Storia della decadenza dei costumi delle scienze e della lingua dei romani/Capitolo VII

Capitolo VII

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Capitolo VI Capitolo VIII
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VII.

Dei costumi della Plebe Romana, e de’ Romani
eserciti nei primi secoli dopo la nascita di
Cristo.


I costumi della massima parte degli Imperatori, e dei Grandi Romani furono conformi a quelli della Romana Plebe, la quale sotto gli Imperatori molto più che nei tempi della Repubblica meritava il nome di schiuma, o di feccia di tutto lo Stato, mentre più che mai tutto ciò, che era corrotto, e capace a corrompere, tutti coloro che non potevano o non volevano lavorare, tutti gli avventurieri, i Seduttori, gli Indovini, gli Astrologhi, i Cerretani, i Commedianti, ed altri maestri, ed istrumenti di vizj, anzi un gran numero de’ malfattori di tutte le Provincie concorrevano a Roma come ad un gran ricettacolo di qualunque immondezza. L’abjezione, e la viltà della Plebe Romana, e segnatamente la sua indifferenza per rispetto al pubblico bene, dipinger non si possono con tratti, o colori più forti di quelli con cui se n’è da me fatto il quadro nei precedenti capitoli, e soprattutto allorquando ho avuto luogo di parlare dell’inalzamento, e dell’uccisione di Galba, d’Otone, e di Vitellio. [p. 4 modifica]Ora null’altro per conseguenza mi rimane se non che di esporre con alquanto più d’estensione, e d’esattezza il modo di vivere, ed i divertimenti della Romana moltitudine, e di far quindi osservare le cagioni per cui la Plebe di Roma decadde, e si corruppe assai più che quella di ogni altra vasta, ed ampiamente dominante Metropoli.

Non era certamente possibile che la Romana Plebe non divenisse più infingarda, più vile, e più ansiosa di continui sollazzi che qualunque altra di tutta la Terra, giacchè dessa non solo otteneva senza alcuna sua fatica nutrimento, e vestiario dal pubblico tesoro, e a spese dei Grandi, ma ne veniva eziandio regalata, e divertita coi più varj, e sontuosi spettacoli. I più insigni, e buoni Imperatori furono, è vero, capaci di moderare la dannosa profusione che usavasi colla detta Plebe, ma non era più in lor potere di togliere un’abuso nato fin dal tempo dei Gracchi  1 e cresciuto quasi con gli anni. Questa medesima corruttrice, e rovinosa profusione, che si praticava verso la Romana Plebe era talmente passata in costume, e veniva in conseguenza dell’universal maniera di pensare considerata qual cosa così lodevole, e giusta che molti degli stessi buoni Imperatori si credettero in dovere di emulare, e persino di superare i loro antecessori anche in questa parte. Gli Imperatori poi [p. 5 modifica]più crudeli, ed inetti furono senza eccezione i più zelanti fautori della popolar moltitudine, e le permisero, e procurarono quella sfrenatezza di costumi, e i medesimi divertimenti di cui facevan uso essi stessi onde coll’indulgenza, e colla profusione cuoprire, o far porre in dimenticanza le sceleraggini, e le infamità da loro commesse contra i Grandi, o nelle Provincie1.

Da ciò indispensabilmente ne nacque, che il Popolo Romano2 al pari delle Pretoriane Coorti portò maggior affetto ai più crudeli tiranni, come a un Nerone, a un Domiziano, e ad un Commodo, che ai più esemplari, e degni Imperadori; [p. 6 modifica]che la pubblica dissipazione, e la moltitudine, varietà, e splendidezza dei pubblici divertimenti andarono sempre crescendo a proporzione che si esaurivano le facoltà dello Stato; e che in fine la Plebe addivenuta così incapace di dedicarsi ad utili mestieri come di difender la Patria, interessavasi molto meno della prosperità di tutto lo Stato, dell’inalzamento, e caduta de’ proprj Sovrani, e dell’esito delle più pericolose guerre, di quello che ella facesse per rispetto alle vittorie, o sconfitte de’ suoi favoriti tra i Comedianti, i cavalli da corsa, e lor condottieri, e tra i Gladiatori, e le combattenti bestie feroci3. Se la misera Plebe talvolta mormorò, e commise sedizioni, e violenze ciò mai non seguì perchè le furono tolti i suoi privilegi, o si perdettero battaglie, ed eserciti, o rimasero spogliati di sostanze, e di vita illustri cittadini, e [p. 7 modifica]famiglie, ma solo per essere stato espulso, o frustato un Commediante suo favorito, ovvero premiato, e distinto qualche Gladiatore a cui da essa accordata non erasi la sua protezione; e tali ammutinamenti essendo accaduti contra i partiti che Caligola, Vitellio, Commodo, e Domiziano adottato avevano nel Teatro, nel Circo, e nell’Anfiteatro, furono il solo caso in cui questi protettori, e adulatori della plebe ardirono di gastigarla.

Qual mostruosa voragine che tutto assorbiva fosse una volta l’immensa Roma si può dedurre ancora dal gran numero di coloro che vivevano ad altrui carico, mentre la detta città dopo le guerre civili fra Cesare, e Pompeo per cui l’Italia, e quasi tutte le Provincie rimasero presso che spopolate, e deserte, conteneva 320000 persone alle quali dai pubblici granaj si compartivan le biade. Il Dittator Cesare, che pure fece tutto ciò che potè per rendersi benaffetto il popolo Romano, e ripopolare la quasi deserta Italia, si vidde nondimeno costretto a distribuire per le desolate Provincie ottantamila di quelle fameliche sanguisughe, e di scemare fino a cento cinquanta mila il numero degli infingardi accattoni che mantener facevansi a pubbliche spese4. D’altronde egli non diede mai [p. 8 modifica]alcuna sorta di spettacoli teatrali tanto domestici, che stranieri, di Romani, e di Greci combattimenti, di battaglie a piedi, e a cavallo, in acqua, e in terra, fra uomini, e animali con cui cercato non avesse di guadagnarsi l’animo della Plebe da lui disprezzata5 Augusto6 prese le più saggie disposizioni onde richiamare il Popolo Romano a’ suoi antichi costumi, e segnatamente ad un’utile industria, e tenerlo al maggior segno lontano dal mescolarsi con sangue estero, e schiavo. In conseguenza egli concesse molto di rado, e non mai che per le più importanti cagioni il diritto della Romana cittadinanza, limitò l’emancipazione degli Schiavi, diminuì i tempi in cui venivano somministrate le granaglie, ed avrebbe altresì tolte affatto quelle distribuzioni di biade, che attiravano a Roma tanti villani dai deserti lor campi se con ragione non avesse temuto che qualcuno de’ suoi successori sarebbesi data la cura di ristabilirle. Tutti questi ottimi provvedimenti però ebbero così poco il loro bramato effetto come appunto accadde alle leggi colle quali egli cercava di correggere i costumi delle primarie famiglie. Nei tempi dell’Anarchia, che scorsero fra l’assassinio di Cesare, e la morte di [p. 9 modifica]Antonio, erasi, come dice Dione Cassio accresciuta fino all’infinito la classe di coloro, che ricevevan le pubbliche biade. Augusto scemò, è vero, quest’innumerevole moltitudine di nocivi oziosi ma non potendo ristringerli al numero designato da Cesare adattar si dovette di alimentarne 200000 col sugo vitale delle Provincie. Egli fu ancora obbligato in forza di un costume nato dagli esempj del passati tempi di far distribuire al popolo frequenti regali, o così detti congiarj  2 in cui ogni cittadino, ogni fanciullo di undici anni, ed anche di minore età riceveva ora 250, ora 300, ed ora 400 sesterzj  37. Andava però al maggior segno talmente d’accordo col suo proprio gusto l’inveterata, e per riguardo a molti pregiudicevole usanza di dare al Popolo tutte le imaginabili specie di spettacoli, che l’eccessiva compiacenza, ch’ei vi provava8 osservar non lasciavagli quanto la Plebe ne rimanesse distratta da’ suoi lavori. Lo stesso Augusto introdusse pure, ed usò come incoraggimenti al matrimonio le debite distinzioni dei posti pei diversi ceti delle persone, che intervenivano alli spettacoli; allontanò affatto il debol sesso dalle lotte dei Greci atleti, e per quanto fu [p. 10 modifica]possibile ancora dai combattimenti de’ Gladiatori; e punì inoltre col maggior rigore la rilassatezza, e l’impudenza degli Istrioni9. Nulladimeno egli concedette alla massima parte degli uni e degli altri privilegj tali, che essi non avevano mai ottenuto fino a quel tempo; li liberò dalla sorveglianza dei membri di magistrato da cui per l’avanti erano stati tenuti a freno, e ne ricolmò di ricchi presenti, o così detti corollarj  4 coloro, che in special modo si segnalavano.10 [p. 11 modifica]

Tiberio non diede mai al popolo alcun spettacolo, assai di rado intervenne a quelli, che dati furono dagli altri,11 e diminuì inoltre li stipendj dei Comici, e il numero delle coppie dei combattenti, che tutt’in una volta introdur potevansi nell’anfiteatro.12. A malgrado di questo la sfacciataggine, e l’arroganza degl’Istrioni crebbero a segno che nè l’autorità de’ membri di magistrato, nè quella del Senato furono più capaci di tenerli a freno; motivo per cui si rese finalmente necessario di scacciarli affatto da tutta l’Italia13. Prima che ciò avesse luogo disonoravano essi le più cospicue famiglie, ricevevan visite dalle prime persone de’ magistrati, ed allorchè uscivano dalle respettive loro abitazioni accompagnar facevansi da Romani cavalieri14. Il popolo Romano ancora era predominato da una tal manìa per le sceniche rappresentazioni che non di rado a causa della predilezione, e del favore che da lui accordavansi a diversi comici ne nascevano durante tali spettacoli varj sanguinosi contrasti in cui le prime persone di [p. 12 modifica]magistrato ne riportavano ingiurie, ed illustri uficiali, e soldati ferite, e morte.15. La plebe Romana sofferse senza farne aperte doglianze che Tiberio le togliesse i privilegi lasciatile da Augusto, e che stante le corruzioni, e i maneggi cui essi rendevano indispensabili, erano piuttosto un’aggravio che un’onore; ma non potè perdonar al suddetto Imperatore di ritenere fra i suoi schiavi un’eccellente Comico, il quale in conseguenza della sua condizione veniva impedito di formare la delizia del pubblico, e perciò costrinse ella in fine lo stesso Tiberio a concedere la libertà al Comico Azio affinchè costui fosse in grado di consacrare del tutto al popolo i suoi talenti.16. — In tal modo quel rigoroso, ed economo Imperatore fu così poco capace di trattenere il generai trasporto del Popolo Romano pei divertimenti siccome ei non ebbe il necessario coraggio di vincere la voluttà, la crapula, e il lusso dei Ricchi, e la del pari pericolosa poltroneria della plebe per cui si resero indispensabili i continui trasporti di biade dalle Provincie, e le cospicue distribuzioni di commestibili17. [p. 13 modifica]

Cajo Caligola negl’impeti de’ suoi crudeli capricci, o del suo umor sanguinario offendeva, e maltrattava qualche volta anche la sacra Plebe Romana.18. In fatti Egli chiuse i granaj, e le annunziò la carestia; gettar la fece bene spesso alle bestie feroci; spingere, o precipitar in mare da uomini armati, o con ponti; in fine star a sedere negli anfiteatri ai cocenti raggi del sole. Tutti questi iniqui trattamenti peraltro non erano considerati dai Romani che come innocenti, o insignificanti scherzi imperiali. Il popolo Romano riputava qual suo amico Caligola per la ragione che costui era un perfetto Ballerino, Comico, Cantante, Gladiatore, ed Auriga; perchè al più alto grado, e colla maggior magnificenza procurava di far godere ai suoi concittadini i divertimenti che arrecano [p. 14 modifica]tutti questi artisti19; e perchè in fine ei si faceva conoscere verso i Romani più generoso, e ospitale di quello che stati lo fossero i precedenti Cesari. Egli non solo distribuiva le consuete biade, ma eziandio pane, e carne, e secondo un’antico costume invitò tutto il popolo Romano ad un generale convito. Di più dava quasi continui spettacoli, e tra questi talvolta anche dei notturni per i quali tutta la città veniva illuminata. Esso istituì pure le famose disfide fra’ Greci, e Romani oratori20, e le sue corse de’ cocchi duravano spesse volte interi giorni senz’essere interrotte che21 dalla caccia di Pantere, e di altri feroci animali dell’Africa. Per ultimo non solo ei richiamò tutte le arti, e i virtuosi del Teatro, ma al pari dei trionfanti cavalli della fazione Prasina gli amò, accarezzò, ed arrichì di doni assai più che gli stessi Generali, ministri, e Guerrieri del maggior merito22. Caligola pertanto corruppe, e rovinò la plebe Romana più di quello che Cesare, Augusto, e Tiberio avevano potuto correggerla, ed ogni cattivo esempio di profusione, e di condiscendenza [p. 15 modifica]usato verso questa vile, e infingarda plebe divenne una legge, ed un’obbligo pei successivi Imperatori, che diversamente operando, esser non volevano del continuo disprezzati, e derisi.

Claudio si dimostrò appunto così generoso verso la Plebe, e splendido ne’ suoi sollazzi conforme lo era stato Caligola.23. Tra i nuovi .spettacoli coi quali Egli diverti il popolo Romano si distinsero sopratutto la rappresentazione della conquista, e del saccheggio di una città nemica, e poscia la resa di un Re Britanno.24. Ma al maggior segno magnifiche, e sorprendenti erano, o divennero le garose corse dei Cocchi, o i così detti Giuochi Circensi pei quali nacque un tale trasporto sotto il governo di Claudio, che andò alla follia, durò qualche secolo, e convertì tutto il popolo Romano in altrettanti partiti opposti quante erano le fazioni, o i colori dei Cocchieri  5. Al tempo del medesimo Imperatore molti illustri Romani rinunziarono spontaneamente il Consolato per la ragione che i Giuochi Circensi che essi dar dovevano al popolo dopo aver preso possesso di questa nuova lor carica importavano una spesa così grande che [p. 16 modifica]rovinate avrebbe le loro sostanze.25. Si davano comunemente in un giorno ventiquattro delle mentovate corse, delle quali ognuna era composta di quattro cocchi, e tali partite di corse, o così detti missus erano soltanto una, o qualche volta alternata da caccie di Leoni, Tigri, e Pantere, che a centinaja venivano sciolte, ed uccise.26. Quelli che rimanevano vincitori nelle suddette corse andavano, tosto che erasi da essi ricevuto il lor premio, intorno agli spettatori ad oggetto di raccoglierne i regali, che dalle persone alquanto cospicue non davansi altrimenti che in oro. Claudio egualmente che il resto del Popolo contava con la lingua, e con la mano i pezzi d’oro, che come corollarj distribuivansi ai vincitori27.

Sotto Nerone conforme ho già notato in varj dei precedenti capitoli, tutta la città divenne un solo mostruoso ridotto di spettacoli, e tutto il popolo Romano degenerò in Cocchieri, in Cantanti, in Comici, o in eruditi ammiratori dell’arti Teatrali.28. I nostri cori, dice Seneca29, [p. 17 modifica]contengono al presente più cantanti di quello che una volta fosse il numero dei curiosi, che portavansi ai Teatri. Tutte le corsie sono ripiene di cantori; l’immenso giro del luogo ove seggono gli spettatori è circondato di musici, e nell’orchestra hanno luogo tutte le possibili specie di musicali istrumenti; eppure tutte queste innumerevoli voci, e suoni formano una sola, e perfetta armonia.nota. Come avean motivo di ridere tra di loro tutti i membri del Senato Teatrale allorché sotto Verone per lo stabilimento dei Giuochi quinquennali, a simiglianza di quelli dei Greci, alcuni si lagnavano della 30 [p. 18 modifica]propagazione di stranieri costumi, e divertimenti; e quanto all’opposto dovevano trionfar gli altri, i quali sostenevano che gl’innocenti piaceri di tali Giuochi ove disputavasi intorno ai premj dell’eloquenza, e della Poesia contribuissero all’avanzamento di ambedue queste bell’arti31.

Tutti gl’indegni Imperatori che successero a Nerone si dimostrarono protettori dichiarati o del nobile mestiere di auriga, o della scena, ovvero dell’arti di uccider uomini, e bestie; e secondo la diversa dominante inclinazione di ciascheduno di quei Tiranni, la Romana Corte, o almeno il più stretto circolo de’ loro confidenti, e Favoriti era composto o di Comici, o di Gladiatori, oppur di Cocchieri32. Il popolo Romano s’interessava ancor meno de’ suoi corrotti Monarchi intorno al destino, e alla prosperità dello Stato, e lasciava che nella città i Castrati, o i Commedianti, o i Gladiatori, e ai confini dell’Impero, i nemici dominassero a lor talento purchè egli avesse pane, e frequenti sollazzi. Gli avvenimenti del Circo divennero di giorno in giorno più importanti, talchè Vitellio fece persino giustiziar alcuni della sacrosanta Plebe per la ragione che essi apertamente ingiuriata avevano la [p. 19 modifica]Veneta fazione, ch’ei soprattutto favoriva, ed amava33. Domiziano interdisse, è vero, ai Commedianti pantomimici il comparire sul publico Teatro, e scacciò dal Senato un membro del Consiglio il quale erasi molto esercitato nelle lor arti; ma poi proteggeva con altrettanto maggior trasporto il mestiere di auriga e credette di farsi un merito immortale presso il Popolo coll’aggiungere due nuovi ordini, o colori di Cocchieri, vale a dire l’aureo, ed il porporino, ai quattro che già n’esistevano34.

La profusione di tanti iniqui Despoti che fino a Nerva, e Trajano dominarono lo Stato Romano fece nascere ancora nei buoni Imperatori come nel restante del Pubblico il pensiere, che il Popolo di Roma avesse diritto di pretendere il proprio mantenimento, e continui, o frequenti sollazzi; e che tra gli Imperiali doveri vi fosse anche quello di impiegare una gran parte del pubblico Tesoro nell’alimentare, e divertire gli abitanti della Metrotropoli. Lo stesso Trajano, e Adriano furono oltremodo generosi, e condiscendenti verso la Romana Plebe. Il primo non contento di regalare, e nutrire tutta la canaglia da lui trovata in Roma fece altresì raccogliere cinque mila poveri fuori [p. 20 modifica]di detta Città, e poscia, senza alcuna loro fatica, somministrò ad essi tutto ciò di cui abbisognavano per il proprio mantenimento, e per quello delle loro Donne, e dei loro figli35. Adriano diede tanto in Roma quanto ancora nell’altre città dell’Impero tutte le sorte di spettacoli, e con maggior pompa, e frequenza di quello che praticato si fosse da qualunque de’ suoi antecessori, dispensò al Popolo, oltre alle biade, stupendi profumi, e scorrer fece per i gradini del Teatro i balsami più eccellenti36. [p. 21 modifica]

Dopo tali modelli, ed esempi si rese tanto più degno di onore, e di lode Antonino il filosofo per aver Egli osservata una certa moderazione nelle solite liberalità verso il Popolo, e ristretta la profusione di cui facevasi uso per rispetto ai pubblici divertimenti, e in special modo circa ai Gladiatori37. Nulladimeno tanto questi che i Comici erano allora, col mezzo di Faustina, la quale gli amava sopra al proprio marito, più che mai potenti alla Romana Corte, a segno tale che Antonino medesimo volendo un giorno scoraggire uno di tai soggetti del pari corrotto che imbecille dal concorrere ad un’illustre carica gli fu da costui fatto il rimprovero; ch’egli vedeva insigniti della Pretura molti di coloro coi quali aveva una volta combattuto sull’Arena38. Vero, collega di Antonino il filosofo non era quasi circondato da altre persone che da quelle di detta infame canaglia da cui veniva contaminato l’Imperial talamo39. I Giuochi Circensi erano l’unico oggetto di cui Vero seriamente si occupasse, [p. 22 modifica]imperocchè rapporto a questi ei manteneva un’esteso carteggio coi suoi conoscenti nelle provincie. Siccome però egli favoriva colla maggior ingiustizia la fazione Prasina, così molte volte dovette udirsi dire le più alte villanie da quella dei Veneti. Il suo cavallo favorito soprannominato il veloce fu il primo cavallo corridore il quale in segno d’onoranza ricevesse piccoli cavalletti d’oro, o così detti bravia, e talvolta persino un moggio  6 intero d’oro dalla fazione Prasina.40.

Sotto il figlia di Antonino il filosofo la profusiope che già usavasi verso il popolo, e nei pubblici divertimenti giunse al più alto grado a cui forse siasi giammai veduta in Roma41. Commodo dava al popolo frequenti congiari per cui ognuno riceveva cento quaranta, o come narra Lampridio 725. denari vale a dire sopra novanta talleri. Egli veniva qualche volta in Roma quando meno vi era atteso, e dava in due ore trenta corse di cocchi, laddove per l’avanti non se n’erano date che venticinque in un giorno intero. Ma molto più, o almeno quanto i Giuochi Circensi costavano i combattimenti de’ Gladiatori, e delle bestie feroci da [p. 23 modifica]lui preferiti a qualsivoglia altro spettacolo per la ragione che Egli stesso era uno de’ più bravi Gladiatori, e vincitori di siffatti animali. — Col mezzo di tali arti, e prerogative Commodo si rese così benaffetto alla Plebe, e alle Truppe che Didio Giuliano  7 col promettere di rinnovare la memoria di quell’Imperatore, e lo stesso Severo col dedicargli Templi, e Sacerdoti come se Egli fosse stato un Dio procurarono di farsi un merito, ed acquistarsi con ciò la benevolenza, e la stima del loro popolo42.

Se si considera quanto le primarie famiglie dovevano essersi rifinite a motivo dei vizj, e segnatamente della profusione dei loro antenati, non che per le violenze, e rapine di tanti Despoti non si arriva quasi a comprendere come anche molto tempo dopo Commodo i Ricchi, e i Grandi di Roma potessero, ad oggetto di compiacere il loro Popolo, far tali mostruose spese quali fecero in fatti Gordiano, ed altri43. Gordiano allorchè fu Edile divertì i suoi Concittadini con 12. dei così detti munera o sian pugne di Gladiatori, e battaglie fra Uomini, e Bestie dandone cioè ogni mese [p. 24 modifica]uno della prima ovvero dell’altra specie. Le coppie de’ combattenti che per tali spettacoli entravano sull’arena non furono mai minori di cento cinquanta, e talvolta ascesero eziandio al numero di cinquecento. Egli fece inoltre porre a morte in un giorno cento Leoni, Tigri, e Leopardi, ed in un’altro mille Orsi. Donò a’ Cocchieri Circensi centinaja de’ più bei cavalli di Sicilia, di Cappadocia, e d’altre contrade; e per ultimo non contento di limitare la sua generosità alla sola Roma la estese eziandio sopra quasi tutta l’Italia mentre in ogni città dell’Umbria, dell’Etruria, della Campania, e di altri paesi Italiani fece rappresentare alcune commedie, ed altri pubblici divertimenti per 4 giorni. Il Consolato, dice Vopisco44, non viene presentemente conferito più ai meriti, ma alle ricchezze, imperocchè si procura di solennizzare i Giuochi Circensi con una tal gara di profusione che solamente sopportar la possono i più Ricchi, tra i Ricchi. Non abbiamo noi veduto per il Consolato di Furio Placido regalarsi ai vincitori dei Giuochi Circensi invece dei soliti premj il valore di pingui eredità in stupendi abiti, cavalli, ed altri oggetti di sommo pregio?

Tra i Romani Imperatori niuno procurò di [p. 25 modifica]alimentare, e divertire la Plebe di Roma con una così paterna sollecitudine, e con una sì forte persuasione di acquistarsi con tal mezzo un merito immortale a pro del Romano Impero, come Aureliano. Vopisco ci ha di costai conservate due lettere45, le quali appartengono ai più notabili monumenti di quei tempi, e dipingono tanto il detto principe che il sue Popolo assai meglio che le diffuse descrizioni della sua vita. La prima di tali lettere è diretta al supremo Ispettore dei pubblici granaj, e della distribuzione del pane, e di altri generi necessarj alla vita. Tra tutti i meriti, dic’egli in questa lettera, che io coll’assistenza degli Dei ho potuto acquistarmi a vantaggio dell’Impero Romano, niuno viene da me riputato più grande, e lodevole46 di quello per cui sono stato in grado di accrescere di un’oncia il peso dei pani, che si distribuiscono al Romano popolo; ed affinchè questo benefizio sia durevole ho raccolto nuove barche da trasporto sul Nilo come sul Tevere, ho ripulito il letto di quest’ultimo, ed ornate di fabbriche le di lui sponde. Procura dunque, o mio caro Arabiano, che questi miei provvedimenti non riescano inutili, mentre nulla havvi di più lieto del [p. 26 modifica]popolo Romano quando è satollo.47. L’altra lettera fu da lui scritta all’istesso Popol Romano. Nella medesima avvisa egli il suo caro popolo di aver fatto percuoter Firmo pel motivo che costui erasi preso l’ardire di trattenere il convoglio dei viveri, che venivano dall’Egitto, e che per conseguenza niuno concepir dovesse più alcun timore di carestia. Divertitevi dunque, ei prosegue, o rispettabili Romani, ai vostri spettacoli Teatrali, e segnatamente alle vostre corse. Noi provveder vogliamo ai vostri bisogni nel mentre che voi di nulla altro vi occupate che dei vostri sollazzi48 — Già prima di Aureliano non solo distribuivansi alla Romana Plebe biade, e pane, ma eziandio olio, e carne di majale. Egli voleva passarle anche il vino, ma il Comandante delle sue Guardie del Corpo lo distolse da tal idea facendogli giustamente osservare, che se da lui si fosse di più dato il vino alla Plebe di Roma la medesima avrebbe ancora desiderato in breve Oche, e Pollastri.49.

Volendo conoscere tutto l’abominevole carattere [p. 27 modifica]primarj Crapuloni, e Voluttuosi, e quello della vile, e infingarda plebe di Roma bisogna trasportarsi col pensiere negli anfiteatri ove tanto l’una, che gli altri intervenivano ai combattimenti dei Gladiatori, ed a quelli che accadevano tra costoro, e i furibondi animali selvaggi. Il trasporto per tali pugne, e le pugne stesse divennero tanto più violente, crudeli, e perniciose quanto più i Romani deponevano soprattutto i buoni costumi, e le guerriere loro virtù. Un’eguale decadenza di umanità si manifestò ancora tra molte Nazioni dai Romani soggiogate, le quali sebbene detestassero dapprima ogni spettacolo di questo genere nulla di meno ne provarono in seguito una tanto maggior compiacenza quanto più esse divenner simili ai degenerati loro oppressori50. Le micidiali zuffe tra esperti combattenti, o fra uomini, e bestie non solo si davano annualmente in Roma dagli Imperatori, e dai più insigni membri di magistrato, ma altresì in tutte le altre città dell’Italia, ed io ogni Provincia dai respettivi Re, Comandanti, Generali, e ricchi privati. In Roma sotto gli Imperatori di rado venne introdotto, o spinto negli anfiteatri un numero minore di cento coppie di Gladiatori per volta, ma spesso ascesero esse a varie centinaja, e [p. 28 modifica]migliaja oltre ad una moltitudine per lo meno uguale di animali feroci. Nelle provincie ancora tali coppie di combattenti arrivavano talora a 5. 6. e 70051. Questi spettacoli duravan sempre molti giorni di seguito, e perfino settimane, e mesi. Quelli fra gli altri, che diede Trajano durarono cento, e venti tre giorni, imperocchè era impossibile che in minor tempo le 5000 coppie di Gladiatori, e le molte migliaja di animali feroci, che dovevano combattere insieme fino alla morte, annichilar potessero i proprj avversar, o essere da lor distrutti. Se si paragona il numero sempre crescente dei combattenti tanto uomini che animali colla del pari crescente moltitudine, ed estensione delle pugne, non può essere accusato di molta esagerazione Giusto Lipsio52 nel calcolo da lui fatto di quegli infelici, che al tempo dei Romani Imperatori perir dovettero per divertire la Plebe di Roma, e quella dell’altre Città, e Provincie. Lipsio pertanto crede che i soli combattimenti dei Gladiatori, e delle bestie feroci siano in alcuni mesi costati fin venti, e trenta mila persone al genere umano. Per quanto enorme fosse questa perdita per [p. 29 modifica]l’Europa53 pure essa deve cagionare meno ribrezzo della condotta che i Romani tenevano nei sanguinosi loro spettacoli. Intervenivano ai medesimi i vecchi, i giovani, le donne, le ragazze, e perfino le vestali, e tutte queste classi di spettatori, e di spettatrici si compiacevano meno di osservare la robustezza, l’agilità, e il coraggio dei combattenti di quello che ciò fosse per rispetto all’udire il mormorio del loro sangue, all’esaminare la profondità, e la larghezza delle loro ferite, e segnatamente al vedere lo strazio, e la morte dei caduti, e dei vinti. Augusto, Tiberio, e Antonino il filosofo54 fecero varie leggi umane per le quali venne ristretto il numero di tali spettacoli, non che quello dei combattenti, e protetta in special modo la vita dì chi cadeva. L’avida sete di sangue però, che nutrivano i vili Romani rese in breve tempo inutili tutti questi ottimi provvedimenti. Quando combattenti non abbastanza istruiti si ritiravano all’aspetto di robusti avversarj, allora venivano essi con ferri roventi, o a colpi di sferza spinti incontro agli stessi loro uccisori. [p. 30 modifica]La maggior parte dei feriti che cadevano, o lasciavansi cader le armi ricevevano con un segno della mano, che dava il Popolo55 la lor sentenza di morte. Il popolo, come dice Seneca, stimavasi offeso allorchè uno non moriva di buon grado, o se una coppia combattuto avesse lungo tempo senza che l’uno, o l’altro mortalmente ferito cadesse in terra. Tostochè uno cadeva gridavasi comunemente al vincitore il terribil repete, e quindi per non isbagliare si desiderava che il corpo di quell’infelice fosse lacerato, e fatto in più pezzi. Molti Gladiatori peraltro avevano di gran lunga maggior coraggio, e sentimento d’onore dell’infame Plebe davanti alla quale erano obbligati a combattere. Venendo essi feriti stringevansi finchè potevano le proprie piaghe, e quindi restavano immobili al loro posto. Se finalmente cadevano, allora senza timore, e ritardo, e senza supplicare umilmente il lor Giudice, vale a dire il Popolo, o chi ordinata aveva la pugna, situavansi in guisa da poter essere con facilità uccisi dai proprj vincitori, e spontaneamente ricevevano, e molte volte s’introducevano da lor medesimi la mortifera spada nella gola, o nel petto56. Onde [p. 31 modifica]poi nelle feste sanguinose dei Romani non passasse mai alcun istante senza spargimento di sangue, così dopo la fine dei combattimenti colle bestie feroci, ed allorchè la maggior parte degli spettatori se ne andavano a desinare alle proprie case, davasi principio ai così detti Giuochi di mezzo giorno nei quali facevansi combattere tra loro quegli infelici che erano rimasti nelle pugne colle rapaci Fiere57. Ultimamente, scrive Seneca, capitai per caso ad uno di questi spettacoli di mezzo giorno in cui aspettavami di osservare scherzi, e trastulli i quali sollevassero un poco lo spirito, e gli occhi dalla vista di tanto spargimento di sangue. Ma tutti i combattimenti accaduti per l’innanzi erano stati un nulla a paragone di quello che allor vedevasi58. I combattenti non avevano neppure alcun istrumento di difesa, e siccome oltre a ciò erano inesperti nell’uso, e maneggio dell’armi, così ogni colpo apportava loro ferite, e morte. La maggior parte delle persone, aggiunge Seneca, [p. 32 modifica]preferiscono questi micidiali combattimenti, ove null’altro vedesi che mortali colpi, e ferite, alle pugne dei soliti Gladiatori. E perchè non debbesi da loro far ciò? Quelli che combattono a mezzogiorno non hanno elmo, o scudo che ripari, o trattenga i colpi dell’altrui spada, giacchè tutti questi arnesi al pari dell’arti di schermirsi, o di difendersi non sono che ritardi della morte, quale bramasi di osservare a qualunque costo. La mattina si gettano degli uomini ai Leoni, ed agli Orsi come se ne gettano sul mezzo giorno agli spettatori. I vincitori degli animali vengono riserbati, ed opposti ad altri vincitori, e l’esito della pugna è sempre la morte. Ciò succede quando il luogo del combattimento è deserto, e lo spettacolo interrotto. In tal guisa per non stare mai in ozio si fanno massacrare degli uomini anche negli intervalli di tali orribili scene. - Non solo si pecca contro la sana ragione e l’umanità, ma eziandio contro la Storia allorchè si cerca di scusare, e colorire gli orribili combattimenti dei Romani sostenendo che essi coll’aspetto di ferite, e morti di persone per lo più innocenti servissero ad ispirar coraggio agli spettatori, e gli assuefacessero, o rendessero insensibili ai pericoli, e alle calamità della guerra. Durezza, e crudeltà furono sempre la principale caratteristica del popolo Romano, ed altresì la vera causa dell’origine, e [p. 33 modifica]della lunga durata dei combattimenti de’ Gladiatori, e de’ feroci animali. Questa durezza, e crudeltà andarono del continuo crescendo colla voluttà, colla mollezza, e, colla viltà dei Nobili, e dei Plebei, e non poterono essere superate che dall’autorità della Cristiana religione, la quale anche a motivo dell’estinzione dei suddetti gladiatorj combattimenti è stata una celeste benefattrice degli uomini59.

Quand’anche non si conoscano i costumi dell’immensa Roma che dalle sole imperfette descrizioni che ne ho abbozzate; allorché soprattutto si sa che prendevansi a giuoco il sangue, e la vita degli uomini60, e che le ferite, la morte, e gli strazj dei medesimi erano dai Romani considerati come i loro più cari spettacoli, non debbe recar più meraviglia che i moralisti, e i satirici di quei tempi si lagnino; che i Grandi, e i Plebei deposto avessero ogni sentimento d’umanità, obbliata tutta, la differenza, che passa tra il giusto, e l’ingiusto, e commessi senza riflessione i maggiori misfatti ogni [p. 34 modifica]volta si trovavano questi congiunti a proporzionati vantaggi61. Roma era del continuo ripiena di ladri, d’assassini, di sediziosi, d’incendiarj, e di avvelenatori, e d’uccisori dei proprj Padri e de’ propri figli. Per quante numerose fossero le prigioni tuttavolta divennero esse troppo anguste per contenere l’immensa moltitudine dei malfattori; e le fucine di Roma, dice Giovenale, erano più occupate nel fare catene che istrumenti di agricoltura62. Sotto Domiziano, e Commodo s’introdussero in Roma, e in Italia, e, come assicura Dione Cassio, in tutti i paesi ancora appartenenti ai Romani, certi assassini i quali per una piccola ricompensa ferivano in tal [p. 35 modifica]guisa i passeggieri col mezzo di chiodi avvelenati che essi se ne morivano anche prima di accorgersi d’esser stati feriti63. I poveri poi di Roma erano tanto duri di cuore che vendevano, o abbandonavano i propri figli all’altrui discrizione; ed i Ricchi, benché essi fossero quasi senza eccezione schiavi dei loro schiavi, tuttavia ne cacciavano tosto dalle proprie case tutti gli ammalati, o impotenti e lasciavanli quindi perire senza porger loro il minimo soccorso. A cagione dì questo inumano costume l’lmperator Claudio fece una legge colla quale ordinò che ogni servo espulso, o abbandonato dai suoi padroni, qualora il medesimo ristabilito si fosse in salute, acquistar dovesse la libertà.64. Vedio Pollione non contento di aver avuta la sfacciataggine di condannare alla presenza di Augusto il quale prendeva cibo presso di lui, ad essere nella propria vasca divorato dalle murene uno de’ suoi schiavi a cui era caduto un bicchiere di cristallo, pretese eziandio di persistere in questa sua sentenza anche quando lo stesso Imperatore interpose la sua più forte intercessione a favore del detto Schiavo, che colle lagrime, agli occhi lo supplicava di fargli [p. 36 modifica]grazia. Quest’ostinata crudeltà mosse talmente a sdegno Augusto, die Egli spezzar fece immantinente tutti gli altri consimili vasi di Pollione, e poscia turar la vasca che inghiottir doveva quell’infelice.

Ad oggetto di considerare per ogni verso i costumi della Plebe, e dei Grandi di Roma fa d’uopo senza dubbio non omettere i sedicenti Filosofi, giacchè dalla corruttela di coloro che insegnar volevano, e sostenere la virtù, e la sapienza sì può dedurre quella dell’altre classi dì persone. Roma non fù mai così ripiena di pretesi filosofi nè regnò mai così poco la vera filosofia come nel primo, e specialmente come nel secondo secolo dell’Era Cristiana. Si vedevano su tutte le strade, e nelle pubbliche piazze molti Uomini, che, col loro Greco vestiario, col loro serio, e ad arte rugoso volto, colla lunga lor barba, o se pretendevano dì esser Cinici con una tasca di pelle, e un bastone fatto a guisa di clava, riscuoter volevano l’attenzione, e il rispetto della moltitudine conforme sul principio realmente avean fatto.65. Tra queste numerose schiere di filosofi pochi eran quelli i quali veramente fossero ciò che apparivano, e la cui [p. 37 modifica]vita corrispondesse alle lor dottrine. I più, come dice Luciano, non avevano che l’esteriore, o la superficie dell’uomo colorita dalla filosofia; l’interno al contrario ne era deformato da tutti i vizj della Plebe, e dei Grandi, dalla più vergognosa bassezza nell’adulare, e nel soffrire l’altrui arroganza non che da un’insaziabile avarizia, voluttà, e crapula.66. Molti di costoro erano schiavi fuggiti dai proprj Padroni, o corrotti artigiani67, e per conseguenza altrettanto rozzi, e ignoranti quanto vili, e pieni di vizj. Tali indegni pertanto o chiedevano, in cinico mantello da mendicanti, e con cinica sfacciataggine, copiose limosine ai primarj Romani, ad oggetto di arricchirsi, o s’introducevano come ospiti, e parasiti nelle stanze, e alle mense dei Grandi ove mangiavano, s’ubriacavano, e quindi rapivano gli avanzi della tavola con maggior ingordigia, sfacciataggine, ed avidità di quello che si operasse da tutti gli altri scrocconi68. I Filosofi, i Retori, ed i Grammatici erano quelli che principalmente insegnavano, ed esercitavano [p. 38 modifica]come una scienza l’arte di preparare le leccornìe delle tavole69. Essi soffrivano quindi per una piccola annuale ricompensa, e per insignificanti doni alle feste famigliari dei Grandi tutti gli insulti, e gli strapazzi, che dagli orgogliosi Ricchi, e loro Schiavi si praticavano coi proprj Clienti, e che Luciano ha così egregiamente descritti ne’ suoi mercenarj.70. Questi medesimi Filosofi, Grammatici, e Retori servivano pure con una rassegnazione da Schiavi non solo i primarj Romani, ma anche le più cospicue Signore le quali passar volevano per letterate, e donne di bello spirito.71. In conseguenza di siffatta obbrobriosa schiavitù i vecchi barbuti stoici dovevano di buon grado accompagnare per la città le lettighe delle proprie padrone, e andando queste in campagna aver cura, unitamente ad imbellettati ed effeminati omicciattoli, dei loro cani, o cagne favorite72. Gli stessi filosofi domestici erano inoltre obbligati di essere del continuo pronti a declamare, quando le loro Padrone lo [p. 39 modifica]chiedevano, sopra la moderazione, la castità, ed altre virtù. Nel tempo di tali declamazioni capitava non di rado uno degli schiavi, ovvero una delle schiave confidenti della Dama filosofessa, che le porgeva una letterina di uno de’ suoi amanti. Ciò serviva subito ad impor silenzio all’oratore fintantochè quel caro foglio fosse stato letto, ed avesse ottenuta la debita risposta; ed allora il Panegerista della castità, e della moderazione seguitava a parlare con egual pompa73. L’esito di questa schiavitù riusciva comunemente così funesto, come difficile, e penoso era stato il servizio stesso74. Quando i poveri mercenarj passato avevano i loro anni più floridi nella casa di un Grande, e s’erano affatto rovinata la salute pel modo stravagante di vivere, allora coi più frivoli pretesti ne venivano essi, al pari degli altri spossati, ed inservibili schiavi, espulsi nella vecchiaja, e morivano quindi di disperazione, e di fame abbandonati, e disprezzati da tutto il mondo. Qualche volta furono eziandio cacciati dalle case dei Ricchi a motivo degli Indovini, ed Esorcizzatori che spacciavansi per Caldei, Egizj, e Persiani, e alle cui [p. 40 modifica]vane arti gli ignoranti egualmente che superstiziosi, e corrotti Romani prestavano maggior fede che alla sapienza, ed alla virtù75.

Alla Plebe, ed ai Grandi di Roma erano, o divennero in breve consimili i Romani eserciti, e i lor Comandanti. Le Romane Legioni incominciarono già fin dal tempo di Cesare, e d’Augusto ad accorgersi che questi insigni capitani erano ad esse debitori di tutto il loro potere, e tale importante scoperta fu solo sotto ambidue quei primi Cesari tenuta appena nei convenienti limiti atteso il rispetto che i vecchi, ed esperti soldati professavano ai gloriosi lor condottieri. Infatti subito dopo la morte di Augusto scoppiarono varie pericolose sollevazioni nelle più forti Armate dell’Impero vale a dire tra le Legioni Pannoniche, e Germaniche; e tali sollevazioni, come dice Tacito non ebbero origine se non che pel motivo che la mutazione del Sovrano appresentava loro la sfrenatezza, e le ricompense della guerra civile76. Codeste [p. 41 modifica]mosse furono però calmate dalla prudenza, e dalla fama delle guerriere virtù di Tiberio dall’inestinguibile rispetto, ed attaccamento con cui le Romane schiere veneravano l’illustre nome, e tronco de’ Cesari non macchiato ancora da alcun mostro, e finalmente dall’amore, che le Legioni di Augusto nutrivano per le fiorenti virtù de’ suoi nipoti, vale a dire di Germanico, e di Druso. Nulla di meno tostochè i Romani Imperatori intrapresero ad essere i nemici, e i tiranni del proprio popolo si considerarono pure i Romani eserciti come i soli appoggi del loro Trono, come i soli istrumenti, ed esecutori del lor supremo potere, e persino come Signori, e Giudici dei lor Sovrani medesimi. Queste pretensioni furono dopo la morte di Tiberio, e di Caligola manifestate, e poste in vigore dagli eserciti Pretoriano, Spagnuolo, Germanico, Pannonico, e Siriaco per rispetto all’inalzamento, e caduta di tutti gli Imperatori, che ne vennero da Claudio fino a Vespasiano; e le Romane truppe, come senza eccezione sono quelle di tutti i Governi despotici, si resero sempre più formidabili ai proprj Sovrani, e concittadini, o compagni di schiavitù a misura che esse trascuravano maggiormente i buoni costumi guerrieri, la militar disciplina, e ubbidienza, e cessavano quindi d’incuter soggezione, e terrore ai nemici della lor [p. 42 modifica]Patria. Dopo ogni rivolta da loro suscitata le Romane schiere praticavano impunemente saccheggi, massacri, e rovine tanto nelle Provincie, quanto in Italia, ed in Roma: ne sceglievano, ed uccidevano a lor piacimento i respettivi ufiziali, e governatori: dimandavano sempre maggiori ricompense rapporto alla loro sfrenatezza, e per l’infedeltà da lor commesse verso i proprj estinti monarchi; e pretendevano inoltre di essere liberate da qualsivoglia fatica, o salutare subordinazione senza di cui sussister non poteva l’antica militar disciplina77. Anche in tempo di pace i soldati comuni, e i lor Centurioni, e Legati andavano a mansalva rubando quà e là nelle Provincie, che difender dovevano contro le altrui violenze, e rapine, ne scacciavano gli abitanti dalle respettive lor case, e capanne, li costringevano ai più penosi lavori, strappavano loro i proprj figli ad oggetto di mandarli alla guerra, violavano le loro donne, e figlie, li precipitavano con mille estorsioni sotto un peso insopportabile di debiti, e infine con tutte queste ingiustizie, e prepotenze davan luogo alle [p. 43 modifica]più pericolose sollevazioni78: Nel campo al contrario essi erano più audaci verso i lor condottieri, che contro il nemico, giacchè non avevano alcuna esperienza rapporto alle arti, ed agli esercizj della guerra. Quando i più eccellenti Capitani dovevano condurre contro il nemico le armate ai medesimi affidate bisognava soprattutto ch’essi dessero loro un’altra forma, e superassero la poltroneria, l’indisciplina, ed altri vizj delle Legioni prima di poter pensare alla vittoria. Corbulone, e Cassio non osservarono negli eserciti del Reno, e della Siria alcuna traccia di militar disciplina, e di guerrieri esercizj, e travagli. I soldati percorrevano, e saccheggiavano i paesi all’intorno nel mentre che i posti, le pattuglie, ed altre misure indispensabili alla sicurezza degli accampamenti o venivano del tutto neglette, o praticate soltanto da inermi guerrieri79. Tra le Legioni della Siria vi erano persino alcuni Veterani, i quali non avevano mai custodito un posto, fatto una pattuglia, lavorato intorno ad una fossa, o trincea, e portato elmo, o corazza, ma unicamente scorsa la loro vita in ozio molle dentro alle città80; perfetta [p. 44 modifica]immagine di tutte le truppe dei Governi dispotici, che non sono comandate da grandi Eroi. Questa decadenza di ogni militar disciplina venne segnatamente promossa, e sostenuta dai più malvagi, ed inetti Imperatori, giacchè questi, a motivo della loro imperizia, viltà, e mancanza d’ispezione, inalzavano imbecilli schiavi al comando di numerose armate, e profondevano gli onorifici distintivi dei trionfanti Capitani a persone, che piuttosto meritato avrebbero gastighi che ricompense81: ed in fine perchè essi avevano sempre una tal paura, e soggezione de’ proprj valorosi eserciti, e comandanti, che considerandoli come i loro più pericolosi nemici, ne procuravano a bella posta la degenerazione, e l’avvilimento onde formar non potessero il disegno di ribellarsi82. Domiziano fu così dappoco che, conforme si è altrove accennato, comprò piuttosto la pace dai nemici dello stato invece di farli soggiogare da poderose Legioni. Ma non molto prima di un tal fatto erane già accaduto un altro anche più vergognoso (il quale parimente dev’essere considerato come una conseguenza del modo di far la guerra sotto deboli, e disprezzati [p. 45 modifica]Monarchi) e vale dire che le truppe destinate a sedar i torbidi della Gallia si vendettero ai capi dell’insurrezione, e tradirono in simil guisa i proprj lor condottieri83. Siffatti esempj sarebbero stati così frequenti come le insidie, e i tradimenti che i regnanti Imperatori praticavano verso i Romani Ribelli se fra i nemici dello stato se ne fossero trovati molti, i quali avuto avessero i mezzi di premiare, e regalare le Romane Legioni più di quello che facevano i rapaci loro Sovrani. Di rado le Romane schiere erano animate da una vera ammirazione, e da un vero amore pei loro Capitani, ed Imperatori; e non mai un legittimo amor di patria poteva affezionarle all’Italia, e molto meno a Roma, giacchè fin dal tempo dei primi successori di Augusto la classe dei più cospicui Romani trovavasi pur troppo così snervata e corrotta; la Romana Plebe mancava talmente di esperienza rapporto all’arti, ed agli esercizi della guerra; e tutta l’Italia giaceva in una tale spossatezza, e indolenza, chele migliori truppe del Reno, e del Danubio, e quelle che nell’altre [p. 46 modifica]provincie formavano la forza, e il nerbo delle Legioni erano state prese, o comprate dai valorosi Popoli della Germania, della Panonia, e dell’Illiria ovvero dai Galli, dai Britanni, e dagli Spagnuoli84. Già sotto Augusto la sconfitta di Varo  8 sparso aveva un tal terrore nella vile Roma, e nella tremante Italia, che fra tutti i Giovani, e gli Uomini, i quali a cagione della loro età erano obbligati di portarsi alla guerra niuno volle prender servizio contro i Tedeschi. Per rimediare a siffatto sconcerto Augusto fece rapporto ad essi privare dell’onore, e delle sostanze uno ogni cinque di quelli, che non arrivavano a trentacinque anni come uno ogni dieci degli altri di maggior’età; e siccome anche questo rigore nulla giovò, così Egli quai traditori della Patria ne punì in fine colla morte i più ostinati, e raccolse un’armata di Veterani, e di Liberti, che sotto Tiberio dovetter correre al Reno85. Al tempo de’ susseguenti Governi non eravi cosa più comune che i padri, e tra questi persino i Romani Cavalieri tagliassero il pollice a se medesimi, ed ai propri figli onde niuno gli obbligasse di portarsi alla guerra.

Per quanto vasto fosse lo stato Romano, ed [p. 47 modifica]inesauste apparissero la fertilità, e la ricchezza degli innumerevoli paesi, che lo componevano, tuttavolta questo maraviglioso ed unico Impero sopportar non poteva lungamente i vizj, e i delitti de’ propri Sovrani, e de’ loro favoriti, comandanti, ed eserciti senza che in breve veduti non si fossero gli effetti della rapacità, e della violenza in un manifesto decrescimento della popolazione, ed in una sorprendente decadenza, e miseria delle più floride città, e provincie. Roma, e l’Italia avevano, è vero, sopra le provincie il particolar vantaggio di assorbire annualmente i loro tesori col mezzo di estorsioni, di tributi, di maneggi, e d’usure, ma questi stessi tesori, che del continuo colavano in Italia, e venivano profusi quasi colla medesima sollecitudine con cui erano stati carpiti, non solo non arrecavano alla detta contrada alcun aumento per rispetto alla sua vera prosperità, ed ai soli, e veri beni di uno Stato, che sono la copia delle persone industriose, e felici, l’agricoltura, e i naturali prodotti, ma la rendevano viceversa sempre più spopolata, ed incolta benchè dall’alpi fino all’ultimo promontorio fosse abbellita coi più magnifici palazzi, e coi più vasti, e deliziosi Giardini86 [p. 48 modifica]Gli sfrenati appetiti suscitati, e accresciuti da tanti capitali ingiustamente derubati annichilavano appunto quelle famiglie stesse, le quali con una ricchezza giustamente raccolta avrebbero potuto esser felici, e moltiplicarsi. Oltre a ciò siccome i Ricchi, e i Grandi di Roma, e d’Italia trovavansi più vicini ai proprj Tiranni così erano dessi per conseguenza più degli altri sottoposti alla loro crudeltà, ed avarizia in guisa tale che, la medesima Italia fu del continuo nei primi Secoli dopo la nascita di Cristo il Teatro di grandi rivoluzioni, e d’immenso latrocinio, e spargimento di sangue, che andarono sempre d’accordo con quelle guerre civili. Tacito descrive quindi l’Italia come un corpo infermo, il quale per non essersi mai potuto rimettere dalle sue molte, profonde, e vecchie piaghe risente con altrettanto maggior dolore ogni nuova ferita, che gli venga fatta87. Si cercò sull’esempio di [p. 49 modifica]Augusto, dì far rifiorire le decadute città, e le ubertose, ma deserte provincie con lo stabilirvi alcuni congedati Guerrieri; ma anche questo mezzo di una nuova, ed artificiosa popolazione fu reso inutile dalla corruttela dei soldati stessi. I dissoluti Guerrieri non potevano più adattarsi agli ordinarj lavori della campagna, e molto meno al peso del matrimonio, e all’educazione dei Figli. Perciò abbandonando essi le nuove abitazioni state loro assegnate fuggivano nelle Provincie in cui avevano servito, e passavano quindi privi di moglie, e di figli in ozio brutale il resto della lor vita.88. Nelle provincie, la generale depravazione dei costumi era al certo men grande, e desolante che in Italia, e le case ricche non vi andavano così spesso, e del tutto in rovina come in questa regione; ma all’opposto esse ne venivano assai più maltrattate, ed oppresse dalle ruberie dei Comandanti, [p. 50 modifica]89, delle Legioni, e de’ loro Ufficiali, e soldati. I Re, ed i Popoli, dice Giovenale90, che hanno dovuto abbracciare la nostra causa sono stati dissugati fino all’ultima midolla delle lor ossa. Gli Alleati non si trovano più in grado come prima, (allorché le loro case erano piene di stupendi mobili, e vestiti, e le loro casse d’argento, e d’oro,) di sopportare le ferite che ai medesimi attualmente si fanno. Se adesso prendiam loro qualch’altro oggetto li priviamo subito dei pochi bovi, o cavalli che servono ad arare i lor piccoli campi, e non altro rimarrà ad essi che l’armi colle quali saranno costretti a difendersi contro ai proprj oppressori91. In alcuni paesi i Romani si [p. 51 modifica]fortificavano, e racchiudevano in mezzo a deserti ove le loro Legioni, troppo infingarde per coltivarli, mandavano di tanto in tanto a pascere le proprie greggi; ed in tali inutili contrade ricusavano poi l’ingresso a Popoli valorosi, e diligenti, che imploravano la grazia di stabilirvisi, finattanto che fossero essi in grado di respingere colla forza tali supplichevoli armati{{#[tag:ref|Leggasi particolarmente ciò che Tacito dice, per rispetto alle deserte campagne della Germania bassa  9 cui prima i Frisj, e poscia gli Ansibarj  10 occupar vollero, e porre a coltura senza che i Romani ne dessero loro il permesso XIII. 54. 55.}}.

Note dell'autore

  1. Tantam pecuniam, dice Plinio di Trajano nel cap. 27. del suo Panegirico, profudisti, non ut flagitii tibi conscius ab insectatione ejus averteres famam; nec ut trisles hominum moestosque sermones laetiore materia detineres. Nullam congiario culpam, nullam alimentis crudelitatem redemisti; nec tibi benefaciendi causa fuit, ut quae male fueras, impune fecisses; amor impendio isto, non venia quaesita est populusque Romanus obligatus a tribunali tuo, non exoratus recessit. Obtulisti enim congiarium gaudentibus gaudens, securusqne securis: quodque antea principes ad odium sui leniendum tumentibus plebis animis objectabant, id tu tam innocens populo dedisti, quam populus accepit.
  2. Così venne sempre chiamata sotto gli Imperatori l’inutile, e povera plebe di Roma.
  3. Tra i favoriti del popolo eravi specialmente un Leone a cui erasi insegnato a divorare gli uomini vinti da lui con la maggiore gravità leonesca. Dio. Cass. Lib. 60. c. 13. p. 951. Benchè Claudio fosse tutt’altro che tenero, e compassionevole nulladimeno uccider fece quell’istruito divorator degli uomini poiché secondo lo stesso suo sentimento non conveniva che il popolo Romano si compiacesse d’un tale orribile spettacolo quale era quello di lentamente sbranare ed inghiottir le persone.
  4. Sueton. in Caesar. c. 41. 42.
  5. Ib c. 39.
  6. Sueton. in Aug. c. 40 et seq.
  7. C. 41. ib.
  8. C. 42. - 45.
  9. Ib.
  10. Sueton. c. 45. Athletis et conservavit privilegia, et ampliavit. Gladiatores sine missione edi prohibuit. Coercitionem in histriones, magistratibus in omni tempore, et loco, lege vetere permissam ademit: praeterquam ludis et scena. — Corollaria et praemia alienis quoque muneribus ac ludis et crebra et grandia de suo offerebat; nullique Graeco certamini interfuit, quo non pro merito certantium quemque honorarit„. Augusto incoraggì i più facoltosi tra i Romani ad occuparsi con esso lui per maggiormente abbellire tutta la capitale, e ad impiegare i loro tesori nella costruzione di opere di pubblica magnificenza. Tacit. Annal. III. 72. All’opposto Egli sgravò bene spesso varj membri de’ magistrati dei sontuosi spettacoli, che essi secondo un’antico costume dar dovevano al popolo, e glie li diede invece a spese del pubblico erario, o del proprio suo scrigno. Fecisse ludos se ait suo nomine quater: pro aliis magistratibus, qui aut abessent, aut non sufficerent ter et vicies. Suet. in Aug. c. 43.
  11. Suet in Tib. c. 47
  12. Ib. c. 34.
  13. IV. 14. annal. Tac. Dio. Cass. 57. c. 21. p, 869.
  14. Ib. et 1. 77.
  15. Ib.
  16. C. 47- Suet. in Tib.
  17. III. 53. — 55. Tac. Annal. In un altro luogo si lagna Tacito in suo proprio nome che l’ubertosa Italia la quale anticamente spediva alle proprie legioni nelle più lontane provincie tutte le biade che a loro occorrevano, dovesse al suo tempo essere alimentata col mezzo dei viveri che le venivano trasportati dall’Egitto, e dal rimanente dell’Africa XII. 43. At hercule olim ex Italiae regionihus longinquis in provincias commeatus portabant. Nec nunc ìnfecunditate laboratur, sed Africam potius et Aegyptum exercemus, navibusque et casibus vita populi Romani permissa est.
  18. Suet. in Calig. c. 26. 27.
  19. C. 18. 54. 55. ib.
  20. C. 20.
  21. C. 18.
  22. C. 54. 55.
  23. Sueton. in Claudio c. 21.
  24. Ib.
  25. Dio Cass. 60. 24. p. 964.
  26. Ib.
  27. Ib.
  28. Veggasi Suet. c. 22. — 25.
  29. Ep. 84.
  30. I Commedianti, e Cantori ordinarj erano mediocremente pagati anche nella stessa musicale, e comica età di Seneca. Ille, qui elatus in scena incedit, et haec resupinus dicit, en impero Argis; regna mihi liquit Pelops, qua ponto ab Helles atque ab jonio mari urgetur Isthmos.
    Servus est, quinque modios accipit, et quinque denarios. Ille qui superbus, atque impotens, et fiducia virium tumidus ait:
    Quod nisi quieris Menelae, hoc dextra occides: diurnum accipit, in coenaculo dormit. Sotto Augusto la Plebe tumultuò pel motivo che un comico non volle più agire per la consueta mercede. Questo tumulto non finì fintanto che i Tribuni della plebe non ebbero convocato, e supplicalo il Senato onde permettesse di poter dare ai commedianti alquanto più di quello che loro stabilivan le leggi. Dio. 56. 47. p. 844.
  31. Annal. Tac. XIV. 21.
  32. Sueton. in Vitell. c. 12.
  33. Ib. c. 14.
  34. C. 7. 8. Suet. in Domit.
  35. Il giovine Plinio non sa come abbastanza esaltare questa beneficenza del surriferito Imperatore Paneg. c. 28. „ Paulo minus P. C. quinque millia ingenuorum fuerunt, quae liberalitas principis nostri conquisivit, invenit, adscivit. Hi subsidium bellorum, omamentum pacis publicis sumtibus aluntur, etc. „
  36. Spart. in Hadriano c. 19. „ Romae post caeteras immensissimas voluptates in honorem socrus suae aromatica popolo divisit. In honorem Trajani balsama, et crocum per gradus theatri fluere jussit etc,,
    Tuttavia Adriano separò i bagni dell’uno da quelli dell’altro sesso. c. 18. Siffatta separazione per altro cessò tosto, per quanto pare, sotto Antonino Pio giacchè Antonino il filosofo dovette di nuovo prescriverla. Capitol. in Ant. Phil. c. 23. ma anche questa volta o non venne essa mai eseguita, o non ebbe effetto che per tutto quel tempo che durò il governo del di lei autore.
  37. Ib. c. 11. 22. 23. Questi saggi regolamenti non furono però contraccambiati dalla Plebe che col disprezzo, e colle risa dicendo, che egli convertir voleva tutto il popolo in altrettanti filosofi.
  38. c. 12.
  39. Capitol. in Vero c. 4; — 6.
  40. Ib.
  41. Lamp. in Commod. c. 2. 8. 12. 16. e Dio Cass. L. 72. c. 16. p. 1216.
  42. Spartian. in vita Commodi c. 17. 18. in Did. Julian. c. 2.
  43. Capitol. in Gord. c. 3. — 5.
  44. c. 15. in Aurel. vita
  45. In Aurel. c. 47. in Firmo c. 5.
  46. Nihil mihi est magnificentius.
  47. Neque enim populo Romano saturo quidcquam potest esse laetius.
  48. Vacate ludis, vacate Circensibus. Nos publicae necessitates teneant: vos occupent voluptates. Quare sanctissimi Quirites, etc.
  49. C. 48. Vopisc. in vita Aurel.
  50. Lipsii Saturn. 1. c. 10.
  51. Ib. et c. 11. 12.
  52. l. c. c. 12.
  53. Imperocchè i Gladiatori erano quasi tutti prigionieri, o schiavi comprati dai valorosi, e guerrieri popoli della nostra regione.
  54. Lips. 1. c. 12.
  55. Verso pollice.
  56. Lipsio ha raccolti tutti quei passi che riferiscono tali fatti. II. 22. Saturn. In questo, e nel precedente capitolo si spiegano ancora moltissime espressioni proprie del linguaggio gladiatorio dei Romani.
  57. Lips. II. 15 . ma principalmente Seneca Ep. 7.
  58. Contra est, quidquid ante pugnatum est, misericordia fuit.
  59. Benchè Costantino avesse già proibiti i spectacula cruenta tuttavolta essi continuarono ad aver corso fin sotto il governo di Onorio, 1. 12. Saturn. Lipsii.
  60. Homo, sacra res, homo jam per lusum, et jocum occiditur; — satisque spectaculi in homine mora est. Ep. 95. Senec.
  61. Honestatis oblivio invasit: nihil turpe est, cujus placet pretium. ib.
  62. Iuven. III. 305. et seq. v.

    Interdum et ferro subitus grassator agit rem,
    Armato quoties tutae custode teneutur
    Et Pomptina palus, et Gallumaria pinus.
    Sic inde huc omnes tanquam ad vivaria currnnt.
    Qua fornace graves, qua non incude catenae?
    Maximus in vinclis ferri modus, ut timeas, ne
    Vomer deficiat, ne marrae, et sarcula desint.
    Felices proavorum atavos, felicia dicas
    Saecula, quae quondam sub regibus, atque tribunis
    Viderunt uno contentam carcere Romam

    Veggasi parimente juven. Satir. XIII. 144. et seq.

  63. Dio Cass. L. 67. c. 11. p. 1110. Lib. 72. c. 14. p. 1214.
  64. Dio Lib. 60. c. 29. p. 967.
  65. Lucian. II. 786. 87. 800. Edit. Reitz.
  66. I. 64. 369. 603. 605. 750. III. 371. — 75. 430. 440. 443. 475.
  67. II. 798.
  68. II. cc. e soprattutto I. 64. 603. — 5. 750. III. 475.
  69. II. 877. 81.
  70. I. 651; ed oltre a questo vedasi segnatamente i c. 675. 697.
  71. I. 651. 695.
  72. Ib.
  73. Ib.
  74. I. 700. 701.
  75. I. 700. Lucian.
  76. Tac. I. 16. et seq. c. 31. et seq. Hic rerum urbanarum status erat, cum Pannonicas legiones seditio incessit: nullis novis causis, nisi quod mutatus princeps licentiam turbarum, et ex civili bello spem praemiorum ostendebat.
  77. Per rispetto alla condotta dei soldati di Ottone, e di Vitellio veggasi Tacit. His. I. 46. 82. — 84. II. 12. 56. 66. 69. IV. 1 26. 16. 36. ed anche il c. 6. del Panegirico di Plinio.
  78. Annal Tac. III. 40. Vit. agr. c. 15. 30. 31.
  79. XI. 18. XII. 12. XIII. 35. XIV. 31.
  80. XIII. 35.
  81. Tac. Annal. IV. 23. XIV. 35.
  82. Plin. in Paneg. 12. 13. 18.
  83. Tac. Hist. IV. 57. illuc commeantium centuriorum militumque emebantur animi: ut, flagitium incognitum, Romanus exercitus in externa verba juraret, pignusque tanti sceleris nece aut vinculis legatorum daretur.
  84. Tac. Annal. III. 40. Hist. I. 88. IV. 17.
  85. Dio Cass. L. 56. c. 23. p. 822.
  86. Io accenno qui solamente le doglianze di Tiberio riferite in uno dei miei precedenti capitoli: — nemo refert, quod Italia externae opis indiget, — ac nisi provinciarum copiae et dominis, et servitiis, et agris subvenerint; nostra nos scilicet nemora, nostraeque vìllae tuebuntur. Annal. III. 54.
  87. Hist. I. c. 2. jam vero Italia novis cladibus, vel post longam saeculorum seriem repetitis, afflicta. II. c. 56. jam pridem attritis Italiae rebus, tantum peditum, equitumque vis, damnaque et injuriae, aegre tolerabantur.
  88. XIV. 27. Veterani Tarentum, et Antium adscripti non tamen infrequentiae locorum subvenere, dilapsis pluribus in provincias in quibus stipendia expleverant. Neque conjugiis suscipiendis, neque alendis liberis sueti, orbas sine posteris domos relinquebant. Circa al totale spopolamento della Liguria, e d’una gran parte dell’Etruria veggasi Vopisco in Aurel. In altro tempo io farò un paralello della situazione della Terra sotto Augusto, e i primi suoi successori collo stato attuale della medesima.
  89. Così per esempio racconta Tacito di Nerone, XV. 45. Interea conferendis pecuniis pervastata Italia, provinciae eversae, sociique popoli, et quae civitatum liberae vocantur. Inque eam praedam etiam dii cessere, spoliatis in urbe templis, egestoque auro, qnod triumphis, quod votis, omnis populi Romani aetas prospere aut in metu sacraverat. Enimvero per Asiam atque Achaiam non dona tantum sed simulacra numinum abripiebantur, missas in eas provincias Acrato, ac Secundo Carinate.
  90. VIII. 90. 98. et seq.
  91. Juven. VIII. 90. 98, et seq. v.

                        miserere inopum sociorum.
    Ossa vides regum vacuis exhausta medullis.
    Non idem gemitus olim, nec vulnus erat par

    Damnorum, sociis florentibus et modo victis
    Plena domus tunc omnis, et ingens stabat acervus.
    Nummorum, Spartana chlamys, conchylia Coa,
    Et cum Parrhasii tabulis, signisque Myronis
    Phidiacum vivebat ebur, nec non Polycleti
    Multus ubique labor: rarae sine Mentore mensae.
    Nunc sociis juga pauca boum, et grex parvus equarum etc.

Note del traduttore

  1. [p. 165 modifica]I due Gracchi, Tiberio, e Cajo vivevano 200 anni in circa prima della nascita di Gesù Cristo. Essi furono fatti uccidere a tradimento dai Patrizj, per essere, come Tribuni della Plebe, pervenuti a far rivivere l’antica legge Licinia, o Agraria, la quale prescriveva, che ogni Patrizio dovesse cedere al Popolo tutta quella quantità di terreno, ch’ei possedeva oltre ai 500. arpenti di Misura corrente Francese. Vedasi su ciò il Rollin nella sua Istoria Romana.
  2. [p. 165 modifica]Congiarj chiamavansi dai Romani certi regali, che si davano dagli Imperatori al Popolo, e che consistevano in grano, vino, olio, e danaro. Il Congiario differiva dal donativo, il quale era quel premio, che il Principe dispensava ai Soldati in benemerenza della loro fedeltà, e del loro valore. Pitisco nel suo Dizionario di Antichità Romane.
  3. [p. 166 modifica]I Grammatici, ed il celebre Budeo distinguono due specie di sesterzj presso i Romani, vale a dire il grande, ed il piccolo. Secondo essi, il primo, che chiamatasi sestertium in genere neutro, era una moneta immaginaria, e di conto del valore di mille piccoli sesterzj. Il piccolo sesterzio poi, detto sestertius, mascolino, consisteva in una moneta effettiva d’argento, la quale valeva due assi e mezzo, cioè poco più di due crazie, rapporto a noi. Vocabolario del Forcellini.
  4. [p. 166 modifica]Corollarj erano al dire di Pitisco quei regali soliti darsi dagli Imperatori, o da qualunque altra persona a coloro, i quali in particolar modo si segnalavano sul Teatro, nel Circo, e nell’Anfiteatro, e formavano come un’aggiunta a quanto veniva ai medesimi promesso, e accordato per l’esercizio delle rispettive loro arti nei pubblici spettacoli.
  5. [p. 166 modifica]Quattro, come accenna ancora il Signor Meiners, erano le fazioni de’ Cocchieri Circensi, e vale a dire Russati, Prasini, Veneti, e Albati, I primi costumavano d’andar vestiti di rosso, i secondi di verde, i terzi di color lionato, o persichino, e finalmente gli ultimi di bianco. Gli Autori Latini fanno rare volte menzione tanto dei Russati che degli Albati per [p. 167 modifica]esser questi inferiori agli altri. l’istituzione delle suddette quattro specie di Cocchieri devesi ripeter dai Greci, conforme chiaramente lo dimostrano il Casaubono, e varj altri insigni Eruditi.
  6. [p. 167 modifica]Il Moggio Romano antico, ridotto a misura Toscana, è la metà del moderno Stajo Fiorentino. Alberti Dizionario Universale ec. al Vocabolo Moggio.
  7. [p. 167 modifica]Didio Giuliano, nipote del celebre Salvio Giuliano Milanese, fu in prima debitore della sua fortuna al favore di Domizia Lucilla madre di Marco Aurelio, e poscia alle sue immense ricchezze, colle quali potè dai Pretoriani comprar l’Impero, cui i medesimi messo avevano all’incanto dopo la barbara ed ingiusta uccisione di Pertinace. Egli peraltro non ne godette che poco tempo, giacchè avendo il bravo Settimio Severo circondata Roma colle vittoriose sue truppe, ed avvilite la baldanza, e la viltà dei Pretoriani, gli fu troncata la testa nell’Imperial Palazzo, nell’atto medesimo, che a guisa di fanciullo piangeva coi suoi amici la propria disgrazia. Erod. Lib. 2. Eutrop. Lib 8.
  8. [p. 167 modifica]La sconfitta di Varo, la quale provenne piuttosto dall’intemperie della stagione, e dal tradimento dei Germani, di quello che dal vero [p. 168 modifica]valor dei medesimi, non costò all’Impero che la perdita di tre sole Legioni, vale a dire di ventimila uomini al più. Essa però fu in breve pienamente vendicata da Tiberio, e dal valoroso Germanico, il quale domò affatto l’orgoglio di quei barbari, e tolse loro i mezzi di poter nuocere per molto tempo alla grandezza di Roma. Sueton. in Aug. e in Tìb., e speclalineate Tacito ne’ suoi Annali.
  9. [p. 168 modifica]I Romani qualificavano soprattutto col nome di alta, e bassa Germania tutto quel tratto di Paese, che da Basilea si estende fino a Leida sempre lungo il Reno. Gibbon.
  10. [p. 168 modifica]I Frisj, o Frigioni erano Popoli d’Olanda, i quali abitavano nell’adiacenze di Flessinga, e possedevano particolarmente tutta la Provincia ora detta Westfrisia, e varj altri Paesi all’intorno. Gli Ansibarj poi appartenevano al Territorio, che attualmente chiamasi di Minden nella Westfalia, ove a un dipresso accaddero la disfatta dell’esercito di Quintilio Varo, e la morte di questo celebre ma poco avveduto Capitano, il quale fu costretto ad uccidersi da se medesimo per non esser fatto prigioniero da quei Barbari. D’Auville sull’antica Gallia, e l’Enciclopedia sotto i respettivi suoi titoli di Olanda, e di Westfalia.