Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. I)/Libro quinto - Capo V

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C a p o   V.


Bellezza considerata partitamente... nella testa e nel profilo del volto... nella fronte... e ne capelli su di essa — Dalla forma de’ capelli in questa parte si distinguono le figure d’Ercole... e d’Alessandro il Grande - Spiegazione d’una gemma... e d’una pittura su un vaso Hamiltoniano — Teste di Illo — Beltà degli occhi...e forma loro nelle teste ideali... e delle divinità — Delle palpebre... e delle sovracciglia — Della bocca... del mento... delle orecchie... e singolarmente di quelle de’ Pancraziasti — De’ capelli-- Capigliatura de’ Satiri Fauni... d’Apollo e di Bacco.., e della gioventù — Colore de’ capelli.

Bellezza considerata partitamente... Trattando della bellezza ho proceduto analiticamente, cioè dal tutto alle parti; quando avrei potuto anche procedere con metodo sintetico, cioè dalle parti al tutto. Nella cognizione di ciascuna parte della bellezza, dobbiamo principalmente prendere in considerazione le estremità; poiché esse non solo vita, moto, espressione, ed azione ci presentano; ma più difficili delle altre fono le forme loro, e per effe ben si determina la differenza che v’ha tra ’l bello e ’l deforme, tra ’l moderno e l’antico. La testa, le mani, i piedi, come sono i primi nel disegno, cosi esser lo denno eziandio negl’insegnamenti dell’arte. Se in ogni cosa egli è difficile il descriverne le parti, ciò avviene in singolar maniera nella descrizione delle parti, ond’è il corpo umano costituito.

... nella testa e nel profilo del volto... §. 1. Nella forma del volto il profilo greco è il principal carattere d’una bellezza sublime. Vien formato questo profilo da una linea retta, o almeno dolcemente piegata, che descrivon la fronte e ’l naso sulle figure giovanili, e principalmente delle donne. La natura sembra compiacersi [p. 356 modifica]meno a dare tal forma ai volti ne’ climi aspri, che sotto un cielo temperato e dolce; ma ovunque questa s’incontra, suole il volto sempre esser bello. La linea retta e compiuta esprime un non so che di grande, e la linea dolcemente incurvata ci presenta un’idea di piacevole delicatezza. Che in tali profili siavi una delle ragioni della bellezza lo dimora l’opposto; imperocché quanto maggiore è l’incavamento del naso, tanto più il volto dalla bella forma s’allontana; e ove questo lateralmente guardato presenta un cattivo profilo, non è sperabile di vederlo bello in niun aspetto. Alcuni hanno immaginato, che il profilo greco, comune a tutte le antiche figure de’ greci maestri, sia un avanzo mal fondato delle linee rette che caratterizzano lo stile antichissimo; ma essi possono disingannarsi sol che osservino come hanno incavato il naso le figure egiziane, le quali altronde hanno formati a linee rette quasi tutti gli altri contorni. Quel che gli antichi chiamavan naso quadrato1, non è probabilmente quello che Giunio traduce naso pieno2, il che non ci dà nessuna idea; ma forse questa voce vuol esprimere il profilo pressochè retto, di cui parliamo. Potrebbe anche in altro modo intendersi un naso quadrato, cioè un naso che in luogo d’essere affilato, fosse largo e piano nel mezzo, formando lateralmente due angoli acuti, qual è il naso della Pallade, e della pretesa Vestale nel palazzo Giustiniani. Tale forma però non vedesi se non nelle statue antichissime, quali appunto sono le mentovate3.

[p. 357 modifica] ... nella fronte ... §. 2. Dall’esame del profilo, cioè della bella forma del volto intero, passiamo alle parti di esso, e cominciamo dalla fronte, ove sta in molta parte la bellezza. Deve per esser bella una fronte esser assai breve, cioè bassa, del che ce ne possiamo accertare colla propria osservazione, e ce ne rendono testimonianza gli scrittori4. Una fronte spaziosa ed alta aveasi dagli antichi in conto d’una deformità5. Siccome la fronte nel fior dell’età è bassa, e si va poi ampliando e sollevandosi, così sembra dalla natura stessa essere stata, conceduta all’età della bellezza questa proprietà, come un fregio necessario d’un bel volto. Chi volesse di ciò meglio convincersi non avrebbe che a cercare un bel viso di fronte bassa, e coprendogli con un dito i primi capelli rendermela più elevata e spaziosa; vedrebbe tolto una certa sproporzione, e gli salterebbe all’occhio quanto svantaggiosa sia alla beltà la fronte alta. A tal effetto senza dubbio sogliono le Circasse, imitate anche da molte Europee, raccorciarsi i capelli dianzi, e ripiegarli all’ingiù, onde stringon la fronte in guisa, che quelli giungono poco meno che a toccar le sovracciglia.

... e ne capelli su di essa. §. 3. Ma quanto più bassa è la fronte, tanto più corti ne sono i capelli, onde se ne sogliono ripiegare in alto le cime, formandone come un tupè arricciato. Così facea la Circe di Petronio, le cui parole né dall’amanuense né da’ traduttori sono state intese, poiché ove sta scritto: frons minima & quæ radices capillorum retroflexerat, dee senza dubbio, in luogo dì radices, leggersi apices, le cime cioè de’ capelli6. Altronde come mai poteano voltarsi insù le radici [p. 358 modifica]de’ capelli? Il traduttor francese ha creduto di qui vedere una specie di parrucca, che mostrasse per disotto le radici dei capelli proprj e naturali. Potea immaginarsi cola più assurda7!

§. 4. Perchè più perfetta ha la bellezza, e più regolare riesca il volto, vogliono i capelli della fronte prendere una figura rotonda verso le tempie, e l’hanno diffatti ne’ bei volti. Tal forma è si propria a tutte le bellezze ideali e ai volti giovanili dell’arte antica, che non vedesi in nessuno quel doppio angolo entrante nudo di capelli. Pochi fra i moderni artisti hanno fatte le precedenti osservazioni; e ove a qualche antica statua fu rimessa recentemente la testa, scorgesi il moderno lavoro ai capelli, che scomposti sporgono in fuori sulla fronte. Bernini in quello, come ad altri riguardi, ha riputato bello ciò che al bello s’oppone; e ’l suo encomiasta Baldinucci8, il qual ci narra che, avendo Bernini modellata l’effigie di Luigi XIV. nella sua giovinezza, gli alzò i capelli sulla fronte, mostra la sua poca intelligenza.

Capelli fulla fronte d’Ercole... §. 5. Questa forma della fronte, e principalmente i capelli dinanzi corti e ripiegati ali insù, veggonsi manifestamente in tutte le teste d’Ercole, o in gioventù lo rappresentino o nell’età virile, e unitamente all’ampiezza del suo collo sono, come già di sopra accennai, un simbolo di sua [p. 359 modifica]robustezza, quasi facendo allusione al corto pelo che ha fra corno e corno il toro. Per mezzo di siffatta capigliatura si possono discernere le teste di quell’eroe da quelle della sua Iole, che pur sovente son coperte dalla pelle di leone; ma che hanno i capelli ricciuti cadenti sulla fronte, come, fra le altre, veder si può in una gemma del real museo Farnese a Napoli, ove la di lei testa è incisa a rilievo9. Su questo fondamento giudicai che veramente fosse d’Ercole, anziché d’Iole, sotto il cui nome passava, una testa profondamente incisa del museo Stoschiano; e riconobbi pur Ercole, ov’altri credeano di vedere Apollo10, in una testa coronata d’alloro della galleria Granducale, incisa in una corniola da Allione greco artista, dove vi ha un altro Ercole pur coronato d’alloro, inciso da Oneso; e siccome vi manca la parte superiore del capo, il disegnatore, che ve l’ha voluta supplire per darne la figura in rame, certamente non ha fatta l’esposta osservazione su i di lui capelli. Se a ciò avessero riflettuto gli studiosi delle antiche monete, avrebbero fu molte, rappresentanti una testa giovanile coperta con pelle leonina, agevolmente ravvisato Ercole, laddove essi hanno creduto di vedervi Alessandro il Grande, o qualche altro re11.

... e d'Alessandro il Grande §. 6. Alessandro il Grande ha egli pure nelle sue teste un collante e infallibile distintivo: i suoi capelli a somiglianza di quei di Giove, di cui voleva esser creduto figlio, fon dalla fronte ripiegati indietro, e cadon giù serpeggiando dalle tempie divisi in varie ciocche. Quella maniera di portare i capelli ripiegati indietro vien detta da Plutarco12 ἀνα- [p. 360 modifica]ἀναστολὴ τῆς κόμης ove nella vita di Pompeo dice che questi portava i capelli a somiglianza d’Alessandro: su del che io dirò le mie osservazioni nella seconda parte di questa Storia13.

Spiegazione d'una gemma. §. 7. L’osservazione, che abbiamo fatta di sopra intorno ai capelli della fronte d’Ercole, può eziandio darci de’ lumi per conoscere una testa giovanile cogli omeri, incisa in una gemma del real museo di Francia14. Questa testa indica una figura coperta d’un fottile e trasparente velo, il quale dalle spalle le vien tirato fin sopra il capo, e sopra la corona d’alloro che lo circonda: al tempo stesso le ricopre la parte inferiore del volto fino alla punta del naso, in maniera però che anche sotto il velo ne son chiari e riconoscibili i tratti.

§. 8. Fu scritta su questa gemma una Dissertazione15, in cui si è preteso che ivi effigiato fosse Tolomeo re d’Egitto, e padre della famosa Cleopatra, soprannominato Aulete, cioè suonator di tibie, poiché amava di suonare tale stromento16; e che il velo, onde ha coperta la parte inferiore del volto (non facendosi alcun carico l’autore di quello che la testa e le spalle gli copre), sia la fascia detta φορβειά o φορβεῖον, che legarsi soleano sulla bocca i tibicini, per la cui apertura introducevano lo stromento fino alle labbra. Quest’asserzione potrebbe avere qualche verosomiglianza, se della mentovata fascia non si avesse nessun’idea; ma noi la vediamo, fra gli altri monumenti, in un’ara triangolare del Campidoglio, legata sulla bocca d’un Fauno che fuona due tibie; ed efìendo la figura di quefto Fauno stampata su varj libri17, non doveva essere ignota all’autore della Dissertazione. Veggiam pure la bocca così bendata ad un suonatore [p. 361 modifica]di tibie in una pittura d’Ercolano18; e scorgesi sì in quello che nel Fauno, che il φορβεῖον era una piccola benda, la quale passando sulla bocca e sulle orecchie veniva ad esser legata dietro al capo, e perciò non ha punto che fare col velo che copre la testa, di cui qui il tratta.

§. 9. Questa testa, che è la sola nel suo genere, merita più particolari ricerche, affine di conghietturarae con probabilità, ove ritrovar non si possa con certezza, la significazione. Paragonandola colla testa d’un giovin Ercole io vi ravviso una piena somiglianza. In questo pure la fronte si rialza, si dilata, ed ha una certa rotondità: i capelli dinanzi sono disposti nella maniera sovraccennata, e le gote cominciano a coprirglisi della prima lanugine dalle orecchie in giù: συγκατιοῦσα ἡ κόμη τῷ ἰούλλῳ παρὰ τὸ οὖς 19:

Cui prima, jam nunc vernant lanugine malæ;

il che, secondo un’antica osservazione20, si riferisce alla barba. L’orecchia stessa sembra simile all’orecchia da pancraziaste, che ad Ercole darsi suole.

§. 10. Ma che vorrà egli significare quel velo che fascia la nostra testa, e qual rapporto può esso avere con Ercole? Io immagino che l’artista abbia qui voluto rappresentare quell’eroe mentre serviva Onfale regina di Lidia; e mi suggerisce quella conghiettura una testa di Paride nella villa Negroni similmente velata fino al labbro inferiore. Argomento quindi che tal maniera di coprirsi il capo fosse un uso comune presso i Lidj e i Frigj, popoli confinanti tra loro, che dai poeti tragici, al dire di Strabone21, insieme confondevansi, principalmente dopo che amendue furono da [p. 362 modifica]Tantalo assoggettati22. A questa mia conghiettura serve anche d’appoggio Filoftrato23, ove narra che i Lidj facean l’opposto de’ Greci, ricoprendosi quelle parti del corpo, che questi teneano scoperte. Né parla egli già di un’osservazione che abbia fatta egli stesso, ma riferisce cose vetustissime apprese da qualche più antico a noi ignoto scrittore, poiché a’ tempi suoi più non esistevano né que’ Lidj, né que’ Frigj, e s’erano interamente cangiati i costumi degli abitatori dell’Asia Minore. Di un simile vestimento, o piuttosto involucro de’ Frigj, sembra far menzione Euripide nell’Ecuba, ove introduce Agamennone che, vedendo innanzi alle tende il cadavere del di lei figlio Polidoro, chiede a quella regina, chi sia quel morto trojano; né può già, dic’egli, esser uno de’ Greci, poiché essi così vestiti non sono:

...Τίν᾽ ἄνδρα τόνδ᾽ ἐπὶ σκηναῖς ὁρῶ
Θανόντα Τρῴων; οὐ γὰρ Ἀργεῖων πέπλοι
Δέμας περιπτύσσοντες ἀγγέλλουσί μοι.24.


Né denno tali parole intendersi del panno in cui i cadaveri involgevansi, ma bensì d’un uso particolare de’ Frigj, per cui al vestito si distinguevano dai Greci»

§. 11. Confesso però, che se questo passo d’Euripide si voglia intendere del vestito frigio, in quanto che era. diverso dal greco, allora nulla posso» inferirne per ispiegare la gemma. Ma ben fondata altronde si è la mia conghiettura sopra l’uso che aveano i Lidj di ravvolgere in un panno parte del volto; anzi penso di rendere interamente probabile la spiegazion da me data intorno alla summentovata gemma colla pittura d’un vaso di terra cotta rapportato nella magnifica collezione Hamiltoniana, Se ne vegga la figura alla [p. 363 modifica]pag. 207. Questo vaso venne da Alessandria d’Egitto, ove probabilmente ne’ bassi tempi era stato trasportato dal regno di Napoli. Ivi, senza dubbio, vien rappresentato Ercole quando su venduto alla mentovata Onfale, che qui siede in ... e della pittura d’un vaso Hamiltoniano. compagnia di tre altre figure muliebri. Questa regina, oltre la sottoveste, è tutta in un sottile e trasparente velo involta, che non solo la mano destra interamente le asconde, ma le ricopre la parte interiore del volto, e giugne fin sul naso, quale appunto vedesi la testa d’Ercole sulla gemma mentovata; e se l’artista avesse dovuto terminare l’intera figura d’Ercole, avrebbelo certamente nella stessa guisa vestito; poiché eziandio gli uomini di Lidia portavano un panno che sino ai piè loro scendea, detto βάσαρα 25, e chiamavasi pur λύδιος coll’aggiunto di λεπτός, cioè sottile, che così dee leggersi presso Ateneo26, chechè ne pensi Casaubono27. Ercole, che ad Onfale si presenta, appoggia la man destra sulla sua clava, e colla sinistra tocca a lei le ginocchia, siccome coloro far soleano che da altri imploravano qualche favore. In mezzo a quelle due figure ne sta sospesa in aria una piccola virile alata ed ignuda, che sembra essere un Genio, quando pur non fosse Mercurio che vende Ercole a quella regina28; e in tal caso sarebbe questo fra tutti gli antichi monumenti il solo Mercurio con lunghe ale al tergo. Potrebb’eziandio questo fanciullo alato e tutto bianco rappresentare l’anima d’Ifito, ucciso da Ercole, il quale in espiazione di tal omicidio dovè, secondo l’oracolo d’Apollo, esser ad Onfale venduto29. Forse anche è quella l’immagine dell’Amore che richiama la stessa regina dalle sue compagne, colle quali intertenevasi, affinchè possa più facilmente cogliere colle dolci maniere e coi teneri sguardi il [p. 364 modifica]giovin eroe che a lei viene, e rendernelo amante. La figura muliebre, che siede innanzi alla regina, ha i capelli di dietro corti e recisi alla foggia de’ maschi: il che, essendo cosa affatto insolita, dee certamente avere una particolare significazione. Io penso (se m’è qui lecito avventurare una conghiettura) che potrebbe quella figura rappresentare una fanciulla eunuca30. Sappiamo diffatti che i Lidj furono i primi a far tale ingiuria alla natura nel sesso muliebre, ascrivendosi questo ritrovato ad Andramito, quarto re di Lidia avanti di Onfale, il quale ciò immaginò per servirsi di tali femmine in luogo di eunuchi31; e siccome a niun altro esterior segno poteasi quello indicare sul corpo loro, perciò si accorciavano ad esse le chiome, in quella guisa che portar le soleano i giovani maschi, per significar così l’alterazion fatta nella femmina. Pertanto l’ingegnoso pittore del vaso avrà voluto con quella figura più determinatamente esprimere ciò che rappresentar voleva, cioè il luogo dell’azione, e la persona d’una regina di Lidia. Non mi estenderò qui oltre a ricercare qual altro motivo abbialo diretto nella composizione della sua pittura, e passerò sotto silenzio ciò che fu questo proposito mi suggerisce alla memoria circa le Tribadi, relativamente alla sfrenata libidine delle lidiche donne.

Teste di Illo. §. 12. Veggo che mi sono forse soverchiamente allontanato dall’argomento mio nello spiegare quella sì ammirevol gemma, e sento che dovrei ripigliare il filo del mio ragionamento, ricercando la bellezza nelle altre parti del [p. 365 modifica]volto; ma non so altronde trattenermi dal cogliere questa occasione di parlare di due fra loro similissime teste d’un giovin eroe d’una bellezza ideale, le quali pe’ capelli della fronte somigliano ad Ercole, e coronate sono d’un diadema. Ciò che in amendue v’ha di particolare sono due cavità da ambo i lati sopra le tempie, nelle quali può comodamente entrare il pollice, e sembrano aver servito per inferirvi due corna: in una di queste teste le cavità sono state riempiute da moderno scultore. Nè dalla figura del volto, né dai capelli si può conchiudere che manchino ivi corna di capro, e rappresentino un giovane Fauno; ma è più verosimile che vi fossero poste due piccole corna di bue. Tali vedeansi sulle teste di Seleuco re di Siria32, cui potremmo qui credere rappresentato, se non che alle di lui immagini non somigliano punto le teste nostre. Quindi io son d’opinione che venga in esse effigiato Illo figliuolo d’Ercole, la cui figura, secondo Tolomeo Efestione33, portava un corno sul lato sinistro della testa; onde l’altro gli farà stato aggiunto dallo scultore. Una di quelle teste è nel museo del signor Cavaceppi, e l’altra presso di me.

Beltà degli occhi. §. 13. Assai più della fronte sono gli occhi una parte essenziale della bellezza. Nell’arte la forma loro si considera più del colore, poichè in quella, anziché in questo, consiste la beltà di essi, cui tutt’i colori dell’iride non cangeranno mai, quindo bella non sia la loro configurazione. Ora, parlando della forma degli occhi, ognuno già sa che i grandi più belli sono dei piccoli. Altri hanno già osservato a quello proposto34, che la voce βοώπις, usata da Omero per indicare la beltà degli occhi, non significa già occhi di bue35; [p. 366 modifica]ma la sillaba βο è un aggiunto o, come dicono i rettorici, un ἐπιτατικόν, unito nello stesso modo anche ad altri vocaboli per esprimerne un certo ingrandimento: quindi lo Scoliaste d’Omero36 spiega βοώπης con μελανόφθαλμος (d’occhi neri), e καλὴ τὸ πρόσωπον (di bella figura). Veggasi ciò che scrive su quello proposto nelle sue Antichità Napolitane l’erudito Martorelli37.

...e forma loro nelle teste ideali. §. 14. Nelle teste ideali gli occhi sono sempre più profondamente incassati, che esser non sogliono naturalmente, e per la stessa ragione più rialzate ivi sono le ossa delle sovracciglia. Gli occhi profondamente incassati, a vero dire, non sono un tratto di bellezza, anzi sogliono togliere la serenità del viso; ma nelle grandi figure, che vedersi denno da lungi, l’occhio, che generalmente ha la pupilla liscia, senza tale incassamento non farebbe verun effetto, e non avrebbe nessuna espressione. L’arte per tanto in ciò allontanossi dalla natura, e con tale incassamento e rialzamento ottenne un lume e un’ombra maggiore, per cui l’occhio, che altrimenti sarebbe stato insignificante e come morto, venne ad acquistare vivacità e sentimento. L’arte stabilì in seguito una regola di dare all’occhio tal forma, eziandio nelle piccole figure; e diffatti così incassato vedesi anche sulle teste delle monete. Su quelle si cominciò a indicare il lume dell’occhio, come dicono gli artisti, per mezzo d’un punto rilevato sopra la pupilla; e questo usavasi di già avanti i tempi di Fidia, come appare dalle monete di Gelone e di Gerone re di Siracusa.

§. 15. Colla medesima mira sembra che siasi usato di rimettere e incastrare gli occhi nel capo, come praticarono fin dagli antichissimi tempi gli egizj scultori. Di tali occhi parlerò più diffusamente nel Libro VII.38.

[p. 367 modifica] ... e delle divinità ... §. 16. Così era generalmente determinata la bellezza degli occhi: e questi, senza allontanarsi dalla stabilita forma, diversamente formati erano nelle teste delle varie divinità; cosicchè dagli occhi venian esse caratterizzate e distinte. Giove, Apollo, e Giunone hanno il taglio dell’occhio grande, rotondamente incurvato, e men lungo che comunemente esser non suole, affine di tenerne l’arco più rilevato. Grandi occhi ha pur Pallade, ma basse le palpebre, per darle così uno sguardo di verginal verecondia. Venere all’opposto ha gli occhi più piccoli; e la palpebra inferiore alquanto tirata in su esprime quel non so che di languido e di lusinghiero, che i Greci chiamano ὑγρόν. A tali occhi distinguesi Venere celeste, con cui fu sovente confusa da coloro che non aveano fatta tale osservazione, per avere pur la prima un diadema simile a quello della seconda.

§. 17. Qualche moderno scultore sembra aver voluto andar più oltre degli antichi, e si è immaginato di figurare quel che Omero chiama βοώπις, con fare degli occhi rilevati, cioè che sporgano in fuori dalla loro incassatura. Ha siffatti occhi, simili a quelli d’un impiccato, la testa rimessa della pretesa Cleopatra nella villa Medici; e questi pur sembra avere scelti per modello lo scultore della statua d’una santa Vergine nella chiesa di s. Carlo al corso in Roma39.

... delle palpebre ... §. 18. Nello studiare la bellezza non sono sfuggiti alla diligenza degli antichi nemmeno i tratti delle palpebre; e la voce ἑλικοβλέφαρος, usata da Esiodo, sembra riferirsi ad una forma loro particolare. I grammatici greci de' bassi tempi danno a tal vocabolo un senso indeterminato, spiegandolo con καλλιβλέφαρος, di belle palpebre. All’opposto lo Scoliaste d’Esiodo gli dà un senso allegorico e singolare, volendo che occhio ἑλικοβλέφαρος sia quello le cui palpebre [p. 368 modifica]vanno come serpeggiando, in guisa che somigliano, per così dire, ai giovani tralci di vite40: somiglianza, che in qualche maniera si potrà trovar giusta, ove si consideri la posizione ripiegata degli orli d’una bella palpebra, quali appunto veggonsi nelle più celebri teste ideali, per esempio nella Venere, nell’Apollo, nella teda di Niobe, e nelle figure colossali, fra le quali tal proprietà delle palpebre è sommamente rimarchevole e sensibile nella Giunone della villa Lodovisi. Nelle teste di bronzo del museo d’Ercolano veggonsi ancora sul margine delle palpebre i segni de’ piccoli peli (βλεφαρίδες) che ivi con sottili puntine erano indicati.

... e delle sovracciglia. §. 19. La bellezza dell’occhio acquista risalto, e viene questo quasi coronato dalle sovracciglia, che tanto più son belle, quanto più sono sottili: la qual cosa nella scultura si esprime con formare ben deciso e affilato angolo dell’osso che sta sovra l’occhio. E’ questo l’ὀφρύον τε τὸ εὔγραμμον, che Luciano41 trovò sì bello nelle opere di Prassitele42. Ove in Petronio43, che indica le proprietà delle belle sovracciglia, si legge: supercilia usque ad malarum scripturam currentia, & rursus confinio luminum pene permixta, a mio credere, in vece di scripturam, che non ha alcun significato, legger dovrebbesi stricturam. Io ben so che la voce strictura, ha presso i Latini tal senso che qui non potrebbe applicarsi; ma ove a tal voce diasi il senso del verbo stringere da cui deriva, allor Petronio avrebbe voluto dire: fino ai confini delle guance sopra le gote; poiché stringere44 significa anche radere, cioè strisciare o toccare esattamente45.

[p. 369 modifica]§. 20. Mi ha recata maraviglia, e non senza ragione, che Teocrito, il poeta delle grazie, abbia potuto trovar belle le sovracciglia unite46; e che a lui abbian tenuto dietro alcuni scrittori, come Isacco Porfirogenito, che dà tali sovraccigiia (σύνοφρυς) ad Ulisse47; e ’l supposto Darete Frigio, che simili ne attribuisce alla bella Briseide. Bayle48, ancorché non versato nelle arti del disegno, trovò ciò strano, ed ebbe ragion di credere che le ciglia di Briseide non sarebbono punto un tratto di bellezza a’ nostri dì.

§. 21. E’ certo però che i conoscitori del bello, anche presso gli antichi, pensarono come noi: ed Aristeneto49 loda in una bella persona le sovracciglia fra di loro ben separate. Sono queste, è vero, fra di loro unite nella testa di Giulia figlia di Tito, e in un’altra testa nel palazzo Giustiniani; ivi però l’artista non si studiò di formare bei volti, ma di fare de’ ritratti somiglievoli; anzi è da osservarsi che, sebbene Suetonio50 faccia menzione delle sovracciglia unite d’Augusto, pure cosi non veggonsi espresse su nessuna moneta di quell'imperatore51. Le sovracciglia, che vanno ad unirsi, sono, secondo un greco proverbio, indizio d’un cuore orgoglioso ed aspro:

Ὁ θρασύς ὑψαύχην τε, καὶ ὀφρύας εἰς ἓν ἀγείρων52.

Della bocca... $. 22. Dopo gli occhi la bocca è la più bella parte del volto. Soverchia cosa sarebbe lo stabilire in che ne consista la [p. 370 modifica]bellezza, poichè nessuno l’ignora, come pure ognuno sa che il labbro di lotto suol essere alquanto più tumidetto del superiore, onde fra esso e ’l mento formisi quella dolce cavità, che ajuta a dare a questo una più compiuta ritondezza. Ad una delle due belle statue di Pallade della villa Albani sporge un tantino in fuori il labbro inferiore, e serve a darle un’aria seria e grave. Sogliono le figure del più antico stile aver le labbra chiuse; ma non chiuse del tutto soglion essere sulle figure degli dei e delle dee, fra le quali principalmente Venere suol tenere alquanto aperte le labbra, come per indicare un languido desiderio ed amore53. Properzio esprime colla voce hiare la bocca aperta d’una statua d’Apollo esistente a’ suoi dì nel di lui tempio sul Palatino54. Ciò pure osservasi sulle figure eroiche55; ma nelle teste, che son ritratti di determinate persone, sogliono le labbra esser chiuse56, e tali sono senza eccezione in tutte le teste di Cesare. In alcune teste di antichissimo stile l’orlo de’ labbri è indicato da una linea incavata, e in altre è rialzato appena e come increspato; il che probabilmente è stato fatto affine di rendere il labbro sensibile nelle figure che doveano vedersi ad una certa distanza. Alcune poche figure ridenti, come qualche [p. 371 modifica]Satiro o Fauno, lascian vedere i denti; ma nelle figure delle divinità questi non vedonsi, ch’io sappia, se non in una statua d’Apollo del più antico stile nel palazzo Conti.

...del mento... §. 23. Non pensarono mai i greci artisti d’accrescere la vera bellezza d’un volto con fargli una pozzetta sul mento, anzi crederono che la beltà di questa parte del volto consistesse in una specie di tondeggiamento non interrotto. La pozzetta, chiamata νύμφη57, non essendo comune nella natura, non fu mai da quegli artisti, siccome dai moderni scrittori 58, creduta un fregio generale della bellezza sublime59. Indi è che tal pozzetta non iscorgesi nella Niobe, nelle sue figlie, o nella Pallade del cardinal Albani; non in Cerere sulle monete di Metaponto, né in Proserpina fu quelle di Siracusa, ov’è espressa la più sublime beltà femminile. Lo stesso dicasi della bellezza ideale virile: non hanno la pozzetta né l’Apollo, né il Meleagro di Belvedere60, né il Bacco della villa Medici. La ho veduta soltanto in un Apollo di bronzo di grandezza naturale nel museo del Collegio Romano, e nella Venere Medicea, ove tal pozzetta è un vezzo, una grazietta particolare, anziché il tratto d’una bella forma61. Né a ciò si oppone l’autorità di Varrone, che la chiama un segnale lasciatovi dall’amore coll'imprimervi un [p. 372 modifica]dito. Or poiché la ritondezza del mento era generalmente tenuta per una proprietà d’un bel volto, e si vede infatti su tutte le ragguardevoli opere degli antichi, noi possiamo con sicurezza conchiudere che, ove trovisi un mento colla pozzetta, ha quello un tratto d’ignorante disegnatore; e ove pure ciò si vedesse su antiche teste ideali, avremmo ragion di sospettare che su di esse una poco erudita mano avesse recentemente lavorato. Su questo fondamento io dubito se il bel Mercurio di bronzo nel museo d’Ercolano avesse originalmente il mento quale or gli si vede, e ancor più ragionevole mi pare il mio sospetto, quando penso essersi trovata quella testa in molti pezzi divisa e rotta.

....delle orecchie ... §. 24. Non v’è parte nessuna delle antiche teste, la qual sia lavorata con maggior diligenza che le orecchie; e la finezza del lavoro ci somministra qui un infallibile indizio per distinguere l’antico dalle aggiunte e dai riattamenti fatti posteriormente; in guisa che, ove nasca dubbio sull’antichità d’una gemma, se l’orecchio non vi si vede finito con tutta la diligenza, possiamo con certezza riconoscervi l’opera di mano moderna62. Nelle figure che sono immagini di determinate persone, ove pur queste non si riconoscano al volto, si possono talora riconoscere alle orecchie: così al vedere un orecchio d’un’apertura oltre l’usato grande e profonda, si conchiude esser quella la testa di Marc’Aurelio. Sono stati gli antichi sì esatti in foggiare questa parte, che ne hanno eziandio indicate le deformità particolari, come vedesi fra gli altri in un bel busto presso il marchese Rondanini, e in una testa della villa Altieri.

... e singolarmente di quelle de’ Pancraziasti §. 2?. Oltre le moltissime diverse forme delle orecchie, che veggiam sulle teste, o prese dal naturale, o copiate da [p. 373 modifica]altre, una pur ve n’è affatto particolare sì nelle figure ideali, che nei ritratti. La singolarità di tali orecchie consiste nell’essere contuse e stiacciate, in guisa che n’è depresso il margine cartilaginoso delle ali, n’è ristretto l’interno condotto, e tutta l’orecchia è come raggruppata insieme e fatta più piccola. Siffatte orecchie osservai a principio su alcune teste d’Ercole, e immaginai che avessero un arcano significato, cui lusingavami d’avere svelato per mezzo del ritratto d’Ettore lasciatoci da Filostrato63.

§. 26. Quest’autore introduce Palamede a descrivere la statura e le qualità degli eroi greci e frigj ai tempi della guerra di Troja, e gli fa dire, parlando delle orecchie d’Ettore, che questi ὦτα κατεαργὼς; cioè, le orecchie avea stiacciate e rotte. A tale stato ei non le avea già ridotte per la lotta, non essendo allora tal maniera di pugna introdotta ancora presso i popoli asiatici, ma bensì nel combattimento coi tori, siccome dice espressamente Filostrato, che spiega64 le sue parole ὦτα κατεαγώς con questa frase: ἀμφὶ παλαίστραν αὐτῷ πεπονημένα τὰ ὦτα: cioè, orecchie affaticate nella palestra, quali secondo lui le avea pur Nestore. Ancorchè quella spiegazione non mi paresse affatto improbabile, pur non intendeva in qual maniera potesse dir Filostrato, che le pugne coi tori aveano ad Ettore così acconciate le orecchie; e ’l medesimo dubbio è pur nato a Vigenere nella sua traduzion francese di Filostrato65. Il traduttor latino dell’ultima edizione fatta in Lipsia, per ischifare ogni difficoltà, s’è espresso in questi termini generali: athletico erat hahitu.

§. 27. Filostrato parla qui probabilmente nel senso di Platone66, presso cui Socrate così interroga Caricle: „ [p. 374 modifica]„ Dimmi se gli Ateniesi sieno stati da Pericle renduti migliori, o piuttosto loquaci e viziosi? E Caricle così gli risponde: chi può dir questo, se non coloro che hanno le orecchie „ contuse e rotte?„ Τῶν τὰ ὦτα κατεαγότων ἀκούεις ταῦτα: cioè coloro i quali non altro fanno che battersi nella palestra. Ciò probabilmente si riferisce agli Spartani, come quelli che meno di tutti gli altri popoli amavano le arti introdotte da Pericle in Atene, e più dilettavansi degli esercizi del corpo. Non so per tanto approvare la traduzione che ne fa Serrano in questi termini: Hæc audis ab iis, qui fractas obtusasque istis rumoribus aures hahent: cioè „ questo odi dir da coloro che hanno le orecchie piene di tali ciarle„ . E che degli Spartani abbia voluto parlare l’autore, lo argomento da un altro passo di Platone nel suo Protagora67, ove accennandosi quelle proprietà che distinguevano gli Spartani dagli altri Greci, dicesi di loro: οἱ μὲν ὦτά τε κατάγνυνται: cioè, che hanno le orecchie contuse. Questo passo è pure stato mal inteso dagl’interpreti, supponendo il Meursio68 che Platone abbia voluto dire che gli Spartani s’incidevano le orecchie da loro medesimi (aures sibi concidunt); e perciò con pari abbaglio ha spiegate le seguenti parole ἱμάντας περιειλίττονται , con dire le ravvolgono con corregge, quasi che gli Spartani dopo d’essersi incise da loro stessi le orecchie, con corregge se le avvolgessero69. Ognun però agevolmente comprende che qui parlasi di cesti, ossia di fasce per la lotta, colle quali avviluppavansi le mani i Cestiarj, siccome altri prima di me ha osservato70.

[p. 375 modifica]§. 28. Un Atleta con tali orecchie vien da Luciano71 chiamato Ὠτοκάταξις, e col vocabolo equivalente Ὠτοθλαδίας da Laerzio72 nella vita di Licone filosofo e celebre Atleta; e quest’ultima voce, che da Esichio e da Suida s’interpreta τὰ ὦτα τεθλασμένα, con orecchie contuse, non può certamente intenderli con Daniele Heinsio73 d’orecchie mutilate. Salmasio74, riportando il citato passo di Laerzio, molto trattiensi intorno alla parola ἐμπινές, e passa sotto silenzio l’altra più difficile Ὠτοθλαδίας75.

§. 29. Siffatte orecchie ha in primo luogo Ercole, perchè riportò il premio come Pancraziaste ne’ giuochi ch’egli stesso istituì presso Elide in onor di Pelope figlio di Tantalo76, come pure in quelli che Acasto figlio di Peleo celebrò in Argo. Con tali orecchie viene effigiato Polluce, il quale come Pancraziaste riportò la vittoria ne’ primi giuochi pitici a Delfo77; e appunto da questa forma dell’orecchio, veduta sulla testa di giovane eroe in un gran basso-rilievo della villa Albani, ho argomentato che quell’eroe fosse Polluce78. Ha questi simili orecchie nella sua statua in Campidoglio, e in una piccola figura nella Farnesina.

§. 30. Non tutte però le figure d’Ercole hanno siffatte orecchie. Fra le statue, che con tale distintivo lo [p. 376 modifica]rappresentano come Pancraziaste, una ve n’è di bronzo indorato in Campidoglio nelle stanze dei Conservatori, e sei altre di marmo, cioè nel cortile di Belvedere79, nella villa Medici, nel palazzo Mattei, nella villa e nel palazzo Borghese, e nella villa Lodovisi. V’hanno teste di Ercole colle orecchie contuse in Campidoglio, nel palazzo Barberini, e nella villa Albani; ma bellissima fra tutte è la testa d’un Erme del conte Fede, che fu trovata nella villa dell’imperatore Adriano a Tivoli80. Simili orecchie, che si vedono in due busti di bronzo di grandezza naturale nel museo d’Ercolano, avrebbero potuto servire a vieppiù accertare, che in essi vien rappresentato Ercole; del che son pure argomento e le forme del volto e i capelli: e ove a ciò si fosse posto mente, non sarebbono stati presi, siccome il furono81, uno per Marcello nipote d’Augusto, e l’altro per Tolomeo Filadelfo82.

§. 31. Alcune delle più belle statue dell’antichità, lavori di Mirone, di Pittagora, e di Leucare, rappresentavano con tali orecchie i Pancraziasti, e tale sembra pur essere stato il bell’Antolico. Ha questa forma l’orecchia destra del preteso Gladiatore nella villa Borghese, il che nessuno avea dianzi osservato, perchè la sinistra orecchia, che mancava, è stata rimessa: tali sono le orecchie della statua d’un giovin eroe nella villa Albani, e quelle pure d’altra simile statua, che dianzi era nel palazzo Verospi, ed è ora nel museo del signor Enrico Jennings a Londra. Io credo di ravvisare a simili orecchie in un Erme, con testa da filosofo nella villa Albani, il filosofo Licone che a Stratone successe nella setta peripatetica. Egli era stato in sua giovinezza un gran Pancraziaste, e non solo, secondo Laerzio83, avea [p. 377 modifica]di Pancraziaste le orecchie, ma quando anche avesse negato d’essersi nella palestra esercitato, smentito l’avrebbe il suo esterno contegno che era d’un lottatore: πᾶσαν σχέσιν ἀθλητικὴν ἐπιφαίνων: e siccome è il solo, per quanto io so, fra tutt’i filosofi, di cui ciò il racconti, quindi appare essere assai verosimile la mia conghiettura. In oltre da siffatte orecchie conchiudo che il bel busto di bronzo del museo d’Ercolano, rappresentante un giovanetto, il quale ha la forma d’un Erme, su cui si legge il nome dello scultore Apollonio figlio d’Archia ateniese84, sia il busto d’un giovane lottatore, anziché di Cesare Augusto nella sua giovinezza; tanto più che non ha con quello nessuna somiglianza. Osservo per ultimo che una statua del Campidoglio, la qual dicesi un Pancraziaste, potrebbe ben non esserlo, poiché le orecchie sue non hanno la decritta forma85.

De’ capelli. §. 32. I capelli erano, non men delle orecchie, una parte intorno a cui gli antichi maestri studiavansi di tutto mostrare il loro sapere; onde possono del pari servir d’indizio a distinguere gli antichi lavori dai moderni, essendo quelli da quelli assai diversi, sì nella disposizione de’ capelli, che nel modo dell’esecuzione. De’ capelli sopra la fronte ho già parlato dianzi, ove ho pur indicato86 come per la diversa forma loro e Giove ed Ercole ed altre divinità si distinguano.

§. 33. Il lavoro de’ capelli era diverso secondo la qualità della pietra che lavoravasi; nelle pietre dure scolpivansi come [p. 378 modifica]se fossero tagliati corti, e poscia con fino pettine distinti; poichè essendo la gemma sottile e dura, né lunghi e distesi capelli farvisi poteano, né ricciuti. All’opposto in marmo nei bei tempi dell’arte formavasi riccia la chioma, eziandio alle figure virili, a meno che non s’imitasse l’effigie di persone che corta o distesa l’avessero. Nelle teste muliebri, principalmente delle fanciulle, che aveano capelli tirati indietro, annodati insieme verso l’occipite, e per conseguenza senza ricci, veggonsi essi come serpeggianti e profondamente a luogo a luogo incavati per produrre varietà di masse, de’ lumi, e delle ombre: così lavorati sono i capelli di tutte le Amazzoni, che potrebbono a’ nostri scultori servir dì modello per le statue di sante Vergini.

§. 34. I moderni si sono allontanati dagli antichi, dando ai capelli delle figure virili una certa forma che è propria a quei de’ Satiri e de’ Fauni, siccome qui sotto vedremo; e ciò probabilmente perchè hanno cosi meno fatica a fare. Così ai capelli delle donne dar sogliono poca o nessuna profondità, onde mancano i lumi e le ombre.

Capigliatura de' Satiri... §. 35. Irsuti sono i capelli de’ Satiri e de’ Fauni sì giovani che vecchi, poco ripiegandosene le punte, per imitare il pelo delle capre; giacché piedi di capra furon dati ai vecchi Satiri e ad alcune figure del dio Pan, il quale pur ebbe l’epiteto di φριξοκόμα, dalla chioma irsuta87. Tal capigliatura chiamavasi generalmente εὐθύθριξ, e presso Suetonio capillus leviter inflexus88. Quando pertanto ne’ sacri Cantici troviamo che le chiome della Sposa a quelle d’una capra paragonansi89, devesi ciò intendere di quelle capre orientali di sì lungo pelo, che tosar si sogliono9091.

[p. 379 modifica] ... d’Apollo e di Bacco. §. 36. I capelli cadenti giù per le spalle sono un attributo comune ad Apollo92 e a Bacco93, e a questi soli; onde ciò osservando si potranno talora riconoscere le statue mutilate, a cui siasi conservata la capigliatura94.

...della gioventù. §. 37. Lunghi capelli portar soleano i fanciulli sino all’adolescenza, del che abbiamo un argomento in Suetonio, ove fa menzione dei cinque mila giovanetti napolitani con lunghe chiome, scelti per ordine di Nerone95. Giunti all’età dell’adolescenza soleano portare i capelli corti e tagliati96, principalmente di dietro, tranne gli abitatori dell'isola Eubea, che Omero perciò chiama ὄπιθεν κομόωντας 97.

Colori de' capelli. §. 38. Non deggio qui ometter di parlare del color de’ capelli, intorno al quale sono stati mal intesi varj passi d’antichi scrittori. Il color biondo, ξανθὸς, è stato in ogni tempo tenuto pel più bello; e bionde chiome furon date ai più avvenenti non solo fra gli dei, come ad Apollo98 e a Bacco99, ma agli eroi eziandio100. Alessandro il Grande avea i capelli biondi101. Io ho altrove102 su questo proposito emendato un passo d’Ateneo103, che finora era stato spiegato de’ capelli neri attribuiti ad Apollo, e cosi pur avealo inteso Francesco Giunio104: con un punto d’interrogazione [p. 380 modifica]si trova che Ateneo volle dire l’opposto: ὀυδ' ὁ ποιητὴς (Σιμονίδες) ἔφε λέγων χρυσοκύμαν Ἀπόλλωνα; „ Il poeta, (Simonide) non chiama egli biondo (auricomato) Apollo?„ Questo colore de’ capelli fu anche chiamato μελίχρωος105; e ciò che abbiamo detto testè vien confermato da Lucrezio, ove leggesi Nigra μελίχροος est106, volendo qui il poeta addurre un esempio delle adulazioni eccessive, che usavansi anche a’ tempi suoi colle donne; poiché talora davano ad una di capelli neri il nome di μελίχροος (bionda), attribuendole una bellezza che non avea. Secondo l’interpretazione data finora al citato luogo di Simonide, ne verrebbe che quello poeta contradicesse al cantore di Achille, il quale a veruno de’ suoi eroi mai non dà neri capelli.

Note

  1. Philostr. Heroic. cap. 2. §. 2. p. 673., cap. 10. §. 9. pag. 715.
  2. De pict. vet. lib. 3. cap. 9. §. 13. p. 251. princ.
  3. Avrebbe dovuto dire angoli retti, non acuti. Tali si osservano essere anche dal sig. Mengs nelle sue Rifless. sopra i tre gran Pittori, Raffaello, Correggio, e Tiziano, ec. c. 5. oper. Tom. I. pag. 405., e vuole che sia questo un carattere della prima, e seconda epoca dell’arte. Facevano i fronte piatta, scrive egli: dalla radice de’ capelli fino alla punta del naso, tutto è linea retta. La sua superficie superiore è tutta piana, e di là al labbro superiore torma mi angolo retto. I due lati fono anche piani, e appena sono segnate la narici, per non interrompere la forma principale, che si compone di due triangoli ai lati, e d’una pianura folla parte di cima, ne segnavano punto rosso delle narici.
  4. Lucian. Amor. §. 40. pag. 441. T. iI.
  5. Idem Dial. Meretr. I. oper. Tom. iiI. pag. 280.
  6. In Satyric. pag. 454. [ Io crederei che non andasse emendato; perchè pare che Petronio parli dei capelli, come li aveva Circe naturalmente, non già arricciati ad arte, come parla anche della forma delle sopracciglia; e per radici de’ capelli si può benissimo intendere di quelli peli, o corti capelli, che nascono in cima alla fronte, e che Circe gli avesse naturalmente ricciutelli. Crines ingenio suo flexi per totos sese humeros effuderant: frons minima, & quæ radices capillorum retroflexerat: supercilia usque ad malarum stricturam currentia, & rursus confinio luminum pene permixta.
  7. Tanto più assurda quanto che il traduttor francese Tom. iI. pag. 331. not. a. argomenta anzi da quelle parole tutto il contrario, cioè che Circe non portasse capelli posticci. Cela est dit finement, pour montrer, que Circe n'en avoit pas de faux, comme en portoient les courtisannes.
  8. Vit. del Bernin. pag. 47. Riporterò le parole di Baldinucci, affinchè il leggitore possa considerarle. „Accomodandosi un giorno quella Maestà al suo solito al naturale per esser ritratto in disegno, il Bernino accostandosesli gli aperse gentilmente le ciocche de’ capelli sopra le ciglia in modo, che la fronte rimase alquanto scoperta, e con maniera quasi autorevole così parlò: V. M. è un Re, che può mostrar la fronte a tutto il mondo: e fu cosa graziosa il vedere come in un subito tutta la corte seguitò quell’accomodatura di capelli, la quale da lì in poi si chiamava accomodatura alla Bernina“. A me pare che la critica di Winkelmann sia un poco eccedente.
  9. A tali indizj pur distinguesi una bella figura d’Iole, cogli attributi d’Ercole, in marmo alta quattro piedi parigini a un dipresso, posseduta da S. E. il signor conte di Firmian Ministro Plenipotenziario presso il Serenissimo Governo della Lombardia Austriaca ec. La statua è in qualche parte restaurata, della quale diamo la figura alla Tav. XIX.
  10. Stosch, Pierr. grav. pl. 8.
  11. Vedi sopra pag. 102. col.i., ove dico lo stesso secondo Begero, perchè pajono ritratti.
  12. In Pomp. oper. Tom.I. pag. 603. D. [ Surrecta coma.
  13. lib. XI. capo I. §. 19.
  14. Mariette Pierr. grav. Tom.I. p. 379.
  15. Baudelot Dairval Diss. sur une pierre du Cab. de Madame. Paris 1698.
  16. Strab. lib. 17. pag. 981. princ.
  17. Mercurial. de Gymnast. [ Questo scrittore porta solamente, nel lib. 2. c. 6. p. 67., e ristampato nel supplemento alle Antichità Romane di Poleno Tom. iiI. pag. 555., due figure una accanto all’altra, che suonano una tibia per ciascuna, senza il capestro alla bocca. Winkelmann voleva forse citare Bartolini de Tibiis veter., che la riporta nella Tavola 2. pag. 201.
  18. Tom. IV. Tav. 42.
  19. Philostr. lib. I. Icon. 10. T. il. p. 779. [Coma autem jucunda etiam sine ornata est, fronti quidem oberrans, una vero cum lanugine secundum aurem descendens.
  20. Anthol. lib. 4. cap. 22. n. 4.

    Tempestive florentes in capite lanugines
    Detondens, mentorum viriles annunciationes,
    Phœbo ponit Lycon primum munus.

  21. lib. 14..pag. 931. princ.
  22. Athen. Deipnos. lib. 14. c. 6. p. 625. F.
  23. loc. cit. Icon. 30. pag. 808.
  24. Hec. v. 732.

    [ Quem virum hunc in tentoriis video
    Mortuum ex Trojanis? Non enim Græcorum aliquem esse vestes
    Corpus involventes nuntiant mihi.

  25. Poll. Onom. lib.7. cap. 13. segm. 60.
  26. Deipnos. lib. 6.cap. 16. p. 256. in fine.
  27. In Athen. lib. 6. cap. 16.
  28. Sophocl. Trachin. vers. 280., Apollod. Bibl. lib. 2. cap. 6. § 2. pag. 125.
  29. Diod. Sic. lib.4. §. 31. pag. 276.
  30. E perchè non potrebb’essa piuttosto rappresentare una schiava? I Greci ne’ più antichi tempi usarono di recidere alle schiave i capelli; e in tal guisa furono rappresentate da Polignoto nel famoso suo quadro descrittoci da Pausania lib. 10. [ Questo autore nella descrizione, che dà del quadro di Polignoto, di due donne solamente, rileva, loc. cit. c. 25. p. 361. lin. 13., e c. 26. in fine, p. 864., che avessero i capelli affatto rasi fino alla cute; il che non conviene alla nostra figura, che li ha lunghi alquanto.
  31. χρῆσθαι αὐταῖς ἀντὶ ἀνδρῶν εὐνούχων Athen. Deipn. lib. 11. cap. 3. p. 515. in fine. [ Lydorum regem Andramytin foeminas primum castravisse, & Eunuchorum loco usum, illis fuisse.
  32. Liban. Orat. 11. in Antioch. op. T. iI. pag. 349. D. [Parla d’una sola statua di bronzo erettagli colle corna in Antiochia. Pare che di tutte generalmente lo dica l’autore dell’Excerpta de Antiquitatibus Constanopolitanis lib. 6. pag. 127. princ.
  33. Ap. Phot. Bibl. cod. XC. p. 475. l. 34.
  34. Exc. de Ant. Const. pag. 127.
  35. Si può vedere Tiraquello De legib. connub. Tom. iI. glossa 1. par. 2. n. 34. pag. 39.
  36. Schol. Iliad. lib. 4. vers. 50.
  37. Vol. iI. Degli Euboici, pag. 107.
  38. Capo iI. §. 14.
  39. Cioè la Giuditta, non una santa Vergine, del signor Le Brun >
  40. In Hesiod. Theog. pag. 234. col. 2. princ.
  41. Imag. §. 6. Tom. iI. p. 463. [ Si spiega nella traduzione: supercilia ad amussim facta
  42. Lo dice della sola Venere di Cnido, di cui abbiamo parlato alla pag. 316. not. c.
  43. Satyric. pag. 455.
  44. Virg. Æneid. 8. vers. 63.
  45. Non era necessaria questa osservazione di Winkelmann, nè la sua correzione; perchè tutte le edizioni, trattane forse la sola prima, leggono stricturam, come in quella, di cui ho portate le parole sopra pag. 358. col. 1.
  46. Idyl. 8. vers. 72.
  47. Ap. Rutgers. Variar. lect. lib. 5. c. 20. pag. 511. 518 [ Isacco parla solamente da istorico, onde non è da tacciarsi, come Winkelmann non taccia Suetonio qui appresso.
  48. Dict. art. Briseis.
  49. Epist. 1. lib. 1. pag. 5.
  50. In August. cap. 79.
  51. Si vedono nella sua testa in marmo bianco acquistata dal Museo Pio-Clementino, come già osservò il sig. abate Visconti nel Diario Romano, 18. Gennajo 1783. num. 840. pag. 2. È però in essa rappresentato da vecchio molto. Vedi appresso al libro XI. capo iI. §. 8.
  52. Anthol. lib. 7. num. 20. pag. 723.
    [ Audax ille, & superbus, supercilia in unum contrahens.
    Sembra che qui si parli di contrazione volontaria, non di naturale; come dice Aristofane Pluto, vers. 754. segg. dei dannati all’erebo. Lo stesso Lysistr. vers. 9. e 10. scrive, che una donna deforma la sua bellezza col corrugare, e unire le ciglia essendo afflitta; e così Sofocle Antig. vers. 533.
  53. Così fu fatta da Prassitele la citata sua Venere di Gnido, Luciano Amor. §. 13. T. iI. pag. 411.
  54. Hic equidem Phoebo visus mihi pulchrior ipso
    Marmoreum tacita Carmen hiare lyra.

    Lib. 2. eleg. 31. v. 5.
  55. Talora gli artisti hanno fatte le labbra semiaperte per esprimere il dolore, o l’orrore della morte presente, come si vede in molte antiche figure. [ Qui gli Editori Milanesi hanno preso occasione di parlare di una statua in marmo bianco rappresentante Andromeda legata ad uno scoglio, colle labbra semiaperte, dell’altezza di tre piedi. Essa è di un non ordinario lavoro; ma da quello, dalla sua integrità, e dalla qualità del marmo, in cui è scolpita, e da altre cose è stata riconosciuta per opera moderna da tanti uomini intendenti, e principalmente dai periti, che ne fecero la stima dopo la morte del signor conte di Firmian, che la possedeva in Milano, da dove in seguito è passata in Genova. Non potendo noi valutare più di quelle ragioni l’autorità del signor Wolkmann, che nel suo Ragguaglio storico-critico d’Italia Par. I. pag. 361. dando al lavoro di questa statua le più grandi lodi, la dice di greco scarpello; abbiamo omessa la figura, che i detti Editori ne davano qui appresso in fronte del libro VI.: surrogandole più adattatamente alla materia degli abiti la figura d’un basso-rilievo, in cui si rappresenta l’educazione de’ figliuoli, riportato, e spiegato da Winkelmann nei Monum. ant. ined. n. 184.
  56. Sono alquanto aperte in alcune teste di stile antichissimo rappresentanti personaggi illustri della Grecia, possedute dal signor cavaliere de Azzara.
  57. Poll. Onom. l. 2. c. 4. segm. 90 Tom. I. pag. 190.
  58. Franco Dial. della bellezza, Part. I. pag. 27.
  59. Se volessimo prestar fede ad alcuni moderni fisonomisti, tra i quali il sig. Pernetty la Connoiss. de l’Homme moral. Berlin 1776., potrebbe la scultura e la pittura non solo le forti passioni, ma eziandio i più nascosti vizj rappresentare sul volto. „ La pozzetta, dic’egli, in un mento ben proporzionato al resto del volto denota uno spirito buono, un uomo pacifico, segrcto, e socievole. Ma se il mento colla pozzetta è aguzzo, magro, e sporge in fuori un poco più che nol chiegga la proporzione, annunzia una persona cattiva, ardita, invidiosa, intraprendente, collerica, falsa, traditrice, e malvagia „. Ognuno pero vede quanto mal fondate earebbero le conghietture, che su questi dati si formassero.
  60. Detto volgarmente l’Antinoo, ora spiegato per un Mercurio dal sig. abate Visconti Museo Pio-Clementino, Tom. I. Tavola 7. Vedi appresso libro XII. capo 1. §. 21., ove se ne parla più diffusamente.
  61. Nel Trattato Prel. cap. IV. pag. LVI. l’Autore aggiugne: „ Quindi è che la suddetta Venere, avendo questa fossetta, come l’aveva la statua di Batillo a Samo, Apul. Fiorid. cap. 15. Tom. iI. oper. pag. 791., mi son dato a credere, che possa essere un qualche ritratto di bella femmina, ove gli artefici in questa parte abbian dovuto derogare all’idea, ch’e’ si eran fatta del bello.
  62. Questa osservazione della bellezza delle orecchie si verifica nelle teste di sublime bellezza, e principalmente nei busti, che doveano vedersi da vicino, come in quello di Comodo giovane del Museo Capitolino, ed altri, ove il resto delle parti non è trascurato; ma trascurate si vedono le orecchie in tante altre teste, massime di statue.
  63. Heroic. cap. 12. pag. 722.
  64. In altra occasione, Heroic. cap. 3. §. 3. pag. 698.: Quæ in palæstra exantlata ei essent ex auribus coltigeres.
  65. pag. 795.
  66. In Gorgia, oper. Tom. I. p. 515. F
  67. Pag. 342. C. oper. Tom. I.
  68. Miscell. Lacon. lib. 1. cap. 17. oper. Tom. iiI. col. 147. in fine.
  69. La parola incidere usata da Winkelmann anche nei Monum. ant. Par. I. cap. 24. n. 2. pag. 76., ove ripete queste stesse cose, non corrisponde al latino concidunt usato da Serrano, e da Meursio; ma dovea tradursi, rompono, acciaccano; e allora non vi era più luogo a critica. Platone scrive qui, che varj popoli della Grecia imitavano le costumanze degli Spartani; e alcuni a loro imitazione si fracassavano le orecchie coi pugni, e se le ravvolgevano con corregge; cioè a dire, che da essi aveano appreso gli esercizj del pugillato, ne’ quali solevano farsi tali cose.
  70. De la Nauze Mém. sur l’état des scienc. chez les Laced. Academ. des Inscript. T. XIX. pag. 170. [Riporta il passo di Platone, che spiega secondo la versione latina di Serrano, senza farvi sopra alcuna osservazione riguardo ai cesti, o altro: Se froissent les oreilles, les entortilles des courroies. Nè so capire come Winkelmann abbia potuto intendere di cesti, ciò che non può altrimente intendersi che delle orecchie, delle quali parla Platone, non delle mani: Alii concidunt sibi aures ad illorum imitationem, & loro circumvolvunt. Probabilmente egli non ha badato, che gli Atleti solevano fasciarsi, o coprirsi le orecchie per difendersi dai colpi, come chiaramente ci attestano Plutarco De Audit. oper. Tom. iI. pag. 38. B., Filostrato Icon. lib. 2. cap. 21. pag. 844., Clemente Alessandrino Pædag. lib. 1. c. 6. princ., Polluce Onomast. lib. 2. segm. 83. pag. 194., Eustazio ad Iliad. lib. 23. pag. 1324.; come l’osserva anche Pietro Fabro Agonist. lib. 1. cap. 11. Tanto più che secondo Seneca De Benefic. lib. 5. cap. 3., presso gli Spartani era proibito il pugillato coi cesti; sul che può vedersi Fabro l. c. c. 12.
  71. Lexiph. Tom. iI. pag. 334.
  72. lib. 5. segm. 67. Tom. I. p. 303. [ Eustazio l. cit., di cui darò la traduzione: Otocatassi, secondo Elio Dionisio, è lo stesso che Otoclasia, cioè che ha le orecchie frante nella palestra; e le Anfotidi sono quelle, secondo Pausania, che i palestriti si mettevano intorno alle orecchie.
  73. Not. in Hor. ep. I. vers. 30.
  74. Ad Tertull. de Pall. pag. 233.
  75. Perchè era fuor di proposito.
  76. Stazio Theb. l. 6. v. 6., Igino fab. 273., Pausania lib. 5. cap. 8. pag. 393. lin. 36.
  77. Igino loc. cit.
  78. Monum. ant. num. 62.
  79. Ove ora è il Museo Pio-Clementino.
  80. Ora nel detto Museo Pio-Clementino nella stanza delle Muse.
  81. Bronzi d’Ercol. Tav. 49. e 50.
  82. Ibid. Tav. 61. e 62
  83. loc. cit. princ. [ Omnem athletarum habitum præferebat, cum, auctore Antigono Caristio, attritis auribus, & pleniori esset corpore.
  84. Bronzi d'Ercol. Tav. 46. & 47.
  85. Mus. Capit. Tom. iiI. Tav. 61. [Dopo tutto questo trattato su tali Atleti io penserei che dovessero chiamarsi anzi Pugili, che Pancraziasti. Questo è un nome generico, che, siccome nota l'istesso Winkelmann al luogo citato dei Monumenti, si dava a quelli, che erano bravi in ogni sorta di giuochi, sapevano a tempo usare di quella forza, e mezzi necessarj per ogni giuoco; ma non già nel Pugilato coi Cesti, che al dire di Fabro l. c. cap. 9. era loro vietato, Pugili al contrario erano quelli propriamente, che si battevano a pugni, o fosse col Cesto, o senza. Né Pancraziasti si farebbero potuti dire quegli Spartani, de’ quali parla Platone loc. cit.; poichè il Pancrazio egualmente che il Cesto era loro proibito, come scrive Seneca al luogo parimente citato sopra pag. 375.
  86. pag. 286. e 287.
  87. Anthol. lib. 4. cap. 26. num. 4.
  88. In August. cap. 79.
  89. cap. 4. vers. 1.
  90. Bochart Hieroz. Tom. I. lib. 2. c. 51.
  91. Dette volgarmente capre d'Angora, che è l’antica Ancira nell’Asia Minore. [ Il sacro testo le paragona alle capre del monte Galaad. Delle capre della Licia ce lo attesta Eliano De Nat. anim. l. 16. c. 30. che avessero peli lunghissimi, e ricciutelli, de’ quali solevano farsi funi, e anche berrette, come nota Calmet nel luogo citato della sagra Cantica.
  92. Omero Hymn. in Apollin. vers. 450.; detto perciò ἀκερσεκόμης intonso vers. 134., e da tutti generalmente. I capelli si vedono a quello del Museo Capitolino Tom. iiI. Tavola 14. pendenti in due lunghi ricci fra il collo, e le spalle.
  93. Euripide in Bacch. vers. 455., Seneca Hippol. V. 752., Œdip. V. 416.
  94. Questa appunto ha servito anche al sig. abate Visconti per un motivo da riconoscere un Bacco nella statua, di cui si è parlato alla pag. 300. n. b.
  95. In Ner. cap. 20.
  96. Perciò forse Agnodice ateniese, volendo studiare la medicina, e non essendo ciò permesso a una donna, si vestì da uomo, e si recise i capelli. Igino fab. 274.
  97. Iliad. lib. 2. v. 542. Occipite comantes.
  98. Euripide in Jon. r. 887., Ovidio Metam. lib. 11. v. 165.
  99. Euripide in Bacch. v. 235. 457., Cyclop. v. 75., Seneca Œdip. v. 421.
  100. A Teseo li dà Ovidio Epis. 4. v. 72. Seneca in Hippoi. v. 652.; a Edipo Euripide in Phœniss. vers. 32.; e cosi fu dipinto Giasone, come riferisce Filostrato giuniore Icon. 7. oper. Tom. iI. pag. 872. princ.
  101. Ælian. Var. hist. lib. 12. cap. 14.
  102. Monum. ant. ined. Part. I. cap. 17. §. 1. pag. 46.
  103. Ath. Deipn. lib. 13. cap. 8. pag. 604.
  104. De pict. ver. lib. 3. cap. 9. pag. 232. [ Winkelmann scrivendo più accuratamente nei Monumenti antichi loc. cit. riporta anche meglio ciò che scrive Giunio in questo proposito, cioè, che i più antichi pittori abbiano dipinto Apollo non colla chioma bionda, ma co’ capelli neri. Cosi Giunio intese Ateneo, come va inteso. La critica del nostro Autore non ha che fare con ciò che ne ricava Giunio; il quale altronde non poteva ignorare, e lo prova anzi coll’autorità di antichi scrittori, che si attribuisse bionda la chioma ad Apollo; e il sentimento di Ateneo è chiarissimo. Nel testo greco, di cui parla Winkelmann, ha il punto d’interrogazione; e nella versione latina si sottintende; ma convien leggere il contesto per ben intenderlo; non già staccarnelo. Ateneo dice in sostanza, che non tutto quello che comparisce bello, o bello si crede comunemente, è creduto tale dai pittori; e ne dà alcuni esempi messi in bocca di Eritreo, e di Sofocle. Eritreo è quello che pronuncia un tal giudizio, a cuì Sofocle, mostrandone maraviglia, risponde sorridendo: non ti piacerà dunque, o ospite, il detto di Simonide, che pur è stato riputato bellissimo dai Greci:
    La vergine parlò colla sua bocca purpurea;
    né ti piacerà, che il poeta (intendendo forse di Omero, secondo ciò che abbiamo avvertito alla pag. 306. not. b., anzi che dello stesso Simonide) chiami Apollo auricrinito; perocché se il pittore gli facesse le chiome bionde, e non nere, meno bello sarebbe il quadro, ec. Questo è il passo, intorno a cui verte la critica del nostro Autore. Non mi pare, che Sofocle interroghi nel modo ch’egli vuole; e neppur mi parrebbe che fosse ironica la di lui risposta. Ciò non ostante, affinchè gli eruditi possano giudicarne per loro medesimi, riporterò il testo di Ateneo tutto distesamente, benché un poco lungo, secondo l’esatta versione latina approvata dal Casaubono: Erubescente magis puero, ei qui proxime accumbebat, ille cum inquit, eleganter Phrynichum hoc dixisse:
    In purpureis genis Amoris lux splendet:
    Respondit Eretriensis, sive Erytræus ludimægister, & literator, in componendis versibus, o Sophocles, sapiens es. Phrynichus tamen non recte dixit, purpureas esse formosi pueri genas. Nam purpureo colore si hujus pueri genas pictor tingeret, formosus non videretur. Non autem quod pulchrum, est comparandum cum eo, quod minime pulchrum apparet. Arridens Sophocles Eretriensi, non igitur, ait, placebit tibi, o hospes, Simonidis illud, quod dictum optime Græci judicant:
    Purpureo vocem ab ore virgo misit;
    nec quod poeta dixit, auricomum Apollinem: Pictor enim si Apollinis capillum aureum, & non atrum, repræsentaret, elegans tabula minus esset: Nec quod auroræ digitos esse roseos idem poeta scripsit probabis, quoniam roseo colore insectis digitis purpuratæ manus sint, non pulchræ mulieris.
  105. Philostr. lib. 1. Icon. 4. pag. 768.
  106. lib. 4. vers. 1154.