Storia della rivoluzione di Roma (vol. I)/Capitolo XVIII
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[Anno 1847]
Narrammo nei capitoli XIV e XV le cose più notevoli occorse nel mese di agosto. Quanto al mese di settembre diremo che il giorno 4 giunsero in Roma i cardinali Dupont e Giraud, recentemente eletti dal Santo Padre.1
Lo stesso giorno poi venne concesso alla guardia civica l’onore di presidiare tutte le domeniche il posto della guardia reale al quartiere sulla piazza del Quirinale. E tale onorevole servizio incominciò a prestarsi il giorno 5 dal primo battaglione ch’era del rione Monti. In tale occasione monsignor Rusconi, pro-maggiordomo di Sua Santità, fece visita al quartiere, regalò ciascuno dei militi di una medaglia di argento portante la effigie del Santo Padre, e li servì di lauto rinfresco. Il giorno 6 il sommo pontefice li ammise al bacio del piede.2
Fu questo un tratto nobile e generoso per parte del pontefice, ma a lode del vero la generosità e la nobiltà degli atti è stata sempre ed è una delle sue più eminenti caratteristiche.
Mentre prodigavansi queste onorificenze alla guardia civica in Roma, veniva il giorno 4 instituita anche in Toscana.3
In Roma per altro, quantunque non avesse ancora l’intiera divisa, oltre al servizio giornaliero nei quartieri, venivasi esercitando nelle manovre. E già fin dal 20 agosto si era recata alla villa Ludovisi, ove manovrò in presenza del cardinal Ferretti.4 E qualche sera dopo ebbe dal maggior Bartolommeo Galletti un lauto banchetto, nel quale il Del Frate e il Checchetelli fecer dei brìndisi relativi alla circostanza.5
Per mostrare poi come tutto in Roma divenisse soggetto di festa e spettacolo rammenteremo che il giorno 5 facendosi una lotteria pubblica, volgarmente chiamata tombola, sulla piazza Navona, apparvero nella loggia del negoziante Clemente Scarsella l’eminentissimo Ferretti segretario di stato, monsignor Morandi pro-governatore di Roma, e Ciceruacchio, i quali furono applauditi fragorosamente dal popolo. Poi comparve il figlietto di Bartolomeo Gralletti maggiore del sesto battaglione, in uniforme civico, ed ebbe ancor esso lietissimi applausi.6
La sera del 6 settembre venne data nel teatro di Apollo una gran serata musicale a profitto degli asili infantili per solennizzare il 17 luglio, anniversario dell’amnistia. La cantata venne scritta dal maestro Buzzi sulle parole di Filippo Meucci. Si cantò in fine anche un inno italiano. Vi furono applausi immensi, e grida di viva la civica pontificia, viva la civica toscana, viva il granduca di Toscana, ed anche il duca di Lucca, il circolo romano fece aprire alcuni palchi a guisa di barcaccia. V’intervennero, fra gli altri, tre dei capi popolani, cioè Ciceruacchio, il Carbonaretto, e Girolametto dei Monti.7
La sera del 7 vennero inaugurati nel caffè delle Belle Arti i busti di Pio IX e di Vincenzo Gioberti,8 ed in quella occasione il Canino, il Macbean ed il Galletti, tutti e tre in uniforme civico, con una turba di giovani che li seguivano, e percorrendo la via del Corso, si recarono alla residenza del ministro di Toscana Bargagli e del ministro di Sardegna Pareto. E fu altresì in quella occasione che per la prima volta s’intesero apertamente le grida: viva l’Italia.
Il Galletti arrestato per questo fatto, venne rilasciato poco dopo in libertà. S’instruì un processo contro tutti e tre, che può leggersi in un volume che fa parte della nostra raccolta.9
Il principe di Canino partì subito dopo alla volta di Livorno, in compagnia del suo segretario Masi, per il Congresso degli scienziati in Venezia.
Il giorno 8 il Santo Padre recossi secondo il solito alla chiesa di santa Maria del Popolo, nella quale occasione la civica guarniva il Corso. Le iscrizioni al caffè nuovo erano del professore Orioli.
Sulla piazza del Popolo dalla parte più vicina al Tevere era situato il trono per Sua Santità, coperto al di sopra da una immensa tenda. Da quel luogo compartì all’affollato popolo la benedizione. Sul selciato avanti il trono era un magnifico tappeto di fiori naturali. Finita in sul mezzogiorno la cerimonia il Santo Padre fra le acclamazioni restituissi al Quirinale, ove la folla lo seguì per ottenere un’altra volta ancora la benedizione.10
La sera pel Corso furonvi assembramenti dì giovani, e udironsi canti e grida contro i Gesuiti. Don Carlo Torlonia in uniforme civico era sulla piazza di Venezia, e imbattutosi con essi, riuscì solo a distoglierli dal proseguire con quelle grida incomposte. Volevasi gridare sotto il pilazzo di Venezia, ma le esortazioni del Torlonia, e quelle dello stesso principe di Canino (che raccontollo a noi che scriviamo) valsero a farli desistere, e a rimandare tatti alle case loro.
Queste dimostrazioni delle sere dei 7 e 8 di settembre increbbero molto al Santo Padre, e ne fece esprimere la sua disapprovazione nel giornale officiale.11 Fosse poi caso, o accordo preconcertato, occorsero in quelle sere eguali dimostrazioni in Firenze e in Milano.12
Sotto la stessa data dell’8 settembre il celebre Mazzini indirizzava al Santo Padre una lettera che molti giornali riportarono, nella quale fra le altre cose diceva: «Nella grande tradizione dell’unità ho studiato la tradizione italiana, e v’ho trovato Roma due volte direttrice del mondo, prima per gl’imperatori, più tardi pei papi: vi ho trovato che ogni manifestazione di vita italiana è stata manifestazione di vita europea, e che sempre, quando cadde l’Italia, l’unità morale europea cominciò a smembrarsi nell’analisi, nel dubbio, e nell’anarchia. Credo in un’altra manifestazione del pensiero italiano, e credo che un altro mondo europeo, debba svolgersi dall’alto della città eterna ch’ebbe il Campidoglio, ed ha il Vaticano.» E più sotto aggiunge: «Unificate l’Italia, la patria vostra, e per questo non avete bisogno di operare, ina di bene dire chi opererà per voi, e nel vostro nome.13»
Avremmo voluto astenerci dal far commenti su questa lettera del Mazzini, ma il passo testè riportato ci chiama a farvi sopra alcune osservazioni.
Queste ultime parole per noi riferite rivelarono massimamente tutto il segreto dei pensieri del Mazzini. Esso diceva al Santo Padre: «Voi benedite, e noi opereremo.» Quindi le parole del Mazzini si erano in parte avverate, ed in parte si avverarono a capello, ed appunto perchè ci sembrano in sommo grado degne di riflessione, ci chiamano a sottoporre ai lettori le considerazioni seguenti.
Il Mazzini è stato sempre il più caldo promotore della unificazione italiana. Nel 1831 ne consigliò l’attuazione a Carlo Alberto con quella famosa lettera che avea per motto: se no, no. Nel 1847 colla lettera qui sopra riportata affidava o consigliava al papa questa intrapresa.
Siccome però il Mazzini, tanto nel 1831 quanto nel 1847 e poi, è stato sempre repubblicano, egli è chiaro che deferendo a questi campioni l’operazione per lui vagheggiata, volea servirsi del braccio loro per cacciare (sotto il vessillo della unificazione) i vari principi italiani. Cacciati che fosser questi, e unificata l’Italia, è chiaro che esso avrebbe voluto cacciare a posta sua l’uno e l’altro di questi luogotenenti della italiana rivoluzione, per impiantare la sua repubblica una ed indivisibile.
Intanto egli è certo che i principi della Giovine Italia furon quelli che prevalsero ed ebbero il sopravvento nelle cose italiane, ed hanno un bel dire i detrattori del Mazzini, fra i quali il Farini e gli altri uomini del giusto mezzo; il Mazzini fu il primo ed il più efficace agente del movimento italiano, perchè vedemmo sempre che si fece ciò ch’egli consigliava e voleva. E quantunque noi non siam suoi seguaci, e ripudiamo anzi le esagerate astruserie che informano i suoi scritti, non possiamo non ammirare in lui la instancabile attività e la inalterata fermezza nei suoi propositi, di cui diè saggio per tutta la vita, e che, se invece di esser dirette a sovvertire e sconvolgere, fossero state impiegate a promuovere e rassodare le sane dottrine di ordine e di religione, avrebber fatto del Mazzini un santo da doversi adorare sugli altari.
Continuando ora a narrare le cose occorse, rammenteremo che il 10 settembre giunsero in Livorno, venendo da Roma, il principe di Canino ed il suo segretario Masi che furono ivi festeggiati superlativamente.14
In Roma poi il cardinal Ferretti con un bando del giorno 11 disapprovò altamente i fatti dei giorni 7 e 8 di settembre.15
E nel detto giorno giunse in Roma il conte Terenzio Mamiani della Rovere nativo di Pesaro, uno dei capi della rivoluzione del 1831, ed uno dei trentaquattro eccettuati dlal’amnistia di quei tempi.16
Era il Mamiani esule tuttavia, non avendo mai sottoscritto quella formola di dichiarazione che secondo il motu-proprio del 16 luglio 1846 esigevasi dagli amnistiati per essere riabilitati a rientrare negli stati pontifici. Ne ebbe però licenza da Sua Santità, e gli venne comunicata per mezzo del cardinal Ferretti. Apparisce tuttociò dalla seguente lettera diretta dal Mamiani al cardinale anzidetto, e che noi abbiamo estratta dai suoi scritti politici.17
- «Eminenza Reverendissima,
» L’Eminenza Vostra, senza neppure venir pregata e sollecitata da me, ma solo per vive raccomandazioni de’ miei parenti ed amici, ha voluto, per gran bontà naturale, favorirmi e beneficarmi. E non essendo riuscita nel primo atto d’intercessione presso il glorioso pontefice, si è pur degnata di replicare le istanze; e ieri mi giunse avviso che Sua Santità condiscende, a contemplazione della domanda fattane dall’Eminenza Vostra, a darmi licenza di rivedere la mia provincia natale, e per lo spazio di tre mesi poter quivi riconfortarmi con la mia famiglia e con gli amici de’ miei primi anni. Quanto poi alla condizione posta da Sua Santità, che io prometta innanzi (trascrivo le parole medesime di Vostra Eminenza nella lettera sua al Perfetti), di non volere in alcun modo cooperare nè direttamente nè indirettamente a turbare l’ordine delle cose politiche negli Stati Pontifici, io pensava che non le fosse nascosto avere io compiuta assai largamente quella siffatta dichiarazione, scrivendo nel marzo del corrente anno all’Eminentissimo Gizzi e chiedendogli di venir posto a parte del benefizio dell’amnistia; «la qual promessa (aggiungeva io in quel foglio, e replico nel presente) io fa molto più volentieri, e intendo di adempiere con tanto maggiore lealtà, quanto è già lunga pezza che scrivo, e persuado i cittadini miei di calcare le vie in cui sembrano alla per fine voler entrar tutti concordemente, e le quali sole possono condurre alla vera e stabile rigenerazione della patria nostra» . Ciò io significava e scriveva or fanno parecchi mesi; ed in questo mezzo tempo il succedere delle cose è riuscito così favorevole alle speranze dei buoni, che quella promessa di rispettar le leggi quali sussistono, e fuggire ogni modo occulto e violento di mutazione, è divenuto un obbligo naturale, necessario e comune, da poi che mediante la saggezza miracolosa di Pio IX, incomincia in cotesti nostri paesi un ordine vero legale, per addietro sconosciutissimo, e per via di cui si ha facoltà di procedere pacificamente e di grado in grado all’acquisto d’ogni perfezionamento civile.18
» Che io non possa poi ringraziarla condegnamente, e come io desidero, della bontà e parzialità singolare ii me adoperata, scorgesi bene da ciò, che se il rivedere la patria ed i suoi dopo sedici anni di esilio e dopo estinta la speranza di più abbracciarli, è da computarsi fra le maggiori consolazioni del mondo, a me dee mancare qualunque fiducia di esprimere all’Eminenza Vostra non pur coi fatti ma colle parole, la gratitudine che me le stringe e annoda in perpetuo. Solo vorrei pregarla a considerare che questi sentimenti li dice un uomo lontanissimo da ogni maniera d’adulazione, e a cui sono ignoti affatto le corti ed i grandi, ignoto il conversare e il carteggiare con esso loro; e a cui infine reca una vera e novissima meraviglia e soddisfazione il potere e dovere far ciò la prima volta in sua vita eoi l’Eminenza Vostra, nella quale si avvera e l’antico adagio che la bontà soggioga ogni cosa, e l’antica massima dei giuristi filosofi, che negli ottimi è un diritto naturale e non prescrittibile di dominio e d’impero.
- Di Genova li 15 agosto 1847.
- Dell’Eminenza Vostra
- Di Genova li 15 agosto 1847.
Devotissimo ed Obbligatissimo Servo |
Questa lettera ci somministra soggetto di seria meditazione sui strani rivolgimenti delle cose umane, imperocchè il 15 agosto 1847 il Mamiani esule scriveva al cardinal Ferretti la soprascritta lettera per implorare il suo ritorno in patria, ed il 3 maggio 1848, come diremo a suo luogo, trovavasi al posto del cardinale, che è quanto dire alla testa del governo pontificio.
A suo tempo diremo pure chi fosse il Perfetti, di cui si parla nella detta lettera, e quale officio ed influenza esercitasse in Roma. Intanto è bene a sapersi che il Perfetti era stato il precettore e l’amico del Mamiani.20
Dicemmo che il Mamiani giunse in Roma il giorno 11, ed ora aggiungeremo che il 12 recossi al circolo romano e a quello degli artisti.21
Il giorno 23 poi vennegli offerto un lauto banchetto dal circolo romano al casino detto il Vascello fuori la porta san Pancrazio, ove pronunziò un discorso spirante caldi sensi in favore dell’Italia e della libertà. Tutti i giornali di quel tempo ne parlarono.22
Lasciammo il principe di Canino in seno al Congresso scientifico di Venezia, accennammo le ovazioni direm quasi pazze o farnetiche che tanto a lui quanto al suo segretario Masi venner fatte in Livorno. Giunto a Venezia, parlò dotte parole sulla zoologia ch’era la sua scienza favorita,23 ma non appena ebbe compiuto il suo discorso, fu invitato dalla solerte polizia austriaca di sgomberare da quella città, lasciando in pace Venezia e le sue lagune.
Eccolo pertanto di ritorno in Roma, ove giunse il giorno 20 settembre, e recossi di volo al palazzo pontificio per ossequiare al cardinale Ferretti. Trova nella sala di monsignor Medici di Ottaiano maestro di camera di Nostro Signore, il Giornale di Roma ove legge la disapprovazione del cardinal Ferretti pei fatti del 7 e 8 in Roma, nei quali aveva esso Canino avuto una parte principale, e preso da subito sdegno, imbrattò il foglio con una impertinente diatriba, rescrivendovi quanto appresso: «Vergognatevi monsignore di avere questa notificazione fatta ad istigazione dei vili nemici di Pio IX e dell’Italia. Se bastò a spaventare donne e fanciulli, ha reso i petti italiani più saldi. A maggior confusione di chi la strappò al cardinale segretario di Stato, vi prego farmi avere con massima sollecitudine un’udienza dal Santo Padre: evviva Pio IX: evviva V Italia!!!24»
Le dette parole mentre offendevano monsignor maestro di camera, contenevano un dileggio ed una provocazione verso il cardinal Ferretti, ch’era tuttavia il segretario di stato di Sua Santità.
In seguito di ciò venne arrestato a Villa Borghese il giorno 24 e consegnato nel proprio palazzo, e quindi tanto a lui quanto ai suoi compagni Galletti e Macbean, a cagione dei fatti del 7 e dell’8, s’instruì un regolare processo.25
Uno dei gravami principali contro gì’ imputati fu lo avere indossato in dette sere l’uniforme civico; e giacchè siam sul discorso della guardia civica, diremo che in quel tempo faceva furore, ed era all’apogèo del favore, non escluse le alte regioni del potere. Era divenuta la occupazione della città. Poveri studî, poveri impieghi, poveri affari, com’erano in quel tempo abbandonati e negletti! Uomini e donne vi trovavano il lor passatempo, e presso i negozianti di stampe osservavansi per trastullo i figurini delle donne romane, e di quelle dei paesi circonvicini, che rappresentavanle in atto di esercitarsi nelle manovre militari.26
Il 13 settembre festeggiavasi a Ponte Molle con un banchetto il capitano istruttore della civica, Ceccarini.27 I battaglioni secondo e terzo recaronsi il 16 a villa Torlonia, e furonvi serviti di lauto rinfresco,28 intanto che il milite Zangolini vi leggeva un’allocuzione.29 Il 18 poi pubblicavasi un magnifico progetto di un edifizio monumentale per uso della guardia civica.30 Il 22 altro banchetto davasi al terzo battaglione a ponte Molle con brindisi e poesie. Masi improvvisò sui temi patria e sventura, ricchezze e virtù.31 Il 26 a villa Albani davasi altro banchetto ai militi del primo battaglione.32 Vi recitarono Mucchielli e Guerrini, e perfino i giovinetti vestiti da civici riunivansi il 29 a banchettare nel locale di Martignoni alla Longara. Questa riunione fu il nucleo del battaglione di giovinetti che poi si formò sotto la denominazione della speranza.33 Nel giorno stesso sacro a san Michele arcangelo, solennizzavasi con un banchetto di duecento convitati, fra i quali eravi il conte Mamiani, l’onomastico di padron Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio, nel quale recitarono poesie Guerrini, Gralucci, Benai; v’improvvisò Luigi Masi, e furonvi discorsi dello Sterbini e del Meucci.34 Si chiuse il mese di settembre con un banchetto di Piemontesi a Frascati.35
La mattina del 3 di ottobre poi vi fu dimostrazione della civica sul Quirinale, in rendimento di grazie al Santo Padre per la instituzione del municipio con motu-proprio della stessa Santità Sua del primo di detto mese. Erano circa quattromila civici, ed ottennero dal Santo Padre la consueta benedizione.36
Prima di parlare un po’ distesamente della instituzione del municipio vogliamo accennare di volo le altre cose occorse nel mese di settembre, onde sempre meglio si conosca la serie non interrotta delle feste, dei banchetti, e delle dimostrazioni che ritraevano il carattere essenziale dell’iniziato movimento, il quale però, giova ripeterlo, era già passato dal viva Pio IX ad adottare per motto viva l’Italia. Così facendo, seguivasi l’impulso che ne veniva da Livorno, da Lucca, da Firenze, e dal Piemonte, ove la rivoluzione aveva incominciato ad agire liberamente svincolandosi dalle pastoie che ritenevanla dapprima in un ambito più ristretto.
Le sere dei 9 e 24 settembre ebber luogo la seconda e la terza serata al teatro di Apollo per solennizzare l’anniversario dell’amnistia. Furonvi le solite grida di viva Pio IX, viva Gioberti e viva l’Italia.37
Giunse in Roma il giorno venti il celebre scrittore veneziano Niccolò Tommasèo.38
Il giorno ventuno Sua Santità ricevette la deputazione composta dal duca Don Marino Torlonia, dal marchese Ludovico Potenziani, e dall’avvocato Achille Gennarelli, la quale venne a congedarsi prima di partire per Bologna, ove recar doveva il busto in marmo rappresentante Sua Santità, dello scultore Pistrucci;39 ed il giorno 24 la stessa Santità Sua ricevette in udienza il conte Terenzio Mamiani.40
È pure da memorarsi come il cardinal Ferretti per accattivarsi sempre più la benevolenza e. il rispetto della truppa, recossi tanto il giorno 16 quanto il giorno 25 a far visita alla milizia pontificia, incoraggiandola alla osservanza della disciplina militare ed all’attaccamento verso la Santa Sede.41
Crediamo pure opportuno di trascrivere un articolo che la Pallade pubblicò il giorno 28, estraendolo dal giornale inglese il Times, sulla missione di lord Minto in Roma il quale schiarirà meglio ciò che sarem per dire in seguito su questa missione.42
«La legge che vietava alla Inghilterra di avere relazioni dirette e diplomatiche colla Santa Sede, sarà probabilmente abolita nella prossima adunanza del parlamento. Ecco come si esprime il Times del 15 settembre a questo proposito. — Da lungo tempo coloro che hanno tenuto dietro all’andamento della politica italiana, avevano presentito che le circostanze affrettavano l’ordinamento delle nostre relazioni diplomatiche colla corte di Roma. Il conte di Minto andrà a Roma passando per Torino; e sebbene non autorizzato da alcuna credenziale, sebbene non investito del carattere formale di rappresentante, potrà colla sua presenza alla corte pontificia agevolare delle comunicazioni indirette fra due stati che si sono ostinati a tener chiuse le vie ordinarie di una comunicazione necessaria. La posizione e la parentela di Sua Signoria saranno una immediata e bastante guarentigia della sua responsabilità, e le somministreranno una parte di quell’autorità, che non è ancora permesso delegarle, mentre la sua conosciuta attitudine per tale missione ci assicura che gl’interessi e l’onore dell’Inghilterra saranno salvi fra le sue mani.... Quando si adunerà il parlamento, la lettura della legge potrà essere messa in armonia con lo spirito del secolo, e poichè avremo riconosciuto resistenza politica di una potenza a cui attualmente sono volte le simpatie di una metà della popolazione del nostro regno, lord Minto potrà essere francamente investito di un titolo adattato alle sue funzioni.»
Questo fu l’articolo precursore della venuta di lord Minto, di cui parleremo nel capitolo XX.
Eccoci, giusta la nostra promessa, a parlare della instituzione del municipio romano.
Rammenteranno i nostri lettori che il Santo Padre, cedendo ai pubblici voti, aveva creato fin dal 1 di marzo una commissione per presentare uno schema o progetto di organizzazione municipale. Fu eletto a segretario della medesima l’avvocato eoncistoriale Carlo Armellini.
Questa commissione era composta di sette individui, oltre il segretario anzidetto, ed il cardinale Altieri segretario de’ memoriali, che n’era il presidente; cosicchè era formata di nove individui in tutto, come rilevasi dal giornale di Roma.43
Compiuto il suo lavoro e sottoposto al Santo Padre, esso degnossi di approvarlo, e di sottoscrivere il relativo motu-proprio il 1 di ottobre, ed il medesimo venne esibito negli atti dell’Appolloni segretario di camera il 2 detto, ed il giorno stesso fu reso di pubblica ragione. In seguito di che nella sera una delle solite dimostrazioni con faci accese mosse processionalmente dalla piazza del Popolo e recossi al Quirinale, ove ricevette in unione ad un immenso popolo, che vi era accorso, l’apostolica benedizione, come meglio si dice nel Diario di Roma, ove riportasi per intiero il motu-proprio.44
Andiamo ora a dichiarare in compendio le disposizioni generali dell’atto di sopra menzionato, le quali, trattandosi di cosa esclusivamente romana, interessar devono precipuamente ai Romani che andavano a fruirne il beneficio.
Belle sono le parole del Santo Padre che precedono le disposizioni; esse dicono così:
«Ciò che riputammo dover esser cagione di letizia pubblica, e quel che più importa, di verace vantaggio a questa città dilettissima, si fu il rendere lo splendore antico alla rappresentanza comunale della medesima, dandole un consiglio che deliberi, una magistratura che eseguisca il deliberato, in quei rami di amministrazione municipale che poteano convenirle, ed una rendita pro porzionata ai pesi che avrebbe da sostenere. Al nostro animo fu piacevole l’occuparsi di tal pensiero, nè ci spaventarono quelle pur troppo gravi difficoltà che aveano trattenuti finora i nostri augusti predecessori, allorchè misero volenterosi la mano all’opera.
» Ad una speciale commissione, per ogni titolo ragguardevole, commettemmo l’incarico dì un regolamento che, illesi conservando i diritti della Santa Sede e della sovranità, determinasse gli uffizi della nuova rappresentanza ed amministrazione comunali, di Roma. Ed es sendosi questo regolamento dopo il più maturo esame da noi trovato di nostra piena soddisfazione, di nostro moto proprio, certa scienza, e con la pienezza della suprema nostra potestà, ordiniamo e comandiamo quanto segue, ec.»
Ristretto delle disposizioni preliminari.
Roma e l’agro romano saranno rappresentati da un consiglio deliberante, e da una magistratura esercitante l’amministrazione.
Il consiglio deve essere composto di 100 individui,
64 dei quali possidenti,
32 scelti fra le professioni di arti liberali, o fra esercitanti offici pubblici, appartenenti a collegi, istituzioni scientifiche, letterarie, ed artistiche, non che fra banchieri, capi d’arte, non vili negozianti ec.,
4 da rappresentare i corpi ecclesiastici, scelti per una metà dall’autorità governativa, e per l’altra metà dall’eminentissimo vicario.
Sarà presieduto dalla competente autorità governativa la quale (sia detto per istruzione dei nostri lettori) s’intendeva esser quella del cardinale presidente di Roma e Comarca, o dal capo della magistratura.
Riunirassi tre volte all’anno, ed intervenendovi la metà del consiglio, sarà legale.
La magistratura si comporrà di un senatore ed otto conservatori, e chiamerassi il Senato romano.
Le funzioni onorarie.
Età non minore dei trent’anni.
(Si omettono per brevità le disposizioni per la nomina e rinnovazione della magistratura e del senatore.)
Residenza il palazzo capitolino.
Vestiario il solito.
Abolita la guardia detta Urbana, o Capitolina.
Conservato l’uso delle bandiere delle quattordici regioni di Roma, o del vessillo coll’iscrizione: S. P. Q. R.
Amministra la magistratura sì i beni di proprietà della città, come i fondi, introiti, o proventi destinati a sostenere i carichi della propria gestione.
Sono sue proprietà i tre palazzi del Campidoglio.
Deve custodire il museo, la pinacoteca, e la protomoteca capitolina.
Ha la direzione delle strade interne della città, esterne comunali, mura, pomerio, porto, acque, fontane, acquedotti, giardini o passeggi pubblici, vivaio delle piante, fabbriche per provvisioni, cimiteri, stabilimento di mattazione, illuminazione, annona e grascia, ed ogni altro oggetti di sussistenza degli abitanti, e approvvigionamento della città.
Misure di Sicurezza
Sugl’incendi,
Sulle alluvioni, ed altre relative alla sanità degli abitanti e salubrità del suolo,
Sulle epidemie, contagioni, epizoozie,
Sulle inumazioni dei cadaveri,
Sull’asportazione dei cadaveri degli abitanti,
Sui commestibili, sulle bevande, e su’ medicamenti,
Sui provvedimenti per asfissiati, idrofobi ed annegati,
Sulla inoculazione del vaiuolo vaccino,
Sulla disinfettazione dell’agro territoriale.
Spettavano altresì alla civica rappresentanza
Il regolamento sulle vetture,
La nettezza pubblica,
L’ornato ed il comodo,
La nomenclatura delle vie e le numerazioni delle abitazioni,
I soccorsi agl’indigenti, le case di lavoro, ecc.
I medici, cesurici, ostetrici e farmacisti regionari.
Sorveglianza
Sull’istruzione pubblica popolare elementare, salvo l’università,
Sulle scuole regionarie, e tutte le scuole o accademie, salva sempre la dipendenza dalla congregazione degli studi.
Sul commercio, sulla industria, sulle fiere, sui mercati, sulle patenti per arti, mestieri e commercio,
Sugli spettacoli, sulle feste, e sui divertimenti pubblici,
Sui registri dello stato civile,
Sulla polizia rurale,
Sul monte di pietà, per la parte che riguarda il municipio,
Sui monumenti pubblici, in dipendenza col ministro del commercio o lavori pubblici,
Sull’archivio urbano e sulla guardia civica.
I fondi occorrenti erano i seguenti:
II dazio consumo compreso il macinato,
Le tasse sopra le acque, cloache, cavalli di lusso, mattazione, e (quelle sulle strade inteme, case, vigne ed orti,
Gl’introiti sull’appalto della neve, e la tassa sulle patenti.
La nuova organizzazione del municipio doveva avere piena esecuzione al principio dell’anno 1848.
Queste sono in succinto le disposizioni generali, cui è bene di prestare attenzione affinchè possano conoscersi le importantissime e svariate attribuzioni del municipio di Roma. Il resto lo diremo in seguito.
E con questo diam fine al capitolo XVIII.
Note
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 7 settembre 1847.
- ↑ Vedi il detto Diario del giorno 6.
- ↑ Vedi il Decreto nel Corriere livornese del giorno 7 settembre, n. 23. — Vedi Farini vol. I, pag. 257.
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 24, — la Pallade, n. 40.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 44.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 53.
- ↑ Vedi il libretto nel vol. III. Documenti n. 32. — Vedi il Programma n. 57. — Vedi la Pallade n. 53.
- ↑ Vedi la Pallade n. 54,
- ↑ Vedi il volume intitolato: Processo contro Galletti, Montecchi ec. e contro il principe di Canino, Bartolommeo Galletti, Macbean, ec.
- ↑ Vedi le Notizie del giorno del 9 settembre. — Vedi il Documento n. 58 nel vol. III, Documenti.
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 14 settembre.
- ↑ Vedi il Mondo illustrato, pagina 595. — Vedi Ranalli, vol. I, pagine 262. — Vedi il Corriere livornese, degli 11 e 14 settembre. — Vedi L'Alba di Firenze, del 10. — Vedi Farini, vol. I, pag. 265.
- ↑ Vedi Mazzini, Prose politiche. Genova, 1849, pagine 228.
- ↑ Vedi Supplemento al n. 23 del Corriere livornese.
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 14.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 56. — Vedi il Farini vol. I, pag. 238; e Ranalli, vol. I, pagina 231.
- ↑ Vedi Mamiani, Scritti politici, Firenze, Le Monnier 1853, pagina 51.
- ↑ Accenna all’istituzione della Consulta di stato con voce deliberativa in cose di finanza.
- ↑ Fu riportata detta lettera anche dal Roman Advertiser del 25 settembre 1847.
- ↑ Vedi il Gigliucci, vol. II, pagina 55.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 57.
- ↑ Vedilo riportato fra i suoi Scritti politici alla pag. 53.
- ↑ Vedi il suo discorso nell’apertura del Congresso scientifico fra i Documenti, vol. III, n. 59 e 60.
- ↑ Vedi il Ristretto del Processo, pag. 7, e la difesa del Canino fatta dall’avv. Petroni.
- ↑ Vedi il detto Ristretto, alla pag. 46.
- ↑ Vedi stampe e litografie, n. 40 e 41.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 58.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 60 e 61.
- ↑ Vedila fra i Documenti del vol. III. n. 62 e 63.
- ↑ Vedi Documenti, vol. III. n. 64.
- ↑ Vedi il Contemporaneo, n. 25.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 70.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 72 e 73, non che le stampe e litografie, n. 46 A.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 71, ed il Contemporaneo, n. 40.
- ↑ Vedi il Contemporaneo, n. 40.
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 5 ottobre. — Vedi la Pallade n. 74. — Vedi i Documenti del vol. III, n. 68.
- ↑ Vedi Contemporaneo del 6, e la Pallade, n. 53, 55 e 68.
- ↑ Vedi la Pallade. n. 63.
- ↑ Vedi il Diario di Roma, del 30 settembre. — Vedi il vol. Stampe e litografie, n. 48.
- ↑ Vedi la Pallade del 25 settembre, n. 65.
- ↑ Vedi il Diario di Roma, del 18 settembre. — Vedi la Pallade, n. 69. — Documenti vol. III. n. 60.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 70.
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 2 marxo L847.
- ↑ Vedi il Supplemento al Diario di Roma del 5 ottobre 1847. Vedi ancora la Pallade, n. 71. — Vedi il vol. III. Documenti al n. 68. — Vedi ancora l’Atto originale nel vol. I. Motu-proprî ec n. 20.