Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. I)/Prefazione
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Traduzione dal tedesco di Carlo Fea (1783)
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C A R L O F E A
a i l e g g i t o r i.
Allorchè io proposi di fare in Roma una nuova edizione della Storia delle Arti del Disegno di Giovanni Winkelmann, non era mia intenzione se non di ripetere la traduzione, che ne era stata fatta in Milano l’anno 1779. in due volumi in 4°. Le tante diligenze, che quegli Editori nella loro prefazione quì appresso riferita dicevano di aver fatte, e l’impegno, che mostravano di averne preso sì per l’esattezza, e fedeltà della versione, come per li rincontri delle citazioni di autori, e per le diverse annotazioni, onde l’aveano corredata, mi facevano credere, che io potessi fidarmi a farne in quel medesimo tenore la ristampa. Ma poi riflettendo meglio su questo progetto, spinto da quel genio, che sempre ho avuto di volermi accertare, potendo, per me medesimo della verità delle promesse fatte dagli autori, e dagli editori, molti de’ quali avevo colto in fallo per lo passato1; cominciai ad esaminare l’opera con maggior attenzione; e vidi ben presto, che ciò non era in vano. Conobbi alla prima (per non parlare dei tanti gravi errori di stampa, che vi abbondano), che molte citazioni vi erano sbagliate, e che non pochi sbagli si trovavano parimente nel testo dell’Autore. Chiesi quindi il parere di varie persone versate più di me nell’antiquaria; e concordemente mi sentii confermare, che v’erano dei difetti, i quali meritavano correzione. Molto più ebbi a diffidare quando il dotto cavaliere D. Giuseppe Niccola de Azara, Mecenate tanto benemerito in quella occasione, come dissi nella lettera dedicatoria, mi favorì gentilmente della nuova traduzione, che ne era stata fatta nella lingua francese dal signor Huber in Lipsia l’anno 1781. in tre volumi in 4°.2. Leggendo questa, e conferendola colla italiana, restai fuor di modo sorpreso nel vedervi tanta diversità in moltissime cose. Oltre gli errori innumerabili di lingua, e di stampa, vi osservai pure tante citazioni messe fuori di luogo, e posposte; e molte ne trovai nella italiana o diverse nei numeri, o troncate, o riportate senza precisione. Pensai finalmente di ricorrere all’originale tedesco, nel quale di più vidi, che tanto l’una, che l’altra versione erano andate molte volte lontane dalla mente dell’Autore, traducendo anche tutto all’opposto: osservai che avevano adoperato termini sovente generici, ed insignificanti in vece dei termini proprj dell’arte; che con uno stile per lo più rettorico ed ampolloso si erano diffuse in parole fuor di proposito3; e che a ben poche si riducevano le tante vantate correzioni, e miglioramenti degli Editori. Vidi però insieme, che gli errori dell’Autore stesso vi erano frequentissimi.
In tale confusione, ed inciampo, non potendomi indurre a pubblicare di nuovo un’opera, che non fosse per giovare alla società, come dovrebbe, e a ripeterne una traduzione, che ne moltiplicasse i difetti; risolvei di correggere questa, se non quanto a tutto lo stile, e quanto a certa riordinazione di materia da quegli Editori fattavi qualche volta senza necessità; almeno quanto alla sostanza con un esatto rincontro sull’originale; e di migliorare a un tempo almeno in parte questo medesimo: parendomi, che un’opera fitta dal Presidente delle Antichità in questa metropoli madre, e maestra delle belle arti, e che tanto conferisce alla di lei gloria coll’illustrarne i monumenti, avesse diritto di comparirvi coi di lei torchi nell’aspetto, che fosse, per quanto era possibile, il più degno, e interessante.
A tale effetto pertanto ho profittato della bontà, e cortesia non mai abbastanza lodata del signor consigliere Reiffenstein prussiano anch’egli di nazione come Winkelmann, di lui grande amico fin che visse, e dimorante in Roma da oltre vent’anni, il quale alla perizia della lingua nativa, in cui è scritta l’opera, della francese, dell’italiana, e di altre, unisce la qualità opportuna di essere molto versato, e intelligente nelle arti del disegno, e nella erudizione antiquaria, che le riguarda. Contemporaneamente a questo rincontro ho fatto l’altro colla detta versione francese, e con quella, che i signori Sellius, e Robinet assai più correttamente fecero, nella stessa lingua, della prima edizione; e sopra tutto ho diligentemente osservata la Descrizione del Museo di Stosch, il Trattato preliminare ai Monumenti antichi inediti, e questi non meno, principalmente in quei luoghi, ne’ quali Winkelmann tratta gli stessi argomenti; adottandone qualche volta anche le parole, e le frasi, ove nasceva equivoco nel tedesco, o meglio si spiega, che la traduzione milanese: col quale metodo non solo ho emendati cotanti errori di quella traduzione; ma ho corretto, e ridotto al suo giusto senso l’originale in quella parte, ove poteva essere sbaglio dell’amanuense, o della stampa di Vienna, o qualche svista dell’Autore, che nelle dette altre opere, o nella prima edizione non si trova.
All’esattezza della versione ho voluto in secondo luogo, che corrispondesse quella egualmente necessaria delle citazioni, che ho vedute quasi tutte in fonte, eccettuatene alcune di poca importanza, o per non aver avuto quei libri, o che, per quante diligenze io abbia fatte, non m’è riuscito di rinvenire: supplendo però a luogo a luogo di molte altre, parecchie delle quali ho tratte dai citati Monumenti dopo averle giustificate; e riducendo insieme le antiche edizioni, che per lo più cita Winkelmann, alle edizioni più moderne, o più accreditate, e di maggior uso4. Così ho potuto riportare eziandio più fedelmente, e correttamente tanti passi di antichi, e moderni scrittori, che in parte nella edizione tedesca, e molto più nelle traduzioni, erano scorretti, e mancanti, in modo speciale i passi dei greci, de’ quali, ove ho creduto necessario, ho dato a piè di pagina la versione latina presa dai migliori interpreti; ho potuto difenderli da qualche censura ingiusta di Winkelmann, o di altri; sostenerne la vera lezione, o darne quella spiegazione, che ho creduta la più probabile, o la più giusta. Chi potrebbe esprimere la fatica, e il tedio, che ho dovuto soffrire per questo punto! Basti il riflettere, che non di rado Winkelmann cita un autore per un altro, un’opera per un’altra, un libro, o un capo diverso, oppure la sola pagina di tante opere voluminose, e quella alle volte secondo una edizione, alle volte secondo un’altra; per la quale, o essendo sbagliata, o volendola ridurre alle moderne diverse sezioni, e ristampe, ho dovuto più volte leggere, e rileggere, e far leggere da altri per cautela, interi i libri, e i volumi in mancanza di buoni indici, o di quelle antiche edizioni 5.
In terzo luogo vi ho aggiunte non poche mie annotazioni, colle quali ho corretti moltissimi equivoci, e sbagli dell’Autore sì per riguardo all’erudizione, che alla qualità, e forma dei monumenti citati, o al luogo, ove esistono; e vi ho sparse altre erudizioni relative al soggetto, che avevo in pronto, e quelle notizie di altri monumenti, ai quali egli non avea badato, o che si sono scoperti dopo la di lui morte, ed erano a mia notizia. Capisco di essermi qualche volta un poco dilungato in questioni, che le arti non interessano immediatamente; ma pure ho creduto di doverlo fare, per illustrare alcune parti dell’antica storia relativa alle arti, che vedevo più trascurate da Winkelmann, e dagli altri Antiquarj, come è quella principalmente, che riguarda gli Egiziani: per trattare più a fondo qualche punto, per cui se ne presentava opportunamente l’occasione: per prevenire delle difficoltà, che mi venivano opposte a voce contro l’Autore; e perchè l’esattezza mi obbligava ad esaminare, e spesso a confutare contro mia voglia le tante sue digressioni erudite, ed opinioni, che false mi parevano, e stravaganti. Volendo egli ridurre a sistema le cose, ha dato delle regole generali, e assolute, che nol sono state mai, e soffrono eccezioni infinite: quindi confidando nelle sue cognizioni ha parlato bene spesso con un tuono sì franco, e magistrale da imporre a chi non è versato nella materia: ha stravolto, forse per inavvertenza, il senso di tanti scrittori, che allega, e sovente gli ha fatto dire il contrario, o ne ha ritratte falsissime conseguenze. Colla buona volontà di rendere utili alla repubblica letteraria le sue riflessioni, e letture immense di antichi autori, ha proposte delle emendazioni di loro passi, e datene spiegazioni, che talvolta non reggono a più attenta disamina, o non potevano buonamente enunciare come nuove. Ho procurato peraltro di non distrarre il leggitore per quelli piccoli errori di parole, che potevo supporre di stampa, o dell’amanuense, o piccole sviste all’Autore perdonabili, come ho detto pocanzi, e li ho corretti nel testo6. Nel rimanente non mi sono fatto lecito di alterare cosa alcuna; quantunque con leggere mutazioni avessi potuto risparmiare molte note, e rendere la lettura meno intrigata, e più corrente.
Winkelmann si era ben accorto da sè stesso, che nella prima edizione di quest’opera gli erano sfuggiti molti abbagli, come gli erano sfuggiti anche in altre opere; ed egli lo confessava ingenuamente agli amici. Perciò ebbe tutta la premura di correggerla, e migliorarla con quelle nuove osservazioni, che potè fare per lo spazio di cinque, e più anni7; al termine de quali pareagli di averla condotta ad un punto, che non solo fosse la più perfetta di tutte le sue opere; ma che, se qualche cosa poteva essere riguardata come perfetta, questa esser dovesse la nuova edizione della Storia dell’Arte8, che era il centro di tutti i suoi pensieri, ed il suo idolo, come scorgesi dal trasporto, con cui sì frequentemente ne parla nelle sue lettere: e soleva dire, che se errori vi fossero trascorsi, non sarebbero stati che impercettibili. Eppure! Quanto è vero, che decipimur specie recti9! Io ho dovuto a mio dispiacere toccar con mano, ch’egli si lusingava senza fondamento. Nel rincontrare la detta prima edizione ho veduto, che pochissimi cangiamenti vi ha fatti, e pochi errori vi ha corretti; e che anzi, forse per amore di brevità, o di nuove cose ne ha tolto qualche piccolo tratto, che era degnissimo di restarvi come tanti altri. Si è diffuso molto nelle aggiunte, inserendovi de’ bei lumi, e non pochi squarci presi dalle spiegazioni fatte ai Monumenti antichi inediti; ma vi ha seminati in proporzione anche gli errori. Convien dire ch’egli si fosse fidato troppo della sua memoria, e di quelle selve indigeste di erudizione, che avea compilate in sua gioventù nella biblioteca del conte di Bunau a Nothenitz; e che in appresso non avesse avuto il tempo, o la pazienza di rivedere gli autori in fonte, o i monumenti dell’arte, che avea descritti; e di pesare, e digerir meglio la farraggine sterminata d’idee, che sempre più andava acquistando col tempo. Anche un altro motivo ha potuto contribuire in gran parte a simili imperfezioni; ed è, che Winkelmann scrisse la Storia dell’Arte in lingua tedesca per li suoi nazionali, non già nella lingua italiana, come vi descrisse i Monumenti. Questi, benchè non sian privi di difetti, e difetti d’importanza, sono certamente più esatti in tante cose di quello sia la Storia; e l’Autore ne adduceva per ragione, che il teatro, su di cui egli avea voluto figurare con quell’opera, era molto più pericoloso10. Colla prima gli bastava di eccitare, ed estendere in qualche modo nel cuore della sua nazione un certo gusto del bello, e qualche principio almeno di quell’entusiasmo per le belle arti, di cui egli era invasato; per li secondi doveva essere persuaso, che in Roma ne’ tempi presenti ancora, come negli antichi, si avvera il detto sentenzioso di Marziale al suo libro11:
Nescis, heu nescis, dominæ fastidia Romæ:
Crede mihi nimium martia turba sapit.
Majores nusquam ronchi, iuvenesque, senesque,
Et pueri nasum rhinocerotis habent.
Malgrado però tutti quelli difetti, che possono in qualche parte condonarli all’umanità, ad una fervida immaginazione, ad una mente pregna d’innumerabili idee, e quasi direi ad una mente creatrice, la quale da una massa informe di tante materie spettanti all’antiquaria, disperse in tanti volumi, intrigate in tante questioni, e riguardo a tanti oggetti sepolte ancora in dense tenebre, tentava la prima di abbozzarne un sistema, onde appianare la via a chi ne fa studio, e professione; malgrado dissi tali difetti, la Storia delle Arti del Disegno dovrà considerarsi come un opera grande, bellissima, e vastissima nel suo piano, e ammirabile insieme per ristringere tante cose in poco; sublime per le belle speculazioni; profondissima per le tante ricerche, e nuove scoperte su i monumenti, e per la rara moltiplice erudizione greca, e latina, di cui è ripiena: come un’opera, in somma, necessaria, e che fa onore al secolo sè dicente illuminato. Può dirsi senza esagerazione, che per essa, sovra tutte le altre opere, hanno le belle arti acquistata nuova vita. Si è veduto non solo adempito il desiderio dell’Autore per la sua nazione; ma si è fomentato nella culta Europa tutta quel nobile entusiasmo ad ammirare i preziosi avanzi dell’antica magnificenza, e buon gusto, che la sorte ebbero di venir sottratti alle ingiurie del tempo; e l’erudizione antiquaria è comparsa in nuovo aspetto a decifrarne i soggetti. Forse qualche altra mente elevata potrà ricavarne coll’andare degli anni maggior vantaggio, e di essa usare come di una orditura, su cui tessere quella tela, che si vorrebbe più perfetta: o come a scelto prezioso marmo già preparato, saprà qualche mano maestra darle nuovo lustro, nuovo ordine, nuovo spirito, e sublimarla in un Ercole, o in un Apollo. Così vogliano frattanto approfittarsene anche gli artisti, e colla scorta di essa non più adoprar lo scarpello per pratica, e per meccanismo; ma per principj ragionati, e per quelle regole, che gli antichi resero sì famosi!
Ad oggetto di rendere questa edizione vieppiù sempre compita, e giovevole, ho stimato bene in seguito di farla distribuita in tre volumi. Nelli due primi verrà compresa la Storia divisa in dodeci libri, sei per volume, come nella milanese12. Nel terzo vi compariranno primieramente diverse lettere dell’Autore pubblicate l’anno 1779. nel Tomo VI. dell’Antologia Romana, riguardanti in particolar modo le preziose antichità, che si conservano nel reale museo di Napoli, trovate già negli scavi d’Ercolano, di Pompeja, e di Stabbia. In appresso verranno diversi indici esatti, degli autori lodati, spiegati, criticati, o difesi: di tutti i monumenti, che si spiegano, o si accennano nell’opera, distribuiti per ordine dei luoghi, ove allora si troveranno, per quanto farà a nostra notizia, giacchè nel decorso dell’edizione alcuni vanno passando in altre mani; acciò possano vedersi come in un colpo d’occhio, e rincontrarsi, volendo, da chi ne avesse il piacere: delle Tavole in rame, che adornano l’opera o riportate nella edizione milanese, o aggiunte in questa, e la loro succinta spiegazione: delle materie, che sarà straordinariamente copioso, e diretto in maniera da ridurre in un certo metodo le tante, e sì varie cose spettanti ai rispettivi soggetti, che sparsamente leggonsi nei luoghi diversi; e in ultimo, a differenza di tutte le altre antecedenti edizioni, che si sono credute forse impeccabili, una nota delle sviste mie corrette, e degli errori, che saranno occorsi nella stampa13, o che si saranno avvertiti successivamente nell’opera. Per dare a questa la maggior perfezione con tutti gli esami, che avrei voluto fare, non sarebbero bastati dieci anni di tempo. Io poi conosco di essere uomo, e di poter mancare in fatto come un altro: e sanno i letterati la dura condizione della stampa, che per una certa sollecitudine fa sbagliar non volendo, e non ostanti le possibili diligenze di correzioni, che si facciano fare da più persone, e facciano gli editori medesimi scrupolosamente, come ho fatt’io.
Scrivevo in Roma alli 16. di Settembre 1783.
Note
- ↑ Vindiciae & observ. juris, vol. I.
- ↑ A questa sua edizione ha premessa Huber una lunga storia della vita di Winkelmann, o piuttosto una ferie di memorie per comporla; ma è così mal digerita, e pesante, che molto stanca per leggerla, e poco istruisce. Vedi appresso alla pag. xj. not. a.
- ↑ Deve però notarsi, che lo stile dell’Autore è per lo più cattivo, e secco, attestandolo egli stesso nella lettera iiI. al signor Heyne in data dei 13. luglio 1765. nella raccolta di esse par. I, pag. 157.; e aggiungendo, che perciò gli rincresceva di avere scritto in tedesco. Io non posso qui far a meno di manifestare a mio nome, a nome degli amici sensati di Winkelmann, e di tutti quelli, che hanno qualche stima per la memoria gloriosa di questo grand’uomo, il comune dispiacere nel veder pubblicata la detta raccolta di lettere senza alcun discernimento, e con tutti quei giudizj, ed espressioni, che un amico si crede alle volte permesso di fare in confidenza ad un altro amico forse per sollevarsi un poco dal tedio di qualche seriosa occupazione, e per celiare, non misurando le parole colla squadra, e non avendo intenzione, che col tempo vengano messe fuori.
- ↑ La stessa premura ho avuta per le citazioni degli Editori Milanesi
- ↑ Credo che il signor Falconet non avrà fatte molte diligenze per trovare il luogo, in cui il signor Addisson, autore dello Spettatore Inglese, parla come dice Winkelmann nella sua prefazione qui appresso pag. xxv.; quantunque egli dica nelle sue Observ. sur la statue de M. Aur. Œuvr. T. I. not. nnn. p. 179. di aver vedute più edizioni di quello scrittore. Forse ne avrà precipitata la lettura, come ha precipitati tanti giudizj contro lo stesso Winkelmann, e tanti altri moderni, e antichi scrittori.
- ↑ Ne darò qui alcuni esempi. In questo primo Tomo alla pag. 220. §. 20. lin. 3. ho lasciato cinque in vece di quattro, come già aveano emendato i Milanesi. Alla pag. 334. § 11. in vece di Marco Aurelio ho corretto M. Acilio Aureolo, come di lui è veramente la moneta, di cui parla Tristan ivi citato, e come dice Winkelmann nel Trattato prelim. ai Monum. ant. cap. IV. pag. XLVII. Alla pag. 357. § 3. ho corretto Circe in luogo di Livia, come dice Petronio, e Winkelmann nel Trattato prelimin. loc. cit. pag. LIX. Così p. 151. ho emendato de Wilde per Gronovio; pag. 369. Aristeneto per Ateneo; pag. 384., e pag. 435. Valerio Flacco per Apollonio; e così altri innumerabili luoghi.
- ↑ Lettera X. al signor Heyne dei 13. gennajo 1768. par. I. pag. 181.: Je vais en donner une seconde, qui me fait croire que je n’ai satisfait à rien dans la prémiere.
- ↑ Lettera XXIV. al sig. barone di Riedesel dei 14. luglio l767. par. I. p. 260., e altra al sig. Usteri dei 19. agosto 1767. par. iI. p.125.
- ↑ Orazio De arte poet. vers. 25.
- ↑ Lettera XXVI. al signor Franken delli 6. febraro 1768. par. I. p. 139.: Mon grand ouvrage italien m’a instruit de ces défauts; parce que le théatre où je voulois me montrer étoit plus dangereux.
- ↑ Epigr. lib. i. num. 4.
- ↑ Ho posto a tutti i capoversi il §. col numero arabico per poterli più comodamente richiamare nelle note.
- ↑ Accenneremo qui le più interessanti, e che non possono avvertirsi da chi legge. Alla p. xxiij. n. a. lin. 1. si legga: c’è quasi tutta, ec.
Pag. 78. in nota, col. 2. lin. 42. si cassi Arles; perocchè ho letto in seguito nella Correspondence d’histoire naturelle, ou lettres sur les trois regnes de la nature, ec. Tom. iiI. let. LXVI. à Paris 1775., ove si dà una piccola storia, e descrizione di quell’obelisco, che esso non abbia geroglifici.
Pag. 175. nota a. col. 1. lin. pen. si legga: Ali aveano i cavalli del cocchio di Pelope intagliati sull’arca di Cipselo, come scrive Pausania lib. 5. cap. 17. pag. 420., e quelli delle bighe delle Nereidi in un quadro descritto dallo stesso Pausania lib. 5. cap. 19. pag. 426. lin. 22.
Pag. 210. nota b. col. 2. lin. 13. leggi: moneta di essa senza la stella, seppure non è difetto di conservazione.
Pag.308. col. 1. lin. 3. leggi: finisce in una gran coda.
Pag. 356. nota a. ove dico degli angoli retti: Dopo avere scritta quella nota ho riflettuto meglio, che Winkelmann in questo luogo, e nel Trattato prel. capo IV. par. iI. pag. LIII. princ. dicendo angoli acuti non intendeva parlare di angolo acuto geometricamente, come pare a prima vista; ma che voleva dire soltanto, che il naso in vece di tondeggiare, come fa naturalmente, era piano nella superficie, e quindi fatto nei due lati a spigolo; senza parlare della forma geometrica, che così viene a prendere, la quale non può essere di angolo acuto, ma di retto al più.
Pag. 368. not. b. Ho osservato in appresso, che Winkelmann ha letto scripturam nell’edizione di Burmanno.
Pag. 390. not. c. lin. 2. si legga: riportato dal Bartoli Admir. Antiq. Rom. Tab. 34.
Ovunque dico monsignor Foggini, si legga canonico Foggini: e marchese Guasco, conte Guasco.
Finalmente avverto, che non si troverà in questo Tomo la figura promessa alla p. 359. n. i., spacciata dagli Editori Milanesi per una Iole. Ho capito in seguito che essa rappresenta una Baccante; e poi sono stato informato da varie persone, dalle quali è stata veduta, che la testa sia di una statua colla pelle di tigre, e di altra statua il corpo con pelle della stessa fiera, in diverse altre parti non troppo ben restaurato. Sicchè ho stimato bene di ometterne la figura, tanto più che quella data dagli Editori suddetti è mal disegnata.