Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. I)/Libro quinto - Capo I
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Traduzione dal tedesco di Carlo Fea (1783)
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LIBRO QUINTO.
Del Bello considerato nelle varie figure
dell’arte greca.
Capo I.
Figure degli dei...
Per rappresentare le divinità veniano da quegli abili artefici scelte le idee delle più belle forme e, a così dire, insieme fuse; onde risultavane nella loro immaginazione, quasi da un nuovo e spirituale concepimento, una più nobile produzione, la cui idea principale era una giovinezza inalterabile, a cui necessariamente condur dovea lo studio e la ricerca del bello.
§. 1. Lo spirito umano ha una non so quale innata tendenza e brama di sollevarsi sopra la materia nella sfera spirituale delle idee; e trova una certa felicità in produrre idee nuove e immagini di esseri più perfetti. I grandi artisti presso i Greci, che risguardavansi quasi come altrettanti creatori, sebbene meno per soddisfare la ragione lavorassero che per piacere ai sensi, pure studiavansi di vincere la durezza della materia, e cercavano in certo modo eziandio di animarla, se fosse stato possibile: questo nobile scopo, eziandio ne’ primi tempi dell’arte, diede occasione alla favola della statua di Pigmalione1.
...e loro proprietà generali. §. 2. Uscian dalle loro mani i più sacri oggetti del pubblico culto, e questi, per eccitare maggiormente la venerazione, doveano sembrar figure prese da una più elevata natura, aver doveano un non so che di divino per corrispondere all’idea sublime che delle figure degli dei aveano data i primi fondatori delle religioni, che eran poeti2, i quali diedero pur le ali all’immaginazione, quasi per sollevarsi nelle opere loro al di sopra di sé stessi, e sovra tutto ciò che ai loro sensi soggiaceva. E quale idea formar poteasi più convenevole a dei sensibili, e più piacevole all’immaginazione, che l’idea d’una giovinezza eterna, e del fior della vita inalterabile? idea cui gli uomini si chiamano alla mente con diletto eziandio negli anni più tardi. Ciò conveniva all’immutabilità della natura divina; e altronde le belle e giovanili forme de’ numi erano più atte a destar la tenerezza e l’amore che è capace di rapire l’anima in un’estasi deliziosa, in cui consiste quell’umana beatitudine che, or ben or mal intesa, è sempre stata di tutte le religioni l’oggetto.
§. 3. Fra le dee attribuivasi a Diana e a Pallade una perpetua virginità, cui pur le altre dee riacquistavano quando, cedendo all’amore, veniano a perderla: a tal oggetto Giunone sovente lavavasi nel fiume Canato. Quindi le mammelle delle dee e delle amazzoni son simili a quelle d’una fanciulla, a cui Lucina non abbia peranche sciolta la fascia, e i frutti d’amore non abbia concepito, cioè il capezzolo loro non è visibile. V’ebbe bensì talora delle divinità rappresentate o descritte in atto di allattare: così Iside allattò Api3; ma la favola pur ne dice che Iside medesima dava in bocca ad Oro un dito4 a succhiare in vece della mammella, come vedesi rappresentata su una gemma del museo Stoschiano5; e ciò probabilmente s’immaginò per l’anzidetta ragione. Vedrebbonsi forse i capezzoli delle mammelle nella statua sedente di Giunone che allatta Ercole, nel palazzo Pontificio6, se non venisser coperti l’un dalla testa del bambino, e l’altro dalla mano della dea. Se ne vegga la figura ne’ miei Monumenti antichi7. In un’antica pittura nel palazzo Barberini son visibili i capezzoli in una figura muliebre di grandezza naturale, che credesi una Venere; ma appunto da questo indizio si può conghietturare che tal dea non rappresenti.
§. 4. La natura spirituale esprimevasi eziandio nella leggerezza e celerità di corso. Omero8 rassomiglia l’andar di Giunone al pensiere d’un uomo che, avendo viaggiato per molti e lontani paesi, li ricorre in sua mente, e dice in un batter d’occhio „io qui fui, io andai colà„. Ne abbiamo pur un’immagine nella corsa di Atalanta, la quale sì celere e sì leggiera correa sull’arena, che diceasi non lasciarvi impresse le vestigia; il che si è voluto esprimere in un ametisto del museo Scoschiano9. Il passo, che fa l’Apollo del Vaticano, è quasi un volare; e sembra che nemmen tocchi la terra co’ piedi10. Questo quasi inosservabile moversi e correre degli dei sembra aver preso di mira Ferecide11, uno de’ più antichi poeti greci, dando loro la forma di serpente, per descrivere figuratamente il loro andare da un luogo all'altro, di cui non rimaneva nessun vestigio.
Diversi gradi della loro giovinezza... §. 5. La giovinezza degli dei avea ne’ due sessi diversi gradi ed una differente età, in cui gli artisti si sono studiati di rappresentare i tratti della più perfetta bellezza. Era quella ideale, presa in parte dalla figura naturale de’ bei giovani, e in parte dalle molli forme de’ begli Eunuchi, e sublimata poi con tale struttura dell’intero corpo che avea del sovrumano. All’effigie però de’ numi, come ci avvisa Platone12, non davansi le vere proporzioni della natura, ma quelle bensì che l’immaginazione riputava più belle.
... ne’ Satiri, o Fauni... §. 6. Ha pure i suoi gradi diversi il bello virile ideale; e comincia dai Satiri o Fauni, come quei che tra gli dei erano d’un ordine inferiore. Le più belle tra le loro statue ci rappresentano una giovinezza matura e bella, in perfetta proporzione formata. Si distinguono però da’ giovani eroi per un certo profilo comune e un po’ triviale, o pel naso compresso, onde a ragione chiamarsi potrebbono simi; e più ancora si distinguono per mezzo d’una certa innocenza e semplicità che loro si legge sul volto, unita ad una grazia particolare, di cui parlerò più sotto, trattando della grazia. Tal era l'idea generale che aveano i Greci di quelle divinità13.
§. 7. Siccome trovansi in Roma più di trenta statue di giovane Satiro somiglievoli fra di loro nella positura e nell’atteggiamento, è ben verosimile che siano esse altrettante copie del famoso Satiro di Prassitele, che vedeasi in Atene14, e dall’artista medesimo giudicavasi essere la più perfetta delle sue opere. Dopo di lui i più celebri scultori di questa specie di figure furono Pratino ed Aristia di Fliasio presso a Sicione, e certo Eschilo15. Gli artisti talor davano ai Satiri una ciera ridente, e facean loro sotto il mento due capezzoli pendenti a somiglianza delle capre16: tale è una delle più belle teste dell’antichità riguardo alla maestría del lavoro, che appartenne altre volte al celebre conte Marsigli, ed or si vede nella villa Albani17. Il bel Fauno dormente nel palazzo Barberini non è già un bello ideale, ma bensì un’immagine della semplice natura abbandonata a sé stessa. Un moderno scrittore18 non si è ricordato delle mentovate figure, quando asserì come cosa certa avere i Greci scelta la natura de’ Fauni per rappresentare una grossolana e ma proporzionata struttura, la qual si conosca alla testa grossa, al collo corto, alle spalle alte, al petto piccolo e stretto, alle ginocchia e gambe grosse, e ai piedi deformi.
§. 8. I vecchi Satiri o Sileni, e quello principalmente che aveva educato Bacco, sono figure serie, che non hanno punto la ciera ridente de’ summentovati Fauni; ma son corpi ben formati in matura virilità, qual è appunto la statua di Sileno, che tien nelle mani il giovane Bacco nella villa Borghese, alla quale sono interamente simili due altre statue del palazzo Ruspoli, di cui però una sola ha la testa antica. Il volto di Sileno mostra talora la giovialità, ed ha la barba crespa, come nelle menzionate statue; ma in altre figure vien rappresentato qual precettore di Bacco in aria di filosofo con barba prolissa e veneranda19, i cui capelli gli cadono mollemente serpeggiando fin sopra il petto, quale si vede ne’ tanto ripetuti bassi-rilievi, noti sotto il nome improprio di Nozze di Trimalcione20. Quanto ho detto di Sileno deve intendersi, siccome a principio avvisai, delle figure serie; onde così prevengo chi oppormi volesse Sileno di figura straordinariamente corpacciuto e vacillante, portato da un asino; quale in molti bassi-rilievi, e fu alcune pitture d’Ercolano si vede rappresentato21. ...in Pan... §. 9. La principale fra quelle divinità dell’infimo ordine è Pan, cui Pindaro22 chiama il più perfetto degli dei. Io credo d’avere scoperta l’effigie del suo volto, di cui sinora non s’avea alcuna idea, o falsa al più23, su una bella moneta del re Antigono primo di tal nome, in una testa coronata d’ellera d’aspetto serio, la cui barba scomposta somiglia al pelo d’una capra: egli è forse perciò che Pan fu chiamato φριξοκόμης (dall’ispida chioma ). Di questa moneta parlerò nuovamente in appresso. Un’altra egualmente poco nota, e più maestrevolmente lavorata testa di questo dio, trovasi nel museo Capitolino, ed è ancor più riconoscibile della prima alle orecchie aguzze: la barba però ne è meno scomposta, ma somiglia a quella che vedesi in alcune teste di filosofi, de’ quali l’anima pensosa traspare principalmente negli occhi incavati come son quelli delle teste d’Omero.
...in Apollo... §. 10. La più sublime idea della giovinezza virile ideale si scorge principalmente in Apollo, che riputavasi il più bello fra i numi. Nelle sue figure si ravvisano in bell’armonia combinate la robustezza d’un’età perfetta, e le molli forme d’una florida gioventù. Queste forme sono grandiose e sublimi, eziandio nella loro giovanile morbidezza: né rassomiglian già quelle d’un amante effeminato e molle, allevato tra le fresch’ombre, e come dice Ibico, da Venere stessa nutrito sulle rose; ma son degne d’un garzon nobile e nato a grandi imprese. Si vede nella sua figura una sanità vivace, che ne annunzia la forza, simile all’aurora d’un bel giorno. Non pretendo però che tanta beltà si trovi in tutte le statue d’Apollo.
§. 11. L’idea d’una sì compiuta bellezza mi porta a pensare ad una figura che non ha certamente chi le somigli fra i mortali, cioè il Genio alato della villa Borghese grande quanto un ben formato garzone. Se un’immaginazione piena delle più rare bellezze naturali, intenta a contemplare quella venustà che da Dio deriva e conduce a Dio, si figurasse in sogno di vedere un Angelo, il cui volto splendesse del lume divino, e sulle cui forme si scorgesse una pura derivazione dell’armonia suprema, essa formerebbesi in mente un’immagine simile a quella bella statua. Quasi direbbesi, che per divin favore abbia l’artista copiata in quel Genio tutta la bellezza d’un essere superiore all’uomo24.
§. 12. La più bella testa d’Apollo, dopo la celebre di Belvedere, è senza dubbio quella d’una poco osservata statua sedente del medesimo, di grandezza maggior della naturale, nella villa Lodovisi. E’ questa intatta al par di quella, e ancor meglio esprime un Apollo benigno e tranquillo. Tale statua è altresì rimarchevole per esser la sola, ch’io sappia, che ha un particolare attributo d’Apollo, cioè il bastone da pastore incurvato, appoggiato alla pietra su cui siede la figura; dal che appare che siasi voluto rappresentare Apollo pastore (νόμιος) per indicare l’arte pastorizia da lui esercitata presso Admeto re di Tessaglia25.
§. 13. V'hanno quattro teste d’Apollo perfettamente simili: una è quella della statua di Belvedere, l’altra unita al busto e affatto intiera, sta nella camera de’ Conservatori in Campidoglio, la terza è nel museo Capitolino, e la quarta nella Farnesina. Da quelle si può prendere un’idea di quella acconciatura de’ capelli che i Greci chiamavano κρώβυλος, e che presso gli scrittori non trovasi mai con sufficiente precisione descritta. Questa voce significa ne’ maschi quella maniera d’acconciarli che nelle fanciulle chiamavasi κόρυμβος, cioè i capelli legati insieme dietro alla testa. I giovani li tiravano su tutt’all’intorno del capo, in cima al quale annodavansi in guisa che non dovea vedersi il lacciuolo che li sosteneva. Tale è pure la capigliatura d’una figura muliebre in una delle più belle pitture d’Ercolano, la quale presso ad una persona tragica si posa sopra un ginocchio, e sta scrivendo su una tavola26.
§. 14. La somiglianza dell’acconciatura de’ capelli in amendue i sessi può scusare coloro i quali hanno dato il nome di Berenice27 ad un bel busto d’Apollo in bronzo, nel museo d’Ercolano, che ha i capelli voltati all’insù, e legati in cima al capo, come le quattro mentovate teste, a cui pur affatto somiglia nella fisonomia; e sono tanto più scusevoli, quanto che le mentovate teste d’Apollo loro erano ignote. Bisogna confessar però che per dare il nome di Berenice a quel busto esser non dovea a loro bastevole fondamento una moneta della suddetta regina d’Egitto, su cui v’è coniata una testa muliebre con simile capigliatura e col nome di Berenice; imperocchè tutte le statue delle Amazzoni, tutte le figure di Diana, anzi tutte le figure di vergini hanno così acconciato il capo. Aggiungasi che la testa della moneta di Berenice ha le trecce legate al di dietro e ravvoltate in guisa che vengono a formare un nodo secondo l’uso costante delle vergini; onde non può rappresentare la moglie d’un re. Io sono per tanto di parere che la testa coniata su tal moneta sia una testa di Diana, non ostante che vi si legga intorno il nome di Berenice.
... in Mercurio ... §. 15. La bella giovinezza d’Apollo s’avanza gradatamente in altri giovani dei, finché arriva a più perfetta età; ed è già più virile in Mercurio e Marte. Mercurio si distingue per una certa particolare finezza ne’ tratti del volto, che Aristofane chiamato avrebbe ἀττικὸν βλέπος28, e pei corti e crespi capelli. Abbiam parlato di sopra29 delle sue figure barbate nelle opere degli Etruschi e de’ più antichi Greci.
§. 16. Il moderno scultore, il quale ha restaurata la testa e una parte del busto ad una statua di Mercurio di grandezza naturale che abbraccia una donzella, esistente nel giardinetto dietro al palazzo Farnese, gli ha data una barba forte e piena. Io non credo però che, quando anche avesse conosciute le figure etrusche, egli avrebbe mai pensato a far uso di questo tratto d’erudizione antica nella statua d’un Mercurio innamorato, ma sono piuttosto d’avviso ch’egli sia stato a ciò fare indotto da qualche erudito, il quale per avventura giudicò che farsi dovesse barbato Mercurio, per la mal intesa voce ὑπηνήτης usata da Omero, secondo cui questo dio, volendo accompagnare Priamo alla tenda d’Achille, prese le sembianze d’un giovane πρῶτον ὑπηνήτῃ30. Quelle voci significano quell’età in cui si cuopre della prima lanugine il mento, e possono eziandio intendersi del più bel fiore di giovinezza, quando mostrasi la barba sulle guance31; il che Filostrato in Amfione chiama ἰούλῳ παρὰ τὸ οὖς32. La donzella, cui Mercurio abbraccia, non avrebbe ad esser Venere, sebben al riferir di Plutarco, solesse quella sovente rappresentarsi in compagnia di Mercurio per indicare che il piacere in amore dev’essere accompagnato da una soave eloquenza33. Potrebbe piuttosto essere Proserpina, la quale ebbe da lui tre figlie34; o la ninfa Lara, madre dei due Lari35; o forse Acacalli figlia di Minosse, oppure Erse una delle figlie di Cecrope, la qual pure ha generati de’ figli a Mercurio. Io preferisco alle altre quest’ultima opinione, e son d’avviso che tal gruppo sia stato scoperto nello stesso luogo ove trovate furono quelle colonne che facean parte della tomba di Regilla moglie d’Erode Attico sulla via Appia, e che altre volte erano nel palazzo Farnese. Questa mia congettura acquista qualche probabilità dall’iscrizione sepolcrale, che esiste ora nella villa Borghese, della summentovata Regilla, nella quale ci dice che Erode Attico traesse l’origin sua da Cerice figlio di Mercurio e d’Erse36; e quindi penso che il gruppo fosse un ornamento della tomba suddetta. Nella villa Borghese si trova la sola statua di Mercurio, che tenga nella sinistra la borsa d’antico lavoro.
...in Marte... §. 17. Marte vien generalmente rappresentato come un giovane eroe e senza barba, del che pur ci fa fede un antico scrittore37; ma un Marte, qual lo vorrebbe il signor Vatelet38, di cui ogni minima, fibra esprimesse la forza, il coraggio, il fuoco che a lui conviene, non trovasi certamente fra tutt’i lavori degli antichi. Le due più belle figure di questo dio sono una statua sedente coll’Amore ai piedi nella villa Lodovisi, ed un piccolo Marte su una delle basi de’ due bei candelabri di marmo, che erano dianzi nel palazzo Barberini39: amendue sono in età giovanile, e tranquilla n’è la positura e l’atteggiamento. Vedesi pur così effigiato sulle monete e sulle gemme.
... in Ercole... §. 18. Ercole vien talora rappresentato nella più bella e florida giovinezza con sì dilicati tratti, che non ne lasciano ben distinguere il sesso40: quale appunto la voluttuosa Glicera41 desiderava che fosse un garzone; e tale si vede inciso fu una corniola del museo di Stosch42. Ma per lo più ha la fronte, che sorge con una pingue rotondità, la quale rileva e sembra in qualche modo gonfiare l’osso dell’occhio. Questi tratti ne indicano la forza e il continuo affaticarsi ch’ei fece in mezzo a’ travagli, i quali, come dice Omero, gonfian il cuore43.
... in Bacco... §. 19. La seconda specie del bello ideale preso dalle forme degli Eunuchi si ravvisa in Bacco, misto alla giovinezza virile. Sotto queste forme vien effigiato ne’ varj gradi di gioventù fino alla virilità perfetta. Nelle più belle figure vedesi tempre con membra ritondette e dilicate, con rilevati e pieni fianchi, come gli hanno le fanciulle, alla maniera delle quali, secondo la favola, era stato allevato44. Anzi Plinio45 rammenta la statua d’un Satiro, che teneva una figura di Bacco vestito come una Venere; e Seneca perciò lo descrive come una fanciulla travestita46. Morbide sono e ondeggianti le forme delle sue membra, quasi con un dolce soffio formate, senza che vi si scorgano né le ossa né le giunture de’ ginocchi; quale appunto disegnerebbesi un avvenente giovane Eunuco. La sua figura è quella di bellissimo garzone che entra nella primavera della vita, cioè nell’adolescenza, in cui la sensazione della voluttà, come il tenero germoglio d’una pianta, comincia a spuntare; e che fra il sonno e la veglia mezzo immerso ancora in un sogno lusinghiero, mentre cerca di riunirne le immagini, comincia a riconoscersi; i suoi tratti son pieni di dolcezza; ma tutta non se gli spiega sul volto l’anima gioviale.
§. 20. Quella contentezza tranquilla hanno gli antichi artisti data a Bacco, eziandio quando lo rappresentarono come un eroe o guerriere ne’ campi indiani. Tale si ravvisa in una figura armata fu un’ara della villa Albani, e in un guasto basso-rilievo che ho presso di me. Egli è forse a riguardo di questa dolcezza e tranquillità propria di Bacco, che gli antichi non accompagnarono mai la figura di Marte colla sua, non essendo egli altronde nel novero de’ dodici dei maggiori; e che Euripide disse essere Marte nimico alle Muse e alla giovialità delle feste di Bacco47. E’ però da offervarsi che Apollonio48 diede una corazza ad Apollo, considerato come Sole; e quelli in alcune statue ha una figura molto simile a quella di Bacco: tale è in Campidoglio l’Apollo che sta indolentemente appoggiato ad un albero, ed ha sotto di sé un cigno, e tali pur sono le tre simili bellissime sue figure nella villa Medici49. Né ciò dee sembrare molto strano a chi non ignora che in ognuna di quelle divinità amendue veniano adorati50, e l’uno per l’altro scambievolmente prendevansi51.
§. 21. Sta nella villa Albani un Bacco alto nove palmi, che al solo rimirarlo mi move quasi le lagrime per le mutilazioni che furongli fatte, sebbene sia ora restaurato. E’ vestito dalla metà del corpo fino ai piedi, o, a più vero dire, il suo ampio manto sembra abbassato fino alle parti sessuali, unito poscia e ristretto in molte e ricche pieghe; e quella porzione, che dovrebbe formare uno strascico per terra, è gettata sul ramo d’un albero a cui il dio s’appoggia. L’albero è circondato d’ellera e cinto da un serpente. Non v’ha figura che meglio di questa darci possa una giusta idea di ciò che Anacreonte chiama un ventre di Bacco.
§. 22. Quello dio non veneravasi soltanto sotto giovanili sembianze, ma eziandio lotto l’aspetto di matura virilità, la quale però non da altro veniva espressa che da una prolissa barba, veggendoglisi sempre in volto, e alla dolcezza dello sguardo e ai teneri tratti, la giovialità della giovinezza. Cosi rappresentarsi solea Bacco nei campi delle Indie, ove si lasciò crescere la barba; e tal figura somministrò agli antichi artisti la doppia occasione, e di formare un bello ideale, in cui la giovinezza fosse mista alla virilità, e di mostrare l’abilità loro nell’imitare i peli della barba. La maggior parte delle teste e de’ busti di questo Bacco indiano, che a noi pervennero, portano una corona d’ellera; e così è coronato sulle monete dell’isola di Nasso in argento, nel cui rovescio v’è Sileno con un nappo in mano: tale è pure la testa di marmo nel palazzo Farnese, a cui erroneamente è stato dato il nome di Mitridate. La più bella di quelle teste è un Erme presso lo scultore Cavaceppi52, la cui capigliatura e barba sono con grandissim’arte lavorate.
§. 23. Le figure intere di quello Bacco, quando stan diritte, si vedono sempre ricoperte fino a’ piedi53. Si trovano effigiate su ogni maniera di lavori, e fra gli altri su due bei vasi di marmo scolpiti a rilievo, il più piccolo de’ quali è nel palazzo Farnese, e ’l più grande, che è pure il più bello, nel museo d’Ercolano. Ripetute frequentemente s’incontrano le figure di questo dio sulle gemme e su i vasi di terra cotta, de’ quali un solo ne rammenterò della collezione Porcinari a Napoli, pubblicato nella prima Parte della grand’Opera d’Hamilton, ov’egli rappresentasi sedente, barbato, e cinto d’alloro come vincitore, con vagamente ricamato vestito.
Dei rappresentati in età virile. §. 24. Si sono fin qui esaminate le deità giovanili, i diversi gradi, l’età, e le varie forme della giovinezza loro: differenze, che colla debita proporzione si osservano pure nei volti degli dei rappresentati in età virile, nei quali si vede al tempo stesso l’espressione della forza propria a quell’età già matura, e della giovialità e dilicatezza propria alla gioventù. Quest’ultima si distingue, come nelle figure giovanili, alla mancanza dei nervi e de’ tendini, che poco sensibili sono nel fior degli anni; e vi si ravvisa insieme una certa idea di divina sufficienza, scevra d’ogni bisogno, per cui le membra loro non hanno d’uopo, siccome negli uomini, di certe parti necessarie per riparare la perdita cotidiana.
§. 25. Serve ciò a rischiarare l’opinione di Epicuro sulla figura degli dei che, fecondo lui, aveano non corpo, ma quasi corpo, non sangue, ma quasi sangue: opinione che Cicerone trova oscura e inintelligibile54. All’avere o non avere le summentovate parti si distingue Ercole che aveva ancora a combattere uomini possenti e mostri, né giunto ancor era alla meta delle sue fatiche, da Ercole già purgato col fuoco e sollevato a godere la beatitudine dell’Olimpo; quello vien rappresentato nell’Ercole Farnese, e questo in un torso d’Ercole mutilato a Belvedere55. Quindi nelle statue, le quali per mancanza della testa e d’altri indizj sono ambigue, si può per tal modo conoscere se un dio rappresentino o un uomo. In quella maniera la natura è stata sollevata dalle create cose alle increate, e la mano dell’artista ha saputo rappresentare degli esseri che dalle umane necessità si scorgessero immuni, formando figure tali, che mentre rappresentano l’uomo nella più sublime sua dignità, sembrano non altro essere che l’inviluppo e la spoglia di spiriti pensanti e di sostanze celesti.
§. 26. Nelle figure degli dei rappresentati in età virile scorgesi ancor meglio, che nelle divinità giovanili, la somiglianza che hanno costantemente fra di loro le innumerevoli statue d’ognuno di essi. Le loro teste, da Giove fino a Vulcano, sono egualmente riconoscibili che le figure delle più celebri persone dell’antichità: e come è stato riconosciuto un Antinoo dalla sola parte inferiore del suo volto, e un M. Aurelio dagli occhi e dai capelli in un guasto cameo del museo Strozzi a Roma; così trovandosi una testa di Giove, di cui null’altro rimanesse che i capelli sulla fronte o la barba, a questi soli avanzi si riconoscerebbe.
Giove. §. 27. Giove vien rappresentato con uno sguardo costantemente sereno56; onde a mio credere s’ingannano coloro, i quali in una testa di basalte nero esistente nella villa Mattei57, e che ha molta somiglianza col padre de’ numi, se non che severo n’è il sembiante, credono di vedervi Giove medesimo, cui danno il soprannome di terribile. Ma dovean essi osservare, che la mentovata testa, siccome pure tutte le altre pretese teste di Giove, che non hanno dolce e benigno lo sguardo, portano costantemente sul capo il così detto modio, o mostrano almeno d’averlo portato; onde statue di Plutone piuttosto devono credersi che di Giove58. Plutone. §. 28. Plutone diffatti, che al dir di Seneca ha molta somiglianza con Giove, ma però fulminante59, porta, come Serapide, il modio in molte statue, e fra le altre in quella sedente, che stava nel suo tempio a Pozzuolo, e che era è a Portici, come pure in un basso-rilievo nel palazzo vescovile d’Ostia. Altronde Serapide e Plutone, i quali distinguonsi dal modio sul capo, sono una stessa divinità60; e poiché di quello dio non si era riconosciuta finora nessuna statua o testa di grandezza umana, molte senza dubbio se ne troveranno quindinnanzi per mezzo di tal indizio61.
§. 29. Le teste di Plutone o di Serapide vengono pur distinte dai capelli, che gli cadon giù dalla fronte per renderne più truce e severo l’aspetto e lo sguardo, come vedesi in una bella testa di Serapide di basalte verde nella villa Albani, in una testa colossale di marmo della villa Panfili, e in un’altra di basalte nero nel palazzo Giustiniani. Oltre di ciò in una testa di Serapide eccellentemente incisa in agata nel museo Farnese a Napoli, e in un’altra testa di marmo nel museo Capitolino, vedesi al mento la barba divisa in due; ed è questa forse una proprietà particolare di questo dio.
Capigliatura di Giove ... §. 30. Giove, come per la serenità dello sguardo, così riconoscibile alla barba ed ai capelli. Quelli dalla fronte gli si sollevano, e poscia in varie divisioni ricadongli dai lati, curvandosi in piccole increspature, come si vede in una sua testa incisa in rame su d’un’agata a rilievo. Tale disposizione de’ capelli di Giove è stata riputata un attributo di lui ...e de’ suoi figli. sì proprio, che per mezzo di essa si è indicata la somiglianza de’ figli suoi col padre; siccome scorgesi chiaramente nelle teste di Castore e Polluce (principalmente in quella che è antica, moderna essendo l’altra) delle due loro statue colossali in Campidoglio.
Esculapio. §. 31. In simil guisa sogliono disporsi i capelli sulla fronte ad Esculapio, cosicchè in quella parte del capo non v’è differenza veruna fra il padre degli dei e ’l suo nipote: della qual cosa fanno fede la bellissima statua di questo dio, maggiore della grandezza umana, nella villa Albani, la statua dello stesso di terra cotta nel museo d’Ercolano, e molte altre sue figure. Questa gran somiglianza del nipote coll’avo può essere fondata sull’osservare che non di rado fra gli uomini un figlio più all’avo somiglia che al padre; e di questo, a così dire, salto della natura nell’effigiare le sue produzioni ne abbiamo pure argomenti nelle bestie, e massimamente ne’ cavalli. Quando per tanto in un epigramma greco leggiamo che la statua di Sarpedone figlio di Giove mostrava in volto di quale stirpe ei fosse (ἐνὶ μορφῇ σπέρμα Διὸς σήμαινεν)62, creder deggiamo che non già agli occhi, come altri pretende, ma piuttosto ai capelli della fronte si riconoscesse la sua discendenza da Giove.
Centauri. §. 32. Una somiglianza con Giove per la disposizione de’ capelli sulla fronte trovasi eziandio ne’ Centauri, e ciò probabilmente per indicare una certa loro affinità con Giove, poiché, fecondo la favola, generati furono da Issione, e da una nuvola, che di Giunone avea le sembianze. Non ignoro che i capelli non sono così disposti nella figura del Centauro Chirone nel museo d’Ercolano, sulla quale, a cagione della sua grandezza, poteasi tal qualità agevolmente esprimere; ma l’osservazion mia è fondata sul Centauro della villa Borghese, e sul più vecchio dei due Centauri del Campidoglio63; onde mi sarà lecito congetturare, che in quelli almeno siano flati cosi disposti i capelli a somiglianza di Giove per indicarne l’affinità mentovata.
§. 33. Questi però, fra tutti gli dei, che in tal guisa hanno i capelli della fronte, distinguesi sempre, perchè la sua chioma cadendo giù dalle tempie gli copre interamente le orecchie; e perchè più lunga che quella degli altri dei, senza esser punto arricciata, stendesi mollemente serpeggiando, a somiglianza della giubba d'un leone. A quella somiglianza, allo scuoter della giubba che fa il leone, e al suo muovere le palpebre, allorché è irato64, sembra che abbia voluto far allusione il poeta65 nella celebre descrizione di Giove, che scuotendo la chioma, e muovendo le ciglia fa tremar l’Olimpo.
Nettuno. §. 34. Nettuno nella sola statua di quello dio, che vedesi in Roma posta nella villa Medici66, ha sembianze alquanto differenti da quelle di Giove, più crespa essendone la barba, e diversamente composti i capelli, che gli si sollevano sulla fronte. Mi risovvengo a quello propotito d’un mal inteso passo di Filostrato, il quale descrivendo una pittura di Nettuno e di Amimone dice: κῦμα γὰρ ἤδη κυρτοῦται ἐς τὸν γάμον, γλαυκὸν ἔτι καὶ τοῦ χαροποῦ τρόπου, πορφυροῦν δὲ αὐτὸ ὁ Ποσειδῶν γράφει.67. Mal s’appone Oleario che nelle sue osservazioni su Filostrato intende le ultime parole di questo passo di un aureo splendore che il capo a Nettuno circondasse, e a torto riprende lo Scoliaste d’Omero, il quale spiega col vocabolo latino obscurus la greca voce πορφύρεος. Filostrato dice, il mare comincia ad incresparsi (κυρτοῦται), e Nettuno lo tinge di porpora; e quello è fondato sull'osservazione del mar mediterraneo, che al primo agitarsi dopo la calma, presenta in lontananza un certo chiarore rosseggiante, onde sembrano farsi purpurei i flutti.
Altri dei marini. §. 35. Ben diversa da quella di Nettuno è la figura delle altre subalterne divinità del mare, di cui gioverà qui indicare i tratti distintivi. Questa si vede chiaramente espressa in un busto del museo Capitolino, e in due teste colossali de’ Tritoni esistenti nella villa Albani68. Queste teste sono segnate da una specie di branchie, che figurano le ciglia, e simili sono appunto alle ciglia di Glauco dio marino presso Filostrato (ὀφρῦς λάσιαι συνάπτουσαι πρὸς ἀλλήλας 69. Quelle branchie o pinne gli attraversano anche il naso e le guance, e gli circondano il mento70. V'ha pure de’ Tritoni rappresentati su diverse urne sepolcrali, una delle quali è nel museo Capitolino71.
Eroi. §. 36. Siccome gli antichi artisti sollevati s’erano per gradi dall’umana bellezza alla divina, così riserbarono sempre per gli dei l’ultimo grado di perfezione a cui aveano saputo giugnere. Nel rappresentare gli Eroi, cioè quegli uomini ai quali attribuivano la più sublime dignità dell’umana specie, avvicinaronsi sino ai confini della divinità, senza oltrepassarli però, e senza confondere quelle fine e minute differenze che li distinguevano. Un tocco solo di tenera giovialità, che si desse al Batto delle monete di Cirene, ne farebbe un Bacco; e un tratto di maestà divina basterebbe a farne un Apollo. Se Minosse sulle monete di Gnosso non avesse lo sguardo altero datogli per indicare un re, rassomiglierebbe ad un Giove pieno di bontà, e di clemenza.
§. 37. Davano quegli artisti forme sublimi agli Eroi, e certe parti sollevavano in loro sopra la natura medesima: mettevano ne’ muscoli un’azion viva e molto movimento, e negli atti veementi sembra che abbiano, a così dire, messe in opera tutte le molle della macchina umana. Essi cercavano di moltiplicare e variare, quanto era possibile, la musculatura; nel che Mirone sembra aver superati tutt’i suoi predecessori72. Abbiamo un esempio di ciò nel preteso gladiatore di Agasia Efesino, nella villa Borghese, nel cui volto si ravvisa manifestamente un ritratto cavato dal vero, e in cui, fra gli altri, i muscoli delle coste, che diconsi serrati, sono più rilevati, più in moto, e più elastici che non soglion essere naturalmente. Ancor più chiaro ciò si scorge su gli stssi muscoli del Laocoonte73, in cui la natura vedesi sollevata sino all'ideale, principalmente ove le stesse parti si paragonino con quelle delle figure divine o deificate, quali sono l’Ercole e l’Apollo di Belvedere. Il movimento de’ muscoli nel Laocoonte è portato oltre il vero, e poco men che all'impossibile: sono essi a foggia di tante collinette che si serrano» e stringon l’una l'altra per esprimere la violenza degli sforzi che faceano in lui il dolore e la resistenza. Sul torso dell’Ercole deificato v’è pur ne’ muscoli una forma e una bellezza ideale e sublime; ma questi simili alle placid’onde d’un mare tranquillo sollevansi dolcemente ondeggianti e succedentisi lentamente. Nell’Apollo, che è l’immagine del più bello fra gli dei, i muscoli son molli e dilicati, simili a un fuso vetro, in cui un dolce soffio abbia formato un ondeggiamento appena riconoscibile allo sguardo, e men sensibile ancora al tatto.
§. 38. In tutte le opere loro gli artisti aveano per oggetto principale de’ loro lavori e de’ loro studj la bellezza; anzi i mitologi e i poeti, volendo fare avvenenti i giovani eroi, tant’oltre andarono, che talora ne renderono per fin equivoco il sesso, come può vedersi nelle figure d’Achille, il quale per la molle avvenenza del sembiante in ammanto femminile visse sconosciuto tra le figlie del re Licomede, come una delle loro compagne74. Vedasi ciò rappresentato in un basso-rilievo della villa Panfili, e in un altro di Belvedere a Frascati, la cui figura è premessa alla prefazione de' miei Monumenti antichi. Tal bellezza equivoca fra i due fedi scorgerebbesi pure in Teseo, se si dovesse effigiare quale in lungo ammanto da Trezena portavasi ad Atene, ove da coloro che lavoravano al tempio d’Apollo fu tenuto per una donzella, coficchè maravigliaronsi di vedere quella creduta beltà femminile, contro il costume, sola e senza scorta avviarsi alla città75.
§. 39. Questa idea della bellezza però non ebbe fra gli antichi l’artista, che su una pittura d’Ercolano rappresentò Teseo di ritorno da Creta circondato dai fanciulli e dalle vergini d’Atene, che riconoscenti per l’uccisione del Minotauro gli bacian le mani. Ancor più e dalla verità e dalla bellezza propria all’adolescenza s’allontanò Niccolò Poussin in un quadro del signor Vanvitelli architetto reale a Napoli, ove Teseo in presenza di sua madre Etra scopre la scarpa e la spada che il padre suo celata aveva sotto un sasso76. Ciò fece l’eroe nell’anno suo sestodecimo; e qui già vedesi colla barba e in un’età virile, cioè privo di quelle forme rotonde e morbide che sono proprie alla giovinezza. Ometto che gli edifizj e l’arco trionfale di quel quadro non hanno punto che fare coi tempi di Teseo.
§. 40. Il sig. Vatelet77 non ha certamente formato sull’esame delle statue antiche il suo giudizio intorno alle figure degli dei e de’ semidei, ove stabilisce come una loro proprietà l’aver delle membra scarnate, sottili offa, piccol capo, stretti fianchi, angusto ventre, piccioli piedi, e le pianta de’ piedi incavata.
Figure del Salvatore. §. 41. L’idea della bellezza, a cui mirarono gli antichi nell'effigiare gli Eroi, avrebbon dovuta prender di mira eziandio gli artisti moderni nel rappresentare il Salvatore, e farlo per tal modo conforme alla predizione del Profeta78, che lo prenunzia come il più avvenente tra i figli degli uomini. Ma nella maggior parte delle sue figure sembran essi, senza eccettuarne nemmeno Michelangelo, averne presa l’idea da’ lavori barbari de’ bassi tempi; onde nulla può vedersi di più volgare e vile che le sembianze d’alcune teste dì Gesù Cristo. Non così però pensò Raffaello: ei gli diede un volto nobile, come vedesi in un suo piccolo disegno originale nel regio museo Farnese di Napoli, rappresentante la sepoltura del Salvatore, nella cui testa si ravvisa la beltà d’un giovane e imberbe eroe. Annibale Caracci è il solo, per quanto io so, che abbiane seguito l'esempio in tre quadri simili rappresentanti lo stesso soggetto, uno de’ quali è nel testè nominato museo, l’altro in san Francesco a Ripa in Roma, e ’l terzo nella cappella del palazzo Panfili79. Che se il rappresentare Gesù Cristo sì giovane e sbarbato sembrasse a taluno cosa contro il costume, l’artista prenda a modello il Salvatore di Leonardo da Vinci, e principalmente una sua testa della maggior bellezza, esistente a Vienna nel gabinetto di S. A. il principe di Lichtenstein: in questa effigie, malgrado la barba, scorgesi la più sublime beltà virile, e può riputarsi quella testa per uno de’ più perfetti e de’ più mirabili pezzi di pittura80.
§. 42. Se rimontare si vogliano que’ gradi, per cui siamo discesi passando dagli dei agli eroi, e da questi a quelli riascendere, vedremo come dagli eroi siano derivati gli dei; il che si fece più col togliere che coll’aggiugnere, cioè allontanandone a poco a poco tutto ciò che era angoloso, e dalla natura medesima duramente espresso, sino a che le forme fossero raffinate e sublimate in guisa che sembrasser l’opera del solo spirito che le anima.
Note
- ↑ Ovidio Metam. lib. 10. vers. 247. segg.
- ↑ Vedi il Padre Tomassini Meth. d’etud. & d’enseign. les poet. Tom. I. part. I. chap. 6. segg.
- ↑ Descript. &c. du Cab. de Stosch, cl. 1. pag. 17. num. 70. [ E si vede anche nel basso-rilievo in avorio presso il Buonarroti Osservaz. istor. sopra alc. medagl. pag. 70., che noi daremo in appresso. Iside ha in capo la gallina numidica, di cui ha parlato Winkelmann sopra pag. 103. princ; i braccialetti all’alto del braccio, ed ai polsi, come altre figure egiziane nominate alla pag. 106. col. 1; e sta sopra una barca di papiro come in altri monumenti, de’ quali si è parlato pag. 93. n. b. Vedi anche l’indice dei rami, che daremo in fine dell’opera.
- ↑ Plut. de Isid. & Osir. oper. Tom. iI. pag. 357. B.
- ↑ Descript. &c. cl. 1. pag. 16. n. 63.
- ↑ Ora nel Museo Pio-Clementino. Il signor abate Visconti nella egregia descrizione, che fa di questo Museo, nel Tomo I. Tav. 4. pag. 4. 5. crede con più probabili fondamenti, che il putto della dea sia Marte, anzichè Ercole. Non dissimula per altro, che possa essere un simbolo dell’ufficio di Giunone, detta Lucina, e Natale, perchè presedeva alle donne partorenti.
- ↑ num. 14.
- ↑ Iliad. lib. 15. vers. 80.
- ↑ Descr. &c. cl. 3. sect. 1. n. 122. p. 337.
- ↑ Vedine la figura in fine del Tomo iI.
Apollonio Argon, lib. 2. v. 681. parlando di Apollo, che ritornava dalla Licia, dice, che passando per l’isola di Tenia (Theniades), la faceva tremar tutta colla forza dei piedi:
......... Pedum nisu
Tota intremiscebat insula, ut mare exundaret in siccum. - ↑ V. Monum. ant. Part. I. cap. 1. §. 3. pag. 11.
- ↑ Plat. Sophist. op. Tom. 1. p. 236. princ. Οὐ χάρειν τὸ ἀληθὲς ἐάσαντες οἱ δημιουργοὶ νῦν, οὐ τὰς οὔσας συμμετρίας, ἀλλὰ τὰς δοξούσας εἶναι καλὰς τοῖς εἰδώλοις ἐναπεργάζονται. [ Expressæ veritatis ratione prætermisssa hodierni artifices, proportiones, non quæ quidem revera sint, sed quæ pulchræ videantur, simulacris accommodant.
- ↑ I Satiri, e i Fauni, come i Sileni, i Titiri, i Silvani, erano numi de’ boschi, e delle campagne. Gli antichi li confondevano spesso; ma però erano distinti nella figura, e si credevano anche diversi di origine. I Pani, i Satiri, i Titiri, e i Sileni eran proprj de’ Greci, e da quelli passarono ai Romani, de’ quali erano proprj i Silvani, e i Fauni presi dagli Aborigeni, e forse anche dai Toscani. Veggansi gli Accademici Ercolanesi De’ Bronzi Tom. iI. Tav. 38. pag. 145., e il signor abate Visconti Museo Pio-Clementino Tom. I. Tav. 46. pag. 82. e 83.
- ↑ Paus. lib. 1. cap. 20. pag. 46. lin. 10. [ Ateneo lib. 13. cap. 6. pag. 591. B.
- ↑ Paus. lib. 2. cap. 13. pag. 141. lin. 33.
- ↑ Laciniæ a cervice binæ dependentes, Plinio lib. 8. c. 50. sect. 76. [ Da Varrone De Re rust. lìb. 2. cap. 3. dette mammulæ pensiles, da Columella lib. 7. cap. 6. verruculæ, da Festo noncolæ, e da altri anche fichi, come osserva Bochart Hieroz. l. 6. c. 6. Si vedono a un bel Fauno giovane dormente sopra un sasso tra i bronzi d'Ercolano Tom. iI. Tav. 40., e in altro alla Tav. 42., che rappresenta un Fauno più vecchio, o un Sileno disteso sopra una pelle di fiera, e appoggiato a un otre. Sono molto visibili anche al bellissimo Fauno in marmo rosso del Museo Pio-Clementino T. I. Tav. 47.
- ↑ Fu scoperta presso il famoso sepolcro di Cecilia Metella, e stette alcun tempo nell’Istituto di Bologna, ove la videro Breval, e Keysler, che ne parlano.
- ↑ Vatelet Réflex. sur la peint. p. 69.
- ↑ In due bronzi del Museo d’Ercolano Tom. iI. Tav. 45. e 46. ha la barba lunghetta, e tutta contorta a modo di tante boccole pendenti.
- ↑ Bart. Admir. Roman. Antiq. Tab. 71. [Triclinio, o Biclinio, e Convitto di Trimalcione.
- ↑ Luciano in Baccho, op. Tom. iiI. §. 2. pag. 76. descrive Sileno come basso di statura, vecchio, grassotto, panciuto, col naso simo, con grandi orecchie diritte, tutto tremante, portato da un asino; e Seneca Œdip.
vers. 429. lo dice anche portato sull’asimo:
Te senior turpi sequitur asello
Turgida pampineis redimitus tempora fertis.Della costituzione di corpo, che gli dà Luciano, è il Sileno in piedi del Museo Pio-Clementino in atto di premere un grappolo d’uva, e rappresentato come il personaggio allegorico della ubriachezza. Veggasi la descrizione, che ne dà il lodato Visconti l. cit. Tav. 46. pag. 83.
- ↑ Ap. Aristid. Orat. Bacch. oper. Tom. I. pag. 29.
- ↑ Noi ne daremo il disegno in appresso in questo Tomo.
- ↑ Di questa figura parla Flaminio Vacca, presso Montfaucon Diar. ital. cap. 14. pag. 193. che crede di ravvisarvi un Apollo alato. Montfaucon l’ha fatta incidere su un cattivo disegno Antiq. expl. Tom. I. pl. 115. num. 6.
- ↑ Callim. Hymn. Apoll. v. 47., Theocr. Idyl. 25. v. 21. [Taziano Otar. contra Græcos, cap. 21. pag. 262. B., Atenagora Legatio pro Christian. cap. 21. pag. 298. princ., Giulio Firmico Octav. pag. 24.
- ↑ Pitt. d’Ercol. Tom. IV. Tav. 41.
- ↑ Bronzi d’Ercol. Tom. I. Tav. 63.
- ↑ in Nubib. vers. 1178. [ Ipso e vultu ASPECTUS micat ATTICUS.
- ↑ pag. 183. seq.
- ↑ Iliad. lib. 24. vers. 348.
- ↑ I versi d’Omero colle parole citate, anche nelle traduzioni, sono tanto chiari, che se quello scultore, e l’erudito, cui critica Winkelmann, li avesser letti, non ne avrebbero potuto trarre autorità per un tal restauro:
Perrexitque eundo juveni regio similis
Primum pubescenti, cujus pulcherrima juventa - ↑ Philostr. lib. 1. Icon. 10. Tom. iI. p. 779 [ Una vero cum lanugine secundum aurem descendens, eamque fulgore collustrans.
- ↑ Præcept. conjug. princ., oper. Tom. iI. pag. 138. C.
- ↑ Tzetz. Schol. Lycopkr. verf. 680.
- ↑ Ovid. Fast. lib. 2. vers. 599.
- ↑ Salmas. not. in Inscript. Herod. Att. pag. 110. seq.
- ↑ Justin. Mart. Orat. ad Græc. §. 3. p. 4.
- ↑ Art de peindre, chant 1. pag. 13.
- ↑ Ora nel Museo Pio-Clementino, come ho detto sopra p. 177. Il disegno di essi, colle figure annesse, può vedersi in fine del Tomo iiI. del Giornale de’ Letterati, ove è la dissertazione del signor abate Marini, di cui si è parlato loc. cit.
- ↑ Molto più se sia vestito da donna, come in una bella statua di villa Panfili, presa per un Clodio da qualche Antiquario, e con tutta ragione creduta Ercole dal signor abate Visconti Museo Pio-Clementino Tomo I. Tav. 30. pag. 62.
- ↑ Athen. Deipnos. lib. 13. c. 8. p. 605. D.
- ↑ Descript. &c. cl. 2. sect. 16. num. 1679 pag. 268.
- ↑ Iliad. lib. 5. vers. 550 - 642.
- ↑ Apollod. Bibl. lib. 3. cap. 4. §. 3. p. 159. princ.
- ↑ lib. 36. cap. 5. sect. 4. §. 8.
- ↑ Œdip. vers. 419 - 423.
- ↑ Βρομίου παράμουσος ἑορταῖς. Phœniss. vers. 792.
- ↑ Argon. lib.4.. vers. 94.
- ↑ Due sono ora nella galleria Granducale in Firenze.
- ↑ Macrob. Saturn. lib. 1. c. 18. 19. 21.
- ↑ Vi è nel Museo Pio-Clementino una bella statua colla testa moderna, che appunto potrebbe appartenere all’uno e all'altro di questi numi, le il ventre che ha del femminile non la facesse piuttosto credere un Bacco, secondo che ha detto il nostro Autore nel §. precedente.
- ↑ Venduto in appresso fuori di Roma.
- ↑ Forse Clemente Alessandrino, Cohort. ad Gent. num. 4. oper. Tom. I. pag. 50. l. 37. alludeva a queste figure, scrivendo che Bacco si conosceva dall’abito ἀπὸ τῆς στολῆς
- ↑ De Nat. Deor. lib. 1. c. 18. & 25.
- ↑ Se ne veggano le figure nel Tomo iI.
- ↑ Martian. Capella lib. 1. pag. 18.
- ↑ Monum. Matthæj. Tom. iI. Tab. 2. Ora nel Museo Pio-Clementino.
- ↑ Non so se Winkelmann con questo parlare così assoluto, e generale voglia negare che il modio si trovi in capo a nessun Giove; e per conseguenza ritrattarsi di aver detto, Description des pierr. grav. du Cab. de Stosch, che era Giove, detto per eccellenza exsuperantissimus (di cui parlerà in appresso), la figura, che vedesi col modio in capo in una pasta di vetro di quel museo.
- ↑ Herc. sur. vers. 721.
- ↑ Vedi sopra pag. 14. not. a., e de la Chausse Mus. Rom. Tom. I. sect. 1. Tab. 63.
- ↑ Oltre Plutone o Serapide portano il modio sul capo altre divinità. Tali sono un’Iside, una Fortuna, e un Priapo presso il de la Chaulle Mus. Rom. sect. 1. Tab. 2., sect. 2. Tab. 29., Tom. iI. sect. 7. Tab. 3. [ Una Fortuna col modio l’ha trovata il nostro Autore nel Museo di Stosch, Description. ec. cl. 2. sect. 17. num. 1817. pag. 297., e un Priapo sect. 15. num. 1620. pag. 263., un Barco indiano considerato come Serapide dagli Egiziani sect. 15. num. 1434. pag. 229.; e sect. 5. num. 223. pag. 67. sospetta che lo abbia anche una Cerere. ] Nel Museo Odescalco v’è pur un soldato con lo stesso segno, il quale tiene una piccola vittoria in mano, Tom. iI. Tab. 22. Il modio, simbolo dell’abbondanza, ha la forma d’una cesta di canne o di giunchi; e ben di rado vedesi su di esso rappresentata altra cosa. In una bella testa però di bianco marmo, che ai descritti indizj esser dee di Plutone, esistente in questo Monistero di sant’Ambrogio, il modio sovrapostovi ha una pianta d’ulivo con alcune spiche di frumento: particolarità, che la rende vieppiù pregevole. Ne diamo la figura in appresso.
- ↑ Anthol. lib. 5, num. 54. vers. 4. e 5.[ In forma semen Jovis demonstrabat.
- ↑ Il Centauro più vecchio del Museo Capitolino è l’originale, e quello di villa Borghese la copia. Vedi appresso al lib. XII. cap. I. §. 15.
- ↑ Buffon Hist. nat. Tom. IX. pag. 8. in fine.
- ↑ Omero Iliad. lib. 1. vers. 28 - 30. Avverto qui una volta per sempre ai meno eruditi, che il nostro Autore quando dice il poeta, intende Omero principe dei poeti, che per eccellenza di merito soleva appunto semplicemente chiamarsi il poeta dai Greci, come dai Latini era cosi chiamato Virgilio. §. Sed jus 2. Instit. De Jure nat. gent. & civ., e ivi Everardo Ottone, l. Aut facta 16. §. Lex 8. ff. de Pœnis, Seneca Epist. 58.
- ↑ Ora gli si può aggiugnere quello del Museo Pio-Clementino, che prima stava nel palazzo Verospi creduto un Giove per una certa somiglianza colle di lui forme, e perchè gli era stato rifatto lo scettro in vece del tridente. I capelli gli ha come bagnati, e la barba crespa. Vedasi la figura, e la descrizione, che ne dà il signor abate Visconti nella descrizione del detto Museo Tomo I. Tav. 33.
- ↑ Philostr. Icon. lib. 1. n. 7. oper. Tom. iI. pag. 775. [ Fluctus enim jam sese incurvatus nuptiis accommodat, glaucus adhuc, cæsique coloris, purpureo autem ipsum Neptunus mox pingit.
- ↑ Mon. ant. ined. num. 35.
- ↑ Philostr. loc. cit. lib. 2 n. 15. pag. 833. [ Densa supercilia & conjuncta invicem unum quasi essent.
- ↑ Pajono pinne, e forse anche squamme, ma non mai branchie, come le dice Winkelmann anche nei Monumenti antichi al luogo citato. Si vedono presso a poco nello stesso modo sull’Erme colossale di egregia scultura greca nel Museo Pio-Clementino, rappresentante l’Oceano, o il Mare mediterraneo.
- ↑ Sono degni di essere qui ricordati particolarmente i due del Museo Pio-Clementino. Il primo, che può vedersi anche nella descrizione di esso Tom. I. Tav. 34., di un molto elegante lavoro, uomo dal mezzo in su, nel resto diviso in due gran code di pesce, ha le orecchie faunine, le corna in fronte, e innanzi due zampe di cavallo, e forma un bellissimo gruppo con una donna nuda, che rapisce, e due Amorini, che gli svolazzano sulla coda. L’altro, dato nella Tavola 35., mostra nella mezza figura umana, che ne resta, uno stile grandioso, che lo rende uno de’ più belli, e de" più rari monumenti di deità marine. Ha similmente le orecchie faunine; nella bocca mezza aperta si vede qualche cosa non umana, e un palato quasi piano a guisa d’alcuni pesci. I tratti del suo volto, dice con verità il signor abate Visconti espositore, benché manierati, sono pieni d’una certa bellezza ideale, e d’una certa nobiltà, che nel tempo stesso, che non possono competere che ad un mostro, son pur convenienti ad un dio. Ha inoltre sul petto allacciata la pelle squamosa d'un pesce a somiglianza della pelle d’Ercole, o delle Nebridi de’ seguaci di Bacco. È stata disotterrata questa figura, non ha molto, nel territorio di Tivoli.
- ↑ Vedi sopra pag. 189. not. A.
- ↑ Ne daremo anche la figura nel iI. Tomo.
- ↑ Stazio Achill. lib. 1. v. 600. segg.
- ↑ Paus. lib. 1. cap. 19. princ. pag. 44.
- ↑ Callimaco in fragm. a Bentl. Collect. num. LXVI. pag. 322., Licofrone Cassandra, v. 1323. Vegg. Venuti Collect. Antiq. Rom. Tab. 55., Winkelmann Monum. ant. Part. iI. cap. 12. num. 96. pag. 130.
- ↑ L'Art de peindre. Réflexions sur les proportions.
- ↑ Psalm. 44. vers. 3.
- ↑ Le varie teste, che ha fatte Guido, meritano qualche riguardo.
- ↑ Leonardo nella famosa Cena dipinta a fresco nel refettorio del convento delle Grazie di questa città sentì più che altrove la necessità di dare al Salvatore le più belle sembianze: „ ma, dice il Lomazzi, Tratt. della pitt. lib. 1. cap. 9., aveva egli fatti i due Giacomi di tanta bellezza e maestà, che volendo poi far Cristo non potè mai dar compimento e perfezione a quella santa faccia, con tutto che egli fosse singolarissimo; onde così disperato, non vi potendo far altro, se n’andò a consigliarsi con Bernardo Zenale, che per confortarlo gli disse: o Leonardo, è tanto e tale questo errore, che hai commesso, che altro che Iddio non lo può levare; imperocchè non è in potestà tua né di altri di dar maggiore divinità e bellezza ad alcuna figura di quella che hai data a Giacomo maggiore e minore: sicchè sta di buona voglia, e lascia Cristo così imperfetto, perchè non lo farai esser Cristo appresso a quegli Apostoli. E così Leonardo fece ec. „. Quindi appare che non fosse fra noi il solo Leonardo a pensare che dar si dovesse al Salvatore la massima bellezza. Leggasi lo stesso presso Vasari Vita di Leonard. Tom. iiI. part. 3. pag. 21. [ Tra le vite dei pittori. Ma ivi nella nota di monsignor Bottari si prova, che questa testa fosse finita meravigliosamente.