Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. I)/Libro terzo - Capo IV

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Capo IV.


Arti presso i popoli limitrofi degli Etruschi... cioè Sanniti... Volsci... e Campani... de’ quali abbiamo monete... e vasi di terra... detti erroneamente etruschi — Di essi alcuni sono propriamente campani... altri greci, e con greca iscrizione — Principali collezioni di questi vasi... fatte in Napoli... e in Sicilia — Uso di essi ne’ sepolcri... ne’ pubblici giuochi... e per ornato nelle case — Pittura e disegno loro — Descrizione d’un vaso Hamiltoniano - D’alcune figure dell’isola di Sardegna. Conclusione.


Arti presso i popoli limitrofi degli Etruschi... Si coltivarono le arti eziandio dai popoli confinanti cogli Etruschi verso oriente e mezzodì, quali furono i Sanniti, i Volsci e i Campani1; e presso questi ultimi poco meno che presso gli Etruschi medesimi fiorirono. Delle opere [p. 208 modifica]dell’arte de’ Sanniti e de’ Volsci nulla, ch’io sappia, si è fino a noi conservato, fuorché due monete: de’ Campani però, oltre le monete, ci restano de’ vasi di terra dipinti. Dei primi due popoli per tanto solo riferirò generalmente qual ne fosse la costituzione e ’1 costume, onde argomentar se ne possa lo stato delle arti presso di loro; e quindi tratterò più diffusamente de’ Campani.

§. 1. Potrà dirsi delle arti presso que’ due popoli ciò che dicesi del linguaggio, il quale era Osco2, che, ove pur non fosse un dialetto dell’etrusco, deve almeno esserne stato poco dissimile3. Ma siccome non sappiamo le differenze dei dialetti di quelle nazioni, così nemmeno possiamo distinguere le monete o le gemme, che di esse forse ci pervennero, e così dell’arte loro con certezza giudicare.

Sanniti... §. 2. 1 Sanniti amavano la pompa; e sebbene fossero una nazione guerriera, pure i piaceri della vita assai ricercavano4. Aveano in guerra gli scudi intarsiati d’oro e d’argento5; e in un tempo, in cui sembra che i Romani poco conoscessero l’uso del lino, la scelta soldatesca de’ Sanniti erane vestita anche in mezzo al campo6; anzi narra Livio che, nella battaglia de’ Romani sotto L. Papirio Cursore, quelli [p. 209 modifica]circondarono con pannilini il campo intero, che formava un quadrato, di cui ogni lato avea dugento passi7. Capua, città fabbricata dagli Etruschi8, ed abitata quindi da’ Sanniti9 che su loro l’aveano conquistata10, era celebre per l’amor del piacere e per la mollezza11.

... Volsci ... §. 3, Il governo de’ Volsci, siccome quello degli Etruschi e degli altri popoli confinanti, era aristocratico12. Essi eleggevano un re ossia un condottiere dell’armata, quando sovrastava la guerra, e ’l regolamento loro in tempo di pace era simile a quello di Sparta e di Creta13. Della numerosa loro popolazione fanno fede anche oggidì le frequenti ruine di città distrutte, che su i vicini colli s’incontrano, e della loro potenza sono argomento le molte sanguinosissime battaglie ch’ebbero co’ Romani, i quali non poterono soggettarli se non dopo averne riportati ben ventiquattro trionfi. La popolazione numerosa e la pompa animavano gl’ingegni, incitandoli allo studio, e la libertà elevava lo spirito: circostanze favorevolissime al progresso delle arti.

§. 4. I Romani ne’ primi tempi servironsi degli artefici di que’ due popoli. Tarquinio Prisco chiamò a Roma da Fregella, paese de’ Volsci, un artista detto Turiano14, il quale gli [p. 210 modifica]fece una statua di Giove in terra cotta; e dalla somiglianza che scorgesi tra una moneta della famiglia Servilia in Roma, ed una sannitica, alcuni inferiscono che a tal lavoro in Roma artisti sanniti s’adoperassero15. Un’antichissima moneta di Anxur, città de’ Volsci (or Terracina), ha una bella testa di Pallade16.

.... Campani... §. 5. I Campani eran gente, a cui e’ l dolce clima e l’ubertuoso suolo ispiravano la voluttà. Il lor paese, come pur quello de’ Sanniti, era stato ne’ più antichi tempi computato nell’Etruria, ma gli abitanti non aveano soggiaciuto mai né all’etrusco dominio né ad altri. Vennero quindi i Greci a stabilirsi nel paese loro, e v’apportarono le arti; della qual cosa sono argomento e le greche monete di Napoli17, e quelle di Cuma che sono ancor più antiche18.

[p. 211 modifica]§. 6. Né ciò dicendo voglio asserire che quella città sia più antica di quella. Edificate furono amendue a un tempo stesso, siccome ha dimostrato con somma precisione Martorelli19, Cuma da Megastene, e Napoli da Ippocle, i quali lasciarono Cuma nella penisola Eubea, loro patria, conducendo seco una porzione degli abitatori soverchiamente moltiplicati per cercare altrove fortuna. Io son d’opinione che amendue queste città abbiano un’antichità anche maggiore dì quella che loro suole attribuirsi; e diffatti Strabone dice che Cuma era antichissima fra tutte le città greche della Sicilia e dell'Italia20. Da Eubea partirono anche gli abitanti di Calci, che n’era la capitale, e vennero a stabilirsi in un’isola poco lungi da Napoli chiamata allor Pitecusa, ora Ischia, cui però e pei frequenti terremoti, e per le eruzioni de’ volcani presto abbandonarono. Una parte di essi allora fermossi sul lido, e vi fabbricò Napoli; un’altra parte si portò più lungi dal Vesuvio, e v’edificò Nola21; quindi è che le monete di queste città sono segnate con lettere greche. Ometto varie altre greche città, come Dicearchia, detta poscia Pozzuolo, che più tardi fu fabbricata da que’ Greci, che nelle spiagge vicine aveano dianzi fissata la lor sede. Appare quindi che abbian essi in que’ luoghi esercitate nella più rimota antichità le arti proprie, e che i Campani loro limitrofi, i quali abitavano più dentro terra, le abbiano da loro imparate. Quindi pure si argomenta da qual nazione siano stati formati e dipinti molti di que’ vasi di terra cotta, che di frequente si scavano nella Campania, e principalmente nei sepolcri presso Nola. Che se pur si voglia lasciare ai Campani la gloria [p. 212 modifica]d’essere gli autori di siffatti monumenti, si potranno essi almeno senza far loro ingiuria considerare come scolari degli artefici greci; e questa opinione diviene d’un’evidente certezza, qualor sia vero, come scrive Diodoro22, che i più antichi Campani abbiano cominciato soltanto nell’olimpiade lxxxv. ad essere una nazione particolare (τὸ ἔθνος τῶν Καμπανῶν συνέστη).

...de' quali abbiamo monete... §. 7. Devono tenersi certamente come proprie de’ Campani le monete delle città situate nell’interiore della provincia, ove i Greci non condussero mai colonie, quali sono Capua, Tiano, e altri luoghi; e lo stesso deve dirli di quelle monete, le quali hanno iscrizioni nel linguaggio proprio de’ Campani, ch’era simile all’etrusco; e che per tal cagione da alcuni furono credute iscrizioni puniche. Così pensò Bianchini23 d’una moneta di Capua. Il marchese Maffei però, trattando dell’iscrizione di quella moneta, ebbe a confessare che non ne intendeva punto il significato24. Vien pur creduta punica l’iscrizione d’una moneta di Tiano nell’Opera delle monete Pembrokiane25. Ma mentre la scrittura dimostra che i Campani abbianla avuta dagli Etruschi; dall’impronto, che non è punto fecondo lo stile dell’arte etrusca, s’inferisce che il disegno abbianlo essi, ficcome s’è detto, imitato da’ Greci. La testa d’un giovane Ercole sulle monete d’ambedue le summentovate città, e la testa di Giove su quelle di Capua sono d’una bellissima idea di disegno: la vittoria stante fu un cocchio a quattro cavalli in una moneta della città medesima non distinguesi dagl’impronti greci.

...e vasi di terra... §. 8. Le monete delle città campane sono ben in piccol numero al confronto de’ vasi dipinti, che in que’ paesi in ogni ...detti erroneamente etruschi. tempo sono stati disotterrati, ed erroneamente vasi etruschi si dicono. I primi a così chiamarli furono Buonarroti e Gori, [p. 213 modifica]che furono pur i primi a darcene le figure; ma questi due Toscani troppo si lasciarono guidare dall’amor della patria nell’attribuire quelle opere agli Etruschi.

§. 9. La loro asserzione però non è affatto priva di fondamenti, che qui esamineremo. Leggesi, dicon essi, presso gli antichi scrittori che pregiati erano i vasi lavorati in Etruria26, e principalmente in Arezzo, città etrusca27. Si scorge altresì della somiglianza tra parecchie figure di que’ vasi, e quelle che veggonsi incise su alcune etrusche tazze di bronzo usate ne’ sagrificj. Sono particolarmente da notarsi le figure de’ Fauni a coda di cavallo, laddove i Fauni e i Satiri presso i Greci corta l’aveano e simile a quella delle capre. Si osserva pure fu alcuni vasi dipinti certo uccello d’ignota specie, e Plinio altronde afferma essere stati ne’ libri divinatorj degli Etruschi rappresentati tali uccelli, che a lui, comechè versato naturalista ei fosse, erano affatto sconosciuti. Questo però non altro prova se non che le idee delle figure stravaganti da una nazione all’altra passarono; e riguardo all’uccello avvertirò esservene uno assai grosso e non conosciuto, con un’iscrizione nel più antico carattere greco, su un vaso del museo Hamiltoniano, ove rappresentasi una caccia, e cui più volta m’avverrà di nominare. Somiglia questo ad un ottarda, uccello noto agli antichi Romani28, e che oggidì è quasi [p. 214 modifica]affatto sconosciuto in Italia, almeno nella parte meridionale di essa. Buonarroti vuole ricavare un argomento dalle corone, dai vasi in mano di Bacco, dagli stromenti musicali, e dalle cassettine quadrate, che dipinte si vedono su tai vasi, e non già fu i greci lavori, o in questi almeno hanno una differente forma29; ma queste osservazioni appena una leggiera probabilità somministrano. Egli non fu però sì poco versato o malavveduto da voler asserire quanto gli attribuisce Gori30, cioè che gli dei e i tratti favolosi fossero espressi su alcuni vasi in maniera totalmente diversa da quella, in cui rappresentarli sogliono ne’ greci monumenti; troppo facilmente gli si farebbe dimostrato il contrario. L’autorità di Gori non è altronde qui d’alcun peso: egli non mai uscito da Firenze sua patria non ha potuto cogli occhi propri vedere ed esaminare se non poche fra le vetuste opere dell’arte31.

§. 10. Finalmente siccome non può negarsi che la maggior parte de’ vasi noti agli eruditi non siano stati trovati nel regno di Napoli, i fautori degli Etruschi, per conservarli alla loro patria, vogliono rimontare ai più antichi tempi della storia, ed a quell’epoca, in cui quella nazione per l’Italia tutta si era estesa; ma non osservano poi che il disegno della maggior parte di quelle pitture indica tempi a noi più vicini, in cui l’arte o era giunta già alla sua perfezione, o cominciava almeno ad avvicinarvisi, secondo che più o meno antichi [p. 215 modifica]sono i vasi. Un miglior fondamento per sostenere la comune opinione, che attribuisce il lavoro di que’ vasi agli Etruschi, sarebbe stato l’indicarne alcuni che effettivamente in Toscana fossero stati scavati; ma nessuno ha saputo finora produrre tai monumenti.

§. 11. Voglio pur anche accordare (ciò che però non è ben dimostrato ancora) che alcuni de' vasi esistenti nella galleria Granducale siano veracemente stati disotterrati in Toscana: e so diffatti che alcuni piccoli rottami di vasi di terra cotta furono scavati ne’ contorni di Corneto32; ma egli è altresì incontrastabile, che le grandi collezioni di vasi antichi, le quali trovansi in Italia, e que’ pezzi eziandio che sono stati [p. 216 modifica]portati oltremonti, son tutti avanzi d’antichità scavati nel regno di Napoli, e generalmente presso Nola, o negli antichi sepolcri di quella Città, la quale, siccome sopra dicemmo, è stata una colonia de’ Greci. Aggiungasi che la maggior parte de’ vasi conosciuti son dipinti con greco disegno, e alcuni eziandio di greche cifre segnati.

§. 12. Il solo argomento valevole, che favorisce l’opinione di Buonarroti e Gori, si ricava da que’ vasi, ne’ quali si ravvisano non fallaci indizj d’etrusco stile; e si può quindi inferire che alcuni de’ vasi detti etruschi siano veramente d’artisti campani, i quali avranno probabilmente imitato il disegno de’ più antichi Tirreni, che sin colà dominarono, come ne [p. 217 modifica]aveano preso il linguaggio. Diffatti gli artefici campani lavoravano diversamente dai greci e dai siciliani, siccome osserva Plinio, principalmente riguardo ai legnajuoli33. Orazio fa menzione degli utensili di terra della Campania (Campana supellex), come di arnesi di vil prezzo34.

... altri greci, e con greca iscrizione. §. 13. Ma sebbene alcuni di quelli vasi possan essere opera etrusca, pure che nol siano generalmente quelli che tali si dicono, lo dimostrano i bellissimi lavori di questa maniera, che scoperti furono e raccolti nella Sicilia. A rapporto del signor barone di Riedesel, amico mio, il quale come conoscitore delle antichità e delle arti ha tutta visitata la Sicilia e la Magna Grecia, sono questi similissimi ai più bei vasi che veggonsi ne’ musei di Napoli, e sovr’alcuni di essi leggonsi greche iscrizioni, che pur si leggono in tre vasi della collezione Mastrilli a Napoli, pubblicati prima dal canonico Mazochi mal disegnati e peggio incisi, e quindi con inimitabile esattezza e venustà esposti nella collezione Hamiltoniana. V’è pur colà con greca epigrafe una tazza di terra cotta, ed un altro vaso con quelle parole (Callicle il bello)35. Le più antiche iscrizioni però stanno sul mentovato vaso Hamiltoniano, di cui, come pure degli altri segnati con greco carattere, tratterò nuovamente nel Libro seguente. E poiché sinora non s’è scoperta ancora alcun’opera, che abbia un’etrusca iscrizione, dobbiamo presumere che gl’ignoti caratteri di due bellissimi vasi della collezione del signor Mengs a Roma (uno de’ quali io pubblicai ne’ miei Monumenti antichi)36 greci sieno anziché etruschi37. Spiegai nella medesima [p. 218 modifica]opera un altro vaso della biblioteca Vaticana38, su di cui il nome del pittore è scritto in quella forma ΑΛΣΙΜΟΣ ΕΓΡΑΨΕ (Alsimo dipinse): altri erroneamente lessero ΜΑΞΙΜΟΣ ΕΓΡΑΨΕ; e Gori, al cui sistema opponeasi quella iscrizione, la dichiara francamente per un’impostura senza aver mai veduto il vaso39.

Principali collezioni di questi vasi... §. 14. L’argomento, che per ascrivere agli artisti greci i summentovati lavori si trae dalle iscrizioni e dal disegno medesimo, anche dove mancano le iscrizioni, vien confermato, siccome testè avvisai, da’ vali di simil maniera e d’egual lavoro, ritrovati nella Sicilia: io ne indicherò le collezioni fatte in quell’isola, dopo d’aver parlato di quelle che fatte furono nel regno di Napoli.

...fatte in Napoli.. §. 15. La prima Collezione, che siasi fatta di antichi vasi, è, per quanto io so, quella della biblioteca Vaticana. Devesi quella al giureconsulto Giuseppe Valletta napolitano, dai cui eredi comprolla il vecchio cardinal Gualtieri40, e lasciolla quindi alla summentovata biblioteca. Lo stesso Valletta lasciò alla biblioteca de’ Teatini del Collegio de’ Ss. Apostoli in Napoli una ventina di simili vasi che vi si conservano tuttora.

§. 16. Alla Vaticana, almeno riguardo al numero, non è punto inferiore la collezione fatta dal conte Mastrilli a Napoli, alla quale ne è stata poi unita un’altra considerevole di vali simili fatta da uno della stessa famiglia abitante a Nola. [p. 219 modifica]Tale raccolta vedesi ora in Napoli presso il conte di Palma loro erede.

§. 17. Dopo quelle menzionar si deve la collezione, che trovasi in casa Porcinari, e contiene circa settanta pezzi, uno de’ quali bellissimo rappresenta Oreste inseguito da due figure, e col ginocchio sinistro piegato sul coperchio (ὅλμος) del tripode d’Apollo. Degli altri ornamenti di quello coperchio ne parlerò nella terza parte de miei Monumenti antichi. La figura del vaso può vedersi nella raccolta Hamiltoniana41.

§. 18. Il duca Caraffa Noya, grand’amatore delle antichità, ha cominciato a raccogliere, oltre molti antichi monumenti d’ogni maniera, anche de’ vasi che si sono ultimamente pubblicati. Il più bello e ’l più considerevole di questi vasi rappresenta con ben venti figure il combattimento de’ Greci e de’ Trojani pel corpo di Patroclo: ivi questi da quelli distinguonsi per la celata non molto dissimile dalle berrette frigie.

§. 19. Per ultimo il signor cavalier Hamilton, Ministro Plenipotenziario di S. M. Britannica presso il Re delle due Sicilie, ha formata una numerosa e sceltissima collezione di vasi di terra cotta, i quali poscia furono pubblicati dal signor d’Hancarville unitamente ai più bei vasi delle collezioni Mastrilli e Porcinari in quattro Tomi in foglio grande imperiale42. Questa è superiore a tutte le opere di tal genere, che sono state dianzi pubblicate: ivi ogni vaso è espresso in due tavole distinte, in una secondo la propria forma, e nell’altra secondo le giuste dimensioni, cosicchè i contorni, e più [p. 220 modifica]ancora le figure imitate sono colla massima diligenza e con tutta la verità del disegno antico, onde non solo trovasi qui un tesoro ad disegno greco, ma eziandio il più certo argomento della perfezione a cui aveano quegli artisti portata l'arte loro43. Il celebre possessore di questa collezione, oltre più altri pregevolissimi monumenti, può vantarsi di possedere in due vasi, de' quali parlerò più sotto, ciò che di più antico ci è rimasto dell'arte greca, e ciò che conosciamo di più bello e di più ben disegnato.

§. 20. Considerevole è pur la collezione di vasi fatta in Napoli dal Raffaello de' nostri tempi, il signor Mengs44, della quale cinque veramente particolari ne ho pubblicati ne' miei Monumenti45. Altri ve n'ha che meritano, al par di quelli, d'essere conosciuti dagli amatori, e rammentomi di uno che rappresenta un'Amazzone a cavallo col cappello gettato dietro le spalle, in atto di combattere con un eroe ; questi è probabilmente Achille, e quella è forse Pentesilea46, a cui s'attribuisce l'invenzione del cappello.

§. 21. Finalmente, parlando de' vasi tratti dai contorni di Napoli, ometter non deggio d'indicare quello che il regnante principe d'Anhalt Dessau ha comperato a Roma. Ha [p. 221 modifica]questo una particolarità in altri vasi non ancora osservata, essendo su esso dipinta una figura muliebre vestita, la quale sta innanzi ad un genio alato, e tiene in mano uno specchio rotondo a lungo manico, in cui vedesi il profilo del volto della figura, non già disegnato a colori naturali, ma a lucido smalto di color piombino. Probabilmente dagli stessi luoghi sono derivati, almeno per la maggior parte, i vasi di quello genere, le collezioni de’ quali ci sono state indicate da Gori47.

... e in Sicilia. §. 22. Io ebbi sovente occasione di esaminare con agio tutte queste collezioni, e avrei bramato di poter così vedere, senza dovermi fidare agli occhi altrui, i vasi che trovansi in Sicilia48, ove non meno che nella Magna Grecia le arti tutte fiorirono. Frattanto, finché vengami fatto d’andar colà, onde darne poi una più esatta relazione, non dispiaccia a' miei leggitori, ch’io loro indichi semplicemente que’ luoghi dell’isola, ne’ quali trovansi di tali vasi le migliori raccolte: son questi Girgenti e Catania.

§. 23. A Girgenti parecchi vasi ornano il museo di monsignor Lucchesi vescovo di quella città, che pur possiede una bella collezione di medaglie: parlerò in seguito di due antichissime tazze d’oro che son presso di lui. Uno de’ più bei vasi trovasi nella cancellaria della Cattedrale alto cinque palmi romani, le cui figure, secondo il solito, sono dipinte a giallo su un fondo nero; e vengo assicurato tale esserne lo stile del disegno, che porta tutt’i caratteri de’ più antichi tempi dell’arte.

$. 24. A Catania i PP. Benedettini hanno nel loro museo oltre dugento di questi vasi; né meno considerevole è la [p. 222 modifica]collezione del degnissimo signore e amatore delle arti, il principe Biscari: in amendue i luoghi vi sono de’ vasi di tutte le forme, e sono in essi dipinti i più rari avvenimenti della storia eroica.

§. 25. Io ben comprendo che avrei dovuto riserbare per ultimo la notizia che ho qui data delle celebri collezioni d’antichi vasi, e dianzi trattare dell’ufo di essi presso gli antichi, del loro disegno e pittura: cose tutte, le quali fanno meglio conoscere l’indole e l’essenza di tai lavori, che non fa un semplice storico racconto de’ luoghi ove raccolti si trovano. Non senza ragione però queste cognizioni a quelle io premisi: e ’1 feci per dimostrare che le mentovate collezioni di vasi fatte furono ne’ paesi ove soggiornarono un tempo i Greci, e per vieppiù confutare l’opinione di coloro che pensano esser tai vasi opere d’artisti etruschi. Ho in tal guisa indagato qual ne sia l’origine, e qual nome loro dar si debba: ricerca che, in tutte le cose di cui trattasi, dev’essere la prima.

Uso di questi vasi... §. 26. Parlando Ora di ciò che spetta all’uso di que’ vasi, oservo trovarsene di tutte le maniere e di tutte le forme, cominciando dai piccolissimi, che probabilmente hanno servito di trastullo ai fanciulli49, sino ai massimi, alti tre, quattro, e ben anche cinque palmi romani. De’ più grandi se ne veggono le figure disegnate e incise su i libri.

...nei sepolcri... §. 27. L’uso n’era vario. Adoperavansi vasi di terra pe’ sacrificj, principalmente di Vesta50. Alcuni servivano a contenere le ceneri de’ morti, e tali erano per la maggior parte quei che trovaronsi ne’ sepolcri scoperti principalmente presso Nola non lungi da Napoli. Vengo assicurato che molti de’ vasi [p. 223 modifica]esistenti presso il governatore di Caserta furono trovati rinchiusi in una pietra ordinaria, e così era rinchiuso, allorchè si scoprì, il vaso pubblicato ne' miei Monumenti al num. 146. Ha questo la stessa forma del vaso che fu di esso si vede dipinto, collocato sovra un tumulo o mucchio di terra, indizio del sepolcro; poichè tal figura aveano i sepolcri degli antichi51. Da ambo i lati del vaso ivi effigiato stanno due figure virili di fresca età, quasi ignude, se non che pende lor dalle spalle un panno: esse hanno la spada sotto il braccio coll’impugnatura per di dietro alla maniera delle figure eroiche; e soleva allora la spada dirsi ὑπωλένιος52. Io penso rappresentarsi ivi Oreste e Pilade presso al sepolcro d’Agamennone.

§. 28. Trovansi di tai vasi ne’ sepolcri posti fra i monti tifatici a dieci miglia e mezzo da Capua, presso a un luogo detto Trebbia, ove andar non si può che per una strada inospita e faticosa. Il signor Hamilton fece aprire in sua presenza questi sepolcri, e per vederne la struttura, e per ricercare se in luoghi di sì difficile accesso si ritrovassero simili vasi. Questo grand’amatore e conoscitore delle arti volle disegnare egli stesso sul luogo uno di que’ sepolcri aperto; e l’ha poscia pubblicato inciso in rame nella seconda parte della summentovata sua grand’Opera53. Eravi in esso steso sul nudo suolo lo scheletro d’un uomo, che avea i piedi verso l’ingresso, e ’l capo presso il muro del sepolcro, ove si vedeano sei sottili lastrine di ferro disposte in giro, a foggia delle canne d’un ventaglio spiegato, e tenute insieme da un perno, intorno a cui aggirar si poteano; più presso al capo stavano due candelabri di ferro consunti dalla ruggine. Sovra il capo ad una certa altezza pendea un vaso attaccato ad un chiodo di bronzo: un altro n’era presso ai candelabri, e due dalla parte [p. 224 modifica]destra dello scheletro vicino ai piedi. Al lato sinistro presso al capo stavano due spade di ferro con un colatojo di bronzo. E’ questo un vaso cupo con manico, traforato come un crivello, e posto entro un altro vaso senza fori, che serviva, come ognun sa, a colare il vino, il quale, siccome solea dagli antichi serbarsi in grandi olle (dolia) per moltissimi anni, onde riusciva più denso del nostro che generalmente si beve poco dopo la vendemmia, perciò esigeva d’essere colato54. Dalla parte medesima a’ piedi eravi una tazza rotonda di bronzo, e in quella stava un simpolo, cioè una tazzetta a lungo manico ripiegato in cima a forma d’uncino, che adoperavasi ora per cavar dalle olle gli assaggi del vino, ora ne’ sagrifizj per versar nella tazza quello che era destinato alla libazione. Presso la tazza stavano due uova ed una grattugia.

§. 29. Mi si permetta di qui esporre intorno a questo sepolcro alcune mie osservazioni, comechè esse sembrino allontanarmi alquanto dal mio scopo, a cui però tosto rivolgerommi. Che i morti si collocassero coi piedi verso l’ingresso della tomba ella è osservazione già fatta55; ma esser doveva una costumanza propria agli abitatori di quel paese il distendere i cadaveri sul nudo suolo senza riporli in alcun’urna o cassa, siccome con poca spesa avrebbon potuto fare, seguendo l’uso degli altri luoghi, ove queste con entro i cadaveri si sono in gran copia disotterrate. Le lastrine di ferro, che stavano intorno al cranio dello scheletro distese a foggia di ventaglio, erano, a parer mio, un vero ventaglio; e ciò indica l’uso che v’era di cacciar con esso le mosche dai cadaveri56. La tazza, il simpolo, e la grattugia presso alle uova indicano il cibo e la bevanda che lasciavasi alle anime de’ trapassati, poiché sappiamo che, fra le ultime cose [p. 225 modifica]suggerite ai moribondi, raccomandavasi loro di bere alla salute delle persone a loro care, che restavano in vita. Così leggesi in un’urna tonda della villa Mattei57:

ARGENTI. HAVE. ARGENTI. TV. NOBIS. BIBES.

(Arcente addio: Arcente tu beverai alla nostra salute). I vasi pendenti, come pure i posti in terra presso allo scheletro, non denno credersi serbatoj di ceneri; sì perchè, come appare dallo scheletro, non eravi colà costumanza di ardere i cadaveri, o tale uso almeno non piacque al padrone di quel sepolcro; sì perchè era qui riposto un corpo solo; e in fine perchè que’ vasi erano tutti aperti, laddove tutte le urne cinerarie il loro coperchio soleano avere. A qual uso poi que' vasi servissero, o a qual fine siano stati ivi riposti, non saprei immaginarlo, poiché gli antichi scrittori non fanno, che io sappia, menzione di vasi collocati ne’ sepolcri per altr’uso che per quello di riporvi le ceneri. Aristofane58 parla d’alcuni vasi con olio che presso a morti collocavansi; ma tal uso non può qui aver luogo.

... ne’ pubblici giuochi... §. 30. E’ conosciuto egualmente l’uso che di tai vasi facevasi ne’ pubblici giuochi della Grecia, ove ne’ più vetusti tempi era un semplice vaso di terra il premio della vittoria59, come argomentasi da un vaso impresso sulle monete della città di Tralle60, e da molte gemme61. Quest’usanza s’è conservata in Atene anche ne’ tempi posteriori, ove al vincitore ne’ giuochi panatenaici davansi in premio consimili vasi ripieni dell’olio tratto dall’olivo sacro a Pallade. Eran questi ornati a pitture, siccome indica Pindaro; ἐν ἀγγέων ἔρκεσιν [p. 226 modifica]παμποικίλοις62, e siccome commenta il suo scoliaste: ἐζῳγράφηντο γάρ αἱ ὑδρίαι 63.

§. 31. A quest’uso probabilmente hanno a riportarsi le pitture di alcuni de’ più gran vasi che veggonsi nelle collezioni Vaticana ed Hamiltoniana, ove son rappresentati in un tempio ora Castore ed ora Polluce; quegli in piedi e con un cavallo, e questi sedente con in mano un elmo acuto a foggia della solita sua berretta. Castore è forse qui posto per indicare la corsa a cavallo, e Polluce per significare un celebre giostratore degli altri giuochi64.

... e per ornato nelle case. §. 32. Oltre di ciò molti di quelli vasi, e direi anche la maggior parte, serviano, come sovente presso di noi quelli di porcellana, a semplice ornamento de’ luoghi ove si collocavano65. Possiamo ciò inferire dalle pitture, che generalmente sono più belle da una parte che dall’altra, poichè le men belle dovean essere rivolte al muro. Nè ad altr’uso certamente hanno potuto servire alcuni di quelli vasi, poichè non hanno fondo, nè sembrano averne avuto mai; e di tal [p. 227 modifica]maniera se ne veggono de’ grandissimi nella collezione Hamiltoniana66.

Pittura e disegno loro. §. 33 Ma ciò che più importa d’esaminare in questo trattato, non fono già le forme e gli usi de vasi summentovati, ma bensì le pitture loro e i disegni, che dennosi per la maggior parte ad artisti greci, e sono più degno oggetto da proporsi allo studio ed alla imitazione de’ nostri professori. Noi diffatti dal disegno e dalle pitture abbozzate assai meglio che dalle finite giudichiamo dello spirito dell’artista, del suo carattere, della sua maniera, e ne conosciamo l’abilità e quella franchezza, con cui la mano ubbidisce all’intelletto, ed eseguisce i pensieri. A quest’oggetto sono dirette le preziose raccolte di disegni; ma meglio delle altre fervono a questo fine le collezioni de’ vasi dipinti, i quali son veri disegni; e tranne quattro tavole marmoree del museo d’Ercolano, sono i soli che rimasti ci sieno degli antichi. Qui le figure sono semplicemente contornate nella maniera che ’l devono essere i disegni, in guisa cioè che oltre il contorno della figura vi sono espresse le altre parti di essa, e la forma e le pieghe e i fregi del vestito: e ciò con semplici linee o tratti senza lumi e senz’ombre. Che se noi a questi disegni diamo talora nome di pitture, non intendiamo già di parlare in senso rigoroso [p. 228 modifica]e stretto; ma usiamo tal voce perchè i disegni son qui fatti a colori. Per tanto possono questi vasi chiamarsi dipinti, come diciamo incise quelle tavole in rame che son fatte ad acqua forte senza incisione.

§. 34. Sulla maggior parte de’ vasi le figure son dipinte a un color solo, o a più vero dire, il color delle figure è il fondo medesimo del vaso, ossia il color naturale della terra cotta che è una finissima argilla; ma il campo della pittura, cioè il colore tra una figura e l’altra, è una vernice nericcia, e collo stesso colore son fatti i contorni delle figure sul fondo medesimo67. Trovansi però nelle grandi collezioni alcuni vasi a più colori dipinti68; e uno ve n’ha nel museo del signor Mengs a Roma, pregevole principalmente per esservi dipinta una parodia degli amori di Giove e d’Alcmena rappresentativi nella più comica maniera, e come a dire travestiti, ond’è probabile che il pittore abbia voluto esprimervi la scena principale dell’Amfitrione di Plauto. Ne daremo la figura in fine del Capo presente. Alcmena sta ad una finestra, come quelle donne star soleano che disposte essendo a far mercato de’ loro favori, facean le ritrose e le riserbate per venderli a più caro prezzo69. La finestra è alta assai dal pavimento, secondo l’uso antico. Giove è travestito con una maschera bianca con barba, e tiene, come Serapi, sul capo un modio, il quale è d’un pezzo solo colla maschera: porta [p. 229 modifica]una scala (fra i cui scalini ha passato il capo) come per salire alla camera d’Alcmena. Dall’altro lato sta Mercurio con un grosso ventre posticcio in figura di servo, ed è travestito a un di presso come il Sosia di Plauto: tiene nella sinistra mano il caduceo voltato all’ingiù, quali per nasconderlo affin di non essere riconosciuto, e nella destra porta una lucerna, cui tiene alzata verso la finestra, forse in atto di far lume a Giove, onde meglio veder possa Alcmena, o per mostrare a questa, siccome dicea Delfi a Simeta presso Teocrito70, ch’egli era pronto a far forza coll’accetta e colla lampana71 in caso di resistenza. Egli è fornito di grossissimo priapo, che dee pur qui avere la sua significazione; e tal parte così formar soleansi di pelle rossa gli antichi comici72. Amendue le figure hanno calzoni d’un color bianchiccio che lor giungono fino alle caviglie, quali veggonsi pure ai comici sedenti con maschera al viso nelle ville Albani e Mattei; e sappiamo altronde che gli attori nelle antiche commedie senza calzoni comparir mai non osavano73. La parte nuda delle figure è d’un color di carne fino al priapo, che è d’un rosso cupo come il loro vestito, e quello in Alcmena è segnato a stelline bianche. I panni così lavorati a stelline erano in uso presso i Greci fin dai più rimoti tempi: tal vestito avea l’eroe Sosipoli in un’antica pittura74, e tale portavalo Demetrio Poliorcete75.

§. 35. I disegni, che veggonsi sulla maggior parte de’ vasi, sono sì esatti, che quelle figure potrebbono aver luogo anche in un quadro di Raffaello. E’ strano altresì che due vasi non trovinsi, ne’ quali la stessa figura sia stata replicata; che se pur ve ne sono de’ simili, io asserir posso almeno, che [p. 230 modifica]avendo vedute parecchie centinaja di vasi antichi, ho osservato in ciascuno una pittura particolare e dalle altre diversa. Un conoscitore atto a giudicare della maestria e dell’eleganza del disegno, e pratico del modo con cui stendonsi i colori fu simili lavori di terra cotta, scorge in tali pitture il più chiaro argomento dell’abilità grandissima, e della franchezza di disegno di que’ dipintori. Egli s’accorgerà che que’ vasi sono stati dipinti nella stessa maniera che i nostri vasi di majolica o di porcellana ordinaria, su cui stendesi il colore turchino, dopo che hanno avuta, come dir si suole, la prima cottura. Questa maniera di dipingere gran franchezza richiede e molta celerità, poiché la terra cotta beve avidamente l’umido, come un asciutto ed arso terreno bee l’acqua; e per tanto, ove il contorno non facciasi assai prestamente e d’un sol tratto, il vaso assorbisce l’umido del pennello, non lasciando in questo altro che una terra che più non può stendersi. Perciò generalmente non vedesi in tali pitture nessuna linea interrotta o nuovamente ripigliata, e scorgesi essere stato fatto l’intero contorno d’una figura con un tratto solo; il che attesane la beltà e la giustezza recarci dee ammirazione76. Dobbiamo inoltre considerare che ne’ lavori di quello genere far non si può nessun cangiamento o correzione, ma i contorni tali sempre restano, quali sono usciti dalla prima pennellata. Come i più piccoli insetti sono la maraviglia della natura, così sono que’ vasi la maraviglia dell’arte e della maniera di disegnare degli antichi; e come i primi pensieri di Raffaello e i suoi abbozzi or d’una testa or d’una figura intera, fatti d’un tratto solo, svelano agli occhi del conoscitore il gran maestro del disegno, quanto le opere sue le più finite; così ne’ vasi scorgesi la franchezza e ’l sapere degli antichi artisti egualmente [p. 231 modifica]e meglio ancora, che nelle altre opere loro. Una collezione di tali vasi è un tesoro di disegni77.

Descrizione d’un vaso Hamiltoniano §. 25. Dovrei qui forse esaminare particolarmente il disegno di molti di questi vasi per darne una più chiara idea a' miei leggitori; ma mi ristringerò alla descrizione d’un solo, che è l’ultimo della prima parte della collezione Hamiltoniana, persuaso di far loro così cosa più grata. Nel descriverlo (omettendo di parlare d’un quadro degli amori di Giasone e Medea dipinto fu la pancia del vaso) parlerò solo della pittura posta fra la pancia e la bocca di esso, essendo quella il più sublime pezzo di disegno che rimasto siaci fra le opere degli antichi. Ma quanto bello è il disegno, altrettanto è difficile l’indovinarne il vero significato. Ne daremo la figura in piccolo al principio del Libro V.

§. 37. Pensai al primo esaminarlo che ivi fosse espressa la corsa proposta da Enomao re di Pisa agli amanti d’Ippodamia, in cui Polipe la palma ottenne e la sposa. Pareami che l’altare posto in mezzo servisse d’appoggio a questa conghiettura; poiché quella corsa stendevasi da Pisa fino a Corinto all’altar di Nettuno78. Ma qui altronde non eravi alcun indizio di questa divinità; e siccome Ippodamia una sola sorella avea, chiamata Alcippa, bisognava supporre che tutte le altre figure muliebri fossero state colà messe a capriccio.

§. 38. Mi venne quindi in pensiere di ravvisarvi la corsa proposta da Icario in Sparta agli amanti di sua figlia Penelope, destinata a colui che riportata avesse la palma su gli [p. 232 modifica]altri; e su questi Ulisse, cui perciò pareami di ravvisare nella figura del giovane eroe, il quale abbraccia una fanciulla che tenta fuggirgli di mano. L’immagine della divinità, che qui sembra indicare il luogo, avrebbe rappresentata Giunone a Sparta, la quale avea una simile cuffia, come ho detto disopra pag. 194.

§. 39, Ma poiché Penelope due sole sorelle avea, cioè Erigone ed Istima che pur non ebbero niuna parte nella corsa, cangiai pensiere e credei di meglio colpire nel segno, immaginando che quella corsa ivi si esprimesse, cui Danao re d’Argo propose per maritare le quarantotto sue figlie. Queste, allorché per ordine del padre, tranne la sola Ipermestra, altrettanti figli d’Egitto loro zio paterno in una notte ebbero trucidati, si meritarono per tale atrocità un abborrimento universale. Difficil cosa era per tanto al padre il trovar chi le chiedesse a spose; onde si rifolvè di concederle (senza pretendere la dote ossia li prezzo, siccome allora s’usava) a coloro fra la gioventù, che esse avessero scelte a proprio piacimento. E poiché nemmeno a tal condizione trovarono chi al loro possedimento aspirasse, Danao propose una corsa, in cui i primi a giugnere al termine avesser a scegliere i primi la sposa fra le sue figlie, e ai più tardi toccassero quelle che avanzavano. Ciò sappiamo di tal corsa, ma ignoriamo quali fossero i concorrenti, e quali fieno stati i più veloci o i più lenti al corso.

§. 40. La figura della dea esser potrebbe la Giunone di Argo, come rilevasi dalla cuffia che essa portava simile a quella della nostra figura; se non che in tal supposizione non si sa più rendere ragione di ciò che la statua ha nelle mani. Potrebbe questo convenire a Rea, avendo molta somiglianza colla pietra che, fasciata a foggia d’un bambino, Rea presenta a Saturno in un’ara quadrangolare del museo [p. 233 modifica]Capitolino. Il vedere due figure muliebri su un cocchio non parrà strano a chi sa esser la Venere omerica posta su un cocchio presso ad Iride che ne tien le redini, e a chi ha letto in Callimaco79, che Pallade solea prendere nel suo cocchio Caricle, la quale fu poscia madre di Tiresia. E’ noto altresì, che Cinisca figlia d’Archidamo re di Sparta ottenne la palma alla corsa de’ cocchi ne’ giuochi olimpici80.

§. 41. I cocchi sono intagliati, siccome esser soleano, non dirò ai giorni di Danao, ma certamente ne’ tempi antichissimi; della qual cosa abbiamo argomento in Euripide81, che al figlio di Teseo nell’accampamento de’ Greci contra Troja dà un cocchio, a cui l’effigie di Pallade serviva di ornato82.

[p. 234 modifica] D’alcune figure dell’isola di Sardegna. §. 42. Prima di terminare questo Capo giudico opportuno di parlar brevemente di alcune figure di bronzo scoperte nell’isola di Sardegna, e dal signor cardinale Albani donate al museo del Collegio romano, le quali e per la forma e per l'antichità loro meritano qualche considerazione83. Quattro di queste sono di varia grandezza da’ mezzo palmo fino a due palmi interi: barbara affatto n’è la bruttura e la forma, ed hanno chiarissimi indizj della più rimota antichità e d’un paese, ove le arti giammai non fiorirono. Il capo è d’una forma allungata, gli occhi d’una grandezza straordinaria, tutte le altre parti deformi, e fra quelle un colfo lungo come di grue, simili in ciò ad alcune delle più informi figure etrusche di bronzo.

§. 43. Due delle tre minori figure sembran essere soldati, sebbene siano senza elmo: amenduè hanno una corta spada, attaccata ad una tracolla, che passa attraverso il petto cadendo dalla spalla destra al fianco sinistro: dalla sinistra spalla fino alla metà delle due cosce pende un piccolo pallio, il quale somiglia piuttosto ad un’angusta striscia di panno che ha sembianza d’un manto quadrato, che può esser messo a pieghe, e da una parte ha all’indentro un piccolo orlo rilevato. Forse questa maniera d’abito è quello, che usavano gli antichi Sardi, e mastruca84 chiamavasi. Una di queste figure sembra portar in mano un piatto con frutta.

[p. 235 modifica]§. 44. La più rimarchevole di quelle figure è alta quasi due palmi, e rappresenta un soldato, che ha una corta camiciuola; ma ha inoltre, come le altre due, le brache e l’armatura che giugne sin sotto la polpa della gamba, nel che dalle altre armature è diversa; poiché laddove quella de’ Greci la parte anteriore delle gambe copriva, quella de' Sardi difendea la polpa, e lasciava scoperto anteriormente lo stinco. Così armate veggonsi le gambe di Castore e Polluce su una gemma del museo Stoschiano85. Tien questo soldato colla mano sinistra uno scudo rotondo innanzi al petto, a una certa distanza però; poiché v’hanno fra mezzo tre frecce, le cui penne sopravanzano lo scudo: nella destra ha l’arco. Il petto è difeso da breve corazza, e gli omeri con una specie d’armatura quadrata; tal maniera d’armare le spalle si vede in un vaso della celebre collezione Mastrilli, in un altro vaso della biblioteca Vaticana86, e in un musaico del signor cardinale Albani da me pubblicato87. In tutte quelle figure tale armatura delle spalle è quadrangolare; ma nella figura sarda somiglia a quel pezzo di panno, che sta attaccato sulle spalle dell’uniforme de’ tamburini. Ho poscia trovato che questa parte d’armatura era stata usata da’ Greci ne’ più rimoti tempi, poiché Esiodo l’annovera fra le altre parti dell'armatura d’Ercole88, e lo Scoliaste di quel poeta la chiama σωσάνιον da σώσειν (difendere). Il capo è coperto con una berretta piatta, da’ cui lati spuntano due lunghe corna simili a due zanne che tendono all’alto, e sporgono davanti, sulle quali posa una cella a due manichi amovibile. Porta al dorso una specie di carretto con due piccole ruote, il cui timone è attaccato ad un anello sul dorso, in guisa che le ruote giungono sin sopra al capo.

[p. 236 modifica]§. 45. Rileviamo da questa figura una ignota usanza degli antichi popoli in guerra. Il soldato sardo dovea portarsi egli stesso la propria provvigione di bocca: non però sulle spalle, siccome i soldati romani, ma se la traeva dietro su una specie di carretto entro una cesta. Compiuta la marcia, il soldato attaccava il suo carretto, ch’esser dovea leggierissimo, ad un anello fissato sul dorso, e metteasi in capo la cesta tenutavi dalle due corna. E’ probabile che con tutti quelli attrezzi, disposti come veggonsi nella statua, andasse anche in battaglia, onde aver sempre in pronto tutto ciò che poteagli abbisognare.

Conclusione. §. 46. Il leggitore avrebbe forse desiderati in tutto questo Libro de’ lumi maggiori, trattandoli di popoli italiani, e di paesi che ci stanno sotto gli occhi, e ove di frequente si disotterrano de’ monumenti dell’antichità; ma conviene pur confessare che, paragonando le cognizioni che abbiamo degli antichi popoli d’Italia con quelle che ci sono state tramandate degli Egizj, siamo simili a coloro i quali sanno molto meno il natio loro linguaggio, che le lingue straniere. Ciò nasce perchè vi sono molti monumenti, e grandi opere dell’arte egiziana, laddove abbiamo bensì molta copia di figurine etrusche, ma non abbiamo statue a sufficienza per formare un compiuto e giusto sistema dell’arte loro89. Dopo un naufragio con alcune poche tavole che a fatica raccolgonsi si può egli mai formarne un intero e sicuro [p. 237 modifica]naviglio? La maggior parte de’ monumenti etruschi rimanici consiste in gemme, le quali sono come piccole schegge d’una distrutta foresta, di cui restate sono in piedi appena alcune poche pianticelle, atte soltanto a servire d’indizio del generale abbattimento. A compimento della disgrazia non possiamo nemmeno sperare di scoprire lavori de’ tempi floridi di quelle nazioni. Aveano bensì gli Etruschi nel paese loro una cava di marmo a Luna90 (oggidì Carrara), una delle dodici loro città capitali; ma i Sanniti, i Volsci, i Campani non trovarono ne’ loro dintorni alcun marmo bianco, onde [p. 238 modifica]i loro lavori furono per lo più di terra cotta o di bronzo. Quelli si sono infranti, e questi fusi; e a ciò ascriver si dee la rarità de’ monumenti dell’arte presso que’ popoli. Siccome però lo stile etrusco fu simile a quello degli antichi Greci91, potrà quanto abbiamo detto sull’arte etrusca considerarsi quasi come un’introduzione ai Libri seguenti.



Note

  1. Limitrofi degli Etruschi, oltre i popoli qui mentovati, furono pure i Liguri, che moltissima parte dell’Italia prima degli Etruschi medesimi occupavano. V. Bardetti De’ primi abitat. dell’Ital. p. 1., [e il Giornale de’ Letterati Tom. iiI. anno 1771. art. 2. p. 58. segg.]; ma delle arti loro non abbiamo verun monumento, nè ragguaglio alcuno ce ne hanno tramandato gli storici. Il paese de’ Liguri, principalmente cisalpini e circompadani, fu poscia in gran parte occupato dagli Etruschi, T. Liv. lib. 5. cap. 19. n. 33., Plut. in Camill. op. Tom. I. p. 136. B., Strab. l. 5. p. 330. C., i quali vi fondarono quella, che il Demstero de Etr. reg. Tom. iI. l. 4. c. 106. chiama terza Etruria; e siccome leggiamo in Polibio Hist. lib. 2. pag. 105. ed in altri scrittori che questi discacciati furono dai Galli, Insubri, Cenomani, Aniani, Boj, e Senoni, perchè a cagione del molle lor vivere erano divenuti men coraggiosi e men forti, è probabile che la mollezza col lusso, e conseguentemente colle arti andasse congiunta. Dobbiamo però confessare che dell’arte loro non abbiamo monumenti degni di considerazione: ben misere cose sono quelle che si sono or qua or la disotterrate; ed è in oltre incerto se opere siano qui formate, ovvero trasportatevi dall'Etruria. De’ Galli, che agli Etruschi succedettero, sappiamo per testimonianza de’ mentovati scrittori che etfi portavano molti fregi d’oro e di altri metalli; ma che, essendo genti inquiete e sol dedite alla guerra, ciò unicamente curavano che fosse di facile trasporto. Aveano però de’ tempj, e in quello di Minerva a Milano serbavasi un vessillo d’oro Polib. loc. cit. p. 119. in fine [ Più vessilli, come dice Polibio.] Non è quindi improbabile la conghiettura dell’anonimo Maurino [ il P. Martin ], Expl. de div. man. singul. &c. præf. pag. XI., secondo cui varj monumenti, riconosciuti per etruschi, devono piuttosto credersi gallici: quale fra gli altri è quel preteso eroe ferito, presso Gori Mus. etr. Tom. I. Tab. 115., che ad un giovane soldato s’appoggia, siccome può argomentarsi dal panneggiamento che è gallico, anziché etrusco.
  2. Liv. lib. 10. cap. 13. num 20.
  3. Vegg. monsignor Guarnacci Orig. ital. Tom. iI. lib. 6. cap. 1. pag. 112. segg.
  4. Casaub. in Capitol. pag. 106.
  5. Liv. lib. 9. cap. 28. num. 40.
  6. Id. lib. 10. cap. 27. num. 38.
  7. Liv. ibid. [ Non il campo intero, ma un recinto quasi in mezzo di esso fu coperto, non circondato, di tele a modo di padiglione in quella larghezza, e lunghezza, che dice Winkelmann. Fu fatto fare questo recinto dal sacerdote di quella nazione Ovio Paccio, per chiamarvi ad uno ad uno i principali dell’esercito, e farli giurare su di un’ara, che non avrebbero scoperto ad alcuno ciò che aveano veduto, e inteso in quel luogo; di andare alla battaglia ovunque fossero condotti dai capitani, e di uccidere chiunque de’ compagni si fosse dato alla fuga. Di quei che giurarono fu composta una legione di sedici mila uomini, e dalle tele, che coprivano quel luogo, fu detta legione linteata; non che andassero vestiti di lino, come Winkelmann fa dire a Livio nell'ultimo luogo citato innanzi, ove racconta questo fatto.
  8. Mela lib. 2. cap. 4.
  9. Liv. lib. 4. cap. 29. num. 32.
  10. Id. lib. 10. cap. 27. num. 38.
  11. Lo stesso si dica degli Etruschi. Scrive Dionisio Alicarnasseo l. 2. c. 38. p. 102. l. 20., che amavano il vitto molle, e gli ornamenti d’oro; e lib. 9. cap. 16. pag. 551. che era nazione sontuosa, e di delicato vitto non solo in pace, ma ancora in guerra, portando seco oltre alle cose necessarie, diverse suppellettili insigni si per la ricchezza, come per l’arte, e adattate ai piaceri, e alle delizie. Così Ateneo lib. 4. c. 13. pag. 153. C. scrive, che preparavano mense sontuose due volte il giorno, con tappeti fioriti, e con tazze d’argento d’ogni maniera. Vedi anche il signor Lampredi Del Gov. civ. degli ant. Tosc. ec. p. 24.
  12. Dion. Halic. lib. 6. cap. 72. pag. 371.
  13. Strab. l. 6. pag. 391. princ. [ Cioè, scrive, che era democratico, ossia popolare.
  14. Plinio lib. 35. cap. 12. sect. 45.
  15. Olivieri Dissert. sopra alcune Medaglie sannit. pag. 136.
  16. Beger. Thes. Brandeburg. T. I. p. 357. [ Questa moneta è riferita con maggior esattezza dallo Spanhemio De præst. & usu num. Tom. I. Dissert. 2. §. 3. pag. 96. Se poi veramente appartenga ad Ansure, o Terracina, città volsca, non può formarsene adequato giudizio, da che, oltre quella esistente nel Museo di Brandeburgo, non ci è noto che altra se ne conservi in verun Museo. Il tipo è da ambe le parti affatto simile ai tipi delle monete di Tiano, di Caleno, di Suesano, e di Aquino, le quali hanno da una parte la testa di Pallade sull’altra un gallo con una stella, e con la respettiva leggenda. Potrebbe sospettarsi che l’AQVP, interpretato nella moneta di Brandeburgo Axur, per la lettera Q, che vi comparisce aperta a questo modo Q, la quale il Begero crede essere una delle lettere dell’alfabeto volsco, equivalente al Ξ dei Greci, altro non voglia dire che AQVINO, e che la leggenda AQVP debba ripetersi dalla mala conservazione del monumento. Certamente in una moneta di Aquino, che è nel Museo Borgiano in Velletri, vi ha la lettera Q colla stessa apertura, e tale si vede anche in altra simile posseduta dal più volte nominato duca Caraffa Noya, ed ora col suo Museo passata nel Museo reale di Napoli, creduta perciò anch’essa moneta di Terracina; ma per la migliore conservazione in altra dello stesso Museo Borgiano, che è tra le monete delle città italiche rarissima, chiaramente si legge AQVINO. Notiamo finalmente un piccol divario, che passa tra la moneta del Museo di Brandeburgo, e quella del testè citato Museo Borgiano, ed è, che in quella il gallo è rivolto alla parte sinistra, dove rimane la leggenda AQVINO, avendo alla destra presso il capo una stella; quando nell’altra il gallo mira alla destra, dove sono le lettere AQVP, ed ha poi la stella presso il capo alla sinistra: divario, che può benissimo essere accaduto nelle monete di Aquino egualmente che l’altro di vedersi moneta di essa senza la stella, seppure non è difetto di conservazioneFonte/commento: Pagina:Storia delle arti del disegno.djvu/26 presso Guarnacci Tom. iI. Tav. VIII. n. I. Anche nelle monete di Tiano, di Caleno, e di Suesano, il gallo è rivolto alla parte destra, dove rimane la leggenda, ed ha alla sinistra la stella. Il dubbio, che abbiamo sin qui motivato, non è diretto a togliere ad Ansure il pregio di aver coniato moneta; mentre ci è noto che di questo pregio pur goderono altre illustri città, che appartennero alla bellicosa nazione volsca, come Velletri, ed Aquino; ma perché meglio si esamini, da chi ne avrà il comodo, la moneta de1 Museo Brandeburgico.
  17. Ibid. pag. 250.
  18. Una ne riporta Pellerin Rec. des med. des vill. ec. Tom. I. pl. VIII. n. 23. Altra la dà il conte di Caylus Rec. ec. Tom. V. Ant. Etrusq. pl. XLVIII. n. iiI., in cui al nome di Cuma è unito quello di Literno; ripetuta da Guarnacci Tom. iI. Tav. X. num.. 2., con qualche divario nelle lettere. Il signor d’Hancarville Antiq. Etrusq. ec. Tom. I. chap. I. pag. 47. la crede fatta nei tempi che gli Etruschi fiorivano; cioè prima che i Greci andassero in quelle parti.
  19. Euboic. pag. 27.
  20. lib. 5. pag. 327. B. Tom. I.
  21. Mattorelli loc. cit. p. 64. [ Polibio Hist. lib. 2. p. 105. B., e presso Stefano De Urbib. V. Nola, riportato nei frammenti dello stesso Polibio pag. 1004., dopo Varrone, ed altri presso Vellejo Patercolo lib. 1. cap. 7. pag. 29. la chiama etrusca. Vedi anche Guarnacci Origini ital. Tom. I. lib. 1. cap. 4. pag. 216., Tom, iI. lib. 6, cap. 4. pag. 247.
  22. lib. 12. §. 31. pag. 398.
  23. Istor. Univ. cap. 11. pag. 168.
  24. Veron. illustr. par. 2. pag. 259. n. 5.
  25. Mus. Pembr. par. iI. Tab. 88.
  26. Pers. Sat. 2. v. 60.
  27. Id. Sat. 1. v. 131., Plin. lib. 35. c. 12. sect. 46., Mart. lib. 14. ep. 98. [ Plinio loc. cit. loda per la sodezza anche i vasi di Adria, detta pure Hadria, e Hatri, la quale forse per quella ragione portava un vaso per insegna nelle sue monete. Vedi sopra pag. 191. n. 1. e pag. 195. Debbo però avvertire, che le Adrie erano due anche nei tempi antichissimi. Una più antica era la veneta; la seconda, colonia di quella, era nel Piceno, ora Abruzzo; amendue però possedute un tempo dagli Etruschi. Monsignor Guarnacci Orig. ital. T. iI. lib. 6. cap. 1. pag. 195. crede che le dette monete appartengano alla prima. Io non posso decidere né su questo punto, nè di quale Plinio loc. cit. lodi i vasi. Solo dirò, che il Gori Mus. Etrusc. Tom. iI. Tab. 188. porta un bel vaso dipinto all’uso di quelli, che si chiamano etruschi, e lo dice trovato nell’Adria veneta l’anno 1756. Le lettere nelle dette monete saranno antiche italiche; ma nella forma accostano alle greche: onde potrebbe sospettarsi, che fossero della seconda Adria, che in appresso fu occupata dai Greci. Del loro peso, e valore ne parleremo nell’indice dei rami.
  28. L’ottarda chiamata otis dai Greci, avis tarda dagli Spagnuoli, al dire di Plinio lib. 10, cap. 22. sect. 29, è diversa in più cose dall’uccello, che sta sul vaso, secondo la descrizione più ampia, che ne danno i moderni naturalisti, e tra gli altri Perrault Mém. pour serv. a l'Hist. nat. des anim. sec. par. pag. 261. segg. Mi pare piuttosto quello, che dagli antichi si chiamava otus, uccello notturno, che ha alcune penne in capo a modo di corna, come dice lo stesso Plinio cap. 23. sect. 33., e Ateneo lib. 9. cap. 10. pag. 390. in fine: e secondo che osserva l’Arduino nelle emendazioni alla citata sezione 29. di Plinio, non può essere la demoiselle de Numidie, quale è creduto da molti scrittori, e da Perrault loc. cit. pag. 263. e pag. 181. segg.
  29. Expl. ad Dempst. Etrur. §. 9. pag. 15.
  30. Difesa dell'alf. etrusc. Pref. pag. CCV. [ Gori non gli attribuisce niente di più di quello, che dice realmente.
  31. Il Gori, sebben a stento, pur alla fine si è ricreduto di quella sua opinione. Fu egli convinto dagli argomenti addottigli in una lettera dal dotto monaco Casinese P. di Blasi siciliano, alla quale con un’altra dei 4. gennajo del 1749. rispondendo, ammette vasi greco-siculi differenti dalla maniera etrusca; e tale fra gli altri riconosce un bel vaso figurato esistente nel museo del monistero martiniano di Palermo, dato poi alla luce e illustrato dallo stesso di Blasi, Dissert. V. Vol. I. Saggi di Diss. dell’Accad. Palerm.
  32. Come ho avvertito sopra pag. 111., cosi credo che anche su questo punto il nostro Autore si sia poscia alquanto modificato nello stesso Trattato preliminare, cap. iiI. pag. XXXIV., ove scrive: „ Per altro sapendosi, che l’Etruria lavorò de’ vasi indorati, per quel che narra Crizia presso Ateneo lib. i. cap. 22. pag. 28. B., e tenuti in gran conto da’ Greci, e che quelli di terra cotta fatti anticamente a Arezzo, città d’Etruria, erano in singolare stima, come anche essendo stato assicurato da persone di non dubbia fede, che vasi di questa ultima sorta sieno stati disotterrati nelle vicinanze di Viterbo, e intorno a Corneto, nell’antico agro di Tarquene, i quali in conseguenza sarebbero di fattura etrusca; voglio ammettere, che vi sia della conformità fra’ vasi dell’uno, e dell’altro paese; ma in quanto allo stile del disegno, del figurato, e della dipintura, di cui quelli vasi erano ornati, non avendoli veduti, non posso farmene verun giudizio „. E doveva in fatti ricredersi; poiché nel Tomo I. dell’opera del Passeri Picturæ Etrusc. in vasculis, ch’egli approvò come revisore deputato, alla p. XXII. aveva lette le testimonianze chiarissime di Buonarroti, di Gori, e di tanti altri soggetti degni di fede, che attestano di aver veduti scavare vasi consimili nell’Etruria. Il signor Francesco Rossi, patrizio aretino, in una lettera inserita nel Giornale letterario dai confini d’Italia l’anno scorso 1782. n. 29. p. 232. ci assicura di nuovo, che siansi cavati, e si cavino attualmente in Arezzo dei rottami di vasi stupendi di più colori, ma specialmente colore di corallo per uso delle mente, e dei bagni; e promette di dare intorno ai vasi di tal città una completa memoria corredata dei nomi, e delle sigle, che ritrovansi nei tondi, e nei corpi di quelli, come non meno degli opportuni disegni già in gran parte fatti delineare. In Corneto, e in Montalto si trovano molti vasi intieri, conservati in parte colà da quei che ne fanno raccolte, e alcuni passati alla biblioteca Vaticana, e ad altre persone in Roma; ma sì questi che ho veduti, che gli altri esistenti in quelle città, per quanto mi vien detto, sono di color nero, piuttosto grossolani, e pesanti, con qualche striscia di ornati di poca considerazione; simili presso a poco a quelli trovati nelle rovine di Pompeja, Ercolano, e Stabbia, anch’essi di vernice nera, e di lavoro ordinario, come riferisce il signor d’Hancarville Antiq. Etrusq. ec. Tom. iI. ch. 2z. pag. 92. Dei bellissimi, e di ogni sorte, che si trovano nell’agro pesarese, ma generalmente senza le pitture, che hanno gli altri, de’ quali parla Winkelmann, ne tratta a lungo lo stesso Passeri Della Storia de fossili dell’agro pesarese Disc. VI. pag. 269. segg. Al §. 3. p. 273. dice, che il sig. abate Olivieri sopra alla Siligata vide tra i vestigi d’un antico sepolcro, frammenti di vasi dipinti a disegno, e vi trovò una grossa moneta etrusca, segnale dell’antichità di quell’edifizio.

    Per compimento di questa materia aggiugnerò qui nei proprj termini la descrizione dei diversi generi di vasi, che formano la raccolta Granducale di Firenze, dataci dal signor Luigi Lanzi nel Giornale de’ Letterati, Tomo XLVII. anno 1782. art. I. pag. 159. segg. secondo il nuovo sistema, e ordine, ch’egli ha dato alla medesima. „ Chi ha vedute altre raccolte, quantunque più numerose, non lascia di ammirare in questa la grandissima varietà delle forme, de’ colori, delle vernici. Per non dir de’ tanti di color rosso, nero, piombato, che in quest’ultimo ripuliti col ranno, hanno cavata una lucentezza non dissimile a porcellana: ve ne ha qualcuno, che per lo splendore si potrebbe quasi rassomigliare all’argento; del qual colore dato a’ vasi di creta in Naucrate, scrive Ateneo lib. 11. c. 8. pag. 480. E.

    Molti paesi e distanti fra loro son concorsi a formare quella raccolta, per cui è sì varia; la Toscana, il Regno di Napoli, le vicinanze di Roma, e alcuni credonsi venuti ancora di Grecia. Sarebbe interessante a sapersi la provenienza di due assai grandi, e ben dipinti a varj colori; ma non si è potuto rintracciarla. I volterrani sono in gran numero, e si conoscono da un colore più languido così nel fondo, come ne’ fiorami, e nelle figure, riguardanti per l’ordinario le pompe ed i riti bacchicix 1; fra tutti è raro assai quello, che rappresenta il combattimento de’ Pigmei con le gru. Molto somiglianti a quelli nel colore, e nello stile, ma di mole minore sono i chiusini; sul qual gusto ne ho pur veduti in Monte Pulciano, e in Perugia. Fra gli aretini ve ne ha qualcuno, che non cede a’ campani nella finezza della creta, nel color rossiccio del fondo, e nel lucido della vernice. Tal è quello di un’Arianna, o Baccante, che deggia dirsi, la qual siede sul dorso di un toro, ed ha in mano un corno potorio, coperta tutta di un vestito stellato. Questo si trovò non ha molto nelle vicinanze di Arezzo; ed è il più recente testimonio che abbiamo di quanto valessero i più antichi etruschi in quell’arte. Dico i più antichi, poiché non è del miglior disegno; anzi par di un’epoca vicina al vaso celebre istoriato di una caccia, che Hancarville riporta nella sua gran Collezione prima di ogni altro, come uno de’ più vetusti; e Winkelmann più di una volta il rammenta nella sua Storia.

    Quest’opera è veramente classica; ma da correggersi ove dubita, che vasi di tal fatta non sieno stati mai scavati in Toscana. Potrei produrre assai prove in contrario, tratte da quello archivio, e da altri forti. Ma basta ora la esperienza, che ne abbiamo, specialmente dopo la umanissima legge promulgata da S. A. R. nel 1780., nella quale non curando il pregiudizio del regio erario, a cui appartenne già una parte di quanto si trovava di antico; ha lasciato a ciascuno la libertà, e l’utile di tali scavazioni nel proprio suolo; contenta solo di raccomandare a’ Giusdicenti, che ne dian parte, affin di aggregarle, se sieno al caso, alla R. Galleria; e ciò a rigoroso prezzo di stima. Dopo tal legge si sono in diverse compere acquistati ben molti pezzi di antichità etrusche, e segnatamente de’ vasi dipinti.
  33. lib. 16. cap. 42. sect. 82.
  34. lib. 1. Sat.6. v. 118.
  35. Riportato insieme a quegli altri vasi dallo stesso Mazochi In regii Herculan. Mus. in. tab. Tom. I. Diatr. 2. cap. 3. sect. 3. p. 158.; ove principalmente illustra la citata iscrizione.
  36. P. iI. cap. 33. §. 6. n. 159. p. 212.
  37. Non posso qui trapassare sotto silenzio l’osservazione fattasi ultimamente nella galleria Granducale di Firenze intorno al bel vaso pubblicato dal Demstero De Etr. reg. Tab. 63. e dal Passeri Pict. Etrusc. Tom. I. Tab. 58. e 59.; di esservisi cioè scoperte nel lavarlo cinque greche iscrizioni: il che ci fa sospettare, che possano trovarsi tali iscrizioni su di altri vasi creduti etruschi, e che siano di greco artista. Dalla parola ΝΙΚΟΠΟΛΙΣ, che vi si legge fra le altre, il signor Lanzi, che riporta l’osservazione suddetta loc. cit. pag. 164., arguisce, che le figure dipinte sul vaso possano alludere ai giuochi, che si facevano una volta nella città di Nicopoli in onore di Apollo. Ma più verisimilmente alludono ai giuochi in onore di Adone, de’ quali parla Teocrito nell’Idil. 15., come proverà diffusamente il signor abate Visconti nel secondo volume del Museo Pio-Clementino nella descrizione della statua di quel bellissimo giovane.
  38. Ib. lib. cap. 24. n. 143. p. 190.
  39. Dif. dell’alfab. etrusc. p. CCXV. [Converrebbe dire che Gori loc. cit., e dopo di lui Guarnacci Tom. iI. lib. 7. c. 1. p. 305: intendano di vaso diverso; poichè diversa è l’iscrizione, che riportano; ΜΑΞΙΜΟΣ ΕΠΟΙΕΙ.
  40. Monsignor Guarnacci Orig. ital. T. iI. lib. 7. cap. 1. pag. 3305. in fine, scrive, che il cardinal Gualtieri da se stesso in parte raccolse detti vasi, e che in altra maggior parte gli furono regalaci da monsignor Bargagli vescovo di Chiusi, ove furono trovati.
  41. Vol. iI. num. 30.
  42. Ai tempi di Winkelmann non si era pubblicato che il primo Tomo: il secondo s’è stampato nel 1767., e ’l signor d’Hancarville v’ha posta sul primo foglio dopo il frontispizio un’onorevole memoria del nostro autore, come s’è detta nella Prefazione. A questa raccolta si può unire l’altra se non tanto utile per le arti del disegno, almeno più ampia fatta dal ch. Passeri in tre gran Tomi in foglio, che abbiamo citata più volte, col titolo: Picturæ Etruscorum in vasculis: nella quale i vasi sono anche dipinti coi proprj colori, come sono quelli della raccolta Hamiltoniana.
  43. Il signor d'Hancarville nel discorso premesso al secondo Tomo della collezione Hamiltoniana, dopo d'aver dimostrato in quanto pregio li tenessero dai Romani i vasi dipinti di terra cotta, cosicchè fino a 300. talenti gli hanno talora pagati, stabilisce le epoche dell'arte di pingere que' vasi. La prim'epoca, dic'egli, in cui l'arte non era uscita ancora dalla sua infanzia, deve fissarsi prima della fondazione di Roma, e a tal epoca riferisce il vaso rammentato di sopra dall'autore, ove si rappresenta una caccia. La seconda, in cui l'arte è stata portata alla sua perfezione, ha preceduta la presa di Capua; la terza in cui si cessò dal dipingere i vasi, e se ne perdè l'arte, cadde verso il tempo della presa di Corinto. Tutto ciò dimostra il citato autore con molta erudizione e con ingegnoso ragionamento. Osserva la maniera di dipingere, che si cangiò, e perfezionossi per gradi in diversi tempi notati dagli scrittori, e specialmente da Plinio: esamina il costume rappresentato in quelle pitture, del quale sappiamo altronde dagli storici in qual tempo sia stato introdotto; applica tutto questo alla storia dei tempi e dei luoghi, e dopo d'aver osservato che le città sì della Grecia che della Magna Grecia perderono le arti col perdere le ricchezze e 'l lusso, allorché soggiogate furono dai Romani, trae da ciò argomento per determinare sino a qual tempo l'arte di dipingere que' vasi durasse, fondandosi altresì sulla ricerca che ne fecero ne' tempi posteriori i Romani, quando l'arte di farli si era perduta.
  44. Acquistata poi dalla biblioteca Vaticana.
  45. num. 134. 197. 212. 214. e 260.
  46. Plin. lib. 7. c. 56. sect. 57. pag. 415.
  47. Dif. dell’alf. etrusc. pag. CCXLIV.
  48. Fiorì pure in Sicilia da rimotissimi tempi l'arte di far vasi in argilla. Carcino padre del re Agatocle fu vasajo, Diod. l. 19. §. 2. p. 318. l. 70. l. iI., Auson. Epigr. 8. Patelle sicule rappresentansi da Ateneo l. 1. c. 22. p. 28. l. 31. C., e scifi in argilla sussistono pur anche fatti già in quell’isola. Tra questi ve né hanno alcuni de’ sigillati, cosi detti dall’impronto formatovi a guisa di quello che lascia il sigillo, e rappresentano figure di varie specie. Veggansene due bellissime di tal sorte date alla luce, e con erudita dissertazione illustrate dallo Schiavo, Saggi di dissert. dell’Accad. Palerm. Vol. I.
  49. Il sig. d’Hancarville nel citato discorso pensa che i vasi piccoli non servissero già di trastullo ai fanciulli, ma fossero consecrati ne’ Lararj, ossia piccoli tempj privati, agli dei Penati o Lari, ad imitazione de’ vasi grandi che offerivansi ne’ pubblici tempj. Vedi la nota seguente. Una fabbrica di questi piccoli vasi era probabilmente tra Soriente e Massa, ove, non ha guari, se n’è disotterrato un numero prodigiso, ch’erano tutti di egual forma, ed aveano il colore naturale della terra.
  50. Brodaeus Miscell. lib. 5. cap. 19.
  51. Paus. lib. 6. cap. 21. pag. 507. l. 8. c. 12. pag. 624. lin. 33.
  52. Schol. Pind. Olymp. 2. v. 149.
  53. pag. 57.
  54. Leggasi Venuti Dissert. sopra i coli vinarj degli ant., Saggi di dissert. dell’Accad. di Cort. Tom. I. Dissert. VII.
  55. Kirchman. De Fun. Rom. lib. 1. cap. 12. pag. 84.
  56. Idem ibid.
  57. Monum. Matthej. T. iiI. vet. inscript. cl. X. sect. X. num. 33. p. 145. Ora nel Museo Pio-Clementino.
  58. Concion. vers. 536.
  59. Hom. Il. l. 23. v. 259., Athen. Deipnosoph. lib. 11. cap. 5. pag. 468. C.
  60. Spanheim. De præst. & usu num. T. I. Diss. 3. §. 1. pag. 134. [ ed altre citate dal Buonarroti Osserv. sopra alc. framm. di vetri ant. Tav. XXX. pag. 220.
  61. Descr. du Cab. de Stosch. cl. 5. num. 23. pag. 460. [ Martin Explic. de div. monum. singul. Jeux instit. ec. pag. 355. segg. pl. XI. num. 4.
  62. Nem. 10. vers. 68.
  63. In una moneta d’Atene riportata nell’Acad, des Inscr. Tom. I. pl. 3. n. 4. pag. 126. si vede un vaso, la pianta d’ulivo, e la civetta.
  64. Perocchè Castore si dilettava di cavalli, e Polluce mostrava il suo valore nel combattere a’ cesti, come scrisse Omero Iliad. l. 3. vers. 237; e lo ripete il nostro Autore Monum. ant. par. 1. cap. 24. §. 2. pag. 79.
  65. Il citato scrittore, trattando diffusamente dell’uso di quelli vasi, li divide in tre classi, cioè in vasi adoperati nel culto religioso, usati nelle pubbliche cerimonie, e impiegati negli usi domestici. Novera generalmente nella prima i belli e grandi vasi dipinti, che sino a noi si serbarono. Gli antichi gentili, dic’egli, offrivano a’ loro numi degli ex voto, cioè de’ doni, o per ottenere de’ beneficj, o in riconoscenza delle grazie che supponeano aver da loro ricevute. Tra questi ex voto o voti, come noi li chiamiamo, erano frequenti i vasi, i quali or pieni offerivansi colle primizie de! ricolto, or vuoti perchè al tempio servissero d’ornamento, come ne fanno fede gli antichi storici. Su quei di bronzo vedeansi generalmente rilevati o incisi gli attributi della divinità a cui erano consacrati, e basta visitare i musei per accertarsene. Questi lavori farsi non poteano ugualmente su i vasi di terra, nei quali supplivasi colla pittura; e quindi è che sovente troviamo in essi rappresentate le teste di Bacco, le imprese d’Ercole, gli amori di Giove ec. Per serbare questi vasi era lungo il muro del tempio un armadio, ossia repositorium, in cui collocavansi a pubblica edificazione e ad ornamento del tempio medesimo; e siccome ivi riposti non poteano presentare che una sola facciata, perciò i vasi o da una sola parte dipingevansi, o se pur da amendue, in una la pittura era di molto minor pregio. Oltre questi vasi, che possono chiamarli votivi, v’erano quelli che adoperavansi ne’ sagrifιzj, ed aveano molte grandezze e forme, secondo l’uso, a cui erano destinati. Altri serviano ai bagni sì pubblici che privati, forse per tenervi gli unguenti, come appare da quelli che aveano attaccate delle strigili ossia spazzette. [ Vedi σopra pag. 25. n. a.
  66. Che i grandi e bei vasi non potessero servire d’ornamento nelle case de’ privati, appare, dice il signor d’Hancarville, dalla ristrettezza che aveano le camere de’ Romani, alle quali perciò sì grandi e fragili valsi sarebbono stati soverchiamente incomodi. Aveano, è vero, gli antichi delle sale, degli atrj, de’ portici assai spaziosi; ma è egli probabile, che in luoghi sì pubblici, e sì frequentati avessero voluto esporli: [ In cima agli edifizj, principalmente nelle ville si solevano mettere dei vasi per ornamento, come si vede nelle Pitture d’Ercolano T. I. Tav. 50. 52. e 55., e in un pezzo di pittura delle Terme di Tito riportato dal Montfaucon Diar. ital. p. 130., Bottari Picturæ antiq. crypr. rom. ec. Tab. X., e da tanti altri. Se erano di terra cotta, come è probabile, e come per tal uopo si usano anche a’ nostri giorni, non saranno stati né dipinti, né di fino lavoro. Tali piuttosto saranno stati quelli, che erano collocati sull’orlo del tetto d’un tempio in Atene; poiché vi stavano non già per ornamento, ma per simbolo della lotta, o vogliam dire per simbolo di quelli, che si davano in premio ai lottatori, come sopra pag. 225. ha detto Winkelmann delle corse. Così pare almeno che possa interpretarsi un frammento di Callimaco presso lo Scoliaste di Pindaro in Nem. 10., e riportato da Bentlejo tra i frammenti di quel poeta num. CXXII. p. 366.:

    Etenim apud Athenienses super tectum sacrum statuuntur
    Hydræ, non ornatus symbolum, sed luctæ.

  67. Il mentovato signor d’Hancarville, il quale per conoscere in qual maniera questi vasi fossero dipinti ha fatti molti cimenti, conchiude che la prima vernice fosse un’ocra di ferro gialla, la quale si desse sul vaso mentre era umido ancora (non quando avea già avuta la prima cottura, siccome dice più sotto il signor Winkelmann); e questa servisse di campo, ossia di fondo alle figure, nelle quali faceansi i tratti di quel medesimo color nero, che serviva pur di fondo alla pittura. Il color nero è un composto fatto con dissoluzione di piombo e calce di magnesia unite insieme per mezzo d’un magistero. Dovendo darsi questi colori fu un vaso umido facilmente sarebbesi confuso il fondo con qualche parte di contorno delle figure; quindi è che tra queste e ’l fondo si vede frequentemente un po’ di vuoto: e questa è pur la ragione per cui faceano tante figure in aria.
  68. Tali colori davansi al vaso quando già aveva avuta una parte di cottura nel forno; e perciò davansi a secco. Per questa ragione non sono incorporati coll’argilla, e possono facilmente esserne staccati.
  69. Heins. Lect. Theocrit. cap. 7. pag. 317. col. 1. princ.
  70. Idil. 2. vers. 127.
  71. Che dicesi a ferro, e a fuoco.
  72. Aristoph. Nub. v. 590., Confer ejusd. Lysistr. v. 110. [ Suida V. Ἰθύφαλλοι
  73. Pict. d’Erc. Tom. 1. pag. 267. Tav. 2. not. 9.
  74. Paus. lib. 6. cap. 25. in fine. pag. 517.
  75. Athen. Deipnosoph. l. 12. c. 9. p. 535.
  76. Secondo il signor d’Hancarville bastava che una linea fosse continuata fino a che ne incontrasse un’altra; cosi il profilo della testa dovea farsi tutto in un colpo finoacchè incontrasse la linea orizontale, che indica il collo.
  77. Certo impostore, chiamato Pietro Fondi veneziano, si studiò d’imitare questi vasi, e vi riusci in maniera che molti ne vendè; di essi alcuni sono restati in Italia, ma la maggior parte è andata oltremonti. Di lui parla Apostolo Zeno nelle sue Lettere Vol. iiI. pag. 197. L’impostura però agevolmente scorgersi può da coloro eziandio che non hanno cognizioni in questa materia; poiché la terra de’ vasi falsificati è grossolana, onde riescono più pesanti; laddove d’una finissima argilla composti sono e molto leggieri i vasi antichi. [Lo stesso può dirsi di quelli fatti ad imitazione degli etruschi dalla famiglia Vasari di Arezzo, e da altri in Italia, e anche in Inghilterra. Dei primi se ne sono aggiunti alquanti alla raccolta Granducale di Firenze, come ci avvisa i! signor Lanzi nel citato Giornale de Letterati Tom. XLVII. art. I. p 166.
  78. Diod. Sic. lib. 4. §. 73. p. 317. lin. 93.
  79. Lavac. Pall. vers. 65.
  80. Nella Collezione Hamiltoniana così spiegasi la descritta pittura: „Vi si rappresenta la corsa d’Atalanta e d’Ippomene in presenza d’Atlante e delle Esperidi, che il pittore v’ha fatte presenti, o a cagione de’ pomi d’oro dati da Venere al Ippomene, ovvero alludendo a ciò che dice Teocrito nella sua Amarillide. Il luogo destinato alla corsa è decorato come lo stadio di Pisa, in mezzo al quale stava un altare dirimpetto alla statua d’Ippodamia. Alcune delle Esperidi hanno delle stelle sulla veste, per indicare che brillano nella costellazione delle Plejadi, e tre di esse stanno sulle quadrighe per denotare il moto diurno de’ cieli. Maja guida uno di questi cocchi colla più giovine delle sue sorelle: con che volle dimostrare il pittore la loro unione costante. Elettra sola s’allontana dalle compagne afflitta, come dice Igino, per la ruina di Troja... I cocchi qui dipinti chiamavansi δίφροι, e su essi non si sedeva. La marca sulla coscia de’ cavalli ne indicava la razza... Questa pittura, e le altre due, che vedonsi sul medesimo vaso relative allo stesso soggetto, sono le più belle, che sianci pervenute. Hanno, è vero, de’ difetti e degli errori di disegno, ma questi denno perdonarsi alla difficoltà dell’esecuzione dianzi esposta. Il signor Pecheux, abile disegnatore, a mia richiesta ha disegnate più correttamente le figure di questa pittura, rifacendola quale vedesi alla ’Tavola 21. del Tomo secondo: e da ciò si conosce quanto vantaggio ricavar potrebbono i nostri artisti da siffatte antiche pitture „.
  81. Iphig. in Aul. vers. 250.
  82. Al vaso Hamiltoniano qui descritto un altro ne aggiugneremo posseduto dal signor D. Carlo de’ Marchesi Trivulzi. Esso è pregevolissimo, anche a giudizio del celebre signor Hamilton, nella cui impareggiabile raccolta tener potrebbe un onorevole luogo, sì pel disegno che per la grandezza, essendo alto poco meno di due palmi romani. Se ne vedrà la figura nel Libro IV. Questo vaso è verosimilmente opera d’un artefice dell’Etruria, anziché di altro paese. Tale lo dimostra, secondo l’osservazione dell’erudito possessor di esso, il manto della donna sedente, il quale è disposto a pieghe, e va a terminare ad angolo acuto, qual suol essere ne’ lavori etruschi. Il soggetto rappresentato nella parte dinanzi riesce difficile a determinarsi. Sarebbe mai questo una cena? oppure una sorpresa amorosa? Ma è forse più probabile (e questa è l’opinione del citato nostro cavaliere) che siavi stato espresso un uomo spirante. Appoggio alla congettura sono le figure medesime, i loro atteggiamenti, e gli altri sogni che ivi si veggono. Il Genio alato a canto al letto, il quale, in luogo della face rivolta all’ingiù, tiene un vaso rovesciato, indizio d'un sinistro augurio, come appare da altri antichi monumenti, è facile che dinoti il termine della vita di quell’uomo. S’adattano pure al soggetto da noi divisato le due donne, l’una ritta che tiene un timpano, istrumento etrusco, T. Liv. lib. 39. cap. 8. num. 8., e l’altra sedente sul letto ai piedi dell’uomo coricatovi, la quale ha due tibie una per mano. Il rito di chiamar alla morte d’alcuno i suonatori era in uso presso gli antichi Etruschi, dai quali, al dir d’Igino fab. 74., lo adottarono i Romani. V. Maffei Della relig. dei Gent. nel mor. ec. Osserv. letter. Tom. I. art. IX. pag. 235. La lucerna e i frutti posti avanti al letto possono agevolmente riferirli all’indicata circostanza. Resta per fine quella donna, che da una come testiera quadrilatera sporgesi in fuori, la sua faccia applicando alla faccia dell’uomo. Questa probabilmente è la consorte, la quale raccoglie l’ultimo fiato del marito: pio uffizio che da Cicerone Orat. in Verr. lib. 5. cap. 45., e da Quintiliano Declam. 6. pag. 91. fu detto extremum spiritum recipere, e da Virgilio Æneid. lib. 4. vers. 684., extremum halitum ore legere.
  83. Due altre figure trovate nell'isola medesima furono, non ha guari, pubblicate dal conte di Caylus, Rec. d’Antiq. Tom. iiI. Ant. Etrusq. pl. XVII. pag. 100. seg.
  84. Plaut. Pœn. Act. 5. Sc. 5. v. 34., Isid. Orig. l. 19. c. 23. ex Cicer. [ Quintiliano Inst. Orat. lib. 1. c. 5. p. 40. Era veste pelosa, che portavano gli antichi Etruschi, e i Sardi loro colonia, ed altre nazioni. Demstero de Etr. reg. Tom. I. lib. 3. cap. 54., Gebharto Elmenhorstio in Arnob. adv. Cent. lib. 2. pag. 75
  85. Descr. &c. el. 2. sect. 14. n. 1205. p. 201.
  86. Dempst. Etrur. reg. Tab. 48.
  87. Mon. ant. num. 107.
  88. Scut. Herc. vers. 128.
  89. Gli avanzi delle antichità etrusche sino a noi pervenuti, comechè sovente assai pregevoli siano pel lavoro, pure, essendo piccole cose, nulla ci offrono di quel magnifico e grandioso, che ci presentano, a cagion d’esempjo, le piramidi e gli obelischi d'Egitto. Ma se consultiamo gli storici, veggiamo che grandi e magnifiche opere essi pure intrapresero; e ben ne faremmo convinti, se esistesse ancora la statua d’Apollo in bronzo alta cinquanta piedi, collocata nella biblioteca del tempio d’Augusto in Roma, opera etrusca di cui parla Plinio lib. 34. c. 7. sect. 18.; e più ancora se si fosse conservato quel sepolcro che Porsenna fece ergere in Chiusi di gran pietre quadre, che avea trecento piedi di lunghezza per ogni lato, e cinquanta d’altezza, che rinchiudeva un inestricabile labirinto, e tre ordini avea d’altissime piramidi con altri sontuosi abbellimenti, come appare dalla descrizione lasciatacene da Varrone presso il medesimo Plinio lib. 36. cap. 13. sect. 19. num. 4.
  90. Il marmo delle cave di Luna, se non per la durezza, per la candidezza almeno, ha superati i più bei marmi dell’Egitto e della Grecia, senza eccettuarne lo stesso marmo pario, siccome attesta Plinio lib. 36. cap. 5. sect. 4. num. 2. Ma sebbene quelle cave fossero nell’Etruria, nessun etrusco lavoro troviamo fatto di quello marmo, dal che si può probabilmente inferire che ignoto fosse agli artisti etruschi. Abbiamo pur di ciò un argomento nel medesimo Naturalista loc. cit. che la sua storia scrivea verso la metà del primo secolo cristiano. Parlando egli del marmo lunese, lo dice poc’anzi (nuper) scoperto. Vero è che quel poc’anzi non deve prendersi nel più stretto senso, poiché narra altrove lib. 36. cap. 6. sect. 7. che, a’ tempi di Giulio Cesare, Mamurra cavaliere romano ornata avea la propria casa di colonne di marmo caristico ossia lunese, dando di ciò il primo esempio a’ suoi concittadini. Appare per tanto che poco prima dell’era cristiasa si cominciò a far uso del marmo di Carrara; il che può assai giovare a determinar l’antichità delle statue in esso scolpite. [ Considerando un poco meglio quelli luoghi di Plinio, si può far risalire a’ tempi anteriori il principio delle cave di quello marmo. Nel lib. 36. c. 5. sect. 4. n. 2., non dice so storico, che nuper poc’anzi si fossero aperte le cave dei marmi di Luna; ma bensì, che nuper poc’anzi si era trovata in esse un’altra qualità di marmo più bianco di quello vi si cavava prima. Omnes autem tantum candido marmore usi sunt e Paro insula, quem lapidem cœpere lychnitem appellare, quoniam ad lucernas in cuniculis cæderetur, ut auctor est Varro: multis postea candidioribus repertis, nuper etiam in Lunensium lapicidinis. Così nell’altro luogo ove parla di Mamurra, dicendo ch’egli il primo fece fare per il suo palazzo le colonne tutte d’un pezzo, alcune di marmo caristio, alcune del lunese, non dice che sia stato il primo a trarre marmi da Luna; ma che sia stato il primo a ornare la sua casa di colonne, e di colonne tutte d" un pezzo, del marmo caristio, e del lunese; supponendo che nell’uno, e nell’altro luogo da prima vi esistessero le cave. Adjecit idem Nepos, eum primum totis ædibus nullam nisi e marmore columnam habuisse, omnes solidas e Caristio, aut Lunerisi. Infatti Strabone, il quale viveva ai tempi di Augusto, poco dopo Mamurra, nel lib. 5. pag. 340. A. dopo aver detto che dalle cave di Luna si avea marmo bianco, e di diverso colore, che tendeva al ceruleo (come lo vediamo anche al dì d’oggi), in quantità grande, e in pezzi grandissimi da farne anche le intere colonne; soggiugne, che molte delle più magnifiche fabbriche di Roma, e di altre città, erano con esso adornate: Fodiuntur ibi lapides albi, & discolores, ad cæruleum vergente specie; magno numero, & mole, ut etiam columnæ, ac prægrandes tabulæ, unico constantes lapide inde exscindantur. Itaque pleraque egregiorum operum, quæ Romæ, & aliis in urbibus visuntur, materiam habens inde petitam. Facile enim lapis avehi potest, cum fodinæ mari e propinquo immineant, atque a mari Tyberis excipiat. Tra le fabbriche di Roma si contava allora il cospicuo tempio d’Apollo sul Palatino eretto da Augusto, come abbiamo da Svetonio nella di lui vita cap. 29., e fatto appunto di marmi bianchi di Luna. Cosi ci attesta Servio ad Æneid. lìb. 8. vers. 720., ove il poeta parla di quel tempio:

    Ipse sedens niveo candentis limine Phoebi
    Dona recognoscit populorum, aptatque superbis Postibus.

    In templo Apollonis in Palatio, dice lo Scoliaste, de solido marmore effecto, quod allatum fuerat de portu Lunæ, qui est in confinio Tusciæ, & Liguriæ. Ideo ait candentis. Tutte queste fabbriche di Roma, e di altre città non si saranno alzate, e adornate di tal marmo a un tempo stesso, e nel piccolo giro di anni, che passò tra l’erezione della casa di Mamurra, e il punto, in cui scrisse Strabone. Onde è ben probabile, che molto prima di questo cavaliere fossero aperte, e note le dette cave. Un tal marmo si chiamava anche ligustico; perchè Luna era ai confini della Liguria, come dice Servio loc. cit.;

    Nam si procubuit qui saxa ligustica portat,
    Aixis, & eversum fudit super agmina montem,
    Quid superest de corporibus?

    Giovenale Sat. 3. v. 257. Vedi anche in appresso al §. 29. capo IV. libro VIII.

  91. Gli antichi artisti greci, che nella durezza dello stile si accostavano allo stile etrusco, secondo Quintiliano citato alla p. 206. not. A., sono Calone, ed Egesia, de’ quali si parlerà nel libro IX. capo I.: Duriora, & Thuscanicis proxima Calon, atque Egesias, jam minus rigida Calamis, molliora adhuc supra dictis Myron fecit. Monsig. Guarnacci, riportato nella stessa nota, avrà traveduto nel sostituire ad essi Fidia, Policleto, Alcamene, Polignoto, e simili, de’ quali parla dopo Quintiliano; e chiamando, in nome del medesimo, solamente un poco duretti i lavori etruschi. L’asserzione di Quintiliano intorno alla durezza dei detti lavori generalmente è vera, di qualunque tempo si voglia intendere, e ne conviene anche il Passeri, impegnatissimo per l’onore degli Etruschi, per riguardo ai lavori di mezzo, giacchè dei primi tempi egli confessa che non ne esistono: osserva però che in tempi migliori fu perfezionato molto lo stile etrusco, disotterrandosi di tanto in tanto monumenti di quella nazione, che sono molto eleganti; tra i quali è bellissimo il fanciullo in bronzo del peso di 36. libre, alto tre palmi, con iscrizione etrusca sul braccio sinistro, disotterrato l’anno 1770. nell'agro dell’antica Tarquinia vicino a Corneto, e custodito al presente nel Museo della biblioteca Vaticana. Egli lo illustra con una bella dissertazione intitolata: De pueri etrusci aheneo simulacro a Clemente XIV. P. O. M. in Museum Vaticanum inlato; ove alla p. XLI. seg. fa le dette riflessioni. Vi premette anche la figura, che noi ripeteremo in appresso.


  1. Da tali rappresentanze hanno alcuni concluso, non so quanto rettamente, che i vasi etruschi sieno anteriori al decreto proibitivo de' baccanali notturni, spiegato già eruditamente da Matteo Egizio. Le tante urne di miglior secolo, che si veggono istoriate con simili baccanali, anche più licenziosi, son certamente di un’epoca posteriore a quel decreto.