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del movimento italiano, perchè vedemmo sempre che si fece ciò ch’egli consigliava e voleva. E quantunque noi non siam suoi seguaci, e ripudiamo anzi le esagerate astruserie che informano i suoi scritti, non possiamo non ammirare in lui la instancabile attività e la inalterata fermezza nei suoi propositi, di cui diè saggio per tutta la vita, e che, se invece di esser dirette a sovvertire e sconvolgere, fossero state impiegate a promuovere e rassodare le sane dottrine di ordine e di religione, avrebber fatto del Mazzini un santo da doversi adorare sugli altari.

Continuando ora a narrare le cose occorse, rammenteremo che il 10 settembre giunsero in Livorno, venendo da Roma, il principe di Canino ed il suo segretario Masi che furono ivi festeggiati superlativamente.1

In Roma poi il cardinal Ferretti con un bando del giorno 11 disapprovò altamente i fatti dei giorni 7 e 8 di settembre.2

E nel detto giorno giunse in Roma il conte Terenzio Mamiani della Rovere nativo di Pesaro, uno dei capi della rivoluzione del 1831, ed uno dei trentaquattro eccettuati dlal’amnistia di quei tempi.3

Era il Mamiani esule tuttavia, non avendo mai sottoscritto quella formola di dichiarazione che secondo il motu-proprio del 16 luglio 1846 esigevasi dagli amnistiati per essere riabilitati a rientrare negli stati pontifici. Ne ebbe però licenza da Sua Santità, e gli venne comunicata per mezzo del cardinal Ferretti. Apparisce tuttociò dalla seguente lettera diretta dal Mamiani al cardinale anzidetto, e che noi abbiamo estratta dai suoi scritti politici.4


  1. Vedi Supplemento al n. 23 del Corriere livornese.
  2. Vedi il Diario di Roma del 14.
  3. Vedi la Pallade, n. 56. — Vedi il Farini vol. I, pag. 238; e Ranalli, vol. I, pagina 231.
  4. Vedi Mamiani, Scritti politici, Firenze, Le Monnier 1853, pagina 51.