Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. I)/Libro terzo - Capo II

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C a p o   II.


Figure degli dei presso gli Etruschi - Dei alati...fulminanti — Divinità considerate in particolare — Dei — Dee — Monumenti etruschi rimastici ~ Figurine di bronzo - Statue di bronzo... e di marmo - Bassi-rilievi - Gemme - Intagli in bronzo - Ordine cronologico de’ sin qui mentovati lavori ~ Pitture negli antichi sepolcri... sulle statue, e sulle urne - Urne etrusche supposte.

Avendo veduto da quelle nozioni preliminari quali esser doveano le arti presso gli Etruschi, passiam ora ad osservare quali fossero diffatto, ricercando quale forma dessero alle figure de’ loro dei e degli eroi, e que’ monumenti esaminando che fino a noi si sono serbati.

Figure degli dei presso gli Etruschi §. 1. Non può negarsi che nella configurazione, come nei diversi attributi delle divinità, gli Etruschi non concordino per lo più coi Greci: dal che pur s’inferisce che questi ultimi siano venuti a stabilirsi nell’Etruria, e che siavi stata sempre fra quelle due nazioni una certa comunicazione. È però vero altresì che gli Etruschi aveano delle divinità loro proprie.

§. 2. La figura di varie divinità etrusche ci sembra straordinaria; ma sappiamo altronde che i Greci ne avean essi pure delle stravaganti, quali erano quelle espresse sulla cassa di Cipselo, descrittaci da Pausania1. Imperocchè, siccome l’immaginazione fervida e sfrenata de’ primi poeti, sì per eccitare l’attenzione e la meraviglia, che per movere gli affetti, ricercava figure strane più atte ad agire su uomini rozzi ed incolti che le belle e gentili immagini, nella stessa guisa [p. 174 modifica]e per lo stesso principio consimili stravaganti figure foggiarono i primi artefici ne’ più antichi tempi. Diffatti l’idea d’un Giove ravvolto nello sterco di cavallo e di altri animali, quale ce lo rappresenta Pamfo2, poeta greco anteriore ad Omero, non è niente meno stravagante che il vedere fra i lavori de’ Greci la figura di Giove ἀπόμυιος, ossia moscajuolo, la cui effigie viene rappresentata da una mosca, in guisa che le di lei ale tengongli luogo di barba, il ventre ne forma il collo e parte del petto, e la testa di essa è posta in vece della capigliatura. Sì strana figura trovasi rappresentata su una gemma del museo Stoschiano, e vedesi ne’ miei Monumenti antichi3.

$. 3. Gli Etruschi rappresentavano con molta maestà i loro dei maggiori, dando loro de’ grandiosi attributi, alcuni de’ quali a tutti erano comuni, ed altri erano particolari d’ognuno di essi. Le ale sembran essere de’ primi. Dei alati... Le ha Giove su una gemma etrusca, su una pasta, e su una corniola del museo di Stosch, ove si mostra a Semele in tutta la sua maestà4. Alata pur fecero Diana i più antichi Greci5, come gli Etruschi, e le ale date alle di lei Ninfe, su un’urna di Campidoglio e su un basso-rilievo della villa Borghese, sono verosimilmente imitate dalle più antiche loro figure. La Minerva etrusca non solo avea le ale agli omeri6, ma eziandio ai piedi7; onde vedesi quanto la sbagli un Inglese8, il quale asserisce non trovarsi nessuna Minerva alata, e non esservene nemmeno memoria fra gli antichi scrittori. Venere stesa figuravasi alata presso gli Etruschi9; e adattavan essi pur le ale alla testa d’altre divinità, come dell’Amore, di Proserpina, e delle Furie. Per la medesima ragione quegli [p. 175 modifica]artefici diedero le ale anche ai cocchi10; il che era loro comune coi Greci; poichè Euripide11 dà al sole un cocchio alato, e sulle monete d’Eleusi12 vedesi Cerere sedente su un simil cocchio, tirato da due serpenti. La favola pur rammenta un cocchio alato di Nettuno, cui Ida ottenne, a richiesta d’Apollo, per rapire Marpessa13. Ove per tanto nel mentovato luogo d’Euripide14 le voci πτεροφόρων ὀχημάτων sono state tradotte pennigerorum curruum (de’ cocchi alati), non dee riprenderli il traduttore: e ’l critico15, che vorrebbe tradurre piuttosto volucrium equorum, mal s’appone, poichè le ale non ai cavalli si davano ma bensì ai cocchi. Trovasi pure la voce πτεροφόρος usata dal mentovato poeta16 come un aggiunto del cocchio del figliuolo di Teseo per indicarne la velocità.

§. 4. Dice Plinio17 che gli Etruschi aveano nove divinità armate di fulmine; ma quali queste fossero, nè egli nè alcun altro determina. Se vogliamo mettere insieme tutte le divinità de’ Greci così armate, ne troveremo un numero anche maggiore. Tra gli dei, oltre Giove, teneva in mano il fulmine Apollo che veneravasi ad Eliopoli nell’Assiria18, e tale viene pur rappresentato fu una moneta della città di Tirra in Acarnania19. Hanno altresì il fulmine Marte combattente contro i Titani in un’antica pasta20, e Bacco in una gemma21: amendue del museo Stoschiano; quell’ultimo vedesi col medesimo attributo fu una patera etrusca22. Così fulminanti si rappresentano Vulcano23 e Pan in due piccole [p. 176 modifica]figure di bronzo nel museo del Collegio romano, ed Ercole su una moneta di Nasso. Fra le dee hanno il fulmine Cibele24 e Pallade25 su alcune monete, e nominatamente su quelle di Pirro26. Vi si può eziandio aggiugnere l’Amore rappresentato col fulmine in mano sullo scudo d’Alcibiade27.

Divinità considerate in particolare §. 5. Parlando delle figure degli dei in particolare, è da osservarsi un Apollo col cappello che gli pende dietro le spalle28, quale appunto vien rappresentato su due bassi-rilievi in Roma Zeto fratello di Amfione29; e in tal maniera forse si rappresenta per indicare la vita pastorale ch’egli ha menata presso il re Admeto, poiché tutti i contadini soleano portar cappello30. Nella stessa guisa i Greci effigiarono Aristea figlio d’Apollo e di Cirene, il quale insegnò l’arte di coltivar le api31, detto da Esiodo Apollo campestre32. Su alcune opere etrusche Mercurio ha la barba puntuta e ripiegata in su, la quale, siccome più sotto dimosrrerò, è l’antichissima forma della barba di questo dio. Ma straordinaria affatto è la figura d’un piccolo Mercurio di bronzo, alto un palmo, nel museo del signor Hamilton, armato d’usbergo, sotto di cui è il solito pendaglio, ed ha ignude le cosce e le gambe. Tal figura, siccome pur l’elmo che avea in capo una statua di Mercurio in Elide33, fa allusione al suo combattimento coi Titani, in cui, secondo Apollodoro34, egli era armato. In oltre su una corniola del museo di Stosch, e in una testa di marmo questo stesso dio porta in capo in luogo di cappello un’intera testuggine, come può vedersi ne’ miei [p. 177 modifica]Monumenti antichi35. Così armato il capo, al riferir di Pococke, ha una figura che vedesi a Tebe in Egitto36.

Dee. §. 6. Fra le dee è principalmente rimarchevole una Giunone sulla mentovata ara triangolare della villa Borghese37, che tien con ambe le mani una gran tanaglia38, e in simil guisa fu pur rappresentata dai Greci39. Era questa una Giunone marziale, e la tanaglia faceva probabilmente allusione ad una particolare disposizione dell’esercito che chiamavasi forceps (tanaglia); onde dicevasi combattere a tanaglia (forcipe & ferra proeliari)40 quando nell’atto della battaglia un esercito, co’ nemici a fronte ed alle spalle, si spingeva loro avanti e di faccia e dai lati, colle ali in forma di tanaglia, per prenderli in mezzo. Venere rappresentavasi con una colomba in mano41, qual si vede nella summentovata ara: essa vi è vestita; e forse è pur l’immagine di Venere un’altra dea vestita con un fiore in mano su un lavoro del museo Capitolino42, che descriverò più sotto. Una Venere è del pari rappresentata sulla base di uno dei due bei candelabri triangolari, che erano altre volte nel palazzo Barberini43; ma quelli sono di greco artista. La statua, che il [p. 178 modifica]signor Spence44 dice d’aver veduta in Roma poco prima ch’io vi fissassi il mio soggiorno, e che teneva in mano una colomba, ora, per quanto io lo, più non vi si trova: egli inclina a crederla un Genio di Napoli, e adduce a quello proposito due passi d’un poeta. È stata eziandio pubblicata per una Venere etrusca una piccola figura della galleria di Firenze, che ha un pomo in mano; ma quello è probabilmente simile al violino, che ivi pur vedesi ad un piccolo Apollo di bronzo, sull'antichità del quale Addison non doveva restar sì dubbioso, esendo evidente che tale stromento v’è stato aggiunto da un moderno. Vestite, come presso i più antichi Greci, veggonsi le Grazie sulla più volte mentovata ara Borghese: elle si tengon per la mano in atto di danzare. Gori crede averle vedute ignude su una patera45.

Monumenti etruschi rimastici §. 7. Or che abbiamo indicate le figure delle divinità presso gli Etruschi, parleremo delle principali opere che ci rimangono dell’arte loro, per poter quindi inferirne giuste conseguenze sul disegno e sullo stile de’ loro artisti. Deggio prevenir però che limitate e mancanti sono su di ciò le nostre cognizioni, a segno da non poter sempre ben distinguere i lavori etruschi dai più antichi greci, a motivo della somiglianza che regna fra essi, per le ragioni dianzi addotte, e perchè abbiamo diffatti alcune opere scoperte nella Toscana, somiglievoli alle greche de’ buoni tempi. Non è però che qualche indizio non siavi per distinguere le une dalle altre. Deesi in primo luogo osservare, che sulla maggior parte de’ più antichi lavori etruschi, a differenza de’ greci, e principalmente sulle opere intagliate in bronzo o in pietra, le figure sì degli dei che degli eroi hanno il loro nome, la qual cosa non [p. 179 modifica] usavasi dai Greci, quando presso di loro le arti fiorivano. Si trova bensì qualche esempio in contrario fu alcune gemme, e fra le altre mi risovviene d’un piccol niccolo nel museo del duca Caraffa Noya, ove presso ad una figura di Pallade leggesi ΑΘΗ ΘΕΑ (Pallade Dea); ma sì la forma delle lettere, che il disegno della figura, mostrano esser quello un lavoro de’ tempi posteriori, quando cominciavasi già a porre più d’una linea di scritto intorno alla figura.

§. 8. Le opere, che sono per indicare, consistono in figure e statue, in lavori di rilievo, in gemme, in opere di bronzo incise, e in pitture.

Figurine di bronzo §. 9. Sotto il nome di figure intendo le piccole immagini di bronzo, sì d’uomini che d’animali. Le prime non sono rare ne’ musei, e v’ha fra esse de’ pezzi de’ primi tempi dell’arte etrusca, come vedrem più sotto, prendendone argomento e dalla forma loro, e da ciò che rappresentano. Delle bestie il più ragguardevole e ’l più grosso pezzo è una Chimera di bronzo nella galleria di Firenze46, composta d’un leone di grandezza naturale e d’una capra. I caratteri etruschi la dichiarano opera d’un artefice di quella nazione47.

Statue di bronzo §. 10. Le statue sì di grandezza naturale, che le più piccole, sono parte in bronzo e parte in marmo. Di bronzo ce ne sono rimaste due certamente etrusche, e un’altra che pur tale si crede. Se ne veggon su quelle i più certi indizj: [p. 180 modifica]una nel palazzo Barberini, alta circa quattro palmi, e forse rappresenta un Genio; quindi le è stata poscia aggiunta la cornucopia. Nella galleria di Firenze è la seconda, che si pretende essere un Aruspice48, ed è vestita alla maniera de’ senatori romani: sul lembo del suo manto vi sono incisi de’ caratteri etruschi. Quella è senza dubbio antichissima, ma quella è d’un’epoca posteriore, come si conghiettura dal lavoro, e si può eziandio inferire dal mento sbarbato; poiché siccome è evidente che questa statua è ritratta dal naturale per rappresentare una determinata persona, se fosse opera antica avrebbe pur essa la barba49, come la portavano generalmente allora gli Etruschi ed i primi Romani50. La terza statua, che vien creduta un Genio, rappresenta un giovane di grandezza naturale51, e fu scoperta nel 1?30. a Pesaro alle spiagge dell’Adriatico, ove poteva sperarsi di trovar lavori greci anziché etruschi, poiché quella città fu colonia de’ Greci. Gori pretende di riconoscervi l’artefice etrusco al lavoro della capigliatura che rassomiglia in qualche maniera alle squame de’ pesci, ma ciò non basta per fondare un valevole argomento, poiché veggonsi consimili capelli su alcune teste greche in pietra dura e in bronzo a Roma, e su alcuni busti d’Ercolano. Chechè ne sia però, è questa una delle più belle statue di bronzo che abbia a noi tramandata l’antichità.

di marmo... §. 11. Non è facil cosa di pronunciare un giudizio sicuro sulle statue di marmo che ci sembrano etrusche, poiché potrebbono con più ragione dirsi opere degli antichi Greci. [p. 181 modifica]Cosi è più probabile che sian lavoro greco anziché etrusco due statue d’Apollo, una delle quali è nel museo Capitolino 52, e l’altra nel palazzo Conti, scopertasi in un piccolo tempio sotto il promontorio Circeo53. Per la stessa ragione io non oso afferire che lavoro d’etrusco scarpello sia piuttosto che di greco la Vestale (così erroneamente chiamata) del palazzo Giustiniani54, che è forse la più antica statua di Roma, e una Diana del museo d’Ercolano che ha tutti i caratteri dello stile etrusco. Quella, che con maggiore probabilità può dirsi opera etrusca, è la statua d’un così detto sacerdote di grandezza più che naturale nella villa Albani, conservatasi intera, all’eccezione delle braccia che le sono state rimesse. (Se ne veda la figura alla Tav. XVIII.). Ha dessa una positura perpendicolare, e i piedi giunti55: le pieghe della veste, che è senza maniche, sono tutte parallele, e posate una sull’altra come se fossero state soppressate: le maniche della sottoveste sono formate a pieghe minute ed aggricciate. Di questa maniera di vestire parlerò diffusamente più sotto trattando degli abiti femminili. I capelli cadongli sulla fronte in piccoli ricci sottili, come acchiocciolati, e quali veggonsi per lo più sulle teste degli Ermi; scendongli dinanzi da amendue i lati in quattro lunghe e serpeggianti ciocche; cadongli pure per dietro, ove s’annodano a qualche distanza dalla testa, e sotto il nodo pendono in cinque lunghi ricci, a egual lunghezza tagliati, i quali insieme uniti hanno a un di presso la forma d’una borsa da capelli lunga mezzo palmo.

[p. 182 modifica]§. 12. La Diana del museo d’Ercolano, rammemorata già nel Libro I.56, sta in atteggiamento d’andare, come lo sono per lo più le figure di questa divinità. Gli angoli della bocca sono un po’ rivoltati all’insù, e piccolo n’è il mento. Vedesi però assai chiaramente esser quelle sembianze un’idea imperfetta della bellezza, anziché ricavate dal naturale: pure bellissimi ne sono i piedi, né i più ben fatti si veggono nelle belle figure greche. I capelli vengonle sulla fronte in piccoli ricci, e lateralmente le scendono in lunghe trecce fu gli omeri: di dietro fono legati a molta distanza dalla testa, e cinti da un diadema, su cui stanno otto rose rilevate d’un color rosseggiante. L’abito è dipinto in bianco; la sottoveste ha larghe maniche formate a pieghe increspate e irregolari, come nella precedente statua; e la vede o piuttosto il breve manto, messo a pieghe parallele e compresse, viene nell’orlo esteriore circondato da una stretta fascia di color d’oro, sopra alla quale sta immediatamente altra fascia più larga di color rossigno, sparsa di fiori bianchi per indicare il ricamo: nella stessa guisa è dipinto l’orlo della sottoveste. Rossa è la coreggia della faretra, che dalla spalla destrra vien a passare sulla mammella sinistra, e di tal colore son pur le stringhe de’ calzari. Stava questa statua in un piccol tempio d’una villa che apparteneva alla sepolta città di Pompeja.

Bassi-rilievi. §. 13. Fra i bassi-rilievi quattro soli ne sceglierò per darne qui la descrizione fecondo l’ordine della diversa loro vetustà. Il più antico non solo de’ lavori etruschi, ma eziandio di tutti i bassi-rilievi esistenti in Roma, è nella villa Albani; e ne ho data la figura e la spiegazione ne’ miei Monumenti antichi57. Rappresentasi in quello lavoro di cinque figure la dea Leucotea, che prima della sua apoteosi chiamavasi Ino, ed era una delle tre figlie di Cadmo re di Tebe: le altre due [p. 183 modifica]sorelle erano Semele ed Agape. E’ noto che Semele fu madre di Bacco, della cui educazione prese cura Ino sua zia, che qui tiene il dio bambino ritto falle ginocchia: essa sta su una sedia d’appoggio con suppedaneo, al che forse allude l’epiteto εὔθρονος (ben-assisa) dato da Pindaro a queste figlie di Cadmo. Porta Ino sulla fronte un diadema, che ha la figura di una fionda, tale cioè che fui dinanzi è largo ben tre dita, e vien poi lateralmente legato con due più strette bende che le cingono il capo; dal che si viene ad intendere il senso della voce σφενδόνη (fionda) usata da Aristofane per indicare una specie particolare di diadema. Crespi e ricci ne sono i capelli sulla fronte e sulle tempie, e le cadono poi diritti e sciolti dinanzi e dietro. Rimpetto a lei stanno le tre Ninfe educatrici di Bacco, le quali sono di grandezza diversa; la più grande tiene il lacciuolo, cioè la fascia che gli serve di sostegno. Le teste in tutte e cinque le figure di questo basso-rilievo hanno un’aria egiziana negli occhi segnati con un’incisione, stiacciati e obbliquamente posti, e nella bocca che tende all’insù: le pieghe delle vesti sono quasi a piombo, e indicate con semplici linee parallele a due a due.

§. 14. Il secondo basso-rilievo etrusco, di cui vedesi la figura a principio del Libro I., è un’ara tonda del museo Capitolino, che rappresenta Mercurio in compagnia d’Apollo e di Diana58. Il disegno delle figure, e particolarmente del Mercurio, non lascia dubitare che etrusco lavoro non sia; il che rilevasi anche dalla barba di quello dio, che in tutti gli etruschi monumenti rimastici a lui vien data aguzza, e simile a quella del Pantalone delle nostre commedie. Confesso però che tal forma di barba non è sempre un argomento certissimo d’etrusco lavoro, poiché una barba simile [p. 184 modifica]attribuirono a Mercurio anche gli antichi Greci59, come possiamo inferire dall’epiteto σφηνοπώγων datogli da Polluce60, che non significa già barba intorta, come traducono gl’interpreti, ma bensì barba cuneiforme61; e da tali sembianze delle più antiche figure del greco Mercurio è forse derivato il nome Ἑρμωνεῖος62 dato alle maschere che siffatta barba aveano. Benché però dubbio mover si possa, se quell’ara sia lavoro antico greco, ovvero etrusco; ciò non ostante nulla può inferirsene contro il mio principio, e serve essa egualmente a darci un’idea di quello stile, avendo di già avvertito di sopra che i più antichi disegni greci agli etruschi perfettamente somigliano. E’ qui da osservarsi la forma dell’arco, che s’incurva solamente nei due estremi, ed è diritto nel mezzo. Tale suol vedersi eziandio su i greci monumenti, ove si trovano uniti Apollo ed Ercole armati d’arco, cioè nell’atto che questi ruba a quello il tripode a Delfo63. Ercole però si suole altrove vedere con un arco scitico, che è assai incurvato o serpeggiante alla maniera dell’antico sigma greco64.

§. 15. Il terzo basso-rilievo è un’ara quadrangolare del museo Capitolino, esistente altre volte nella piazza d’Albano, su cui rappresentansi varie fatiche d’Ercole. Potrebbe qui forse obbiettarmisi che in quell’Ercole le membra non sono più espresse o rilevate di quel che lo siano nell’Ercole Farnese; onde inferir non se ne possa che sia questo lavoro etrusco. Io debbo pur ciò accordare, e convengo di non avere [p. 185 modifica]altro sicuro indizio per crederlo etrusco, fuorché la barba aguzza, in cui, come pur ne’ capelli, i ricci sono indicati da piccoli anellini, e quali pallottoline disposte in retta linea, essendo quella la forma che i più antichi artisti etruschi davano alla barba e ai capelli65.

§. 16. Il quarto e ’l più moderno basso-rilievo creduto lavoro etrusco trovasi pure nel museo Capitolino, e serve di base ad un gran vaio di marmo. Ha la forma d’un’ara rotonda, ond’è finora stato creduto un’ara antica; ma veramente altro non è che una bocca di pozzo, come evidentemente lo dimostrano le scanalature formate nel suo orlo interno dallo sfregamento della fune. Rappresenta questo basso-rilievo i dodici dei maggiori, e può vedersene la figura ne miei Monumenti antichi66. Io m’immaginava di ravvisarvi l’antico stile etrusco, sì al disegno il quale ne ha tutte le proprietà, che alla figura di Vulcano giovane e imberbe, posto in atto di aprir la fronte a Giove con una specie di strumento che ha la forma di maglio, e che nella favola dicesi scure, per facilitare la nascita di Pallade dal suo cervello; poiché in tale età e nello stesso atteggiamento vedesi Vulcano sbarbato su patere da sacrifizj67, e su gemme68 che sono indubitabilmente lavoro etrusco69. Ma poi m’avvidi che amendue questi fondamenti erano poco sicuri. Vulcano fu rappresentato senza [p. 186 modifica]barba dai più antichi Greci70, e tal si vede sulle monete di Lenno7172, di Lipari, e di Roma73, sulle antiche lucerne74, e su un bel basso-rilievo greco del marchese Rondanini, ove sta in atto d’aver dato il colpo a Giove. Se ne vegga la figura nel frontispizio della seconda parte de’ miei Monumenti antichi.

§. 17. Riguardo al disegno poi, siccome Cicerone fece venir da Atene simili bocche da pozzo per la sua casa di campagna75, chi sa che quella eziandio, di cui parliamo, non sia stata colà, anziché in Etruria, lavorata anticamente, o almeno ad imitazione del più antico stile de’ Greci? Questi [p. 187 modifica]diffatti usavano di così ornare a bassi-rilievi le bocche de’ pozzi; e Pausania76 parla d’uno, intorno a cui Pamfo scultore antichissimo avea rappresentata Cerere in desolazione pel rapimento di Proserpina. In ogni modo però, essendo i lavori de’ più antichi Greci simili a quei degli Etruschi, sempre serve quel basso-rilievo a darci un’idea del più antico stile etrusco.

Gemme. §. 18. Fra le gemme ho scelte in parte le più antiche, e in parte le più belle, onde formar su di esse un vero e ben fondato giudizio. Quando il leggitore avrà sotto gli occhi qualcuno de’ migliori lavori dell’arte etrusca, che pur in mezzo alla bellezza loro non fono senza difetti, saprà facilmente applicare alle opere men ragguardevoli ciò che sono per dire. Le tre gemme, di cui qui parlerò in conferma della mia opinione, sono Scarabei, come la maggior parte delle pietre incise etrusche, cioè di tal forma che dal lato rialzato e convesso rappresentano uno scarafaggio77: esse son traforate pel lungo» e non si sa ben indovinare se si portassero al collo come un amuleto, o se vi fosse unito un anello, che loro passasse in mezzo, come par verosimile, vedendosi nel museo del duca di Piombino infilata una puntina, d’oro nel pertugio di simil gemma.

§. 19. Una delle più antiche, non sol fra le etrusche, ma ben anche fra tutte le conosciute gemme, è senza dubbio quella corniola del museo Stoschiano, in cui rappresentasi [p. 188 modifica]l’assemblea di cinque, fra i sette, eroi greci che andarono contro Tebe. Se ne vegga la figura al principio di questo Libro. Siccome in essa non sono espressi che cinque eroi, anziché pensare che cagion ne sia la mancanza di luogo, deggiam credere che l’artista etrusco abbia in ciò seguita una tradizione particolare; e come, al dir di Pausania78, Eschilo ne annoverò più di sette, così altri avranno potuto men di sette contarne. I nomi posti presso le figure sono Polinice, Partenopeo, Adrasto, Tideo, ed Amfiarao; e la scrittura medesima unitamente al disegno ci somministra argomenti per la più rimota antichità di quella gemma. Riguardo al disegno vedesi una somma diligenza ed un’estrema finezza di lavoro: bellissima e finita è singolarmente la forma d’alcune parti, come de’ piedi, i quali bastano a far fede dell’abilità dell’artista; e le figure sembrano esser di quelle prime età, in cui l’intero corpo faceasi appena di sei teste. La scrittura s’avvicina alla sua origine pelasga e alle antichissime lettere greche, più che le iscrizioni delle altre opere etrusche79; onde da questa stessa gemma resta confutata l’opinione d’un moderno scrittore80, il quale pretende che i monumenti [p. 189 modifica]rimastici degli Etruschi siano tutti de’ loro tempi posteriori.

§. 20. Le altre due gemme sono, a mio parere, le più belle che ci siano pervenute dai Toscani. Una è pur una corniola dello stesso museo Stoschiano81; e l’altra, che è un’agata, la possiede il signor Cristiano Dehn di Pomerania. Quella rappresenta Tideo82 col suo nome, nell’atto che si trae dalla gamba la freccia, con cui restò ferito, allorché tutti trucidò, fuor di un solo, i cinquanta Tebani che tesa aveangli un’imboscata83. Quella figura, mentre prova quanto l’artista sapesse l’anatomia, essendovi ben espresse le ossa e i muscoli, si risente al tempo stesso della durezza dello stile etrusco84. La seconda, di cui daremo la figura in appresso pag. 206., rappresenta Peleo padre d’Achille col suo nome, nell’atto che sta lavandosi i capelli al fiume Sperchione in Tessaglia85, a cui promesso avea di recider la chioma del suo [p. 190 modifica]figlio Achille, e consacrargliela, se questi tornava illeso dalla guerra di Troja86. Sappiamo che i fanciulli di Figalia soleano così tagliarsi la chioma e consacrarla allo stesso fiume87; e così Leucippo si lafciava crescere i capelli pel fiume Alfeo88. Deggiamo qui pur osservare riguardo agli eroi greci, e che rappresentati trovansi sulle opere etrusche, ciò che dice Pindaro particolarmente di Peleo, cioè non esservi sì lontana terra né sì straniero linguaggio, ove la fama di quest’eroe genero degli dei pervenuta non sia89.

Intagli in bronzo. §. 21. Gli Etruschi ci hanno lasciati saggi della loro abilità nell’incidere non solo le gemme, ma eziandio il bronzo, come fede ne fanno molte patere ossia tazze pe’ sagrifizj, che usavansi per versare l’acqua o il vino o il mele, parte sull’ara e parte sulla vittima istessa. Ve n’ha di forme diverse: quelle che veggiamo su i bassi-rilievi di Roma ove rappresentansi de’ sagrifizj, sono vere tazze rotonde senza manico: trovasi però in un di quelli bassi-rilievi nella villa Albani una patera alla maniera etrusca formata come un piattello con manico, e molte pur ne sono nel museo d’Ercolano, profonde e tornite, con un manico che generalmente termina in una testa di montone. Per lo contrario le patere etrusche, quelle almeno nelle quali v’ha delle figure incise, hanno la forma d’un piattello con un orlo assai basso, ed hanno un manico, il quale nella maggior parte, per essere troppo corto, è stato incassato in un più lungo d’altra materia. Le patere, i cui fregi rappresentavano la felce, erba assai comune e nota, chiamavansi pateræ filicatæ, e pateræ hederatæ diceansi quelle in cui era intagliata l’edera. Delle prime non ce n’è, ch’io sappia, rimasta alcuna: molte ve [p. 191 modifica]n’ha delle seconde, ed una ne posseggo io stesso. I lavori cosi incisi chiamavansi da’ Greci καταγλύφα.

Ordine cronologico de' sin qui riferiti lavori. §. 22. Chi volesse considerare i monumenti etruschi, de' quasi abbiamo fin qui parlato, secondo la loro età, avrebbe a tenere quest’ordine. Dovrebbe riferire alla più rimota antichità e al primo stile le mentovate monete90, la Leucotea in basso-rilievo, forse anche la statua della villa Albani, e ’l Genio di bronzo del palazzo Barberini. Quali opere de’ tempi seguenti e del secondo stile dovrebbe a mio giudizio tenere l’ara rotonda su cui sono scolpite le tre divinità, l’ara quadrata in cui veggonsi le dodici fatiche d’Ercole, e la grand’ara triangolare della villa Borghese. Le descritte gemme al secondo stile anziché al primo sarei d’avviso doversi riferire, principalmente ove colla Leucotea si paragonino, e a quello pure riporterò la bocca di pozzo in cui scolpiti sono i dodici dei maggiori, se pure come un lavoro etrusco si voglia riconoscere. Paragonando a tai monumenti l’Aruspice in bronzo della galleria di Firenze, e la maggior parte delle urne sepolcrali che ci son note, e che per lo più sono state disotterrate a Volterra, riconosciamo anche in quelle opere il secondo stile dell’arte etrusca.

[p. 192 modifica] Pitture negli antichi sepolcri... §. 23. Resta per ultimo che diciamo qualche cosa delle pitture etrusche; ma poiché altre non se ne sono sino a noi conservate fuorché quelle, le quali sono state scoperte negli antichi sepolcri di Tarquinia, una delle città capitali dell’Etruria, non sarà qui fuor di luogo il dare una breve descrizione de’ sepolcri medesimi. Son quelli tagliati in una pietra tenera detta tufo91, e trovansi in mezzo ad una pianura92 presso Corneto distante circa tre miglia93 dal mare, e dodici da Civita Vecchia94. Si discende in essi per un’apertura rotonda95, la quale va diminuendosi a forma di cono a proporzione che s’avvicina all’uscita, e in cui a luogo a luogo v’ha de’ buchi, generalmente al numero di cinque, incavati alla distanza di tre piedi in circa l’un dall’altro, i quali servono come di scalini per discendere in que’ sotterranei. In uno v’è un’urna quadrilunga pel corpo del defunto scavata nella medesima pietra. Le soffitte de’ sepolcri somigliano in parte a quelle delle nostre camere, in parte son lavorate a quadretti incavati, e diceansi dai latini lacunaria. In altri somigliano ai pavimenti degli antichi, essendo formate come di piccole tegole, o piuttosto di mattoni quadrangolari a lati eguali, messi a coltello come le spine del pefce; donde questa maniera di lavoro ha preso il nome di spina-pesce. Sono sostenute da pilastri quadrati dello stesso tufo in numero or maggiore or minore, proporzionatamente alla varia loro estensione. Sebben in questi sepolcri non doveste mai penetrar luce, poiché chiuso n’era l’ingresso superiore, pure ne erano tutte messe a ornati non solo le soffitte, ma le pareti eziandio e i pilastri; anzi parecchi hanno tutt’all’intorno una larga fascia dipinta che tien luogo di fregio, e regna anche nella parte superiore de’ pilastri, de’ quali alcuni fon dipinti a grandi figure. Sono quelle fu una grossa intonacatura di calce; alcune sono [p. 193 modifica]ancora sufficientemente riconoscibili, ma le altre, ove ha penetrato l’umidità o l’aria, sono guaste in gran parte.

§. 24. Possono vedersi presso Buonarroti, sebbene assai mal disegnate e incinse, le pitture d’uno di que’ sepolcri96. Io qui accennerò quelle d’un altro da me esaminate, che sono senza dubbio più degne di considerazione. Ivi la maggior parte de’ fregi rappresentano combattimenti, ovvero attentati contro la vita d’una persona; in altri è espressa la dottrina etrusca sullo stato delle anime dopo morte. A quella si riferiscono due neri Genj alati colla mazza in una mano, e un serpe nell’altra, che tirano pel timone un cocchio, su cui siede l’immagine, forse l’anima, del defunto, e due altri Genj che battono con lunghi martelli su una figura virile ignuda caduta a terra. Fra le rappresentazioni della prima specie v’hanno alcune immagini di veri combattimenti. Si vedono, a cagion d’esempio, sei figure ignude che si stringono assai dappresso, e pugnano tenendo l’una sopra l’altra i rotondi loro scudi: altri hanno scudi quadrati, e ignudi sono per la maggior parte. In altri combattimenti veggonsi alcuni immergere uno stile nel seno de’ loro avversarj cadenti al suolo, e in una di queste pugne accorre un vecchio re, cinto il capo d’una corona a punte, la quale è probabilmente la più antica corona reale di questa forma che trovisi su i vetusti monumenti. Su due urne etrusche una simil corona porta in capo una figura virile97, che sembra pur essere un re98, e un’altra simile ne tiene in mano la figura d’un garzone sospeso in aria fu una pittura d’Ercolano99. In altri fregi vi sono pitture d’altro genere, che né i combattimenti né [p. 194 modifica]lo stato delle anime risguardano: vi si vede fra le altre una figura di donna vestita con una cuffia larga superiormente, su di cui è tirata la veste in guisa che ne copre la metà. Πολέων chiamavasi tal cuffia in Grecia, ed era colà, secondo Polluce100, comunemente usata dalle donne. La Giunone di Sparta, al dire di Pausania, quella di Samo101 e di Sardi, come appare dalle monete di quelle città, e Cerere, come vedesi fu un basso-rilievo della villa Albani, aveano una siffatta cuffia. E’ da osservarsi che in queste pitture, eziandio in mezzo. alle figure muliebri in atto di danzare, alcune ve n’hanno interamente diritte e senza mossa alla maniera egiziana. Essendo quelle le fole che abbiano tal attitudine, è probabile che figure siano di divinità; dico esser probabile, poiché tutte quelle pitture hanno sofferto a cagione dell’umidità, e nessuna s’è fino a noi conservata ben riconoscibile in tutte le sue parti.

... sulle statue, e sulle urne. §. 25. Alle pitture possono pur riferirsi le statue dipinte, quale è quella del museo d’Ercolano da me sopra descritta, ed i bassi-rilievi delle urne funerarie, alcune delle quali sono state pubblicate dal Buonarroti. Ivi le figure hanno una specie d’intonacatura bianca, su cui sonosi poi stesi altri colori.

Urne etrusche supposte. §. 26. Finiremo quest’articolo con dire qualche cosa delle dodici urne di porfido, che diconsi scoperte a Chiusi nella Toscana, e che oggidì né colà né altrove più si ritrovano. Se queste pur hanno realmente esistito, potean essere d’una pietra che ha col porfido qualche somiglianza, poiché Leandro Alberto chiama porfido una simil pietra trovata presso a Volterra102. Gori, il quale ciò riferisce sulla fede d’un manoscritto della biblioteca Strozzi di Firenze103, ha pubblicata eziandio [p. 195 modifica]l’iscrizione d’una di queste urne; ma siccome il suo racconto parvemi sospetto, ho fatto esattamente copiare quel manoscritto per accertarmi del vero. La data del manoscritto, e ciò che vi si legge, accrebbe fondamento al mio dubbio. Il ms. Stroziano è una raccolta di lettere, che tutte sono datate fra ’l 1653. e 1660.; e quella, in cui leggesi il racconto delle urne, è del 1657. Or è egli credibile che i Gran Duchi circa la metà dello scorso secolo, mentre tanto erano propensi per tutto ciò che risguardava le arti e l’antichità, avessero permesso che fuor di paese uscissero sì rari monumenti104? Gori altresì ha di molto alterata questa lettera: in primo luogo non ci ha data la misura giusta delle urne, poichè ove la lettera dice due braccie fiorentine105 sì in altezza che in lunghezza, egli loro non dà più di tre palmi. In oltre nell’originale l’iscrizione non ha nè la forma nè la disposizione etrusca, che le fu data dal Gori nel pubblicarla.



Note

  1. lib. 5. cap. 17. pag. 420.
  2. V. supr. lib. I. cap. I. §. 21. pag. 15.
  3. num. 13.
  4. Ibid. num. 1. e 2.
  5. Paus. lib. 5. cap. 19. pag. 425. lin.26.
  6. Dempst. Etrur. reg. Tom. I. Tab. 6.
  7. Cic. de Nat. deor. lib. 3. cap. 23.
  8. Horsley Brit. rom. p. 353. n. XXXIV.
  9. Gori Mus. Etrusc. Tom. I. Tab. 83.
  10. Dempst. loc.cit. Tab. 47.
  11. Orest. v. 1001.
  12. Haym Thes. brit. Tom. I. Tab. 21. n. 7. pag. 226.
  13. Apollod. Biblioth. lib. 1. c. 7. §. 9. p. 28.
  14. In altro; cioè in un frammento presso Longino De Sublim. pag. 66. lin. 10. Adatta le ali al carro; ma per un vero traslato dalle cavalle. Ali aveano i cavalli del cocchio di Pelope intagliati sull’arca di Cipselo, come scriveFonte/commento: Pagina:Storia delle arti del disegno.djvu/26 Pausania lib. 5. cap. 17. pag. 420., e quelli delle bighe delle Nereidi in un quadro descritto dallo stesso Pausania lib. 5. cap. 19. pag. 426. lin. 22.Fonte/commento: Pagina:Storia delle arti del disegno.djvu/26
  15. Rutgers. Var. lect. lib. 1. cap. 10. πτερωποῖσεν.
  16. Iphig. in Aul. v. 251.
  17. Hist. nat. lib. 2. cap. 52. sect. 53.
  18. Macr. Saturn. lib. 1. cap. 23. pag. 31l.
  19. Goltz. Græcia, Tab. 61.
  20. Descript. du Cabinet de Stosch cl. 2. sect. 3. §. 9. n. 122. pag. 51.
  21. Ibid. cl. 2. sect. 15. n. 1459. pag. 254.
  22. Dempst. Etrur. Tab. 3.
  23. Serv. ad Æneid. 1. vers. 42.
  24. Du Choul De la religion des anciens Romains, pag. 99.
  25. Apoll. Argon. 1. 4. v. 671., Serv. l. c.
  26. Goltz. Græc. Tab. 16. num. 5., Spanhem. de Usu, & præst. numism. Tom.I. dissert. 7. §. 5. pag. 432.
  27. Athen. Deipnosoph. lib. 12. cap. 9. pag. 534. E.
  28. Dempst. Etrur. Tab. 32., Buonar. ad Dempst. Toir. iI. §. 6. pag. 12.
  29. Descript. du Cab. de Stosch, cl. 2. sect. 8. num. 413. pag. 97.
  30. Dion. Halic. Ant. Rom. lib. 10.cap. 17. pag. 615. lin. 14.
  31. Justin. lib. 13. cap. 7.
  32. Serv. in Georg. lib. 1. vers. 14., Schol. Apoll. Rhod. Iib. 2. vers. 500.
  33. Paus. lib. 5. cap. ult. pag. 449. lin. 23.
  34. Biblioth. lib. 1. cap. 6. §. 2. p. 17.
  35. num. 19.
  36. Descript. of the East, Tom.I. book 2. chap. 3. pag. 108.
  37. Monum. ant. part. 1. cap. 3. n. 2.
  38. Ibid. num. 15.
  39. Codin. de Orig. Constantinop. p. 14. B., Descript. des pierr. grav. du Cab. de Stosch, Préf. pag XIV.
  40. Fest. V. Serra proeliari, Vales. Not. in. Amm. lib. 16. c. 12.
  41. Gori Mus. Etr. Tab. 41.
  42. Monum. ant. ined. num. 5. [ e part. 1. cap. 12. princ. pag. 37. ove ne dà le ragioni. Il fiore lo tiene in ambe le mani, come può vedersi anche dalla figura riportata al numero citato dei Monumenti: seppure non è piuttosto un tallo quello, che tiene nella mano dritta.
  43. Ibid. num. 30. [Ora nel Museo Pio-Clementino. Il sig. abate Gaetano Marini, che gl’illustra amendue, con un altro dello stesso Museo, in una bella dissertazione inserita nel Giornale de’ Letterati, Tom. iiI. anno 1771. art. V., alla pag. 171 e fegg. più probabilmente crede, che la detta figura sia una Speranza. Similissima in fatti si trova in altri monumenti, come su di un marmo descritto dal Grutero Tom. iiI. pag. 973. n. 2., altro dal Pighio Hercul. Prodic. pag. 250., e in una medaglia riportata dal Buorarroti Ossevaz. istor. sopra alc. med. Tav. 37. n. 2., il quale nella spiegazione pag. 418. seg. a lungo la descrive, e parla dei suoi attributi; intorno ai quali può vederli anche l’Agostini Dial. delle medagl. dial. 2., Vossio De Theol. Gent. lib. 8. cap. 10., Maffei Gemme ant. figur. par. iiI. Tav. 69. pag. 124. seg. La compagnia di Marte, e della Salute, o Minerva medica, che stanno sulle altre due faccio del candelabro, conviene alla Speranza, come prova il signor abate Marini colle ragioni, e colli esempi, pag. 175. Debbo qui osservare, che nella prima traduzione francese pag. 153. Sellius ha posto in mano a quella figura una colomba, riferendola alla prima Venere, di cui parla Winkelmann; il che ha fatto credere allo stesso signor abate Marini, che il nostro Autore avesse variato su questo punto.
  44. Polymer. pag. 244.
  45. Mus. Etrusc. Tom. I. Tab. 92.
  46. Gori Mus. Etr. Tom. iI. Tab. 155.
  47. L’iscrizione etrusca sulla Chimera di bronzo è stata letta ed interpretata diversamente da differenti scrittori. Il senator Buonarroti ad Dempst. p. 93... e il Gori Mus. etr. ecc. T. iI. p. 293. vi lessero tinmcuil, e tinmicuil il signor Passeri Lett. Roncagl. Tom. XXIII. Racc. d’opusc. lett. 10.: sono però fra di loro discordi nella spiegazione. Crede il primo essere questo un nome; ma se dell’artista, o della bestia lo lascia indeciso. Anziché un nome, vi riconosce il secondo espressa quella proprietà che gli antichi finsero nella Chimera, d’essere cioè vendicativa; vuol quindi doversi spiegare il vocabolo suddetto con questa frase latina: ad vindictam pronus, sive paratus. Sospetta il terzo che il cognome di qualche divinità vindicatrice sotto quelle lettere si contenga. Altra lezione ed altro senso ravvisa in que’ caratteri Giovanni Swinton Saggio delle trans. filos. Tom. V. pag. 304., il quale pretende dovervisi leggere tinmisfil, o tinmisuil, o anche tinimesil, voce ch’egli deriva dall’ebraico תנים עראל tannimheriel, significante Dragone, Capra, Leone. Quale fra queste sia la vera spiegazione, Deus aliquis viderit.
  48. Dempst. Etr. reg. Tom. I. Tab. 40.
  49. La barba data alle figure etrusche non è sicuro indizio della loro più rimora antichità, siccome confessa poco dopo l’Autor medesimo, secondo cui sbarbati sono in antichissimi etruschi lavori Giove, Vulcano, ed Esculapio. Una più certa norma ne dà il ch. Passeri Lett. Ronc. Torr. XXII. Racc. d’opusc. lett. I. per que’ monumenti almeno, ne’ quali è incisa qualche iscrizione. Se le lettere, dic’egli, vanno da sinistra a destra, indizio sono di meno rimota antichità; ma una rimotissima ne indiziano le lettere che vanno da destra a sinistra, sapendosi che così usarono scrivere tutte quasi le più antiche nazioni.
  50. L!v. lib. 5. cap. 23. n. 41.
  51. Olivieri Marm. Pisaur. pag. 4., Gori Mus. Etr. Tab. 87.
  52. Mus. Capitol. Tom. iiI. Tav. 14.
  53. Questa statua fu trovata in un piccolo tempio in riva al lago di Sorella, il quale aveva altre volte lo scolo in mare per mezzo d’un canale, che essendosi otturato cagionò il rialzamento delle acque, e la sommersione di que' contorni. Essendosi espurgato il canale, vi si trovatono alcune antiche barchette, le cui tavole erano attaccate con chiodi di bronzo: si scoperse il tempio ove stava la statua, e se ne vede ancora la nicchia di marmo messa a vaghi e fini ornati.
  54. Gall. Giust. Tom. I. Tav. 17.
  55. Non si possono dir giunti. Veggasi la Tavola.
  56. Capo iI. §. 18. pag. 31.
  57. P. I. c. 22. §. 3. num. 56. p. 70. e 71.
  58. La dà pure monsignor Foggini Museo Capitolino Tom. IV. Tav. 56., e nella spiegazione molto si diffonde in congetture per ispiegarne la rappresentazione.
  59. Eustazio Comment. in Iliad. lib. 19. pag. 1249). nota, che fosse uso dei Pelasghi di rappresentare Mercurio barbato. Si vede in tal guisa in diversi monumenti anche romani, de’ quali parla Foggini l. c. pag. 299. Pausania lib. 7. cap. 22. pag. 579. lin. 8. scrive che era stata collocata la statua di Mercurio colla barba in mezzo all’arca del foro nella città di Fara in Acaja.
  60. Onom. lib.4. cap. 19. segm. 134. e 137.
  61. Così l’aveva spiegata lo Scaligero Poet. lib. 1. cap. 14. Polluce non dà la barba a Mercurio, ma ad una persona della tragedia.
  62. Ibid. segm. 145.
  63. Paciaudi Mon. Pelopon. Vol. I. p. 114.
  64. Descript. du Cab. de Stosch, cl. 2. sect. 16. num. 1720. pag. 277. Forse quell’arco chiamavasi patulus:

    Imposito patulos calamo sinuaverat arcus.

    Ovid. Metam. lib. 8. v. 30.;

    e questo sinuosus:

Lunavitque genu sinuosum fortiter arcum.

Id. lib. 1. Amor. el. 1. v. 23.

  • Il disegno di quest’ara è riportata da Foggini Museo Capitolino Tom. IV. Tav. 61., e parte in fronte alla lunga spiegazione, che ne dà pag. 327. segg.; ove la figura d’Ercole è si poco decisa, che non vi si conosce alcuno dei caratteri, che vi rileva qui il nostro Autore.
  • num. 5. [e nel Museo Capitolino Tomo IV. Tab. 22.
  • Dempst. Etrur. reg. Tom. I. Tab. i., Montf. Ant. expl. Tom. iI. pl. 62. n. 1.
  • Descr. du Cab. de Stosch, cl. 2. sect. 10. num. 597. segg. pag. 123.
  • La forma del maglio, che ha in mano Vulcano simile affatto a quello, che gli si vede nelle dette patere etrusche, può essere argomento di lavoro etrusco. Ma non vedo fondamento di credere che quel dio stia in atto di dare il colpo a Giove. E più probabile che tenga in mano il maglio come sua insegna, come la loro insegna tengono tutte le altre deità, che sono in sua compagnia. Nell’altro caso Giove starebbe a federe come nelle patere citate, e in altri monumenti; e Minerva starebbe in atto d’uscirgli dal capo, e non verrebbe già adulta in seguito alle altre deità. L’arte di fabbro Vulcano l’esercitava anche in cielo, come si ha da Omero Iliad. lib. 18. v. 142. Pare, che in questo basso-rilievo tutto il soggetto, e la maestà di Giove diano ad intendere che vi si rappresenti questo sommo dio nell’atto di convocare un concilio degli altri dei.
  • Paus. lib. 8. cap. 28. pag. 658. [ Parla d’una statua d’Esculapio impubere.
  • Medaill. da Cabin. de Peller. Tom. iiI. pl. 102.
  • Le monete di Lenno riportate dal Pellerin sono della città d’Efestia in quell’isola; ma su di esse v’è tutt’altro che Vulcano. [ In una vi è una testa sbarbata; e in un’altra una testa consimile coronata di frondi, che pajono lauro. E perchè non poll’ono eifcre di Vulcano, dal cui nome greco Ἥφαιστος appunto li chiamava Efestia quella città, come ivi nota Pellerin, o sia per le ferriere che v’erano, o perchè Vulcano vi fosse precipitato, giusta la favola, da Giunone per motivo della sua deformità? Coronato pure di lauro si vede in altre monete, e per esempio in due presso il Vaillant Num. famil. Tom. I. in fam. Aurelia, num. VII. e VIII. pag. 162. e 163.
  • Vaillant. loc. cit. n. VIII. pag. 163.
  • Mus. Pembr. Par. iL. Tab. 3. n. 1. [È una moneta d’Isernia su cui appunto è la testa di Vulcano.
  • Cic. ad Att. l. 1. ep. 10.: Putealia sigillata duo. [ Quelli, che hanno creduto doversi spiegare in altro senso questo luogo di Cicerone, non hanno saputo dir cose, che persudano. Monsignor Filippo Venuti nella Dissert. sul gabin. di Cicerone, inserita nelle Mem. di varia erudiz. della Soc. Colomb. Fiorent. Tom. iI. pag. 36., supponendo che Cicerone volesse adornar la sua libreria con quei due lavori, crede che dovessero essere due are simili al puteal Libonis. Ma che rapporto aveano queste due are con una libreria? e che bisogno v’era per un sì misero lavoro, come era quello del puteale di Libone, spedirne in Grecia i disegni per farli eseguire da qualche valente artista di quelle parti ? A monsignor Foggini loc. cit. pag. 108. pare cosa ridicola l’immaginarsi, che Cicerone parli di tali parapetti, o anche di coperchi di pozzi, allorché scrivendo a Pomponio Attico gli dice di mandargli per un uomo a piedi typos da ornare il soffitto d’un piccolo atrio, & patealia sigillata duo. Quindi ei crede, che tali parole significhino tutt’altro, ovvero che la lezione sia guasta in vece di dire plutealia sigilla duo, che autenticano più manoscritti. Ma chiaro si vede per la prima difficoltà, che questo scrittore non abbia osservato, che era Cicerone, il quale spediva ad Attico un uomo a piedi per portargli il disegno di quei lavori: quanto alla variante lezione io non vi saprei trovare la sintassi dell’orator Romano. Per riguardo alla parola puteal egli crede, non possa intendersi che del coperchio del pozzo, perché dai Greci si traduce περιστόμιος. So che in quel senso fu spiegata nella l. 14. ff. de Action. empti; ma che significhi il parapetto del pozzo egualmente si prova dall’ara di Libone, e da altre, la quale fu appunto detta puteal, perchè dentro era bucata a guisa della bocca d’un pozzo, come osserva Salmasio in Solin. c. 53. Tom. iI. pag. 802. col. 2, C.; e ivi insieme nota che περιστόμιος vuol dire orlo del pozzo; e si può intendere della intera bocca, non del coperchio, che direbbesi επιστόμιος. Che gli antichi usassero di mettere ai pozzi siffatte bocche mobili, o amovibili, col coperchio, tutte forse di un pezzo, e di qualche valore, si ricava dalla l. 17. §. 8. ff. cod.; e da tutto il contesto pare che possa intendersi anche di essi il marmor. puteale, o marmoreum puteale in una iscrizione recentemente scoperta in Tivoli, e riportata dal sig. ab. Visconti nella descrizione del Museo Pio-Clementino T. I. Tav. XII. p. 21.; e dal sig. abate Amaduzzi in appendice degli Anecdota litter. Tom. IV. pag. 519. num. 6. Una bocca di pozzo in marmo scolpito, ma tozzamente, di fogliami, animali, croci al di fuori, e con entro scanalature, si vede nel chiostro antico della Basilica Lateranense, come avverte anche lo stesso Foggini; e un’altra, su cui sono scolpite le Danaidi, si vede nel detto Museo.
  • lib. 1. cap. 39. princ. pag. 94. [ Pamfo è il poeta citato dal nostro Autore pag. 15. e pag. 174. Questi, al dir di Pausania, registrò ne’ suoi versi, che Cerere dopo il ratto ai Proserpina sotto sembianze di una vecchia avea seduto accanto a un pozzo nelle vicinanze di Megara, e di Eleusi; non già che scolpisse questo fatto sul pozzo.
  • Vedasene la figura a principio di questo libro, ove la gemma etrusca dei cinque eroi, descritta in questa pagina, è pur rappresentata da ambe le parti nella vera sua grandezza.
  • lib. 2. cap. 20. pag. 156. princ. [ Anzi Eschilo sette solamente ne contò, come dice Pausania, benché più di sette realmente vi fossero stati.
  • Gori Dis. dell’alf. etr. Pref. p. CXXXII., che fu il primo a pubblicare questo scarabeo, a più titoli pregevolissimo, dopo d’avervi scoperti e letti i nomi dei cinque eroi ivi rappresentati, cioè Tideo, Polinice, Amfiarao, Adrasto, e Partenopeo, avvisa che „seguono all’intorno e a’ piedi degli eroi queste tre lettere che una è scolpita dietro alle spalle di Polinice; le quali lettere, soggiugn’egli, non so per ora che cosa possano indicare, né io le posso credere superflue„. È qui da osservarsi che nella figura da lui dataci dello scarabeo le tre mentovate lettere sono cosi figurate , e che presso il nostro Autore, il quale pubblicò la stessa gemma ne’ suoi Monumenti antichi, Tom. I. p. 105., in vece della v’è una , e la è unita alla parola LNICE. Se questi caratteri presso di Winkelmann sono i più conformi all’originale, le tre riferite lettere venendo in seguito al nome PARTHANUP, ne saranno il compimento; onde dovrebbe leggersi PARTHANUPAES; e la unita a LNICE sarebbe il principio di PHLNICE, o Polinice, che altrimenti verrebbe a riuscir mancante. La figura, che ne abbiamo data, è tratta da quella di Gori. [ Ma poco esattamente, poichè è simile a quella data da Winkelmann, secondo la quale io l’ho fatta rifare, perchè più corretta, com'egli avvisa nella Descript. des pierr. grav. du Cabin. de Stosch, cl. 3. sect. 2. n. 172. pag. 345. Quella, che dà Guarnacci in fronte delle sue Origini italiche, è diversa in varie cose, ma più simile a quella ai Gori.
  • Il P. Antonelli Professore a Pisa, Ant. gemma etrus. ec., ha data la descrizione di questa gemma in due dissertazioni, ove racconta di nuovo l’intera storia di quest’Eroe, e de' suoi tempi con un grande apparato di citazioni di Autori, eccettuato Stazio, che io porterò qui appresso. [ Nota che ho tratta dalla prima edizione.
  • Descr. des pierr. ec. cl. 3. sect. 2. n. 174. pag. 148.
  • Vedi la fig. alla pag. 161.
  • Ma pure questa figura tiene in mano uno strigile, con cui si raschia; e chiaro si scorge sempre più se si confronta con quattro figure, che stanno su di una tazza etrusca presso il conte di Caylus Rec. d’Antiquit. Tom. iI. Antiq. etrus. pl. XXXVII., collo strigile in mano; due delle quali sono in un atteggiamento presso a poco forzato, ed uguale alla figura di quella gemma. Il signor ab. Visconti nel Museo Pio-Clementino T. I. Tav. XIII. in fine, pag. 23. not. a. crede, non senza fondamento, che in tal guisa Tideo si purifichi dalla morte, che involontariamente avea data a suo fratello Menalippo, come narra Igino fab. 69.; e crede che lui appunto rappresentasse Policleto in quella statua lodata da Plinio lib. 34. cap. 8. sect. 19., che stava in atto di raschiarsi collo strigile, distringentem se; della quale poi fosse una copia la gemma stoschiana. Una forte congettura egli la ricava da! discobolo disotterrato ultimamente sull'Esquilino nella villa Palombara, ora posseduto dalla signora marchesa Massimi, che crede una copia di quello famoso di Mirone, per l’attitudine forzata, che in esso rilevava Quintiliano Inst. Orator. lib. 2. cap. 13., con quelle parole: quid tam contortum, & elaboratum quam est ille Myronis discobolos. Il Tideo è in un’attitudine a questa similissima; talché sembrano usciti di una stessa scuola, come infatti lo erano Policleto, e Mirone scolari di Agelada, come scrive Plinio al luogo citato, e si rileva in appresso. Per rigettare poi l’obbiezione, che potrebbe farsi, come una statua greca possa essere copiata in un lavoro etrusco; senza esaminare a qual popolo veramente appartengano questi lavori, risponde, che il signor Byres possiede in Roma una singolarissima corniola, dov’è rappresentato il discobolo di Mirone in uno stile d’intaglio affatto simile a quello del Tideo stoschiano. Ciò posto, la gemma stoschiana non sarebbe di tanta antichità.
  • Potrebbe credersi per avventura che Stazio avesse veduta questa gemma; tanto la descrizione dataci dal poeta di quell’eroe è simile a quest’antico: a meno che non voglia dirsi che tutte le figure di Tideo avessero le ossa e i muscoli sì fortemente espressi.

    . . . . . quamquam ipse videri
    Exiguus, gravia ossa tamen, nodisque lacerti
    Difficiles: numquam hunc animum natura minori
    Corpore, nec tantas ausa est includere vires.

    Theb. lib. 8. v. 642.

  • Eschilo in Pers. v. 487.
  • Iliad. lib. 23. v. 140. segg., Paus. lib. 1. cap. 37. pag. 90. princ.
  • Id. lib. 8. cap. 41. pag. 683. lin. 36.
  • Ibid. c. 20. p. 638., Vict. Var. lect. l. 6. cap. 22. [ Oltre quello, che abbiamo accennato sopra, pag. 104. col. 1. intorno al consecrare i capelli, ed anche la barba alle divinità presso i Gentili, si vegga Ouzelio od Minuc. Felic. Octav. Animad. pag. 99. e segg.
  • Isih. 6. v. 34. segg.
  • Nell’originale di questa edizione non si fa menzione di monete etrusche, ma di esse parlasi nella prima edizione in questi termini: „Fra le monete ve ne sono alcune de’ più rimoti tempi dell’arte etrusca. Ne ho sotto gli occhi due possedute da un artista romano in un museo di monete antiche greche. Esse sono d’una composizione di color biancastro, e benissimo conservate. Una ha fu un lato un animale che pare un cervo, e sul rovescio due figure prominenti, che si rassomigliano, e tengono una canna. Sono questi forse i primi saggi degli Etruschi nell’arte metallica. Le gambe son indicate da due linee, che terminano in un punto rotondo con cui s’indica ciascun piede. Il braccio, che non tien la canna, è una linea perpendicolare alquanto incurvata ai cominciar della spalla, e arriva quasi ai piedi. Le parti sessuali sono più corte ch’essere nol sogliono sulle gemme e sulle monete etrusche, nelle quali fono mostruosamente prolongate sì negli uomini, che negli animali. Il volto somiglia alla testa d’una mosca. L’altra moneta ha da un lato una testa, e sul rovescio un cavallo". Ignoriamo se tal omissione sia stata fatta espressamente dall’Autore, perchè dubitasse se veramente sieno etrusche, oppure sia colpa di chi copiò il ms., su cui si è fatta l’edizione viennese. [ Sulle monete etrusche, fra gli altri, fa un lungo trattato monsignor Guarnacci Origini ital. Tom. iI. lib. 6. cap. 1. e segg., sebbene con degli equivoci. Qui appresso in fine del capo noi ne daremo una di Adria città etrusca, presa dal più volte lodato Museo Borgiano in Velletri, per quanto sappiamo non ancor pubblicata, e che debbe essere di una grande antichità, come osserva Guarnacci l. c. cap. 1. pag. 81., il quale ne dà una simile nella Tav. VII. num. 6., eccettuata la corona di lauro, e le lettere all’opposto. Il disegno è quasi una metà più piccolo dell’originale.
  • Non è tufo, ma bensì un impasto di diverse sostanze marine.
  • Sono monticelli.
  • Quattro in cinque.
  • Quattordeci in quindeci.
  • Quadrata.
  • Se ne avrà quanto prima una piena, ed accurata descrizione con tavole in rame dal signor Byres, più volte nominato in quest’opera e soggetto ben noto per la cultura delle belli arti.
  • Demster. De Etrur. regali Tab. 21. e Tab. 71. num. 2.
  • Presso i! Gori Mus. Etrusc. Tom. I. Tab. 94. vi è una figura di donna, ch’egli chiama Venere celeste, con simile corona; e nella Tab. 96. una virile, che chiama Ganimede.
  • Pitture d’Ercolano Tom. iiI. Tav. 24.
  • Onomast. lib. 5. c. 16. segm. 96.
  • Tristan Tom. I. pag. 737.
  • Descriz. d’Ital. pag. 50.
  • Mus. Etrusc. Præf. pag. XX.
  • E non potevano essere trafugate, come si sono trafugate anche in Roma cose di maggior valore non ostanti le impegnate diligenze dei ministri deputati?
  • Il braccio fiorentino equivale a palmi romani due e mezzo.