Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. I)/Libro quinto - Capo VI

Libro quinto - Capo VI

../Libro quinto - Capo V ../Libro sesto - Capo I IncludiIntestazione 4 marzo 2015 75% Storia dell'arte

Libro quinto - Capo V Libro sesto - Capo I
[p. 381 modifica]

C a p o   VI.


Bellezza considerata nelle altre parti del corpo umano — Estremità ~ Mani... gambe... piedi — Superficie del corpo — Petto nelle figure virili ... e nelle femminili — Ventre — Degli animali — Osservazioni generali.

Bellezza considerata nelle altre parti del corpo umano. La bellezza delle forme per le altre parti del corpo era pure nelle opere degli antichi scultori uniformemente determinata, si nelle estremità, quali sono le mani e i piedi, che in tutta eziandio la superficie. Plutarco al suo solito pare che si mostri assai poco intelligente delle arti, quando afferisce che gli artisti del solo volto solleciti le altre parti della figura poco curavano1.

Estremità. §. 1. Gli estremi sono difficili nelle arti del disegno, come in morale; in questa, perchè confinano col vizio; e in quelle, perchè una somma abilità esigono ed una ben chiara idea dei bello. Ma il barbaro furor degli uomini pochi piedi ci ha lasciati e più poche mani ancora.

[p. 382 modifica] Mani... §. 2. La beltà d’una mano giovanile nelle antiche sculture consiste in una moderata pienezza, con tratti appena sensibili, e simili a dolci ombreggiamenti, nei nodi delle dita, ove formansi delle fossette. Le dita sono fusellate con una gentile e regolar diminuzione, come ben formate colonne: non v’è indicata la piegatura de’ nodi, né l’ultima articolazione curvali innanzi, qual si vede generalmente nelle moderne statue, ove anche le ugne sogliono essere soverchiamente lunghe. I poeti chiamano belle le mani di Pallade2, e belle pur le mani di Policleto3, artista nelle cui opere ammiravasi principalmente la bellezza di questa parte del corpo. Alcune belle mani antiche si sono fino a noi conservate: fra le virili una ne ha quel figlio di Niobe che sta per terra disteso, ed un’altra un Mercurio che abbraccia Erse, nel giardino dietro al palazzo Farnese: fra le femminili una ne è rimasta all’Ermafrodito della villa Borghese, ed amendue, il che è rarissimo, alla mentovata figura di Erse4.

...gambe... §. 3. L’Apollo Sauroctono (uccisor di lucerte) nella villa Borghese, l’Apollo con un cigno ai piedi, e Bacco nella villa Medici sono senza dubbio fra le antiche statue [p. 383 modifica]quelle che hanno più ben fatte ginocchia e gambe. Tali figure, prese dalla bella natura, e grasse anziché no, hanno l’osso del ginocchio, la caviglia, e le cartilagini appena sensibili, cosicchè il ginocchio forma dalla coscia alla gamba un rialzamento dolce ed uniforme, e non già da alti e bassi interrotto. Né sembri qui soverchia quella osservazione sulle ginocchia giovanili: direbbesi, al vedere le opere de’ moderni scultori, che loro sia stato proibito di formar figure in tal età; poiché ve n’ha ben pochi, se pur ve n’ha alcuno, che abbia in questa parte studiata ed imitata la bella natura. Parlo qui principalmente delle figure virili, poiché riguardo alle femminili, siccome rare sono nella natura le donne che abbiano ben fatte le ginocchia, cosi più rare sono nell’arte, o delle pitture si parli o delle statue: nè oserei proporre per modello le figure stesse di Raffaello, de’ Caracci, o de’ loro scolari. Il bell’Apollo del signor Mengs nella villa Albani servir potrà di modello. La bella Teti della stessa villa, che verrà da me descritta in appresso, è di tutte le figure muliebri in Roma quella che ha più belle gambe.

...piedi. §. 4. Tanto più bella era presso gli antichi la forma de’ piedi e delle ginocchia, quanto meno gli strigneano, o comprimevanli; sebbene altronde più caso essi facessero d’un bel piede, che non facciam noi, siccome appare dalle particolari osservazioni de’ filosofi, e dalle immaginarie conseguenze che ne traevano relativamente alle inclinazioni dell’animo5. Indi è che nella descrizione delle belle persone, come di Polissena6 e d’Aspasia7, si parla de’ loro bei piedi; e per la stessa ragione la storia rammenta i deformi piedi dell’imperatore Domiziano8. Le ugne non sono nei piedi delle antiche statue così curve, come nelle moderne.

[p. 384 modifica] Superficie del corpo. §. 5. Dopo d’aver esaminata la bellezza delle estremità, la considereremo anche nella superficie, e principalmente nel superficie del petto e nel ventre.

Petto nelle figure virili... §. 6. E’ bello nelle figure virili un petto che maestoso si sollevi; e tale è presso Omero il petto di Nettuno, e quello d’Agamennone: né diverso il voleva Anacreonte nell’effigie del suo Batillo9.

...e nelle femminili. §. 7. Ne’ monumenti dell’arte le mammelle delle figure femminili non sono mai soverchiamente ampie e rilevate, e se Banier10, nel descrivere il simulacro di Cerere, dice che venia rappresentata con ampio seno, o egli è stato mal informato, o ha presa una qualche Cerere moderna per antico lavoro. La forma del petto nelle figure divine è simile al verginale, che per esser bello aver deve una moderata pienezza; onde usavano le greche fanciulle di spargere sulle mammelle certa pietra dell’isola di Nasso polverizzata, per impedire che non crescessero soverchiamente11. I poeti paragonavano tal seno a un grappolo d’uva immaturo12; e ’l moderato suo rialzamento nelle Ninfe vien da Valerio Flacco indicato colla voce obscura, ove dice:

Crinis ad obscura decurrens cingula mammæ13.


In alcune figure di Venere, di grandezza inferiore alla naturale, le mammelle sollevansi come due mucchietti che vanno a terminare in una punta; e quella forse fi è creduta la forma, più bella che loro dar si potesse. Che se nella Diana Efesina le mammelle non solo grandissime erano e pienissime, ma erano eziandio moltiplicate, dobbiamo credere che [p. 385 modifica]l’artista abbia in ciò avuto di mira qualche simbolica significazione, anziché la beltà del seno14. Tra le figure ideali le sole Amazzoni hanno ampie e piene mammelle, e n’è per sin visibile il capezzolo, poiché non come vergini esse sono rappresentate, ma come donne.

§. 8. Il capezzolo diffatti non è mai visibile sulle mammelle delle vergini, né delle dee, almeno in marmo: nelle pitture stesse non se gli dovrebbe dare nessun risalto, tale appunto essendo naturalmente la forma delle mammelle nelle intatte fanciulle. Se per tanto i capezzoli veggonsi pienamente espressi nella pretesa Venere di grandezza naturale fu un’antica pittura del palazzo Barberini15, io mi credo autorizzato a conchiudere che né Venere né altra dea siasi colà voluta rappresentare. Quindi fon da riprendersi alcuni de’ più celebri moderni artisti, e fra gli altri il Domenichino che, in una pittura a fresco sulla volta d’una camera del palazzo Costaguti a Roma, ha rappresentata la Verità con tali poppe, che più ampie e più rilevate non le ha una donna dopo d’aver allattati molti parti. Niuno ha meglio espressa che Andrea del Sarto la forma d’un bel seno virginale, e principalmente in una mezza figura nel museo dello scultore Cavaceppi, la quale ha de’ fiori intorno al capo, ed altri ne tiene in mano.

ventre. §. 9. Il ventre nelle figure virili è simile a quello d’un uomo sano dopo un dolce sonno e una buona digestione, cioè senza pienezza, e quale i naturalisti lo considerano [p. 386 modifica]come indizio di lunga vita16: profondo è l’umbilico, principalmente nelle figure di donna17, ove talora ha la forma d’un semicircolo, mezzo rialzato e mezzo incavato. Questa parte non è certamente la più ben fatta sulla Venere de’ Medici, essendone l’umbilico soverchiamente largo e profondo.

§. 10. Han pure la loro bellezza le parti sessuali dell’uomo; il sinistro testicolo è più grosso, qual suol essere anche in natura; così è stato osservato che nell’occhio sinistro più acuta è la vista, che nel destro18. Ove però su alcune figure d’Apollo e di Bacco pare che i genitali sieno stati ad arte scavati fuori, essendovi in loro luogo una cavità, non dobbiam già credere che sia questa l’opera d’uno scarpello scrupoloso fuor di proposito, ma dobbiamo a tal mancanza attribuir piuttosto un senso misterioso. Diffatti Bacco da alcuni è stato cangiato in Ati, e al par di questi privato de’ genitali19: e siccome altresì Apollo è stato venerato nell’immagine di Bacco20, potrebbe tal mutilamento avere la stessa significazione nelle figure Apollinee21. Lascio poi all’indagatore della bellezza il rovescio della medaglia, e il fare delle particolari osservazioni su quelle parti, che il pittore di Anacreonte rappresentar non poteva sull’immagine dell’amica di quel poeta.

Degli animali. §. 11.. Dal disegno delle figure umane presso i greci scultori passeremo a quello degli animali. In Grecia gli artisti [p. 387 modifica]studiarono al par de’ filosofi la natura e le proprietà de’ bruti; e diversi maestri in questa parte principalmente si distinsero: Calamide fu valente nel far cavalli22, e Nicia ne’ cani23: la vacca di Mirone è la più rinomata delle sue opere, e fu celebrata da molti poeti24: vantavasi pur un cane dell’artista medesimo, e un vitello di Menecmo25. Leggiamo eziandio che talora imitavano dal naturale le bestie feroci: così Pasitele, dovendo rappresentare un leone, avealo vivo sotto gli occhi26.

§. 12. Bellissimi leoni e cavalli di antico lavoro si sono fino a noi conservatisi, sì in istatue e in bassi-rilievi, che su medaglie e gemme. Il leone sedente di grandezza più che naturale in marmo bianco, il quale stava altre volte sul porto di Pireo in Atene, ed or è posto all’ingresso dell’arsenale di Venezia, dee senza dubbio annoverarsi fra i più pregevoli monumenti dell’arte. Il leone in piedi del palazzo Barberini, che è pur di grandezza più che naturale, e fu cavato da un sepolcro, ben presenta il re degli animali in tutta la sua terribile maestà. Bellissimi sono, sì pel disegno che pel conio, i leoni sulle monete della città di Velia27. Coloro però, i quali ebbero più d’una volta occasione di ben esaminare de’ leoni naturali, assicurano che nelle antiche [p. 388 modifica]figure di quella fiera v’ha un non so che d’ideale, per cui ben diverse sono dai leoni viventi.

§. 13. Nell’effigiare i cavalli non sono stati certamente gli antichi superati da’ moderni, chechè pretenda Du Bos28, fondandosi sull’essere i cavalli inglesi più belli dei greci e degl’italiani. Egli è certo che in Inghilterra, come nel regno di Napoli, accoppiandosi le cavalle nazionali cogli stalloni spagnuoli, se ne ottengono ottimi pulledri, e si migliorano così le razze. Ciò stendesi pur ad altri paesi, ma in altri avviene il contrario, e le razze vi si alterano. A’ tempi di Cesare cattivi erano i cavalli tedeschi, che or sono assai buoni; e per l’opposto molto pregiavansi quelli delle Gallie, che or vengono riputati li peggiori d’Europa. E’ vero che gli antichi non conosceano i bei cavalli danesi, né gl’inglesi, ma avean essi le migliori razze de’ cavalli cappadoci, epiroti, persiani, achei, tessali, siciliani, tirreni, celti, e ispani; onde con ragione dice Ippia pressob Platone: noi possediamo la più bella specie di cavalli29. Così s’inganna il summentovato scrittore, quando sostener vuole la sua opinione con notare alcuni difetti del cavallo di M. Aurelio, e di quei di Monte Cavallo: riguardo a questi, ciò che v’ha d’antico, non è punto difettoso; e i difetti del primo non all’artista attribuir si denno, ma all’essere stata quella statua equestre lungo tempo rovesciata e sepolta.

§. 14. Quando anche fra i monumenti dell’arte non si fossero serbati altri cavalli, fuorché i summentovati; ciò non ostante, siccome gli antichi hanno fatto un numero molto maggiore, che non i moderni, di statue equestri, o poste a canto ai cavalli, dobbiamo credere che le proprietà d’un bel destriere note fossero a que’ maestri, come lo erano agli [p. 389 modifica]scrittori e poeti loro; e tanta cognizione avesse Calamide dei pregi d’un cavallo, quanta mostrarne seppero Orazio e Virgilio. I due cavalli posti sul Quirinale a Roma, e i quattro cavalli di bronzo sul portale della chiesa di san Marco a Venezia sono, a mio parere, quello che veder si può di più bello nel loro genere. Non v’è in natura una testa di cavallo più bella e più spiritosa che quella del cavallo di M. Aurelio. Belli erano i sei cavalli di bronzo, che stavano nel teatro d’Ercolano, sebbene piccoli e snelli, quali sono i cavalli barbari. De’ rottami di que’ cavalli ne è stato combinato uno intero, e posto nel cortile del museo reale a Portici30, ove son pur due altri piccoli cavalli di bronzo, che possono annoverarsi tra i più bei monumenti di quella collezione: il primo col suo cavaliere fu trovato nel maggio del 1761. nelle ruine d’Ercolano31; ma le gambe mancavano sì ai cavallo che al cavaliere, e a questo mancava pure il braccio destro: se n’è altresì trovata la base con fregi d’argento. Il cavallo è lungo due palmi napolitani rappresentato in atto di galoppare, e attaccato al timone d’un cocchio32; ha d’argento gli occhi, e dello stesso metallo ha una rosa attaccata alla briglia sulla fronte, ed una testa di medusa fui pettorale: la briglia è di rame. La figura del cavaliere, che ha della somiglianza con Alessandro il Grande, ha pur gli occhi d’argento, e con un’argentea fibbia gli vien legato il manto sulla spalla destra: tien nella sinistra mano la guaina della spada33, onde la destra, che gli manca, dovea naturalmente impugnare la spada nuda34; questa figura è alta un palmo [p. 390 modifica]romano e dieci pollici. Pur mutilato si trovò l’altro cavallo e senza cavaliere35. Fu poscia nello stesso luogo disotterrato un altro cavallo d’egual grandezza con un’Amazzone fu di esso, il quale in atto di slanciarsi tocca col petto su un Erme36.

§. 15. Veggonsi de’ cavalli ben disegnati sulle monete siracusane, e d’altre città; e quell’artista, il quale ha con quelle tre lettere ΜΥΘ. indicato il proprio nome37 sotto una testa di cavallo in una corniola del museo di Stosch, era ben sicuro della perfezione della sua opera, e dell’approvazione degl’intelligenti.

§. 16. Ho già altrove osservato38 che gli antichi artisti non erano d’accordo, come noi sono nemmeno gli scrittori, fui moto del cavallo, cioè sull’ordine con cui questo animale muove successivamente i quattro piedi. Vogliono alcuni39 che alzi contemporaneamente i due piedi da un lato; e in tal atto sono i quattro cavalli di Venezia, il cavallo di Castore e Polluce in Campidoglio, quelli di Nonio Balbo e di suo figlio a Portici. Altri tengono che il cavallo muovali per diagonale, ossia in croce40, cioè alzando contemporaneamente il piè destro dinanzi e ’l sinistro di dietro, e viceversa; e ciò meglio s’accorda colle osservazioni e colle leggi del moto. Così muovonsi il cavallo di Marc’Aurelio, i quattro cavalli del suo cocchio in un basso-rilievo41, e quei che stanno sull’arco di Tito42.

[p. 391 modifica]§. 17. V’hanno pur a Roma figure di varj altri animali in pietre dure e in marmi, lavoro di greco scarpello. Una bellissima tigre di basalte43 montata da vaghissimo fanciullo di marmo vedesi nella villa Negroni; e passò non ha molt’anni in Inghilterra un assai grosso e bel cane sedente di marmo44, opera forse di Leucone celebre scultor di cani45. Nel famoso caprone del palazzo Giustiniani la testa, che n’è la parte principale, è un restauramento moderno46.

Osservazioni generali. §. 18. Io ben sento quanto mancante sia questo mio trattato sul disegno del nudo de’ greci maestri; ma qui non altro volli che segnare le prime tracce, le quali servissero poi di norma agli artisti ed agli amatori. Non v’è luogo, ove delle precedenti osservazioni possano essi più comodamente fare la dovuta applicazione e verificarle, che a Roma. Non si pretenda però di farne uso, e portar giudizj decisivi col solo osservar di passaggio i monumenti dell’arte; poichè quello che al primo sguardo potrà sembrare contrario ai principj da me stabiliti, vi si troverà forse, dopo più matura considerazione, coerente e conforme, essendo que’ principj il risultato delle osservazioni di molti anni e d’un esame maturo.

§. 19. A quelle mie osservazioni sulla bellezza aggiugnerò alcuni avvisi, che serviranno di norma ai principianti e ai viaggiatori nello esaminare le figure greche.

[p. 392 modifica]§. 20. Primo. Non vi studiate di scoprire i difetti e le imperfezioni nelle opere dell’arte, se non avete dianzi appreso a conoscer e divisare il bello. Quella massima è fondata sulla sperienza giornaliera. La maggior parte di coloro, che mirano le figure, ma nulla vi capiscono se altri non ne faccia loro la spiegazione, volendo fare il censore e ’l maestro anche prima d’essere scolari, non sono arrivati mai a conoscere il bello e la perfezione dell’arte. S’assomigliano costoro a que’ discepoli, che hanno spirito quanto basta per conoscere qualche difetto del loro precettore, e nulla più. La nostra vanità mal volentieri si limita ad osservare senza decidere: essa vuol essere lusingata, e perciò vogliamo di tutto giudicare; e siccome più agevol cosa è negare che affermare, così più facilmente si scorgono i mancamenti che le perfezioni, e ci torna assai più comodo di riprendere gli altri che d’istruire, Pertanto ove un uomo poco intelligente facciasi ad osservare una bella statua, ne loderà il merito con termini generali: il che può fare senz’alcuno studio; ma portando poscia l’occhio indeterminato sulle varie parti di essa; siccome non sa rilevarne il bello, si ferma su i difetti che per avventura vi scorge. Così nell’Apollo osserva un ginocchio alquanto voltato in dentro; ma tal difetto, anziché all’antico scultore, deve a colui imputare che ne ha riuniti i pezzi: così nel preteso Antinoo di Belvedere47 vede le gambe voltate in fuori; e per l’Ercole di Farnese si ricorderà d’aver letto che la testa non è proporzionata al corpo, e vi dirà essere [p. 393 modifica]troppo piccola: e chi si farà pregio di una più profonda erudizione, vi racconterà, che quella testa fu trovata in un pozzo a tre miglia lontano dalla statua, e le gambe a trenta miglia lontano dal tronco, siccome in più d’un libro viene asserito francamente; ond’è che altro non vi si osservi che i moderni restauri. Alcuni errano per una inopportuna diffidenza, non volendo far nessun caso di tutte le prevenzioni che aver possono favorevoli agli antichi, e si prefiggono di non ammirare nessuna cosa, tenendo l’ammirazione come la figlia dell’ignoranza. Così certamente non pensava Platone fecondo cui la maraviglia è il sentimento d’un’anima filosofica e ’l principio della filosofia; μάλα γὰρ φιλοσόφου τοῦτο τὸ πάθος͵ τὸ θαυμάζειν. οὐ γὰρ ἄλλη ἀρχὴ φιλοσοφίας ἢ αὕτη48. In ogni maniera giova nell’esaminare le antiche statue essere in favor loro prevenuto anziché no; poiché guardandole con ferma persuasione di trovarvi il bello, questo vi si cerca e vi si trova, se non al principio, almeno colle ripetute osservazioni, poiché realmente v’esiste.

§. 21. Secondo. Non deve un amatore fidarsi al giudizio degli operaj, i quali per lo più preferiscono il difficile al bello, e generalmente sostengono che nelle opere dell’arte il lavoro pregiar si deve, anziché la scienza o l’erudizione. Da questo pregiudizio grande svantaggio n’è derivato alle arti medesime; e se oggidì ne sembra quasi sbandito il bello, forse a questo il deggiamo. Tali artisti pedanti, che non hanno sensibilità, poiché nè il bello punto li muove, nè forze hanno da immaginarlo, introdussero molte e smoderate maniere di scorci nelle pitture delle soffitte e delle volte, ed hanno quasi fatta una legge di così dipingere in tai luoghi, in guisa che, se tutte le figure ivi collocate non vengano [p. 394 modifica]presentate in iscorcio, si accusa tosto l’ignoranza o l’inabilità del pittore. Secondo questo cattivo gusto le due ovali dipinte da Mengs nella volta della galleria nella villa Albani saranno preferite alla pittura principale porta nel mezzo, opera dello stesso valente pittore, il quale quell’erroneo giudizio previde, e volle negli scorci e nella prospettiva lavorare all’uso moderno e sullo stile di chiesa, affine di dar pascolo e diletto eziandio ai meno intelligenti. Così pur talora si giudica delle arti per non parer singolare; e l’artista, che conciliar si vuole l'approvazione della moltitudine, terrà lo stesso metodo, e crederà forse di mostrare più abilità e sapere col foggiare in sasso una rete sollevata, che col formare una ben disegnata figura.

§. 22. Terzo. Deggiamo, ad imitazion degli antichi, nell’esaminare le opere dell’arte ben distinguere tra l’essenziale e l’accidentale, per non portare un giudizio ingiusto, ciò condannando di cui non si dee far caso, e per avvezzarci a prender solo in considerazione quello che è lo scopo principale del disegno. Un argomento del poco conto fatto dagli antichi di ciò che in qualche modo era estraneo alla loro scienza, si ha ne’ vasi dipinti, ove la sedia d’una figura sedente viene talora indicata con un semplice bastone perpendicolarmente posto, senza imbarazzarsi molto come siedavi poi la figura; ma nel disegno di quella vedesi tutta la loro maestría.

§. 23. Non pretendo però con questa osservazione di tutto palliare od iscusare ciò che negli antichi lavori v’ha di veramente mediocre o cattivo; ma ove, in una medesima opera, bellissima sia la figura principale, e a questa siano molto inferiori gli altri oggetti accessorj o i fuoi distintivi ed attributi, si dee conchiudere, a mio parere, che quel che v’ha d’inesatto o difforme, sia stato dagli artisti [p. 395 modifica]considerato come cosa accidentale, o com’essi chiamavanlo, un parergo49: e questa voce presso di loro avea ben tutt’altro senso, che quel d’episodio presso i poeti, o di orazione presso gli storici; nelle quali cose e quelli e quelli facean pompa dell’arte loro. Così giudicar deggiamo del cigno posto appiè dell’Apollo nella villa Medici, il quale ad un’oca anzi che ad un cigno somiglia50. Quello però non dee tenerti come una regola applicabile a tutti gli oggetti accesorj: le descrizioni lasciateci dagli scrittori, e l’esame medesimo de’ monumenti la smentirebbono, poiché in alcune statue armate veggonsi su i faghi perfino gl’intortigliamenti de’ piccoli cordoncini; e v’ha de’ piedi, ove i punti fra le due suole de’ calzari sono a foggia di tante piccole perle indicati. Sappiamo eziandio, parlando delle più famose statue, che sul Giove di Fidia le più minute cose v’erano lavorate coll’ultima finezza; e per omettere molti altri esempi, leggiamo che con grandissima diligenza avea lavorata Protogene la pernice del suo Ialiso51.

§. 24. Quarto. Coloro che, non avendo ocularmente esaminati gli antichi monumenti, giudicarne devono su i disegni e sulle stampe, veggendovi figure difettose, guardinsi dall’incolparne gli antichi maestri, ma persuadansi piuttosto che tai difetti si denno attribuire o al disegnatore, o allo scultore che restaurò i guasti lavori. Talora la colpa è d’amendue, e di ciò n’abbiam argomento nelle tavole della galleria Giustiniani, ove tutte le statue da un poco abile scultore sono state restaurate, e quello che in esse v’ha di veramente antico, è stato disegnato da chi non avea degli [p. 396 modifica]antichi monumenti nessuna cognizione. Partendo da questi principj io mi persuado che una moderna aggiunta o restauramento siano le gambe difettose della bella statua di Bacco appoggiato ad un Satiretto nella biblioteca di san Marco a Venezia52; quantunque io non l’abbia, mentre ciò scrivo, veduta ancora.



Note

  1. A nostro avviso non merita Plutarco quella taccia che qui gli vien data: poiché non parla egli in generale delle figure, ma de’ ritratti, ne’ quali è vero che generalmente non si ftudia che il volto: altronde non proferisce sentenza; ma solo adduce un paragone. Ecco le sue parole. „In quella guisa, dic’egli in Alexandro, pag. 665. princ. oper. Tom. I., che i pittori dalla faccia e da’ suoi lineamenti, donde rilevali il carattere, ricavar sogliono l’immagine dell’uomo, non troppo curandosi delle altre membra; così io pure voglio attenermi a quel tanto che spetta ai segni dell’animo, lasciando ad altri il ragionare sopra i grandi affari e le battaglie„. [ Il signor Falconet, e il signor Mengs, che come valenti artisti potevano svilupparci meglio il giusto pensiere di Plutarco, si sono piuttosto trattenuti in osservazioni grammaticali, ed estranee al fondo della questione. Il primo nella censura, che fece alla critica di Winkelmann nelle sue Observ. sur la stat, de M. Aur. Œuvr. T. I, pag. 228.; e l’altro nella lettera, che scrisse al sig. Falconet, riportata tra le sue opere Tomo I. pag. 242., e tra le opere dello stesso Falconet Tom. iI., ove questi alla pag. 213: torna a parlarne in una lettera di risposta. Essi, e tutti i moderni artisti, non meno che quelli, de’ quali parla Plutarco, facendo ritratti, cercano di esprimere bene il carattere del volto, da cui si conosce la persona; e il resto del corpo o non lo fanno, come nei busti, cammei, e medaglie; o tacendolo, non lo prendono dall’originale, ma lo fanno secondo le regole dell’arte: al che non avrà badato Winkelmann. Forse per inavvertenza egli moltiplica gli errori, ed eccede nel criticare Plutarco nel Trattato Prelim. c. IV. num. iI. pag. LX. scrivendo: „Plutarco nel suo giudizio sul Giove olimpico, anche in questo particolare si mostra poco intelligente dell’arte, allorché dice, che gli artefici attesero unicamente a formar bello il viso, poco curandosi delle altre parti„. Plutarco non parla nel luogo citato del Giove olimpico, nè dice che i pittori facessero bello il viso, ma che cercavano di farlo somigliante.
  2. Anthol. lib. 7. num. 100. v. 1. p. 731.
  3. Ibid. num. 109.pag. 732. [Questo poeta non dice belle le mani di Policleto; ma le desidera per farne ritrattare le belle forme di una donzella; come per la stesa ragione desidera quelle di Prassitele:

    Ubi sunt Praxiteles? ubi vero manus Policleti,
    Quæ prius artibus spiritum exhibebant?
    Quis comas Melites bene fragrantes, & ignitos
    Oculos, & cutis fulgorem figuravit?
    Ubi formatores, ubi sunt qui poliunt lapides? Fas erat huic
    Formæ templum habere, ut sacrorum simulacrorum.

  4. Nel Museo Pio-Clementino ha le mani, e i piedi antichi un giovinetto Cesare tenente il parazonio, e il putto sedente coll’occa. Tra i frammenti dello stesso ricchissimo Museo vi è il braccio, e mano destra di una Pallade; e hanno i piedi antichi quasi tutte le più celebri statue. Due mani femminili di grandezza naturale in marmo pario bellissime quante altre mai, trovate in uno scavo alcuni anni sono, le possiede il signor principe Borghese. La mano sinistra tiene una farfalla alludente all’anima; e la sinistra ha una tibia. Fu trovata vicino ad esse una piccola face, sulla quale forse dovea stare la farfalla, per significare Amore, che riscalda l’anima.
  5. Arist. Phyfon. cap. j. & 6. op, Tom.it. pag. 745. & 750.
  6. Dares Phrygius De Excidio Trojæ, pag. 157. lin. 16.
  7. Ælian. Var. hist. lib. 12. c. 1. p. 710.
  8. Sueton. in Flav. Domit. cap. 18.
  9. Casaub. Anim. in Athen. lib. 15. c. 10. in fine.
  10. Myth. Tom. iI. lib. 4. c. 11. p. 471
  11. Diosc. lib. 5. cap. 168. pag. 389.
  12. Theocr. Idyl. 11. v. 21., Nonn. Dion. lib. 1. vers. 71.
  13. Argon. lib. 3. vers. 526. [Pare piuttosto che le dica oscure, perchè fossero coperte; giacche egli fa le Ninfe vestite:

    ..... Levis omnibus arcus,
    Et manicæ, virides, & stricta myrtus avena;
    Summo palla genu; tenui vagus innatat umbra
    Crinis ad obscura decurrens cingula mammæ.

  14. Così è diffatti. Ce lo attesta anche san Girolamo Comm. in Epist. ad Ephes. præfat. oper. Tom. VII. col. 539. segg. dicendo che vi rappresentavano l’immagine mistica della natura, madre, e nutrice di tutti i viventi. Se ne vede, sia le tante copie sparse in diversi Musei, e nella villa Albani, anche una molto bella nel Museo Pio-Clementino, che può osservarsi riportata nel Tom. I. di esso, Tavola 32.; ove il sig. abate Visconti fa non poche dotte osservazioni anche su tanti altri di lei simboli.
  15. È stata restaurata la massima parte, e si dice volgarmente da Carlo Maratta, come riferifce anche Du Bos Reflex. sur la poes. & sur la peint. prém. part. sect. 38. pag. 377.; ma potrebbe piuttosto credersene restauratore Pietro da Cortona.
  16. Bac. de Verulam. Hist. Viti. & Mort. artic. Longævitas, & brevitas vitæ, n. 43. oper. pag. 524.
  17. Achil. Tat. De Clitoph. & Leuc. amor. lib. 1. pag. 9. 9. edition. Salmasii.
  18. Philos. Trans. Vol. 3. p. 730., Denis Mémoir. pag. 213. [Hallero Elem. physiol. corp. hum. Tom. V. l. 16. sect. 4. §. 9. p. 482. scrive che ciò avvenga perchè l’occhio destro si adopri di più per concomitanza alla mano destra, che ordinariamente più anche si adopra: ma pure in quello vi sono eccezioni; come la troviamo in Augusto, che in vecchiaja, al dire di Suetonio nella di lui vita cap. 79., meglio vedeva coll’occhio destro.
  19. Euseb. De præp. evang. lib. 2. cap. 3. pag. 65. D.
  20. Idem ibid. lib.i. cap. 9. pag. 27.
  21. Di tutte le parti del corpo umano, di ciò che a giudizio degli antichi ne costituisce il bello non meno che il deforme, degli atteggiamenti che convengonsi alle diverse età, ai diversi sessi, e ai gradi diversi delle persone ha trattato a lungo e con molta erudizione Francesco Giunio nel raro suo libro de Pictura veterum, lib. 3. c. 8. 9. & 10.
  22. Plinio lib. 34. cap.8. sect. 119. §. 11.
  23. Lo stesso lib. 35. c. 11. sect. 40. §. 28. Da lui pure nel lib. 34, sono lodati per la loro singolarità un cane fatto da Mirone, cap. 8. sect. 19. §. 3. pag. 650.; alcuni fatti da Lisippo, ivi §. 6. pag. 652.; uno dipinto da Protogene, lib. 35. cap. 10. sect. 36. §. 20. p. 699. lin. 12.: ma sopra tutti loda lib. 34. cap. 7. sect. 17. come un portento, un cane di bronzo, che si lambiva una ferita, collocato già nel tempio di Giunone in Campidoglio, e poi consunto dal fuoco nella sedizione dei Vitelliani; del quale tanta premura si aveva, che per pubblico decreto si dava in guardia ad uno sotto pena della vita, credendolo impagabile a denaro.
  24. Vedi Anthol. lib. 4. cap. 7., Ausonio Epigr. 58-68., Tzetze Chil. 8. hist. 194, v. 371., Plinio lib. 34.. cap. 8. sect. 19. §. 3. Properzio lib. 2. eleg. 31. v. 7. e 8. dice. che intorno all’ara dell’Apollo Palatino vi erano quattro vacche fatte da Mirone forse saranno state diverse da quella, e meno celebri.
  25. Plin. lib. 34. cap. 8. sect. 19. §. 18.
  26. Idem lib. 36. cap. j. sect. 4. §. 12.
  27. È degno d’essere veduto un bellissimo leoncino in breccia gialla di circa due palmi, con denti, e lingua di marmo rosso, e unghie di color naturale, commessi, ritrovato alcuni anni sono in uno scavo fatto nell’orto delle Mendicanti vicino al Colosseo, e al presente custodito nel Museo Pio-Clementino nella stanza degli animali.
  28. Refl. critiq. sur la poes. & sur la peint. pétm. part. sect. 39. pag. 413.
  29. Hipp. maj. oper. Tom. iiI. pag. 288. C.
  30. Bronzi d’Ercolano, Tom. iI. Tav. 66. Ivi pag. 255. n. 1. si dice dagli Accademici che è l'avanzo d’una quadriga, non di sei cavalli; e n. 4. che era rotto in 600. pezzi. Fu trovato nelle scavazioni di Resina poco distante dal teatro nel mese di maggio 1739.
  31. Ivi Tav. 61. e 62., ove alla pag. 225. n. 1. si dice che tu trovato ai 11. d’ottobre 1761. nelle scavazioni di Portici.
  32. È sostenuto da un timone navale di quella forma presso a poco, che suole vedersi nelle antiche navi, e in mano delle figure della Fortuna, alla quale forse alludeva; e alla Fortuna di Alessandro in ispecie.
  33. La tiene attaccata al petto sotto al braccio destro.
  34. Come la tiene al presente.
  35. Ivi Tav. 65.
  36. Tav. 63. e 64.
  37. Descr. &c. du Cab. de Stosch, cl. 7. n. 1. pag. 543., Mon. ant. ined. pag. 238. [ Nella tavola inserita a quella pagina dei Monumenti si legge ΜΙΘ.
  38. Descript. &c. cl. 2. sect. 13. num. 972. pag. 170.
  39. Borell. de Mot. anim. Part.I. cap. 24. prop. 166., Baldin. Vite de Pitt. T. iI. p. 59.
  40. Magalotti Lett. famil. Par. iI, lett. 5. pag. 666.
  41. In Campidoglio nel palazzo dei Conservatori, riportata dal Bartoli Admiranda Antiq. Rom. Tab. 34.
  42. Bartoli loc. cit. Tab. 8. Così si muove il cavallo di bronzo nel cortile del Museo reale a Portici, di cui si è parlato pocanzi p. 389. alla nota a. Questa stessa varietà di moda, che trova il nostro Autore nei citati cavalli, si può vedere in altri innumerabili sui bassi-rilievi, sulle gemme, e sulle medaglie, o romane, o greche, o di altri popoli che siano.
  43. È di bigio morato, e in parte risarcita; nè mi sembra lavoro di tanta eccellenza, e perfezione, come la dice Winkelmann. Due più piccole del naturale in granito stanno nel Museo Pio-Clementino.
  44. Simili in tutto a questo sono due del detto Museo Pio-Clementino.
  45. Per uno è lodato dal poeta Macedonio nell’Anthol. lib. 6. num. 2.
  46. Nell’incomparabile collezione di animali del citato Museo sono da considerarsi, un gruppo di altri due cani levrieri (detti dagli antichi cani laconici, o spartani, Aristeneto Epist. lib. 1. epist. 18. p. 123.), che si mordono per vezzo, di grandezza naturale, elegantissimamente scolpiti, e conservatissimi. Furono trovati con molte altre figure di cani di minor conto nel sito dell’antica villa Lanuvina creduta dell’imperatore Antonino Pio, in un colle chiamato anche oggidì Monte Cagnolo: una bellissima capra amaltea con l’avanzo della mano del putto alla barba: un daino di alabastro orientale, di grandezza, e color naturale: una scrofa in marmo bianco con sotto dodeci porcelli: un’aquila, e una cicogna di egregia scultura: una testa di rinoceronte minore del naturale, e un coccodrillo in pietra di paragone di circa quattro palmi. Di eccellente lavoro è anche il coccodrillo di marmo pario di grandezza naturale custodito nel Museo Capitolino, di cui si vede la figura nel Tomo iiI. di esso in fine delle spiegazioni, pag. 162. È qui da avvertirsi, che se, generalmente parlando, le figure antiche di animali sono rare, i moderni impostori hanno saputo supplirvi con farne gran quantità di ogni specie, e spacciarle poi come antiche. Tra le altre, per esempio, che più interesserebbero, si crede dagl’intendenti moderno lavoro una testa di bufala posseduta da monsig. Gaetani, che, supposta antica, ha dato occasione a questo illustre e dotto prelato di voler sostenere in una particolar Dissertazione inserita dal sig. Buffon nell’ultimo Tomo della Storia naturale, che le bufale fossero conosciute dagli antichi. Io peraltro non saprei darne giudizio.
  47. Vedi sopra pag. 371 nota a.
  48. Plat. Thest. oper. Tom. I. pag. 155. D. [ Hæc enim maxime philosophi est affectio, admirari: non enim aliud est philosophiæ primordium.
  49. Plinio lib. 35. cap. 10. sect. 36. §. 20. pag. 699. lin. 7.
  50. Il signor Lens Le Costume, ou essai sur les habillem. ec. liv. 2. ch. 1. pag. 53. non vuol ammettere questa regola di Winkelmann; e anzichè trovare ragioni di scusare gli artisti anche greci, attribuisce a vera ignoranza qualunque difetto si trovi nelle loro opere: il che non se gli potrà mai accordare generalmente.
  51. Si potrà vedere Carlo Dati Vite de’ Pittori antichi, ec. nella vita di quell’artista pag. 170. num. VII.
  52. Zanetti Statue di Venezia, Par. iI. Tav. 26.