Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. I)/Prefazione degli Editori Viennesi

Prefazione degli Editori Viennesi

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Avviso degli Editori Milanesi Elogio di Winkelmann

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PREFAZIONE

DEGLI EDITORI VIENNESI1.


Dovendo noi quì dare una preventiva idea di questa Storia, ci studieremo di non allontanarci dalla maniera e dai principj del nostro celebre Autore, adoperando, per quanto potremo, le sue stesse parole; e perciò in questa Prefazione una parte v’inseriremo di quella ch’egli premise alla prima edizione del suo Libro, quantunque dalla nuova edizione, che meditava, tolta la volesse interamente2. È questo il solo caso in cui ci siamo creduti autorizzati ad allontanarci dalla mente dell’Autore da lui medesimo esposta in iscritto prima di morire3.

La seguente Storia dell’arte non è un semplice racconto cronologico delle sue rivoluzioni; ma l’Autore qui prende la voce storia in quell’ampio senso che ha presso i Greci, e intende di dare un sistema delle arti del disegno; il [p. xxiv modifica]che egli ha principalmente eseguito nella prima parte. Nella seconda poi descrive la Storia dell’arte presa nel più stretto senso, cioè dando il ragguaglio della diversa fortuna che questa ebbe presso i Greci e presso i Romani. In tutta l’Opera ha egli sempre avuta di mira l’essenza dell’arte, anzichè la storia particolare degli artisti, che in molti altri scrittori può leggersi. Vi sono però accuratamente indicati quegli antichi monumenti che servono come di fondamento alla Storia.

Deve questa esporre l’origine dell’arte, i progressi, le rivoluzioni e la decadenza, e mostrarne gli stili diversi de’ varj popoli e tempi, e de’ più ragguardevoli artisti, ragionando, quanto è possibile, su i monumenti dell’arte che ci rimangono. Con tali viste Winkelmann ha scritta la sua Storia.

„Sono già state pubblicate altre opere, dic’egli, col titolo di Storia dell’arte, le quali però non hanno di comune con questa altro che il nome. Quegli Autori, non conoscendo abbastanza le arti del disegno, scriver solo poterono ciò che aveano letto, o che avean’inteso dire: quindi è che non parlano punto dell’essenza dell’arte, poichè o trattano per lo più dell’antiquaria, e non ci danno che erudizione; o se trattano veramente dell’arte, ne parlano in termini generali, o su falsi principj ne ragionano. Tali sono la Storia dell’arte di Monnier, il Trattato di Turnbull sulla pittura antica, e la Storia dell’antica pittura di Durand, la quale altro non è che la traduzione e ’l commento degli ultimi libri di Plinio. Crederò a Cicerone4 che Arato senz’essere astronomo abbia potuto scrivere un bel poema d’astronomia, ma egli con tutta la sua eloquenza non giugnerà mai [p. xxv modifica]a persuadermi che un uomo, senz’aver cognizione dell’arte, possa di questa scriverne degnamente.

Nelle magnifiche e dispendiose opere di coloro che hanno pubblicate e descritte le antiche statue non isperisi mai di ritrovare delle notizie essenziali sull’arte. Dovendosi nella descrizione d’una statua indicare le fonti della bellezza che vi si scorge, e le particolarità dello stile in cui è stata disegnata e scolpita, è necessario di tutte esaminare le parti, prima di portar giudizio sull’opera intera. Ma quale scrittore ha ciò fatto sinora? chi ha esaminate le statue con occhio d’illuminato artista? Quel che sull’arte è stato scritto a nostri tempi è da mettersi del paro colle statue descritte da Callistrato5, meschino sofista, che avrebbe potuto descriverne dieci volte tante senz’averne mai veduta nessuna. Al leggere siffatte descrizioni si ristringono le nostre idee, e par che s’impiccolisca quel che v’ha di più grande.

Basta a tali scrittori il panneggiamento per decidere se un lavoro greco sia o romano; e sol che veggano un manto attaccato sulla spalla sinistra e da essa cadente, giudican tosto esser quella opera di greco scarpello, anzi nella Grecia stessa eseguita6. Alcuni si sono perfino avvisati di riconoscere la patria di colui che ha gittata la statua equestre di M. Aurelio dal ciuffo del cavallo, poichè, avendo questo ai loro occhi qualche somiglianza colla figura d’una civetta, pretendono che ateniese ne fosse il fonditore7. Perchè una buona figura da loro tengasi per greco lavoro, [p. xxvi modifica]basta che non abbia una toga da senatore; quasi che non avessimo delle statue senatorie di rinomati artisti della Grecia. Sovente si giudica dal nome; così v’è nella villa Borghese un gruppo, che dicesi Coriolano con sua madre, e su questa erronea denominazione dichiarasi opera dei tempi della repubblica8 , venendo perciò riputata men pregevole di quello che sia diffatti. E poichè ad una statua in marmo della villa medesima è stato dato il nome di Egizia, vi si vuol ritrovare lo stile egiziano nella testa9 di bronzo, che n’è ben lontana; ed è altronde, come le mani e i piedi dello stesso metallo, opera del Bernini. Questo si chiama formar l’architettura sulla fabbrica. Così mal fondata è la denominazione del preteso Papirio con sua madre nella villa Lodovisj10, ove du Bos trova sul viso del giovanetto un arguto riso, di cui non v’è nemmeno l’idea11.

Nell’encomiare l’eccellenza d’una statua non basta usar di quella franchezza con cui Bernini12 giudicò esser Pasquino una delle più belle statue di Roma13; ma bisogna recar de’ fondamenti delle proprie asserzioni. Altrimenti potrà nello stesso modo spacciarsi come un prodigio dell’antica architettura la Meta sudante, che sta avanti al Colosseo. [p. xxvii modifica]

Alcuni hanno, preteso d’indovinare da una sola lettera dell’alfabeto i nomi degli scultori, ed hanno presi degli abbagli madornali14. Un di costoro, che ha passati sotto silenzio i nomi degli artisti di molte statue, e particolarmente del preteso Papirio e sua madre, o piuttosto di Oreste e di Elettra, siccome anche del preteso Germanico di Versaglies, ci dà poi per una statua antica un Marte della villa Medici lavorato da Giovanni di Bologna15. Così da una lucerta, che s’arrampica su un tronco, s’è voluto conghietturare che sia opera di quel Sauro, il quale unitamente a certo Batraco lavorò al portico di Metello16, laddove è lavoro moderno, come lo è evidentemente quel vaso su cui Spon scrisse un Trattato17.

Le descrizioni degli antichi monumenti che sono in Roma e nelle sue ville ci danno ben pochi lumi sull’essenza dell’arte, e più diletto ci arrecano che istruzione. Certo autore in vece di descriverci la statua del preteso Narciso nel palazzo Barberini18, ce ne racconta la favola; e lo scrittore d’un Trattato sulle tre statue del Campidoglio19, cioè la Roma e i due re traci prigionieri, ci dà fuor di ogni proposito la storia della Numidia20; onde potrebbe qui applicarsi il greco proverbio: Leutrone porta una cosa, e ’l suo asino un’altra.

[p. xxviii modifica]Richardson descrive le ville e i palazzi di Roma, come uno che abbiali veduti in sogno. Diffatti sì breve è stato il suo soggiorno in quella capitale, che molti non gli ha punto veduti, e gli altri non ha potuto vederli che di passaggio. Fra gli abbagli presi non è stato certamente leggiero quello di spacciar per antica una pittura a fresco fatta da Guido21, eppure il suo libro, malgrado i molti difetti, tiensi per uno de’ migliori nel suo genere.

I viaggi di Keysler, in ciò che risguarda le opere dell’arte, sì di Roma, che delle altre città d’Italia, non meritano nessuna attenzione, avendo egli copiato il tutto dagli autori i meno accreditati, e principalmente dal Pinaroli.

Manilli che ha scritto con molta diligenza il ragguaglio degli antichi lavori della villa Borghese, pur ha omesso di parlare di tre opere delle più ragguardevoli, una delle quali rappresenta Pentesilea regina delle Amazzoni, che va a Troja ad offerire soccorso a Priamo; l'altra, Ebe che, essendo privata dell’uffizio dato da Giove a Ganimede di versar l’ambrosia ne’ celesti conviti, implora in ginocchio la clemenza delle dee; la terza è una bell’ara, su cui v’è rappresentato Giove a cavallo d’un Centauro. Stando questa in una cantina del palazzo non era stata finora osservata22. [p. xxix modifica]Montfaucon, lontano dai tesori dell’arte antica, ha compilati i suoi volumi da varj Scrittori, ed ha giudicato sulle stampe e su i disegni, perlochè ha necessariamente presi de’ grandi abbagli23. Sì egli24 che Maffei25 reputano opera di Policleto un gruppo del Palazzo Pitti a Firenze, lavoro assai mediocre e rassettato più della metà, rappresentante Ercole ed Anteo. Così dà per un antico la figura del Sonno in marmo nero nella villa Borghese26, che è opera dell’Algardi; e avendo veduto sulla medesima stampa pubblicato insieme a quella figura uno de’ gran vasi scolpiti da Silvio da Velletri nello stesso marmo, lo ha creduto posto di fatti sulla base medesima per indicare il liquore soporifero. Altronde quante rimarchevoli cose non ha egli omesse! Dice di non aver mai veduto in marmo nessun Ercole colla cornucopia27; ma uno ve n’è in figura d’Erme di grandezza naturale nella villa Ludovisj, ove la cornucopia è certamente d’antico lavoro; e collo stesso simbolo pur vedesi quest’eroe su una guasta urna28, fra i rottami d’antichità di casa Barberini che ultimamente furono venduti.

V'ha degli abbagli in materia d’Antiquaria così approvati dal comune consenso e dal tempo, che sembrano [p. xxx modifica]essere stati renduti superiori ad ogni contraddizione. Vedesi nel palazzo Giustiniani un marmo rotondo fu cui è rappresentato un baccanale in basso-rilievo. A questo sasso per varie aggiunte fattevi è stata data la forma d’un vaso; e tale è sempre stato creduto dacché Spon lo pubblicò sotto quello nome29; e come tale venne inciso e stampato in più libri, essendosi pur dalla sua forma preso argomento per giudicare d’altri simili monumenti.

Una grandissima parte degli errori in materia d’Antiquaria nasce dal non ben osservare i moderni rassettamenti, e dal non saperli ben distinguere da ciò che è veramente antico. Fabretti ha voluto dimostrare con un basso-rilievo del palazzo Mattei, rappresentante una caccia di Gallieno30, che i cavalli ferravansi anticamente come oggidì31; e non ha fatta attenzione che la gamba del cavallo, sulla quale ei fonda la sua opinione, è stata rifatta nel ristaurare quel lavoro32. Montfaucon33 s’immaginò che il rotolo, o piuttosto il bastone, recente aggiunta fatta al preteso Castore o Polluce della villa Borghese, sia il codice delle leggi pel giuoco della corsa a cavallo; e in un simile e del pari nuovo rotolo, posto in mano a Mercurio nella villa Lodovisj, scorge un’allegoria difficile a scifrarsi. Così Tristan nella celebre agata di s. Dionigi prende una [p. xxxi modifica]correggiuola dello scudo imbracciato dal supposto Germanico per gli articoli della pace 34.

Wright35 tien per antico un recente violino dato in mano ad un Apollo della villa Negroni, restaurato dal Bernini alla metà dello scorso secolo, e cita a quello proposito un simile stromento in una piccola figura d’Apollo in bronzo a Firenze, rammentata pur da Addisson36. Crede quello scrittore, adducendo tali esempi, di far l’apologia a Raffaello, che ha posto il violino in mano ad un Apollo dipinto nel Vaticano. Sarebbesi con egual ragione potuto addurre a questo proposito un violino dato ad Orfeo in una gemma 37. Erasi creduto di vedere quello stromento in mano d’una piccola figura nella volta dipinta 38 dell' antico tempio di Bacco a Roma 39; ma Sante Bartoli che avealo disegnato, avendo poscia meglio esaminata questa figura, lo cancellò dal rame, come appare da quella copia ch’egli ne ha aggiunta ai fuoi disegni coloriti delle pitture antiche nel Museo dei sig. Card. Albani. Un moderno poeta romano 40, vedendo una palla nella mano della statua di Cesare in Campidoglio 41, ha giudicato che l’antico scultore abbia con quella voluto indicare com’egli avido fosse d’un impero illimitato; e non ha veduto che il globo e ambe le mani sono un nuovo rappezzamento. Il [p. xxxii modifica]sig. Spence non avrebbe gettata l'opera a disputare intorno allo scettro d’un Giove 42, se avesse conosciuto che recente è lo scettro e la mano istessa 43.

Le aggiunte fatte alle opere antiche nel restaurarle dovrebbero per lo meno esser indicate sulle stampe che se ne pubblicano. Per esempio nel Ganimede della galleria Granducale di Firenze la testa è cattiva sul disegno pubblicatone, e forse è peggior ancora sull’originale; ma essa è moderna44. E quante altre teste ivi son nuove, che non sono indicate come tali! Nuove sono senza dubbio le teste d’un Apollo, la di cui corona d’alloro Gori notò come una cosa particolare45, del Narciso, del preteso Sacerdote frigio46, d’una Matrona sedente47, di Venere Genitrice, di Diana, d’un Bacco con un Satiro ai suoi piedi48, e di un altro Bacco, che solleva in alto un grappolo d’uva; e le ultime quattro sono anche al di sotto della mediocrità49. La maggior parte delle statue della regina Cristina di Svezia, che poscia trasportate furono a s. Ildefonzo in Ispagna, hanno pur nuove le teste, e le otto Muse hanno moderne anche le braccia.

Parecchi abbagli degli scrittori devono imputarli piuttosto ai disegnatori, del che abbiamo un esempio [p. xxxiii modifica]nell’esposizione dell’Apoteosi d’Omero fatta da Cuper. Il disegnatore ha presa la Tragedia per una figura virile, e non ha fatto caso del coturno, comechè sul marmo sia ben visibile. Ha dato altresì alla Musa che sta all’ingresso della caverna un rotolo scritto, in luogo del plettro che tiene in mano. D’un sacro tripode lo spositore ne vuol fare un Tau egiziano50, e sul manto della figura che sta innanzi al tripode s’immagina di vedervi tre capi o angoli, che non vi fono diffatti.

Egli è quindi difficile, anzi poco men che impossibile di scrivere con fondamento sugli antichi lavori se non abbiansi questi sott’occhio. E’ più difficile ancora di ben istudiare le arti del disegno, e imparare a ben conoscerle sulle opere stesse degli antichi, le quali, se cento volte s’esaminano, sempre offrono qualche cosa di nuovo. Pertanto in ciò ben pochi sono versati, perchè i più son simili a coloro che s’immaginano di farsi dotti leggendo i giornali, e vogliono quelli discorrere del Laocoonte, come questi d’Omero anche alla presenza di chi abbia impiegati molti anni a studiar l’uno e l’altro; ma questi parlano del divin poeta come la Mothe, e quei della più perfetta statua come l'Aretino. Generalmente coloro che scrissero sull’Antiquaria sono come i torrenti, che gonfiansi quando l’acqua è superflua, e sono a secco quando sarebbe necessaria„.

[p. xxxiv modifica] Questo giudizio di Winkelmann su alcuni autori che hanno scritto delle arti del disegno, non nasce già da una voglia di biasimare, che certamente non poteva aver luogo nell'onesto suo cuore; ma volle egli così indicare le strade battute da altri che allontanaronsi dal loro scopo per far meglio conoscere quella che egli è per tenere51. Non ha qui fatta menzione di nessuno de’ suoi nazionali, fuorché di Keysler, forse perchè, fra quelli che aveano scritto a suoi dì, nessuno, fecondo lui, meritava che se ne parlasse. Solo potea non essergli ignoto il professore Christ di Lipsia, che fu il primo a combinare un certo buon gusto collo studio dell’Antiquaria, e le cui Prelezioni archeologiche girano manoscritte per le mani di molti, che hanno saputo farsene onore; onde gioverebbe pubblicarle una volta per iscoprire i corvi, che rivestiti si sono delle penne altrui.

Studiavasi altre volte l’Antiquaria per far pompa d’una vasta erudizione, e voleasi perciò saper molto, senza esaminare se fosser per essere utili o no le cognizioni che si acquistavano. Nacque quindi la genía degli eruditi Micrologi, i quali sudano a compilare quanto è stato detto dagli antichi e dai moderni fu i tripodi, sulle lucerne, su i calzari, sui panneggiamento; e poi lasciano tuttora dubbioso chi ne legge le compilazioni, se nulla da lor abbia appreso.

Pretesero alcuni filosofi, che una cognizione qualunque, sol che riguardi l’uomo, sia un bene da procacciarsi; ma noi diversamente opinando, siam d’avviso non essere un bene ove un utile oggetto non propongasi. Conchiudiamo quindi che lo studio delle antichità non sia un’occupazione [p. xxxv modifica]degna dell’uom savio, se non in quanto dirigesi in modo che serva a rischiarare la storia dell’umanità, o a raffinare il gusto degli uomini52.

Sotto quello punto di vista considerò Winkelmann il suo soggetto, e trattollo secondo quelli principj. Quando pertanto il suo entusiasmo lo sollevava sopra se stesso all’aspetto de’ gran monumenti dell’arte; quando la dilicata sua sensibilità discerneva ogni più minuta bellezza, quando l’occhio usato alle ricerche scopriva que’ tratti sublimi dell’arte, che scoperti mai non avrebbe né un freddo osservatore, né un conoscitore alla moda; allora la sua avidità di sapere facea tali domande: quella grand’arte come nacque ella? come sollevossi a tanta perfezione? come decadde? Cercando Winkelmann la soluzione a tali quistioni dovea pur vedere come lo studio e l’esame del bello formi il gusto, dirozzi i costumi, e li raffini; onde le sue ricerche grandissima relazione aver doveano colla storia dell’umanità, che non sarà mai compiuta, ove in essa pur non s’esamini l’origine e ’1 progresso delle arti del disegno. Così Winkelmann divenne per l’arte ciò che è stato il Montesquieu per le leggi, e Brucker per la filofofia 53. [p. xxxvi modifica] La prima edizione di quest’Opera comparve nel 1764., e fu ben accolta da tutte le nazioni illuminate. Ometteremo qui ciò che intorno ad essa scrissero i sigg. Lessing54, Klotz55, Heyne56 ed altri 57, cose essendo già note abbastanza. Ne fu fatta una traduzione in francese58, che l’Autore ha molto disapprovata, e che forse più che altro lo ha indotto a rifondere e ad accrescere l’Opera sua.

In quello suo nuovo lavoro egli ha principalmente preso di mira di meglio determinare quali idee avessero gli antichi delle figure nelle varie età, nelle diverse specie, e nei differenti sessi, e di meglio esaminarne partitamente i membri tutti, e gli attributi loro proprj, avendo nel tempo stesso richiamati al vero senso molti altri passi degli antichi icrittori, trascurati dai commentatori, o da loro male spiegati, perchè non aveano le necessarie cognizioni intorno alle belle arti.

Proponeasi Winkelmann di far tradurre in francese l’Opera sua a Berlino, e tal lavoro intraprendeva il sig. Toussains coll'assistenza de’ sigg. Merian e Sulzer celebri professori; anzi pensava di andar colà egli stesso, perchè la traduzione si facesse sotto gli occhi suoi; ma diverse circostanze a ciò s’opposero59.

Se si potesse credere a un certo intimo presentimento che ci annunzia i disastri, direbbesi che Winkelmann prevedeva la sua morte poco prima che succedesse; poiché fra [p. xxxvii modifica]le sue carte una ne troviamo, in cui leggesi: Memoria, pel futuro editore della Storia dell’arte, che noi consideriamo come un suo testamento. Ivi notato aveva esattamente tutto ciò che volea che si osservasse, avendo anche riguardo alle più minute cose. Tal carta è bagnata ancora del suo sangue; e avea incominciato a scrivere il quinto numero, allorché lo scelerato assassino andò a lui per ucciderlo. Essendo poscia il ms. di tale Storia stato rimesso all’Accademia, noi ci siamo fatti un dovere di non iscostarci punto dai suoi avvisi.

Ecco ciò che scrivea Winkelmann sulla mentovata carta.

1. I nomi sostantivi non istampinsi con lettere majuscole, che guastano l’uniformità del carattere60.
2. L'indice si ordini nella seguente maniera ec.
3. Le citazioni facciansi co’ numeri secondo l’ordine naturale.
4. Nulla si cangi nel testo, né vi s’aggiungano note altrui.
J. Si deve.... (ma qui Lugere Musa!)

Ci saremmo riputati a delitto il far un cangiamento qualunque nel manoscritto di sì grand’uomo, né avremmo potuto senza imprudenza pretendere di corregger l'Opera, o di migliorarla con note. Su quello principio abbiamo per sin omesso di rispondere alle obbiezioni, che altri celebri scrittori hanno pubblicate contro la sua Storia. Qui solo avvertiremo che alcuni lo hanno ripreso senza ben intenderlo, come il fig. Home il quale ne’ suoi Abbozzi per la storia dell’umanità, sostiene doversi principalmente al dispotismo la decadenza delle arti, e poscia chiama ridicola l’opinione di Winkelmann, perchè con Vellejo Patercolo scrive [p. xxxviii modifica]che le arti decaddero in Grecia, quando ivi giunte furono al più alto grado di perfezione; quasi che il nostro Autore non attribuisse egli pure, piucchè ad altro, alla perdita della libertà quella delle belle arti. Aggiungasi che il sig. Home, nella stessa opera, cercando perchè dopo Newton non siavi più stato in Inghilterra nessun gran matematico, ne rifonde la cagione nell’avere quel gran Fisico fatti tali progressi nella scienza della Geometria e del Calcolo, che i successori, temendo di non poter salire all’alto grado a cui egli giunse, amano piuttosto di rimanere appiè del monte. Or se egli così ragiona per le Matematiche, ben a maggior diritto potè dire Winkelmann essere decadute le arti in Grecia dopo Apelle, Prassitele, e Lisippo, perchè gli artisti che loro succederono, disperando di superare que’ gran maestri, nemmeno di pareggiarli tentarono.

Non così, come Home, rilevarono gli abbagli di Winkelmann i sigg. Lessing ed Heyne61, i quali con molta erudizione e con giudiziosa critica si sono argomentati di correggere la Storia dell’arte. Essi hanno sovente colto nel vero, e diffatti non di rado i loro rilievi veggonsi in questa nuova edizione prevenuti dai cangiamenti che ha fatti l’Autor medesimo. Che se alcuni errori di minor conseguenza vi son tuttora rimasti, devono perdonarsi ad un Genio creatore che immaginava un gran sistema, come molti se ne perdonano volentieri a Montesquieu62; e noi veggendo che non erano errori di conseguenza, abbiamo voluto piuttosto seguir esattamente gli ultimi ordini suoi che metter mano nell’opera per correggerli, come avremmo potuto fare agevolmente63. Con pari facilità v’avremmo potuto molto [p. xxxix modifica]aggiugnere, traendo le notizie non solo dagli antichi, ma eziandio dai più recenti scrittori Christ, Caylus64, le King, Ernesti, Heyne, Walch, Klotz ed altri.

Tal lavoro men faticoso farebbe stato di quello che abbiamo dovuto intraprendere per l’edizione di quest’Opera. Un Accademico l’ha copiata dall’originale dell’Autore; un altro ha confrontato l’original colla copia, e con molta diligenza s’è procurato di mettere a luogo le schede o cartoline dell’Autore, nelle quali avea scritte, talor anche colla matita, parecchie addizioni. Altri hanno assistito all’incisione delle figure e alla parte tipografica, in cui s’è avuto in mira di fare un’edizione degna dell’Autore e dell’Opera, anziché vantaggiosa a chi l’intraprendeva.

Avrebbe desiderato taluno che, parlando delle gemme incise, se ne indicassero i possessori attuali, e non quelli presso de’ quali erano quando le descrisse l’Autore. Ciò non era possibile, né di molta utilità 65. Passano quelle sovente da una in un’altra mano, e chi legge qualche tempo dopo l'Opera stampata, più non le trova nel luogo in cui gli vengono indicate. Ne citerò ad esempio l’Ercole, inciso da Admone, con un cratere in mano, che era in casa Verospi quando ne fu pubblicata la figura dal sig. Stosch 66; fu quindi comprato da monsignor Molinari milanefe Nunzio pontificio a Bruselles, ove lasciò morendo la sua bella collezione, che fu poscia venduta a Milord Malborough da unirsi [p. xl modifica]al celebre museo Arundeliano. Così un cammeo colla testa d’Antonino Pio, che stava nel museo Farnese a Napoli, passò nelle mani del conte Tompson67 genero del celebre Boehraave, e quindi nel museo dello Statolder delle Provincie Unite. Se quelli cangiamenti succedono ne’ pezzi de' gran musei, che non arriverà egli nelle piccole collezioni particolari?68

Secondo il nostro primo piano doveva a quest’Opera precedere la vita dell’Autore, ma avendo inteso che di ciò erasi incaricato il sig. bibliotecario Franke di Dresda, amico di Winkelmann e socio nella biblioteca di Bunau, il quale scriverla altronde potea meglio d’ogni altro, noi, quella attendendo, ci contenteremo di qui accennarne i tratti principali che a nostra notizia sono pervenuti69.

Winkelmann, che doveva un giorno essere nel Vaticano e in Campidoglio l’onor della Germania, nacque d’un misero calzolajo a Stendal nella vecchia Marca Brandeburghese l’anno 1717.70, o come altri vogliono 1718. Fu chiamato Giovan Gioachimo; ma o che il secondo nome mal gli suonasse alle orecchie, o che gli paresse superfluo, in seguito non ritenne che il primo.

Pretendesi che Winkelmann mostrasse sin dalla sua [p. xli modifica]fanciullezza una grande inclinazione all’Antiquaria71. Suo primo maestro e quasi padre fu certo Toppert rettore della scuola di quel paese, il quale avendo in seguito perduta la vista, scelse Winkelmann per sua guida, compagno, e lettore; e questi n’ebbe il doppio profitto di aver un’istruzione continua d’un maestro savio, e affezionatogli per riconoscenza, e di poter tutta volgerne a piacere la piccola biblioteca. Allora egli accoppiò ai suoi studj ordinarj una lettura immensa e variata, sì vantaggiosa all’uom di talento, sì perigliosa per un ingegno mediocre, e sì inutile per un cervello ottuso. Studiò le lingue morte, e vi fece progressi superiori alla sua età: leggeva avidamente gli antichi classici, e molto occupavasi della geografia; ma il suo studio favorito era l’Antiquaria. Quindi andava a metter sossopra le colline arenose di Stendal per ritrovarvi delle urne antiche, guidatovi dal solo suo genio, ancorché non avesse alcun fondamento di sperarne un buon successo. Cominciò Winkelmann a cercar delle olle, e finì la sua carriera coll’esaminare l’Apollo, il Laocoonte, la Venere Medicea, e collo scrivere la Storia delle Arti del Disegno.

Osservavasi già a que’ tempi in lui una grande indifferenza per quelle che chiamansi scienze esatte e sublimi; onde seguendo egli la sua inclinazione, s’applicò principalmente allo studio della sana filosofia, e della storia, che erano le più confacenti al suo scopo.

In sua patria venne sovente ripreso perchè, trascurando la lingua natia, tutto s’occupasse nello studio degli antichi idiomi, e della stessa lingua ebraica che di poco e di nessun utile essergli potea72; ma con tale studio egli formavasi [p. xlii modifica]uno stile maschio ed energico, quale usato l’avrebbero gli scrittori de’ più celebri tempi se avessero avuto a scrivere questa Storia. Chi forma il suo stile sugli scrittori contemporanei, prende una maniera di dire fiacca e sfibrata.

Omettiamo i progressi di Winkelmann nella sua giovinezza: essi comechè grandi per le circostanze, né sorprendenti furono né importanti abbastanza per esser qui riferiti.

Nel 1733. in età di sedici anni egli andò a Berlino con una commendatizia al rettore d’una di quelle scuole detta il Ginnasio di Koln. Ivi colla sua assiduità procurò d’instruirsi, ed instruiva i minori di sé, per guadagnarsi un sostentamento, e far eziandio qualche avanzo, onde soccorrere i suoi miseri parenti.

In quelle scuole mantiensi tuttavia in vigore un’istituzione che, sebbene rubi molto tempo allo studio, e forse non ben s’accordi con una sana politica, pure è la sola per cui parecchi uomini celebri hanno avuto comodo di studiare e farsi grandi. Alcune compagnie di scolari, che chiamansi Cori, vanno per la città cantando per una lieve ricompensa ad ogni porta una canzone, un’arietta, un mottetto in un tuono che non è il più piacevole. Or narrasi che colui il quale aveva un giorno ad essere Presidente delle antichità a Roma, non isdegnò in sua giovinezza di regolare uno de' siffatti Cori. In tal guisa si tolse all’oppressione della propria miseria, e potè anche soccorrere i genitori bisognosi. Così la povertà, che avvilisce la maggior parte de’ talenti, a lui sembrò dare attività e forza. Sembra però che non vi trovasse molto il suo conto, poiché tornò presto a Stendal fra le braccia de’ suoi congiunti, e nella biblioteca del suo rettore.

Lasciò Stendal nel 1738., e portossi ad Halle in [p. xliii modifica]Sassonia per proseguire in quella università i suoi studj; ma ivi appena arrivato, passò con alcuni suoi amici a Dresda, non già per vedervi le feste che vi si celebravano pel matrimonio della principessa sposa del re di Napoli, come scrive Paalzou73; ma perchè sperava trovare ivi maggior agio di studiare, ed una più facile sussistenza. Questa però mancogli, e ritornossene in Halle, ove si diede a studiare le antichità su gli autori classici, e principalmente su i greci, passando molta parte del suo tempo nella pubblica biblioteca, giacché non concedeagli di comprar libri la sua povertà, che sovente costrignealo a contentarsi di pane e d’acqua, come il figliuolo di Neocle. Allor fu che tradusse, e commentò Erodoto74, e parve, dice il sig. Boysen, che lo avesse ispirato un Genio. Era allora in carteggio col celebre Gessner75.

Passà quindi ad esser precettore in casa d’un ufficiale nei contorni d’Halberstadt, e formò allora lo strano progetto di fare il giro dell’Europa, senza ricchezze e senza appoggi, non fondandosi su altro, che sulla sua abitudine di viver con poco. Difatti nel 1741. s’incamminò a piedi verso la Francia, mosso principalmente dalla lettura di Cesare, che descrive le sue campagne fatte in quel regno; ma a cagion della guerra tornò in Allemagna, e ripigliò il suo primo mestiere d’instruire de’ fanciulli prima ad Oiterborgo e poscia ad Heimersleben76. Qui conobbelo il sig. Boysen, [p. xliv modifica]che gli rinunziò il conrettorato di Seehaufen: impiego in cui egli era tenuto a pubblicamente instruire i fanciulli ne’ fondamenti delle lingue morte, e ne’ principj della religione. Winkelmann in quella occupazione era fuori del suo luogo, e comechè né pazienza gli mancasse né sollecitudine, pur non soddisfaceva abbastanza a quelle genti.

Altronde avea sempre fissa nella mente l’idea di veder nuovi paesi. Questa specie d’entusiasmo parea connaturale a lui, che da fanciullo erasi messo in capo d’andare in Egitto77, e avea, come vedemmo, già intrapreso il viaggio della Francia. Per renderli vieppiù atto ad eseguire il suo progetto studiò le lingue vive, cioè la francese, l’inglese, e l’italiana. Ma due possenti motivi lo ritenevano ancora, la mancanza de’ comodi, ed il vecchio suo genitore. Questi ancor viveva, sussistendo col poco che dargli poteva il figlio, il quale sensibile alla voce della natura più che al suo entusiasmo e al desiderio d’instruirsi, non l’abbandonò mai finché non ebbe versate tenere lagrime sulla sua tomba.

Pensò allora ad eseguire il suo piano, ma renduto più saggio dall’età e dall’esperienza, ben sentiva che senza ricchezze e senza appoggio, colla sola scienza, troppo mal si vive in paesi stranieri. Egli altronde, vivendo in piccolo borgo, non aveva amici possenti, né chiaro era ancora nella repubblica delle lettere, né pensava forse di mai divenirlo. Forse il suo genio, trovandosi senza mezzi, sarebbesi acchetato, o rivolto ad altro oggetto, se il tedesco Perescio non l'avesse scoperto e sollevato, per dir così, dalla polvere.

Il conte Arrigo di Bunau, uomo illustre nelle cose [p. xlv modifica]politiche come nella letteratura78, aveva una scelta e copiosa biblioteca, che è tuttora uno de’ più singolari ornamenti di Dresda79. Questi, conoscendo il merito di Winkelmann, presso di se invitollo, e dandogli un impiego nella sua biblioteca80, esistente allora a Notheniz suo feudo, gli fece uno stabilimento onorevole e comodo. Ciò avvenne nel 1748. Avea così Winkelmann già fatto un gran passo per compiere le sue idee.

A Notheniz menava Winkelmann una vita assai uniforme, stando molto più coi libri che cogli uomini. Era, come dicemmo, collega suo in quella biblioteca il sig. Franke, con cui lavorò di concerto per ordinarla, e compierla nel miglior modo. Ivi egli era nel proprio elemento; e pei libri rari e pregevoli che vi si conteneano avea tutto il comodo di stancare la sua insaziabile avidità di sapere. Sembra che allora cominciasse veramente a prendere il gusto dell’Antiquaria; la studiava a tutt’agio sulle stampe, indi andava nella vicina Dresda a vedere alcuni antichi lavori, e i gessi dei più ragguardevoli tra essi; e furon quelli i primi passi per cui grado grado si elevò sino alle idee platoniche, sulle quali, quando giunto in Roma potè confrontarle cogli archetipi ivi esistenti, costruì il piano della sua Storia delle Arti del Disegno. Cercando le cognizioni e la scienza in tutt’i libri, leggeva anche i Padri della Chiefa81, il [p. xlvi modifica]che forse influì in seguito a fargli abbracciare la Comunione Romana82. Tale fu il suo genere di vita fino al 1756.

La vicinanza di Dresda, oltre il comodo che gli forniva di veder le copie delle opere antiche, aprigli pur il mezzo di far conoscenza coi più ragguardevoli letterati, la quale è generalmente più utile che la lettura de’ libri. Furon quelli i Cigg. Franke, Heyne, Hagedorn, Lippert ed Oefer. Il sig. Heyne allora bibliotecario del conte di Bruhl ed ora celebre professore dell’Accademia di Gottinga, avendo ne’ suoi studj il medesimo scopo di Winkelmann, cioè l'Antiquaria, avea seco stretta una sincera amicizia. La guerra del 1756. li divise, e ne interruppe anche il carteggio, cui più non ripigliarono, se non quando uno fu in Gottinga, e l’altro in Roma. Da lui e dagli altri prese Winkelmann molti lumi, comunicando loro le proprie cognizioni, e molto dovè principalmente all’ultimo.

Trovavasi allora a Dresda il nunzio pontificio di Polonia monsignor Archinto, patrizio milanese, poscia cardinale di. s. Chiesa, il quale avendo a Notheniz conosciuto e ammirato Winkelmann, giudicò che Roma farebbe stata il suo centro. Gli propose d’andarvi, né durò fatica a indurvelo, comechè questi vedesse tutt’i comodi che perdeva, e tutte le speranze a cui rinunziava, lasciando la Sassonia.

Winkelmann si determinò di portarsi alla capitale dell’Italia, ed abbandonò non senza dispiacere il conte di Bunau [p. xlvii modifica]per andare a Dresda, ove meglio prepararsi al suo viaggio, e prender que’ lumi che ancor gli mancavano.

A tal oggetto volle passare un anno presso il sig. Oefer celebre artista (e or direttore dell’Accademia di pittura a Lipsia) il quale, sebbene nato in Ungheria, pur a ragione dirsi deve l’onor della Germania, e per la lunga dimora che v’ha fatta, e per aver fondata una scuola tedesca delle belle arti83. Tutto impiegò Winkelmann quel tempo a studiare le arti del disegno e le loro regole per formar un occhio sicuro, nel che acquistò una grandissima abilità. Esaminò colla maggior diligenza la celebre galleria di Dresda, certi e fondati giudizj portando su i capi d’opera che vi si ammirano; poiché il suo occhio non era stato guasto dal vedere ciò che in termine dell’arte dicesi manierato. La verità, l'armonia, la bellezza erano la regola de’ suoi giudizj. Egli sommamente sensibile era e del pari pronto a concepire le cose; e ad una lettura immensa congiunta avea una memoria tenace e prontissima.

Monsignore Archinto, essendo stato destinato nunzio a Vienna, raccomandò Winkelmann al P. Pau confessore del re di Polonia84; e avendo allora mostrato desiderio che egli desse qualche pubblico saggio del suo sapere e de’ suoi talenti, questi pubblicò i suoi Pensieri sull'imitazione degli antichi lavori: libro di cui ebbe in seguito a dir l’Autore stesso che aveva avuta un’accoglienza cui non meritava; ma fu egli il solo a così giudicarne. Non mancò però in Dresda chi criticollo, riprendendolo principalmente, perchè in [p. xlviii modifica]un'opera d’Antiquaria non si citasse nessuno scrittore, onde moveasi dubbio sulla vantata di lui erudizione. Ebbe da ciò origine la lettera aggiunta poscia dall’Autore ai suoi Pensieri ec., in cui, per confutare la critica, tanti autori citò e con tale esattezza, che gli amici suoi, i quali n’erano testimonj, restarono sorpresi al vederne l'estesa erudizione e la pronta memoria; poiché la scrisse pressochè tutta nelle stanze del sig. Lippert, e quasi per giuoco. Vero è che in seguito la fua memoria non fu più sì fedele; dal che derivarono alcuni leggieri abbagli, che incontransi nelle posteriori sue opere. Né ciò dee sorprendere, poiché la sua mente abbracciava al tempo stesso la mitologia, la storia, il meccanismo dell’arte e mille altri oggetti, su i quali lo spirito e l'immaginazione avean a fabbricar conghietture, che diriger poscia dovea l’intelletto. Tanta moltiplicità di oggetti in un’immaginazione sì viva dovè destar delle idee e delle opinioni, cui ebbe poscia a riformare.

Partì finalmente Winkelmann da Dresda, avendo avuto dal conte di Bunau un considerevol regalo e la commissione di comperare a sue spese le opere più rare, e i più ragguardevoli manoscritti che trovasse vendibiji in Italia. Presero perciò abbaglio coloro i quali scrissero esser egli venuto in Italia speditovi dal mentovato signore per far compra di libri.

Winkelmann è in Roma! L’olimpico Atleta è nell’arena. La sua sorpresa al primo sguardo, la fua consolazione di fissare alla fine gli occhi su gli oggetti di tante sue meditazioni, sentimenti sono che provar si possono piuttosto che descrivere.

Roma ben compensò l’inclinazione che sempre aveva avuta per lei; egli cominciò a godervi la più pura gioja, e quel sentimento di consolazione, in cui uno si trova [p. xlix modifica]quando compiute mira le sue speranze. Videsi tosto onorato, come lo è sempre l’uomo di merito, almeno suor di sua patria. Ognuno ammirava la prontezza con cui spiegava gli antichi monumenti, tanto più che credeasi esser questi oggetti nuovi per lui; ma egli già tutti aveali presenti all’immaginazione, e non altro faceva allora che rivederli dappresso.

Andò egli in Roma assai ben raccomandato, principalmente colle lettere di monsignor Archinto, che gli diedero tosto occasione di far conoscere il suo sapere e l’onestà del suo carattere. Scrivendo noi qui la storia del suo spirito anziché quella della sua vita, non ne riferiremo se non alcuni pochi tratti più importanti. Ivi sì per economia che per decenza maggiore si vestì da abate; ed acquistò in breve quel gusto e quelle maniere, che certamente non doveva alla nascita. Del primiero suo stato però serbò la modestia.

Il suo principal protettore in Roma fu il sig. cardinal Alessandro Albani85. Egli e Winkelmann quanto distanti erano per la prosapia e per le dignità, altrettanto venian, a così dire, ravvicinati dall’inclinazione comune per lo studio dell’Antiquaria86. L’illustre porporato fu il sostegno di Winkelmann e, dirò di più, fu il suo amico, onde la [p. l modifica]rara sua collezione, e la sua magnifica villa87 confideravansi da questo come cose proprie88.

Ivi, dopo aver tutto veduto, ponderato, esaminato, e classificato, concepì la sua Storia dell’Arte e formonne il piano. Mentre però intorno ad essa lavorava non lasciò di pubblicare alcune opericciuole, delle quali qui separatamente non parleremo, bastando la sua Storia delle Arti a renderlo sempre celebre. Se ne trova però fatta menzione nella biblioteca delle belle arti e delle scienze, pubblicata in Lipsia dal sig. Weisse; ond’ebbe torto il sig. Paalzou di dire che la prima opera pubblicata da Winkelmann fu quella delle Antichità Ercolanesi89. Quelle opere minori, delle quali ogni altro sarebbesi gloriato d’esser autore, come i suoi Saggi sopra l'Architettura degli antichi, e sopra il sentimento del bello, venian da lui poco pregiate90.

Noti sono i suoi viaggi nelle varie parti dell’Italia91, e la sua applicazione a tutto ciò che ha della relazione collo studio dell’Antiquaria, come noto è l’onore fattogli in [p. li modifica]Roma dall’Accademia d’Antiquaria, che a suo Presidente lo elesse92. Molte altre società letterarie d’Italia, avendone conosciuto il merito, si pregiarono d’annoverarlo fra i loro membri93.

Pubblicò finalmente nel 1764. la sua Storia delle Arti del Disegno; ed essendo egli tedesco mandolla alla Germania, come i Greci spedivano ad Atene i trofei conquistati oltre l'Ellesponto94. Ma appena ebbela pubblicata che tosto ne fu malcontento, e cominciò a migliorarla. Impresse poco dopo delle addizioni considerevoli alla Storia95, e molto in seguito pur v’accrebbe, onde risultonne la presente edizione.

II suo Saggio di un'allegoria per l’arte, sebben’opera sia di molta fatica, pur non ebbe tant’applauso quanto la sua Storia. Ciò non ostante quel libro dee considerarsi come un tesoro d’erudizione, di viste felici, necessario agli antiquarj, e certamente non inutile agli artisti.

[p. lii modifica]Winkelmann era infaticabile96. Mentre scriveva la sua Allegoria compose altre opericciuole, e lavorava frattanto a perfezionare la sua Storia. Intraprese di pubblicare quegli antichi monumenti dell’arte, i quali non erano stati dati alla luce né dal Boissard, né dal Montfaucon, né da altri97, e compose per essi un’opera in due volumi in foglio che contiene 226. tavole in rame, intitolata Monumenti antichi inediti98. Egli scrisse quell’opera in italiano, come scritta aveva in francese la Descrizione delle gemme incise del Museo Stoschiano99. Pensava a pubblicare la terza parte de’ Monumenti antichi inediti, e doveane già aver apparecchiati molti disegni, ma essi si sono smarriti, o ignoriamo almeno in quali mani si trovino100. [p. liii modifica]I rami che servirono pei Monumenti antichi ec. hanno cagionata una disputa tra l’Autore e ’l sig. Casanova, sulla quale non porteremo giudizio, perchè sarebbe creduto parziale101. È certo che Winkelmann vi fu molto sensibile. Lo fu egualmente alla critica che fecero della sua Storia i sìgg. Lessing e Klotz, e doleagli principalmente, perchè questi, avendo scritto in latino nell’Acta litteraria, e con uno stile seducente, era letto anche in Roma; e sembrava aver ragione, massime presso coloro che non avean interesse a sostenere le opinioni di Winkelmann. Egli volea difendersi, ma fu consigliato di vendicarsi tacendo [p. liv modifica] Scrisse pure in quel tempo un libro sullo stato attuale delle belle arti, e delle scienze in Italia; ma nol pubblicò, del che ignoriamo la cagione102. Fece molte aggiunte e correzioni al Trattato della pittura degli antichi di Francesco Giunio, pensando di fare una nuova edizione di quest’opera importante; e certamente avrebbe renduto un gran servigio all’Antiquaria se ciò avesse eseguito103.

Quando ebbe preparata la nuova edizione della sua Storia ec. pensò a fare un viaggio in Germania, e andare principalmente a Vienna, a Dresda, a Berlino, e a Gottinga.

A Vienna era stato sovente invitato da alcuni de’ più ragguardevoli signori, i quali in mezzo alla grandezza non isdegnano di amar le belle arti, di proteggerle e di studiarle. Ivi pur lo attraevano i monumenti dell’arte sì antica che moderna. A Dresda volea riabbracciare gli amici del suo cuore. A Berlino proponeasi di far tradurre in francese e pubblicare la sua Opera104; e a Gottinga andava sì per rivedere il sig. di Munchhausen, che per consultare quella celebre biblioteca, e que’ rinomati professobri, che tanto chiara ne rendono l’università105. [p. lv modifica] In ognuno di questi luoghi pensavasi a trattenerlo, e a dimostrargli così che la Germania non è sempre indifferente e ingrata ai grandi uomini che la onorano106. Ma era d’uopo che prima si fosse fatto conoscere e ammirare in Italia. Così Mengs, Wille, e ’l gran Modellatore tedesco farebbero senza dubbio stati meno considerati fra i suoi, se l'Italia, la Spagna, e la Francia non avesser loro appreso a venerarne il merito. Se però Winkelmann si fosse potuto risolvere ad abbandonare l’Italia, ov’egli trovava l’antico Lazio e la Magna-Grecia, certamente non avrebbe cangiata Roma che con Vienna, ove fu nella primavera del 1768., e ove fra i piaceri dell’amicizia una luminosa fortuna invitavalo107.

Sogliono i nostri Monarchi, e a loro esempio tutte le colte e gentili persone della Corte dar prova di stima e di considerazione ai celebri letterati stranieri che vengono in quella Capitale; e tali prove ebbe Winkelmann. Egli fu onorato dalle loro Maestà con ricco dono; e dal loro primo Ministro, gran conoscitore e protettore delle arti, ebbe quell'accoglienza che aspettarsene potea chi di esse avea scritto la storia. Il conte Giuseppe Kaunitz era suo amico; il sig. barone di Sperges, letterato illustre, che fra le occupazioni politiche del suo ministero sa non solo favorire, ma eziandio studiare le belle arti come le scienze, si riputò [p. lvi modifica]a onore di presentar Winkelmann a S. M. l’Imperatrice Regina, ed ai Serenissimi Arciduchi e Arciduchesse nella villa di Schonbrunn.

Fermossi Winkelmann in Vienna fino al principio di giugno, ove con occhio da osservatore esaminò la biblioteca Cesarea, la galleria Imperiale, quella del sig. principe di Lichtenstein ed altre, e ’l museo del sig. di Hess, più noto sotto il nome di de’ Franceschi. Ivi pur fece delle annotazioni per la sua Storia, che noi abbiamo inferite nella presente edizione. Alcune ragioni private, che qui ometteremo, perchè non interessano punto la letteratura, non gli hanno permesso di continuare il suo viaggio per la Germania, onde ripigliò la strada d’Italia108.

Siamo giunti a quel punto in cui volentieri deporremmo la penna per non richiamare alla memoria la morte funesta di quell’uomo infine. Ne abbrevieremo però il racconto quanto farà possibile. Winkelmann trovò non lungi da Trieste un compagno di viaggio che, avendo qualche tintura delle arti, colle accorte maniere seppe guadagnarne l'animo. Essendo egli d’un cuore onestissimo, tali credea pur gli altri; e prendendo dell'attenzione per quest’uomo, gli confidò tutt’i suoi pochi segreti, mostrandogli le medaglie, dono de’ nostri Monarchi, e la non molto considerevol somma d’oro che avea109. Tal confidenza gli è stata funesta.

[p. lvii modifica]

Francesco Arcangeli pistojese, dianzi cuoco del signor conte Cataldo a Vienna, era ivi stato per gravi misfatti condannato a morte, ma tal pena gli fu cangiata in un perpetuo bando110. Quefto uomo scellerato avea saputo divenire l'amico di Winkelmann, e ne fu l'uccisore in Trieste, ove fu costretto a fermarsi alcuni giorni, attendendo un imbarco per Ancona. Ivi alloggiato su un’osteria ingannava la noja del ritardo leggendo Omero, solo libro che avea seco; e intertenendosi per passatempo con uno spiritoso fanciullino dell’oste.

Agli 8. di giugno, mentre sedeva al tavolino scrivendo il riferito avviso relativo alla nuova edizione della sua Storia, entrò in camera Arcangeli, il quale, simulando dispiacere d’abbandonarlo, dissegli che partiva per Venezia, ov’avea degli affari, e pregollo di mostrargli un’altra volta le medaglie imperiali, per averne poscia più viva la rimembranza. Winkelmann di buon grado v’acconsente, e mentre avendo aperto il baulle s’abbassa, lo scellerato per di dietro gliene fa cadere con forza sul collo il coperchio per istrozzarlo111. Winkelmann grida, e ’1 pericolo medesimo gli dà forza per rivoltarsi all’assassino: caddero amendue per terra, e questi con uno stile fece al suo benefattore cinque ferite nel [p. lviii modifica]ventre, e ucciso ivi certamente l’avrebbe, se il mentovato fanciullino non fosse allora venuto a battere alla porta.

L’assassino fuggi senza nemmeno poter rubare le medaglie; ma fu presto raggiunto, e nel mese seguente pagò in Trieste il fio delle sue scelleratezze. Fu apportato a Winkelmann ogni possibile soccorro, ma le ferite erano mortali; onde solo gli rimasero poche ore di vita, nelle quali con mirabile presenza di spirito fu munito de’ santi sacramenti, e dettò la sua ultima volontà, lasciando in argomento di riconoscenza suo erede il sig. cardinale Alessandro Albani, un legato 250. zecchini all’incisore Mogalli112, e un altro di 100. al sig. ab. Pirami113. Volle purché fossero distribuiti 20. zecchini ai poveri di Trieste. Così morì quel grande e virtuoso uomo, cui le opere, colle quali ha cotanto illustrata l'Antiquaria, renderanno sempre immortale.

[Fu intesa in Roma la sua tragica fine con rincrescimento universale, e principalmente degli amici e protettori. Il lodato eminentissimo Albani grande sempre, generoso, e costante nell’amore verso di lui benché trapassato, pensava alla maniera di conservarsene meno trista che fosse possibile la rimembranza, e ad eternare insieme la gloria del suo amico, ed antiquario coll’ergergli a proprie spese, e tutto anche l'avutone asse ereditario impiegandovi, un superbo monumento in qualche chiesa di questa dominante. Ma l’avanzata, e cadente sua età, e la morte poi accadutane l’anno 1779. troncò il filo di sì nobil pensiero, e invidiò alle belle arti l'onore e il merito di tributare ai tanti benefizj, che Winkelmann, più che altri mai, loro avea predati con tutta l'energia del suo spirito, un pubblico attestato di riconoscenza.

[p. lix modifica]Sottentrò in appresso nel pensiere medesimo un altro amante delle belle arti, che a Winkelmann era stato anche unito intimamente sì per conformità di genio, e di studj, che di nazione, vogliam dire il signor consigliere Reiffenstein dimorante in questa città da molti anni, al quale noi professiamo per questa romana edizione non poche obbligazioni, che nella nostra prefazione distintamente vengono accennate: e se il monumento, che gli innalzò non fu sì magnifico all’apparenza; non fu certamente, per giudizio dei giusti estimatori, e all’affetto d’un amico, e alle virtù d’un antiquario men decoroso. Il Panteon, che è il più maestoso, ed intatto tempio, che ci sia rimasto dell’antica romana architettura, sembra che siasi, e meritamente, destinato a conservare le memorie di que’ rari genj, che sonosi più degli altri distinti nell’esercizio delle arti belle. Quivi è che primeggia la memoria del divin Raffaello col notissimo aureo distico latino del Bembo. Quivi s’incontrano con piacere i busti di Flaminio Vacca, di Pierin del Vaga, di Annibale Caracci, di Taddeo Zuccari ec.114. Quivi non ha guari si vide collocato il busto dell’Apelle sassone sig. Mengs per opera dell’illustre e dotto di lui amico sig. cavaliere Niccola de Azara, dei di cui particolari favori verso questa nostra edizione ci siamo pur anche fatti pregio di parlare innanzi; e quivi finalmente ebbe luogo, per impegno del culto cavalier francese fig. d’Agincourt, il busto del gran Pussino. Ben persuaso il sig. consigliere Reiffenstein, che tutti questi primarj artisti si sarebbero rallegrati di vedere in lor compagnia un gran letterato, il quale sebbene non fu artista, pure si è reso benemerito delle belle arti al pari di loro, illustrandone col più indefesso studio, e colla [p. lx modifica]più vasta erudizione la storia, e i monumenti, fece collocare a sue spese in quel tempio il busto di Winkelmann115 nel secondo luogo a mano sinistra di chi vi entra. Eseguito venne il lavoro dal valente scultore tedesco sig. Doell, pensionario di S. A. il Duca di Saxe Gotha, e che da molti anni fa ammirare in questa metropoli delle belle arti i suoi talenti con varie opere di sua invenzione. Il modello per assomigliarlo al defunto il più che si poteva era stato corretto e perfezionato molto tempo avanti sotto la direzione del Dedicante, del celebre pittore anche intimo amico di Winkelmann sig. Maron, e sopra tutti del lodato cavaliere Mengs. Sotto al busto vi fu scolpita l’iscrizione composta dal chiarissimo sig. abate Giovenazzi, che noi qui inseriamo.

iohanni winkelmann brandebvrgen.
litterarvm graecarvm et latinarvm doctissimo
vni omnivm
in vetervm scalptorvm et fictorvm operibvs
ex mythistoria illvstrandis et eorvm aestimando
artificio maximam gloriam assecvto
ioh. frid. reiffensteinivs doctori et amico fac. cvr.
qvod alexander albanvs s. r. e. card. clienti patronvs
ne faceret morte prohibitvs est
vixit ann. l. mens. v. dies xxx.
desideratvs est tergeste in pvblico diversorio
vi. idvs ivn. an. mdcclxviii.
comitis qvem fidvm pvtabat immanissimo latrocinio

Note

  1. Per amor di brevità abbiamo giudicato opportuno di non darne che un transunto, nulla però omettendo di ciò che gli Editori hanno preso dalla Prefazione dell’Autore premessa alla prima edizione, nè di ciò che abbiamo credulo più importante pe’ leggitori italiani.
  2. La prefazione di Winkelmann c’è quasi tuttaFonte/commento: Pagina:Storia delle arti del disegno.djvu/25; nè di più ne ha riportato Huber in fronte della sua traduzione francese, di cui si parlerà in appresso. In questa edizione ho solamente reintegrati alcuni piccoli tratti, omessi, non so per qual ragione; dagli Editori Milanesi; e alcuni altri ne ho riformati nel loro giusto senso inteso dall’Autore.
  3. Vedasi più sotto pag. XXXVII.
  4. De Orat. lib. I. cap. XVI.
  5. Queste descrizioni in numero di 14. si trovano tra le opere dei Filostrati.
  6. Fabretti Inscript. cap. 5. n. 293. p. 400. [Su quello punto parlerà più a lungo l’Autore nell'opera lib. X. cap. iiI. §. 18.
  7. Pinaroli Tratt. delle cose più memorabili di Roma tanto antiche, che moderne, tom. I. pag. 106., Le Spectateur, ou le Socrate moderne &c., vol. I. disc. XXXXVI. p. 134. [Il Montfaucon nel suo Diario c. 20. in fine, pag. 301. ha riportato, e mostrato di approvare l’opinione di chi vi trova una civetta. Ficoroni lo confuta nelle sue osservazioni sul detto Diario, pag. 56., adducendo insieme per prova, che nell’esatto modello della testa del cavallo, custodito nell’Accademia di Francia, altro non vi si scorgea, che i crini. La vuole una civetta il Pinaroli al luogo citato dal nostro Autore; ma non altro vi riconosce, che un simbolo della saviezza di M. Aurelio. Lo Spettatore Inglese al luogo citato è quello, che vi crede la civetta, e la patria dello scultore simboleggiata nella medesima. Questa in Roma è una opinione di qualcuno del volgo, e anch’io l’ho intesa.
  8. Ficoroni Le vestig. e rar. di Roma ant. cap. 5. pag. 20.
  9. Maffei Stat. ant. num. 79.
  10. Id. num. 63.
  11. Reflex. sur la peint. & sur la poes. T. I. sect. 38. pag. 400.
  12. Baldinucci Vita di Bernini pag. 72., Bernini Vita del Cav. Bernini cap. 2. pag.13.
  13. Bernini, che pure è stato uno de’ primi valentuomini nelle belle arti, non ha sbagliato altrimenti. È questa una statua di greco scalpello degnissima, e molto antica, in marmo, che si chiama cipolla. Il dotto osservatore signor Abate Visconti proverà nella descrizione, che sta facendo del Museo Pio-Clementino, con ben forti ragioni, e direi quali dimostrazioni, mediante il confronto di una testa simile, e di altri frammenti di antichità trovati nella villa Adriana, che essa rappresenti Menelao, che tiene tra le braccia il cadavere di Patroclo ferito tra le spalle.
  14. Capac. Ant. & hist. Camp. felic. c.2.p.9.
  15. Maffei Stat. ant. num. 30.
  16. Di questa opinione fu altre volte il nostro Autore. Vedi la Pref. alla Descript. des pierr. grav. &c., e le sue Osservazioni sull’Architettura degli Antichi. [Nella detta Prefazione non ho trovato che l’Autore faccia parola fu questo punto. Sauro e Batraco lavorarono ai templi di Metello, non al portico. Plinio l. 36. cap. 5. sect. 4. num. 12.
  17. Discours sur une pièce antique du cab. de Jacques Spon.
  18. Tetii Ædes Barberinæ, p.185. [È al presente nel Museo Pio-Clementino. La ferita, che gli si vede alla coscia destra, e qualche piccolo avanzo di cose ivi accanto, e l’aria sbigottita, che gli si vede sul volto, e in tutto l’atteggiamento, danno a divedere chiaramente, che non è un Narciso, che si specchia, ma un Adone ferito dal cignale; come meglio proverà il signor Abate Giambattista Visconti nella descrizione, che ne darà colle altre statue del detto Museo.
  19. Braschi de Trib. stat. ci z., e segg.
  20. Io non vedo che sia tanto fuor di proposito la storia, che al luogo citato ci dà Monsignor Braschi. Volendo egli sostenere, che in quelle due statue venivano raffigurati Siface, e Giugurta re numidi fatti schiavi, e condotti in trionfo a Roma, era pur necessario, che desse una qualche idea di quella nazione, delle guerre, che avea dovuto sostenere coi Romani, e del carattere di tali prigionieri, per far vedere che nella persona di essi combinavano bene le circostanze de’ tempi, e tutto il contesto delle statue. Sarebbe desiderabile, che tutti quelli, che prendono ad illustrare qualche pezzo di antichità, il facessero collo stesso impegno, esattezza, e copia di erudizione, con cui scrisse questo anche in tante altre cose dottissimo Prelato. Se poi esse statue rappresentino veramente due re traci, come dice il nostro Autore; o due re numidi, come dice Monsignor Braschi, si vedrà meglio a suo luogo nel!’opera lib. XI. cap. I. §. 17.
  21. Traité de la Peint. Tom. iiI. prim. part. p. 275.
  22. Vedi la figura e la descrizione di questi tre pezzi antichi ne’ Monumenti antichi inediti, il primo nella P. iI. cap. 19. n. 137. p. 185., il secondo P. I. cap. 4. n. 16. p. 15., e il terzo ibid. cap. 3. §. 4. n. 11. p. 11. [Manilli, che ci ha data in lingua italiana la descrizione della villa Borghese nell’anno 1650., era guardarobba nel palazzo della medesima. Una tale definizione fu tradotta in latino, e inferita nel gran Thesaurus Antiquitatum, & Historiarum Italii. &c. tom. VIII. par. IV. In appresso molti altri hanno cercato d'illustrare, e rendere più celebri le rarità, e pregi di quella villa, come Montelatico, Leporeo, Brigenti, ed altri riportati dal signor Abate Gio. Cristofano Amaduzzi nella prefazione alli Monumenta Matthajorum n. IV., tom. I. pag. X. Da qualche anno, medianti le premure, le grandiose spese, e 1'esquisito gusto dell'Eccellentissimo Principe padrone si mette l’interno del palazzo al gusto moderno, si adorna di superbe pitture, e non solamente le statue, delle quali parla il nostro Aurore, ma le altre tutte saranno ristorate, e collocate in luogo più decente, e vistoso sopra basi dei più fini marmi, di maniera che ridotto a perfezione sorpasserà in dignità, e bellezza qualunque altro.
  23. Il P. Montfaucon ha pur viaggiato in Italia, e in Roma. Molti degli errori, ed abbagli da lui inseriti nel suo Diario italico, sono stati rilevati da Ficoroni in un tometto di osservazioni sopra il medesimo; al quale poi rispose, e con qualche ragione in varj punti, quel Benedettino, che ne scrisse l’apologia col finto nome di Riccobaldi.
  24. Ant. expliq. Suppl. Tom. I. livr. IV. ch. iI. n. V. pag. 137.
  25. Stat. ant. num. 13.
  26. Ant. expl. T. I sec. part. livr. IV. ch. I. n. IV. pag. 362.
  27. Ib. livr. I. ch. I. n. iI. pag. 199. [Lo dice il Montfaucon, ma aggiugne di avere poi comprata una piccola statua per il gabinetto della sua Badia, nella quale Ercole viene rappresentato in quella forma.
  28. V. Descr. des pierr. grav. cl. 2. sect. 16. n. 1706. p. 273.
  29. Miscell. erud. ant. sect. 2. art. 4. pag. 28
  30. Bartoli Admir. ant. Tab. 24.
  31. Fabretti de Columna Trajana cap. 7. pag. 225 V. Montf. Ant. expl. T. IV. par. I. livr. VI. ch. iiI, n. V. p. 79.
  32. Questo basso-rilievo esiste nel terzo ripiano delle scale del palazzo Mattei. Bartoli al luogo citato non lo porta; porta solamente le caccie di Trajano rappresentate nell’arco di Costantino. Può vedersi però nel P. Montfaucon Ant. expl. Tom. iiI. par. iI. pag. 329. plan. CLXXXIII. Si ha pure nelli Monum. Matthij. Tom. iiI. tab. 40. fig. 2. pag-77. ove il signor Ab. Amaduzzi, col rincontro principalmente del volto nelle medaglie, crede appartenga all’imperator Filippo, anzi che a Gallieno, come asserisce qui Winkelmann senza provarlo. Ha preso poi equivoco il lodato Amaduzzi nel dire, che Montfaucon l’attribuisce a Trajano, al quale soltanto attribuisce le suddette dell’arco di Costantino.
  33. Ibid. Tom. I. sec. par. livr. il. ch. VI. n. IV. p. 207
  34. Comm. hist. T. I. p. 206. [Credo che Tristan abbia equivocato nello scrivere. Non è Germanico, ma bensì una figura, che gli sta a destra, la quale pare veramente che abbia in mano come un volume. Simili sviste potevano perdorarsi, o almeno rilevarsi in altro tono, da Winkelmann singolarmente, cui non mancano di essere frequentissime. Chi non avesse le opere di Tristan, potrà vedere l’agata, disegnata a roverscio, e l’annessa spiegazione di questo scrittore, riporta dal Poleno nel supplemento alle antichità Romane di Grevio, Tomo iI. col. 378.
  35. Obser. made in Travels trough France pag. 265.
  36. Remarks, p. 241.
  37. Maff. Gemme, Tom. IV. pag. 96.
  38. A mosaico cioè, come avverte Ciampini al luogo citat, e l'istesso nostro Autore nel libro ultimo, capo iiI. § i. di quest'opera.
  39. Ciamp. Vet. Mon. Tom. il. tab. I. pag. 2.
  40. Signor Abate Bartolomeo Rossi in un Sonetto inserito nella raccolta de’ componimenti poetici fatta in occasione della festa celebrata dall’insigne Accademia del Disegno di s. Luca l'anno 1754. pag. 41.
  41. Maff. Scat. ant. num. 15.
  42. Polymetis dialog. 6. p. 46. not. 3.
  43. L’eccezione di esattezza presso a poco si può dare anche alla descrizione dei primi tre tomi del Museo Capitolino, e a quella, che l'Abate Venuti, antecessore del nostro Autore nella Prefettura delle Antichità di Roma, ci ha data delle statue della villa Mattei; quantunque sia stata in qualche maniera dall’eruditissimo signor Abate Gio. Cristofano Amaduzzi sopralodato migliorata, ed accresciuta. Speriamo, e andiamo vedendo in parte, che farà di molto miglior gusto, e perfezione quella, che del prezioso sovra ogn’altro Museo Pio-Clementino ci va dando il successore di Winkelmann e nella carica, e nella perizia delle cose antiche signor Abate Giambattista Visconti.
  44. Mus. Flor, Tom. iiI. tab. 5.
  45. Gori non vi trova cosa alcuna di particolare; ma la rileva, come si sogliono rilevare gli altri ornamenti delle statue.
  46. Di questa statua non solamente avverte Gori che la testa è nuova, ma che è nuovo tutto il resto, fuorchè il torace, al quale essendo state aggiunte tutte le altre membra fosse stata data la figura di un re frigio. Egli all'opposto, con qualche fondamento, crede potesse rappresentarvisi Atti sacerdote e amasio bellissimo della dea Cibele.
  47. Gori avverte che il capo lo ha restaurato.
  48. Non è un Satiro altrimenti, né Fauno; è un uomo vero; e Gori lo crede Ampelo.
  49. V. Mus. Florent. Tom. iiI, tabb. 10, 71. 80. 88. 32. 19. 47. 50.
  50. Nella prima traduzione francese, e in quella italiana di Milano qui si leggeva, corda egiziana, in vece di Tau egiziano, come dice Cupero nella prefazione alla citata esposizione dell’Apoteosi d’Omero, che può vedersi riportata anche nel citato tomo del supplemento di Poleno alle Antichità Romane, col. 1. Il cambio era troppo assurdo, e più assurdo di quello che fa Cupero. Huber, che lo rileva pure nella sua prefazione pag. XVIII., crede che il traduttor francese, e forse potrà dirsi lo stesso del milanese, se non ha ricopiato il primo senza badare al senso, abbia fatto uso del vocabolario tedesco, nel quale Tau, Tauwerk significa corda. Prima di Cuper avea creduto quello tripode un Tau il P. Kirchero, e dopo di lui Spanhemio, Heinsio, Gronovio, riportati da Schott nella sua nuova spiegazione della detta Apoteosi cap. 2., nello stesso tomo di Poleno col. 301. e segg. Egli poi nel capo 5. n. iiI. col. 338. e segg. a lungo prova essere veramente un tripode.
  51. Poteva farlo in altra maniera, e scrivendo con un poco più di giustezza e meno precipitosamente, come io suppongo, senza imputare agli scrittori delle cose, nelle quali non mancarono altrimenti, e neppure ebbero pel capo. Forse egli si era accorto di questi difetti, e perciò volea cancellata questa prefazione dalla ristampa, che ne preparava, come avvisano questi Editori.
  52. Sulzer, amico del nostro Autore, di cui si parla poco appresso, nella aua Theorie univers. des beaux Arts, en forme de Dictionnaire si è impegnato diffusamente a far vedere, che lo scopo delle belle arti, e in confeguenza anche l’Antiquaria, come qui si prende, non dev’essere il solo piacere di chi vi attende, e le professa, ma il ben pubblico principalmente. Due estratti di quest'opera ai nostro proposto si possono vedere nel Journal litteraire dedié au Roi, volume I. pag. 88., vol. I. pag. 136. a Berlin 1773.
  53. Le indigeste compilazioni di questi due scrittori dirette da spirito di libertinaggio, e di fanatismo non hanno mai potuto presso gli uomini saggi meritare a buon diritto la soverchia stima, che per una specie di moda fu loro già tributata da molti per lo passato. E come meritarla riguardo al primo, senza manifesta contradizione, in un tempo, nel quale, siccome abbiamo osservato nella prefazione al Tomo 1. parte 2. dello Studio Analitico della Religione del dotto Filosofo P. Falletti Canonico Regolare Lateranense, le cose alla filosofia, al naturale, civile, e politico diritto appartenenti voglionsi esaminate colla più pura, e profonda analisi razionale, e non più colle opinioni, e stravaganze dello Stoico, dell’Epicureo, del Celta, dell’Arabo, del Persiano, del Greco, dell'Americano barbaro errante, e che so io, comunque di esse ce se ne voglia formare un sistema, e darcene lo spirito? Noi non possiamo estenderci d’avvantaggio fu questo punto, e forse avremo campo di farlo più opportunamente nelle note agli altri volumi del lodato P. Falletti. Potrà vedersi intanto, da chi ne abbia piacere, ciò che tra gli altri hanno scritto con molto criterio, e lode contro Montesquieu il signor Abate Gauchat in varie lettere; e per Bruckero, Agatopisto Cromaziano, ossia il celebre P. Appiano Buonafede, nella Storia d’ogni filosofia.
  54. Laokoon oder über die Granzen der poesie und Malerey, Berlin 1766.
  55. Negli atti letterari, e in altri libri.
  56. Negli atti dell’Accademia tedesca di Gottinga, e nella Collezione d’Antiquaria ec.
  57. Nella Biblioteca Lipsense delle belle lettere.
  58. Ne fu traduttore Sellius, e riordinatore Robinet, autore dell’opera, de la Nature. Fu stampata l’anno 1766. in due volumi in 8. colla data di Parigi, e di Amsterdam.
  59. Questa nuova traduzione in lingua francese è stata finalmente mandata a luce dal signor Huber colle stampe di Lipsia in tre volumi in quarto l’anno 1781. Noi ne diamo conto più esatto nella nostra prefazione. Qui si può generalmente affermare, che non ha soddisfatto alla Repubblica letteraria, come si lusingava il traduttore.
  60. Cosi si usa nell’Ortografia tedesca.
  61. Riguardo al secondo vedi la nota 2. al §. 23. cap. iil. lib. X. Tomo iI.
  62. A questo non si perdonerà giammai lo sregolato modo di filosofare, e a Winkelmann la troppo affrettata, e negligentata maniera di scrivere, per cui anzi ha preso dei grossi abbagli, che io anderò rilevando.
  63. E così dovea farsi da uno, che voleva avere in mira l’utilità di chi legge, non dei privati riguardi.
  64. Il nostro Autore più e più volte cita la celebre Raccolta del Conte di Caylus; e anche noi avremo occasione di farne uso nel decorso di queste annotazioni.
  65. Quella sarebbe anzi grande, ove ciò si potesse eseguire da tutti quelli, che scrivono in materia d’Antiquaria. Il non avvertire in mano di chi sia passato, o dove si trovava prima quel tale monumento, fa grande confusione; perocché molte volte vi sono altre antichità uguali, o che uguali, o con poca diversità compariscono nei disegni, e non si fa, né si può sapere, se sia una sola, o diverse; quale la più antica, e la più stimata; e non si possono usar diligenze per rincontrarla, volendo. Io procurerò, per quanto mi sarà possibile, di avvertirlo, se i monumenti, de’ quali si tratta in quest’opera, avranno mutato luogo; come sopra alla p. XXVII. n.d. si è di già fatto notare del preteso Narciso.
  66. Pierres grav.pl. 1.
  67. Forse Thoms, come leggesi nel §. pen. c. 1. lib. XII. Tomo iI., trovandosi così scritto tal nome anche nella prima edizione, [ e nell’altra di lui opera intitolata Descript. des pierres &c. clas. pr. sect. 2. n. 47. pag. 1 . Essendomi informato io ho inteso che veramente si chiami Tompson. Questo cognome è noto alla Repubblica letteraria per li molti buoni scrittori, che lo portano.
  68. Alcuni di questi cangiamenti di luogo sono stati da noi indicati.
  69. Il signor Franke morto li 19. giugno 1775. non ha potuto mantener la parola. Una lunga vita, o piuttosto una lunga ferie di documenti per comporla, è stata premessa da Huber alla sua traduzione. Noi ne parliamo nella nostra prefazione; e qui ci conviene asserire, che in questo compendio, che ne danno gli Editori viennesi, e nell’annesso elogio del signor Heyne, c’è tutto il più sostanziale, e interessante; tranne alcune cose, che noi anderemo accennando. Le poche notizie intorno allo stesso soggetto inferite nell’Antologia Romana all’anno 1779. num. iI., non sono da valutarsi quasi niente, come piene di falsità, e di anacronismi.
  70. Alli 9. di dicembre. Cosi scrive Huber sul principio della vita pag. XXXVII., e lo dice figlio unico. Di fatti in Roma diceva di non aver più alcun parente. Dalla fede del battesimo, che si conserva fra i di lui manoscritti, costa che fosse battezzato nella chiesa di s. Pietro di Stendal alli 12. del detto mese dello stesso anno.
  71. Suo padre finché potè lavorare lo fece attendere allo studio, colla mira d’incamminarlo per lo stato ecclesiastico, per cui non ebbe mai alcuna inclinazione. Huber l. c. pag. XXXVIII.
  72. In Roma negli ultimi anni di sua Vita egli studiava anche l’araba.
  73. Lo dice anche Huber pag. XL.
  74. Commentò Erodoto, e tradusse degli antichi scrittori, come dice Huber l. c.
  75. Perchè vcdesse di procurargli qualche impiego da poter vivere, ma fu invano. Huber pag. XLI.
  76. Merita d’esser qui riferito ciò, che gli avvenne in quello ritorno, com'egli lo raccontava ai suoi amici, e come lo riporta Huber pag. XLI. Essendo arrivato sul ponte di Fulda, e trovandosi piuttosto male in arnese, pensò di rassettarsi un poco, e farsi la barba. Nell’atto, che si accodava alla faccia il rasojo, intese gridare altamente. Erano certe dame, che venivano in vettura dall’altra parte del ponte, le quali vedendo l’atteggiamento di Winkelmann, credettero che volesse tagliasi la gola. Giunte vicino a lui, fecero fermare la vettura, e gli dimandarone che cola voleva fare. Egli raccontò loro ingenuamente il cattivo successo della sua impresa, e lo stato, in cui lì trovava. Dopo avere appagata la loro curiosità, esse lo pregarono di voler accettare qualche denaro per poter continuare più agiatamente il suo viaggio.
  77. In abito di pellegrino, per contemplare le famose rovine di quel paese. Huber l. c.
  78. È celebre la di lui Storia dell' Impero, da cui prese occasione Winkelmann di raccomandarsegli, come ora diremo.
  79. Incorporata alla biblioteca Elettorale. Huber pag. XLIV.
  80. Ne lo richiese l’istesso Winkelmann, ridotto quasi alla disperazione di poter trovar mezzi di continuare i suoi studj; e si contentava di farvi da copista, come si legge nella lettera, che gli scrisse a questo effetto da Seehausen li 16. giugno 1748., portata da Huber l.c .pag. XLV. Due risposte del conte una in francese, l’altra in tedesco si conservano nella biblioteca Albani. Se ne rileva, che gli desse intorno a 50. scudi di quella moneta all’anno.
  81. Così facessero generalmente tutti quelli, che scrivono anche in materie fuori delle Teologiche! I Giureconsulti, gli Storici, i Mitologi vi troverebbero un fondo inesausto delle più utili cognizioni; e Giacomo Gottofredo nei suoi commentari a' Codice Teodosiano ce ne persuaderà facilmente. La lettura n'è anche più amena di quello si crede il volgo mal prevenuto.
  82. Lo affermava egli medesimo, e che s. Gio. Crisostomo gliene avea dato il più forte impulso. Paalzou nella informe storia, che scrisse della vita del nostro Autore, attribuisce anzi la di lui conversione alla lettura dei libri degli scrittori gentili: motivo sognato, e meritamente deriso da Huber nella sua prefazione pag. XXIX. Questi poi, nella vita da lui scritta, pag. XLIX., la vuole piuttosto effetto di convenienza, e di fini umani: Il che dalla lettera di Winkelmann al conte di Bunau, alla quale si appoggia il signor Huber, non lo come si possa cavare ragionevolmente. Rilevo dall’attestato di monlignor nunzio Archinto, che li trova fra i di lui manoscritti, che abjurasse nel giorno 11. di giugno 1774. in Dresda.
  83. A riguardo dell'amicizia tra il nostro Autore, e quello valente Professore, noi abbiamo messo in fronte di questa nostra edizione il rame inciso sul disegno fatto da lui, e già inserito nella suddetta traduzione francese fatta in Lipsia dal signor Huber. La descrizione del medesimo si darà colla descrizione degli altri rami in fine dell’opera.
  84. Huber lo chiama sempre Rauch, pag. XLIX., LIK., LXIX., e cosi Winkelmann parimenti nella citata lettera al conte di Bunau pag. I., e nell’avvertimento premesso alle sue Osservaioni sull’Architettura degli Antichi, riportato in questa parte l. c. pag. LXXXIII.
  85. Lo fece suo bibliotecario, e inspettore delle sue antichità; e gli dava, oltre l'abitazione, per questi, ed altri riguardi, centosessanta scudi all’anno; come attesta lo stesso Winkelmann in due lettere a Frauke, riportate da Huber pag. LXIX., e LXXI. Tra gli altri più impegnati di lui protettori merita special menzione il sig. cardinale Gian Francesco Stoppani, il quale gli passava cento feudi all’anno. Winkelmann era arrivato a sperare che se fosse stato fatto Papa, gli avrebbe pagate tutte le spese per lo scavo di Olimpia, di cui si parlerà qui appresso not. 1., come asserisce nella stessa lettera, che ivi si citerà.
  86. Il signor cardinale Alessandro avea molte cognizioni in queste materie, come in tante altre; e con qualche ragione Winkellmann in una lettera allo stesso Franke l. c. pag. LXIX. lo chiama il capo di tutti gli antiquarj. Ai di lui consigli, e lumi molto egli doveva per la descrizione di più pezzi del Museo di Stosch, come si legge nella dedica della medesima allo stesso cardinale fatta dal signor Filippo Stosch, nipote dell’autore del Museo, e ce ne assicura anche Huber pag. LXXX.: e quanto ai Monumenti antichi egli confessa coll’ingenuità sua propria nella lettera dedicatoria allo stesso porporato, che poteva dirsi un’opera comune per le tante notizie, che gli avea suggerite, e per essere stata limata sotto i suoi occhi.
  87. Winkelmann pensava a descriverne tutti gli antichi monumenti, e rileviamo da una sua lettera, che già a quest’opera avesse dato mano, sebbene la riputasse lavoro di molti anni.
  88. Lo stesso si dica degli altri di lui casini di delizia a Castel Gandolfo, e a Nettuno. Di tutto questo ce ne fa fede lo stesso Winkelmann nelle citate lettere al signor Franke; e in una di esse scritta dal detto casino di Castel Gandolfo l. c. pag. LXXI. scrive: Il cardinale vorrebbe potermi far godere le delizie del paradiso.
  89. La prima opera composta, e data alla luce da Winkelmann in Italia, fu la Descrizione delle gemme incise de! Museo Stoschiano, stampata in Firenze 1760. in 4. L’anno seguente pubblicò in Lipsia le sue Osservazioni su l’Architettura degli antichi, e dopo di questa, essendo stato in Napoli, scrisse, e mandò a stampare in Dresda nel 1762. in 4. la sua Lettera al signor conte di Bruhl sulle scoperte d’Ercolano, di cui ebbe poi a pentirsi molto per avervi parlato senza risguardo del colonnello, e capo del corpo degli ingegneri signor Rocco Gioacchino Alcubierre; come egli scrive in una lettera presso Huber pag. LXXXIX. Altra lettera pubblicò parimente in Dresda nella stessa lingua, e sullo stesso argomento nel 1764. in 4.
  90. Huber nella vita dell’Autore dà un minuto catalogo, e dettaglio di tutte le di lui opere.
  91. Egli meditava di visitare la Sicilia, e la Magna-Grecia, ma non potè ciò mai eseguire: onde parlando de' monumenti ivi esistenti dovè riportarsi alle altrui relazioni. Fra queste una ve n’è del ch. sig. bar. di Riedesel, ora ministro plenipotenziario di S. M. Prussiana presso l'Imperial Corte di Vienna, intitolata: Viaggio in Sicilia, e nella Magna-Grecia, indirizzato dall’Autore al suo amico ii signor Winkelmann. La traduzione francese di quest’opera è stata stampata in Losanna 1773. [Voleva andare anche nell’altra Grecia, e stette molto a risolvere se dovea preferire questo viaggio a quello di Germania, del quale si parlerà poco appresso. Per questo si determinò finalmente sulla speranza di trovare colà degli amatori delle belle arti, che potessero contribuire alle spese necessarie per tentare con cento lavoratori uno scavo nello Stadio d’Olimpia. Cosi egli scriveva al signor Heyne nel mese di gennajo 1768., in lettera riferita da Huber alla pag. CXXVI. Sento che avesse già da qualche tempo prima avute da diversi sovrani, e persone potenti delle esibizioni di molte migliaja di scudi per questo effetto. La spesa in fatti sarebbe stata grandissima per il numero de’ cavatori, della gente, che in gran numero lo avrebbe accompagnato, dei cento giannizzeri, che lo avrebbero difeso, e per li attrezzi necessarj.
  92. In Roma non c’è quest’Accademia d’Antiquaria, pubblica; e il Presidente delle Antichità lo elegge il Sommo Pontefice. Huber alla pag. LXXXI. sovracitata non intendendo, o non badando ai termini usati da Winkelmann in una lettera, lo fa Presidente delle Antichità del Vaticano; carica che non esiste. Parla il nostro Autore dell’impiego di Scrittore nella biblioteca Vaticana, che ottenne alli 5. del mese di settembre dell’anno 1765. per mezzo del lodato card. Albani, che ne era il gran bibliotecario, e poi rinunziò un anno prima di morire, per essere più libero. In un’altra lettera del signor d’Erdmannsdorf riportata anche da Huber p. CXL., vien detto Presidente delle Antichità del Campidoglio; ma il Custode del Museo Capitolino, che cosi li chiama, l;a una carica affatto diversa, e ristretta al medesimo. Winkelmann ebbe la carica di Presidente, o Prefetto, che è lo stesso, delle Antichità li 11, aprile 1763.
  93. Era socio dell’Accademia di Cortona, di quella di Gottinga, e della Società Reale Antiquaria di Londra.
  94. Non solo questa, ma anche le altre opere, fuorché la Descrizione delle gemme incise del Museo Stoschiano, e i Monumenti antichi inediti, furono scritte da Winkelmann in lingua tedesca, essendo quella, in cui propriamente sapeva scrivere, come pare ch’egli confessi nella prefazione al citato Museo di Stosch pag. XXVIII., e in una lettera al sgnor Ferronce, di cui si parlerà in appresso; e perciò doveva mandarle in Germania, affinchè colà fossero stampate, e lette con piacere da più persone. In una lettera dei 10. luglio 1761. al sig. Bianconi tra i suoi manoscritti nella biblioteca dell’eccellent. casa Albani, dice che sperava di far imprimere in Zurigo la sua Storia dell’Arte; ma poi mutato pensiere la mandò in Dresda.
  95. Anmerkunghen uber die Geschichte der Kunst des Alterthums; cioè: Osservazioni sulla Storia dell’Arte presso gli antichi. Dresda 1767. in 4.
  96. Anche a noi fa meraviglia, come al signor Huber pag. LXXX., che tanto abbia potuto scrivere il nostro Autore in così pochi anni che stette in Roma; considerando la moltiplicità delle relazioni, che aveva in essa, e fuori; e quindi il carteggio non indifferente; le distrazioni dei varj suoi impieghi, e il tempo, che perdeva coi principi, ed altri forestieri d’alto rango, giacché per altri non si voleva incomodare, per far loro da antiquario. Questo prova, che l’attività del suo spirito era grande.
  97. E molti, che già erano stati pubblicati, per illustrarli in una nuova maniera, come avvisa nella sua prefazione. Di alcuni, veramente con troppa franchezza, affermò essere inediti; in quella guisa che lo hanno pure creduto di altri, e lo credono alla giornata non pochi antiquarj, che non possono veder tutto, e tutto leggere. Di questa franchezza, o se vogliam dirla buona fede, di Winkelmann, ce ne ha dato una prova monsignor Foggini nel quarto volume del Museo Capitolino pag. 67. tav. 16., ove osserva che l'Archigallo, di cui egli dà il rame al num. 8. di questi Monumenti, come non ancor pubblicato, era già stato illustrato da monsignor Giorgi in una dissertazione stampata in Roma nel 1717., ripetuta dal Muratori nel nuovo suo tesoro delle iscrizioni Tom. I. pag. CCVII., come si vedrà meglio nell’Opera lib. IV. cap. iI. §. 31. Lo stesso monsignor Foggini se loda bene spesso nel detto volume le esposizioni di Winkelmann, ha trovato anche più volte materia da riprendervi.
  98. Quell’opera e pregevole per la profonda erudizione dell’Autore nello spiegare i monumenti antichi, che sinora erano stati sconosciuti, o mal’intesi. La prima parte contiene le tavole in rame, alle quali è premesso un Trattato preliminare, che altro non è che un lungo estratto della Storia delle Anrti del Disegno. La seconda contiene le spiegazioni de’ monumenti medesimi, delle quali parecchie ne ha inserito l’Autore in questa Storia. Quell’opera sarebbe ancor più pregevole se l’Autore non l’avesse fcritta in una lingua a lui straniera. [ Scrivendo in ella a vantaggio degl’italiani principalmente, come lo avverte anche Huber alla pag. CX., dovea scriverla in nostra lingua. Egli la sapeva, ma non tanto da scrivervi un’opera di tanta importanza. Però la distese come seppe il meglio; e per correggerla fsi raccomandò a varj amici, e tra gli altri all’abate Pirmei toscano, di cui ebbe perciò memoria in sua morte, come si vedrà in appresso, il quale la ridusse al suo stile, che appunto è quello, in cui ora la leggiamo.
  99. Conoscendo l’Autore, che scriveva quell’opera in una lingua, che non era la sua, protestò nella citata prefazione alla medesima pag. XXVIIII., che in essa aveva scritto per condiscendere alle premure altrui.
  100. Alcune delle figure destinate alla terza parte de' Monumenti pubblichiamo noi in questa edizione, essendocene stati generosamente mandati i disegni da Sua Eminenza il sig. card. Alessandro Albani, cavati dal vero da quelle antiche opere che ha nella famosa sua villa.
  101. (a) Non furono i soli rami dei Monumenti antichi, che cagionarono questa disputa, ma l’opera tutta, e due rami inseriti dall’Autore nella prima edizione di questa Storia, e imprudentemente ripetuti nella edizione di Milano. Il signor Huber nella prefazione alla sua traduzione pag. XXVII. si é altamente lagnato di una tale ripetizione, e l’ha attribuita ad uno spirito di malignità, e d’invidia nazionale, quando poteva capire dalle parole degli Editori nell’ultima pagina della loro edizione, che era un mero effetto dell’aver ignorato una tale controversia: ignoranza, a dir vero, poco scusabile; poiché non solo Winkelmann avea cassato i due rami colla di loro esposizione dalla nuova ristampa, che preparava, come essi Editori confessano, e avea fatto dianzi emendare la traduzione francese di Parigi; ma si era molto parlato di questa controversia nella gazzetta letteraria di Gottinga al num. 14.. febr. 1766. in favore di Winkelmann; e in quella di Halla num. 85. ottobre 1766. piuttosto in favore di Casanova; ed era notissima in Roma, e in tanti altri luoghi. Dovendo quindi anch’io togliere e i due rami (ai quali verranno surrogati altri), e la loro esposizione riportata dai Monaci al luogo citato, stimo dovere per mia giustificazione d’inserire qui la narrazione di tale intrigo, come la fa Huber alla pag. CXIII., e una lettera dell’Autore ivi riferita „I Monumenti antichi inediti diedero occasione a gravi disgusti tra Winkelmann, ed il signor Casanova, che ne avea fatto i disegni. Questo artista, allievo di Mengs, credette aver motivo di lagrarsi di Winkelmann, che lo chiama suo amico, e ne parla con lode in più luoghi delle sue lettere. Questi due uomini differenti tra di loro per carattere, e per sentimenti non erano fatti per terminare la contesa, che regna dopo tanto tempo tra i letterati, e gli artisti, sopra domande reciproche, cui essi sono così poco disposti a soddisfare, perchè non sanno intendersi. Siccome eglino si vedean quasi tutti i giorni in casa del signor Mengs, ebbero spesso delle forti controversie sopra punti relativi alle arti, e alle antichità. Checché ne sia stato, il signor Casanova risolvette di vendicarsi di Winkelmann, e lo attaccò per la parte la più sensibile, rendendo sospetta quella finezza di tatto, di cui egli tanto si pregiava. Fece pertanto alcuni quadri, ne’ quali imitò perfettamente il gusto delle pitture d’Ercolano. Fu avvertito Winkelmann sotto mano, che si erano fatte in materie di pittura delle importanti scoperte. Dopo che fu eccitata la di lui curiosità su queste pretese anticaglie, furongli fatte vedere con dell’arcano, e vantate come capi d’opera dell’arte. Gliene fu raccontata la storia, dicendogli che erano state scoperte vicino a Roma da un gentiluomo francese, il cavaliere di Diel, nativo di Marsilly in Normandia primo luogotenente delle guardie dei granatieri del re di Francia. Winkelmann, che desiderava di avere intorno ad esse delle notizie più precise, cercò di abboccarsi con quello, che le possedeva; ma egli intese per l’istesso mezzo che il cavaliere di Diel era morto in Roma all’improviso nel mese di agosto 1761. senza averne data nessuna relazione. Così, punto non dubitandone, diede nella pania, e fece di queste pitture una descrizione enfatica, che inferì nella Storia dell’Arte. Appena questa comparve alla pubblica luce il sig. Casanova si dichiarò l’autore di questi pretesi capi d’opera. In una lettera in data dei 4. gennajo 176?. Winkelmann ne scrisse al signor Heyne, e lo pregò di rendere pubblica la sua dichiarazione. Io sono stato, dic’egli, crudelmente ingannato da un uomo, che potea vantarli di essermi stato amico. Colmi nel tempo che io aveva in lui la più grande fiducia, m’ ha date delle notizie false intorno de’ quadri, che m’ha spacciati per antichi, ed erano di sua invenzione. Dopo di avermi in tal maniera ingannato, me ne ha fatto i disegni, due de’ quali sono incisi, e si trovano inseriti nella mia Storia dell’Arte. Io non ho avvertita questa impostura che dopo la sua partenza da Roma, e non ho trovato finora un’occasione opportuna di farne inteso il pubblico. Se non si fosse dovuto differire di fare una nuova edizione di quell’Opera, notabilmente accresciuta, e per la quale già tengo pronti i materiali, avrei profittato di questa occasione per confessare sinceramente il mio abbaglio. Ma siccome io sento che sia per esserne pubblicata una traduzione francese in Parigi, e se ne prepara una inglese in Londra, io mi sono creduto in dovere di dar fuori questa dichiarazione ec. „.
  102. Mi viene accertato, che il detto signor cardinale Alessandro dopo la morte di Winkelmann inviasse alla Corte Imperiale di Vienna una di lui opera in lingua tedesca, manoscritta, che dalla medesima Corte gli era stata richiesta. Dubito che possa esser quella, di cui si parla in questo luogo, che io non ho potuto trovare fra gli altri di lui manoscritti.
  103. Huber alla pag. CXII. parla di quest'opera dell’Autore, e dice di averla veduta, ma che altro non contenga, che un’estratto del trattato di Giunio sulla pittura degli antichi.
  104. La volea far tradurre in Berlino, ma poi la voleva dare alle stampe in Roma, e a sue spese, come scriveva al signor Heyne nella citata lettera del mese di gennajo 1768. presso Huber pag. CXXVI.
  105. Dice Huber pag. LXXII., che fosse invitato con delle vantaggiose proposizioni a stabilirsi nelle dette città, e a Brunsvic, a Hannover; ma che molto maggiore strepito facesse l’assegnamento di una pensione di mille scudi, che il re di Prussia, col quale avea frequente carteggio, gli fece esibire col mezzo del signor Nicolai per attirarlo a Berlino. Egli le rifiutò tutte ben persuaso che non poteva con tutti i denari comprare altrove la libertà, e gli altri comodi, che godeva in Roma.
  106. La prima edizione però della Storia presente fatta in lingua tedesca fu ricevuta nella Germania con più freddezza, e indifferenza, di quello si aspettava l’Autore, che poi ne fece alte doglianze, fino a chiamarla patria ingrata, e a pentirsi di avere stampata l’opera in quel linguaggio. Huber p. XXV. e XVI. Ciò forse suppongono questi Editori.
  107. Gli fu compagno in quello viaggio il signor cavaliere Cavaceppi, e ne scrisse il diario fino al tempo che stettero insieme in Vienna, premesso poi all’opera da lui pubblicata in Roma l’anno appresso 1769., col titolo: Raccolta d’antiche Statue, Busti, Teste incognite, ed altre Sculture antiche scelte, restaurate da Bartolomeo Cavacceppi, Scultore Romano; e riportato in lingua francese da Huber alla pag. CXXVII., e fegg.
  108. La ragione principale, che si rileva dal suddetto diario, e da una lettera dello stesso Winkelmann, presso Huber l. c. p. CXXXI., e da altre scritte a Roma, in una tetra malinconia, da cui fu sorpreso appena arrivato alle montagne del Tirolo. Non potè mai sollevarsene per quanto egli vi si sforzasse, e per quanto vi s'interessassero il signor Cavaceppi, i1 signor Principe di Kaunitz, ed altri signori di Vienna. V'è chi crede che avesse anche timore di esser necessitato a restare in Germania.
  109. Era ben considerevole, sorpassando centinaja di zecchini, quasi tutti ricavati dai molti esemplari dei Monumenti antichi da lui venduti in questo viaggio. Avea parimenti de’ molti regali di valore, che gli erano stati fatti, e altri, che dovea portare in Roma a persone riguardevoli.
  110. Tutto ciò, che riguarda la persona di Arcangeli, si racconta in altra maniera da chi ne è al giorno. Poiché non interessa punto la Storia di Winkelmann, io lo lascierò come qui sta.
  111. Questo tratto si riferisce un poco diversamente da Huber alla pag. CXXXV. Dice, che Winkelmann s’inginocchiò per aprire la valigia, e in quel tempo pian piano gli si accollò per dietro l’assassino, e cavato di saccoccia un pezzo di corda a modo di laccio, glielo gettò al collo per istrozzarlo. Per buona forte il laccio si fermò sul mento; e Winkelmann riscossosi con forza con una mano il prese, e tenne fotte, benché l’assassino gliela battesse più volte col coltello micidiale e con l’altra si difendeva. I fogli pubblici di quel tempo convengono nella circostanza del laccio, siccome ne convengono molti amici di Winkelmann da me interpellati, i quali per altro aggiungono aver inteso da persone informate di Trieste, e dai processi, ch’egli stesse sedendo al tavolino, quando Arcangeli gli gettò il laccio al collo. 11 signor d Erdmannsdorf nella lettera sovra citata, pag. CXLII. dice di aver inteso, che costui confessò d’aver avuto intenzione di assassinarlo il giorno avanti, e che era già sul punto di gettarsegli addosso; ma che Winkelmann lo aveva invitato con tanta buona grazia a mangiar con lui, che gli tolse il coraggio di andar più avanti nell’attentato fino al giorno appresso. Ingratissimo al suo benefattore si fervi del denaro datogli in dono per comprarne i fatali strumenti della sua scelleratezza.
  112. Huber alla cit. pag. CXXXV. scrive, trecento cinquanta 5 e tanto è difatti.
  113. Pirmei, di cui sopra alla pag. lij. nota i. si è fatta menzione.
  114. Antologia Romana 1782. Tomo VIII. num. XXVIII.
  115. Sul gesso di questo abbiamo fatta incidere la piccola testa nella tavola in rame aggiunta al frontespizio di questo primo volume, e quella che verrà premessa qui appresso all’elogio fatto dal sig. Heyne.