? L’olimpiade xciv. in cui visse Apollodoro, fu altresì celebre pel fine della guerra peloponnesiaca sì dannofa agli Ateniesi. [Winkelmann pag. 2177. lo fissa all’anno i.; ma erra, e con lui il sig. Heyne, poiché finì nell’anno iv. dell’olimpiade xciii. Diodoro lib. 13. §. 107. pag. 620.]
    Per Seusi non solamente fissa Plinio l’olimpiade xcv., ma eziandio l’anno quarto di essa. Perchè ciò? Forse perchè avea Seusi fatta allora la prima sua opera? Ma Plinio stesso parla d’un Pan, che egli eia dianzi dipinto avea, e dato in dono ad Archelao re di Macedonia, morto nell’anno secondo [o nel primo, secondo Diodoro lib. 14. §. 37. pag. 671. ] della medesima olimpiade. Plinio non altro volle dire se non che allora Seusi viveva, e lo disse perchè avealo letto. Lo storico che avea sott’occhi fissò verosimilmente l’epoca a quell’anno, perchè in esso Agesipoli successe ad Agide nel governo di Sparta, e si preparò i mezzi alle gloriose imprese che fece nell’anno seguente. Da ciò argomenta Heyne che l’autore seguito da Plinio fosse uno a cui stessero principalmente a cuore le cose di Sparta, e conchiude che fosse quell’eforo stesso rammentato da Diodoro, che cominciata avea la sua storia dal ritorno degli Eraclidi.
    L’olimpiade cvii. è l’epoca de’ pittori Echione e Timomaco, e probabilmente lo storico ne fece menzione a questi tempi, perchè si edificò allora il Mausoleo, monumento grande per le arti, essendo morto Mausolo nell’anno quarto [ o nel secondo, come scrive Plinio lib. 36. cap. 5. sect. 4. §. 9. e cap. 6. sect. 7.] dell’olimpiade cvi.
    D’Apelle si fa menzione all’olimpiade cxii. in cui finì l’impero persiano, essendo passata la Persia sotto il comando d’Alessandro dopo la battaglia d’Arbela. Ecco per tanto trovata la ragione dell’epoca. È certo però che Apelle visse lungo tempo dopo Alessandro, poiché dipinse il re Antigono, vide Tolomeo alla corte d’Alessandria, e fu coevo di Protogene, il quale vivea nell’olimpiade cxix. [Veggasi qui avanti pag. 249.]
    Per le epoche degli scultori in marmo Plinio ritorna indietro, e osserva che Dipeno e Scillide viveano a un di presso all’olimpiade l., tempo, in cui forse il suo storico metteva le conquiste di Ciro in Persia, sebbene queste veramente appartengano all’olimpiade lv. Nella lx., in cui Ciro all’impero medo e persiano unì il babilonico, colloca Bupalo ed Antermo.
    Prosiegue Plinio a fissare in generale i cominciamenti della scultura, pe’ quali rimonta fino al principio delle olimpiadi, e fissa quelli della pittura e della statuaria all’olimpiade lxxxiii. ai tempi di Fidia [ lib. 36. cap. 5. sect. 4. §. 3., dopo che avea scritto tutto ciò che si è detto qui avanti circa i principi della pittura; come si doveva rilevare per effer coerenti]. Molti hanno in ciò ripreso Plinio, avendo quelle tre arti un’antichità a un di presso eguale; ma egli facilmente vien giustificato se gli storici, da’ quali traeva le sue notizie, non fecero mai menzione di pittori e di statuarj prima di Fidia. [Secondo ciò che abbiamo riferito qui avanti Plinio fa vedere, che quegli scrittori da lui seguitati in quella parte avevano mancato, benché forse facessero a lungo la storia dell’arte, e degli artisti; ed egli li convince di errore colle notizie, che debbe aver tratte da altri scrittori, che forse ne aveano parlato soltanto di pasaggio. ] Parla quindi di Prassitele e di Scopa, di cui difficilmente si fissa l’epoca a cagione delle contraddizioni degli scrittori.
    Non approva Heyne la correzione fatta da Winkelmann qui avanti pag. 198. di Scapo in vece di Scopa, e osserva che sebbene non si leggesse in Plinio, che egli avea lavorate le colonne del tempio di Diana Efesina, la difficoltà sussisterebbe egualmente, perchè lo storico in un luogo lo fa coevo a Fidia, [cioè nel lib. 34. cap. 8. sect. 19. princ. lo mette nell’olimpiade lxxxvii., dopo aver collocato Fidia nell’olimpiade lxxxiv. secondo l’edizione d’Arduino, che noi adopriamo, o nella lxxxiii. secondo le anteriori edizioni, che ha seguito il signor Heyne] e in un altro lo annovera fra coloro che hanno lavorato al Mausoleo per ordine d’Artemisia nell’olimpiade cvii. Ma se supponghiamo che Plinio abbia compilate le sue notizie da diversi scrittori, che non siano d’accordo fra di loro, cessa ogni difficoltà. Tutto però ben esaminando, sembra che Scopa abbia vissuto più tardi che non vuole Winkelmann; ed è più probabile che, se v’è errore, sia ne’ luoghi ove se ne rapporta semplicemente il nome, anzichè in quelli ne’ quali se nè riferiscono le opere. Forsè in vece di Scopas ivi legger si deve presso Plinio qualche nome analogo, come leggesi in molte edizioni Phrædinon & Myron in luogo di Phrægmon & Micon.
    Se per tanto Scopa è posteriore a Prassitele, vanno a terra tutt’i bei ragionamenti di Winkelmann, che dalla Niobe, suo lavoro, determinar vuole quale fosse l’antico carattere dell’arte. [Si vedano le nostre riflessioni alla pag. 197. 198.
  133. Strab. lib. 6. pag. 417. C.
  134. Liv. lib. 25. cap. 19. num. 24.
  135. lib. 40. cap. 24. num. 43.
  136. Livio forse parla delle vendite pubbliche all’incanto, che si facevano anche allora, come al presente, per mezzo d’un banditore: Cumanis eo anno petentibus permissum, ut publice latine loquerentur, & præconibus latine vendendi jus esset.