Sextarius Pergami saggio di ricerche metrologiche/Appendice II
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APPENDICE II.
Il peso di marco.
§ 1. Una ricerca, che pel nostro argomento è assai importante, è quella di sapere quando i nostri Bollatori abbiano cominciato ad usare del peso di marco o marca per verificare la contenenza delle misure di capacità del vino. È troppo naturale che in una indagine, la quale non interessò alcuno di coloro, che si occuparono delle cose nostre, e dopo che sono passati tanti secoli, a noi non sia dato procedere che per via di induzioni, nullameno è troppo necessario di determinare anche sotto questo rispetto quale portata abbia la espressione dello Statuto del 1331, che un tale sistema di verifica era in uso da lungo tempo (8 § 48: Sertarius Comunis Pergami qui est et longo tempore stetit penes Bollatores). Lo Statuto più vecchio, che ora noi possediamo, contiene disposizioni redatte nel periodo di tempo che corse dal 1204 al 1248 (Rota, Bibliogr. degli Statuti di Berg. p. 8 seg.), ed ivi anche il meno accorto de’ lettori può agevolmente comprendere quale sia la parte più antica, quale quella che venne, o modificata, od introdotta ex novo nel lasso di tempo qui sopra stabilito. La parola addimus, che è solenne in tutta la parte di Statuto fino a noi pervenuta, ora sta sola, ora è accompagnata dalla indicazione dell’anno in cui fu presa la deliberazione ivi riportata: ma, e nell’uno e nell’altro caso, essa accenna sempre ad un’aggiunta posteriore alla più antica redazione dello Statuto: aggiunta richiesta dal rapido svilupparsi dei reciproci interessi di coloro, che conviveano sotto l’egida del nostro Comune. Ora, tutto permette di ritenere, che nella parte più antica del periodo di tempo abbracciato dalle ordinanze del nostro Statuto, il peso di marco, quand’anche fosse stato conosciuto, non avesse ancora una legale esistenza nella nostra città, e ne abbiamo una prova nel fatto che, dove si ordina la verifica dei pesi, non si parla delle marche o marchi che in una posteriore aggiunta. Infatti vi leggiamo (13 § 3): item statuimus et ordinamus quod Rector teneatur facere amuelare penses et petras pensorum ferri crudi et cocti in civitate et virtute Pergami, Addimus quod illud quoque teneatur Rector facere in Marchis. Arrogi, che, contrariamente a quanto successe in un’epoca posteriore, nella parte originaria dello Statuto ai cambiatori di monete si vieta di valersi di altra oncia, che non fosse l’oncia comune di Bergamo (13 § 15): et quod (Cambiatores) vendent et ement ad unciam currentem comuniter civitatis Pergami et non ad aliam unciam, mentre per contro nello Statuto del 1430 vi ha (1 fol. 31 v.): et quod Cambiatores vendent et ement ad unciam argenti currentis in civitate Pergami et non ad aliam unciam: e questa prescrizione si lascia con facilità estendere a tutto il commercio dei metalli preziosi, poichè la lega dei lavori d’oro e d’argento allora non era appunto fondata che sulla lega di certe determinate monete. Infatti nello Statuto più vecchio (13 § 16) è ingiunto quod nullus aurifex de cetero faciat nec facere presumat aliquem anulum auri deteriori seu peiori auro quam sit aurum Terinorum, nec aliquod anulum argenti de peiori seu deleriori argento quam sit argentum Sterlinorum. Il Tareno, o Tarì, era una moneta d’oro del regno di Sicilia (Murator., Ant. Ital. m. aevi 2 col. 784, 806; Arch. St. ital. 1877 p. 175 seg.) e celebri del pari sono nei documenti medievali i denari sterlini (Murat. ibid. col. 806; Du Cange, s. v. Esterlingus). Lo Statuto del 1331 fonda ancora sulle monete la lega dell’uno e dell’altro metallo, ma distingue il laborerium vel opus minutum ed il laborerium vel opus grossum: pel primo si esige un argento che non sia di lega inferiore a quello dei Bononinorum grossorum veterum e pel secondo a quello degli Ambrosinorum novorum: per l’oro, sia l’opera di grande o di piccola mole, si mantiene l’aurum Terinorum (8 §§ 63, 64). La prima menzione a Milano degli Ambrosini novi si ha nel 1209 (Giulini, Mem. stor. 8 p. 314), e si può credere che siasi cominciato a batterli in quest’epoca; laonde non è improbabile che nello Statuto del 1331 siasi sancita una consuetudine introdotta poco dopo il 1248. Mentre a Brescia si ricevettero da Venezia le norme pei lavori d’oro e d’argento e si prescrisse agli orefici di attenervisi (Stat. Brix. saec. XIII in H. P. Mon. 16, 2 col. 1584 221; Stat. an. 1313, ibid. col. 1693 seg.), a Milano nello Statutum Jurisdictionum si prescrive la lega della moneta Provinorum o della moneta Ambrosinorum grossorum a seconda della entità dei lavori in cui era impiegato l’argento (H. P. M. 16, 1 col. 1062), e la lega di Milano servì di norma anche per noi dal 1353 in avanti (Stat. an. 1353, 11 § 10), mentre dell’aurum Terinorum, con strana storpiatura, se ne fece un aurum terrenum (ibid. § 11), al quale era attribuita la lega di un terzo, metà rame e metà argento.
§. 2. Le due prescrizioni adunque del nostro più vecchio Statuto permettono di ritenere che la introduzione del peso di marco fra noi non sia avvenuta che nella prima metà del secolo decimoterzo, e con tutta verisimiglianza quando s’incominciò effettivamente a battere moneta; e siccome, secondo le fondate induzioni del conte Sozzi, ciò non può essere avvenuto che intorno al 1237 (Sulla moneta di Bergamo, p. 16 seg.), così intorno a quest’anno, o ad un tempo di poco anteriore, può riferirsi la disposizione da noi recata del nostro più vecchio Statuto sulla verifica dei marchi. Che se badiamo che in quella si fa menzione dei Milites justitiae, che nei nostri ordinamenti compaiono per la prima volta nel 1217 (Hist. P. Mon. 16, 2 col. 2053; cfr. Ronchetti, Mem. stor. 4 p. 11), si farà più aperto come la introduzione del peso di marco nella nostra città debba appunto cadere nel periodo di tempo che corse dal 1217 al 1237. Quando nel 1254 si fece la convenzione monetaria fra le città di Cremona, Parma, Brescia, Piacenza, Pavia, Tortona e Bergamo, si diede una doppia base alle monete: fu prescritto il peso di marco per quelle d’argento, quali il Soldo di denari grossi, che contenevano 828 per 1000 di fino, e in pari tempo fu tenuta per base l’oncia della libbra sottile di Bergamo per le monete erosomiste, che avevano solo 208 di argento fino. In essa leggiamo: item quod in qualibet Marcha de Pergamo ascendant de dictis denariis quatuordecim soldi et tres denarios de denariis grossis. — item quod fiat moneta parva — et tali modo colligentur (denarii) ad duodecim oncias — et facta mixtura de dictis denariis ascendant usque in quadraginta et septem denarii pro oncia ad onciam Pergami — et debet esse in ipsa libra, scilicet in ipsis duodecim onciis cet. (Carli, delle Monete e Zecche d’It. 1 p. 352 seg.; Argellati, de Monetis Ital. 5 p. 147 seg.). Ancora nel 1254 per le monete spicciole si usava l’oncia comune, e se può trovarsene la ragione nel fatto, che si voleva prestare un mezzo al popolo di potere ad ogni occorrenza verificare queste monete, che corrono per le mani di tutti, malgrado che la predetta convenzione ne limitasse la emissione, a maggior ragione si deve credere anche d’altra parte che non prima del 1254 fosse stato sostituito al comune il peso di marco nella verifica delle misure di capacità dei liquidi. E questo è altro argomento a conferma di quello che abbiamo detto (cap. II. § 5), non esser ciò potuto avvenire prima del 1263.
§ 3. In Francia la sostituzione del peso di marco alla libbra di Carlo Magno segna un’epoca abbastanza importante per la storia della monetazione, perchè tolse legalmente e per sempre ogni rapporto fra la libbra peso e la libbra moneta (Vuitry nel C. r. de l’Ac. des s. moral, et polit. 1876 p. 294): questo mutamento avvenne durante il regno di Filippo I. e con tutta probabilità, come lo lasciano supporre i documenti di quel tempo, fra il 1075 ed il 1091 (Vuitry, a. l. c.; Saigey, Métrol. p. 114 seg.): il marco composto di otto once, corrispondeva a grammi 244,7572. Noi non sappiamo per contro quando il marco o la marca da zecca siasi introdotta in Milano; ma se la presunzione storica ci può lasciar ammettere che ciò debba essere avvenuto prima che da noi, non mancano neppure i documenti che confermino una tale supposizione. Nel Liber Consuetudinum Mediolani del 1216, nella tariffa dei dazii su certe merci recate in città, è stabilito il pagamento di 1 imperiale per ogni marcha argenti (c. 32 in H. P. M. 16, 1, col. 957): ma abbiamo anche un documento di gran lunga anteriore, scritto nel 1145, o in quel torno, che ci dimostra che ivi era già in uso il pesare l’argento a marche o marchi da 8 once. Infatti in una lettera scritta da O. cimiliarca al fratello Alberto da Somma, la quale spetta all’archivio dei Canonici di S. Ambrogio in Milano, si legge: duas Marcas argenti in IIII frusta divisas per negotiatorem B de Zurla tibi transmitto. Minimum frustum una uncia; aliud aliquantulum maius duas uncias et dimidiam habet; tercium maius IIII uncias; quartum maius aliis Marcam habet et dimidiam unciam (Hist. P. M. a. l. c. Nota A). Se noi facciamo la somma del peso di questi quattro pezzetti d’argento, rinveniamo esattamente due marchi da otto oncie ciascuno, poichè abbiamo:
I | Pezzetto | Marchi | — | Oncie | 1 | Quarti | — |
II | » | » | — | » | 2 | » | 2 |
III | » | » | — | » | 4 | » | — |
IIII | » | » | 1 | » | — | » | 2 |
Marchi | 2 | » | — | » | — |
Di fronte a questa testimonianza così aperta (cfr. Giulini, Mem. stor. 5 p. 460; 6 p. 14, 137 seg., 142, 171; 8 p. 314) perde affatto del suo valore, e per essere più recente, e per non prestare una base sicura al calcolo, il documento del 1286 (H. P. M. 16, 1 col. 968), pur milanese, ove si legge: fecit apponi unam Marcam et duas uncias et dimidiam argenti quod emit pretio sex librarum tertiolorum, mentre può essere importante per calcolare il valore intrinseco di queste monete. Già nel 1172 troviamo stabilito il rapporto delle marche d’argento di Pavia e di Colonia colla moneta genovese (Liber. Jur. R. Gen. in H. P. M. 7 col. 276): nel 1242 il peso di marco era in uso in Vercelli, poichè in quelli Statuti troviamo ordinato quod Potestas — eligi faciat duos homines — qui debeat superesse inquisitioni mensurarum blave vini et Marcorum et pensarum et passorum et librarum (§ 119 in H. P. M. 16, 2 col. 1139): nel 1281 gli orefici di Brescia domandarono di poter esercitare la loro arte come quelli di Milano, di Venezia, o di qualche altra città di Lombardia, e fu prescelta Venezia da cui ricevettero le relative discipline fondate sul peso della marca veneta (Stat. Brix. saec. XIII, ibid. col. 1584-221; Stat. an. 1313, ibid. col. 1695 seg.). Per quella legittima influenza che una grande città esercita sovra una piccola e vicina; per la necessità portata dai frequenti scambii, era naturale che il peso di marco si introducesse anche da noi; e se abbiamo notato aver ciò dovuto avvenire nel periodo che corse dal 1217 al 1237 (v. sopra §. 2), non è men vero d’altra parte che la ordinanza restrittiva dello Statuto del 1204-48 riguardo ai cambiatori di monete dovesse avere in vista l’oncia di marco, e non altra, perchè le once delle due libbre erano perfettamente identiche, e l’una non escludeva l’altra negli usi cotidiani della nostra città. Quindi è che, prendendo il limite più largo, bisogna ammettere che il ragguaglio dell’acqua contenuta nelle nostre misure del vino sul peso di marco deve essere ufficialmente invalso dopo la redazione del nostro Statuto più vecchio, e che a questo punto deve fermarsi la espressione dello Statuto del 1331, che un tale uso risaliva ad un tempo assai lontano. Che se ai nostri avi si deve fare il merito di essersi giovati a quest’uopo di una acqua che sempre reputarono purissima, a preferenza anche della piovana, questo solo non basta, perchè accortamente preferirono anche dei pesi che, servendo pei metalli preziosi, erano più gelosamente custoditi e quindi meno soggetti ad alterazioni, essendochè le più piccole differenze potevano avere un valore tutt’altro che irrilevante. Per conseguenza, come abbiamo veduto, lo Statuto del 1331 nello stabilire il valore della bozzola o chiodo (8 § 48) dice che per base del calcolo si ebbero le once cum quibus ponderatur argentum: distinzione che in questo luogo dovea rendersi assai necessaria perchè, come vedemmo, le misure dell’epoca precedente erano fondate sul peso della libbra grossa: ma che in pari tempo le once di marco fossero a quest’epoca in pieno uso pei metalli preziosi, lo chiarisce il fatto, che lo stesso Statuto indica ad once e senza altro predicato, che qui diventava affatto inutile, di quale entità dovessero essere i lavori grossi, di quale i minuti in oro ed argento (8 §§ 63, 64: et intelligatur laborerium seu opus minutum (argenti) — omne opus quod esset ponderis duarum onciarum vel minoris in una massa; et intelligatur opus grossum — quod esset ponderis ultra duas unzias), più ancora la notizia che le marche erano conservate nella Camera del Comune, che erano di ferro, e che doveano servire di prototipo a tutti gli altri campioni di identici pesi sparsi per la città (13 § 2; quod nullus debeat uti nec pensare de aliqua bilancia nisi habuerit omnes Marchas — ad mensuram illarum que sunt in Camera Comunis Pergami . que marche sint de ferro et non de alio metallo. Più tardi si ammisero di bronzo e di ottone, Stat. an. 1457, 1 § 208). Rassodata la dominazione viscontea in queste parti, era naturale che venisse anche a rassodarsi l’uso e, quel che, è più, la perfetta corrispondenza fra il marco di Milano ed il nostro, che pure dovea pervenirci da quella città, e che per sua natura era affatto estraneo alla base, sulla quale erano fondati tutti gli altri nostri pesi generalmente usati per secolare consuetudine; e se dapprima la verificazione del marco e delle sue once era imposta con ispeciali ordinanze, lo Statuto del 1353 lo comprende senz’altro in quella tariffa di verificazione dei nostri pesi e delle nostre misure, la quale per la prima volta troviamo in esso data per esteso e in modo completo (Stat. an. 1353, 8 § 146; De quolibet Marcho den. duodecim). Questo fu stabilito di nuovo, cioè, che per questo genere di pesi vi sia uno speciale Bollatore (11 § 25: quod aurifices et campsores Civ. et Burgorum et districtus Pergami teneantur et debeant facere bullari per dictum Bullatorem semel in anno videlicet de mense may marchos balancias et denariorum penses), e chi dovesse essere, per poter esercitare il suo ufficio, lo dice la seguente ordinanza (ibid. § 13): quod unus sufficiens homo qui non sit aurifex nec campsor mittatur Mediolanum ad accipiendos campiones et contrapenses et modos qui utuntur et servantur in Mediolano per pensatores Mediolani tam circa pensam monete (quam circa pensam) auri et argenti. Et quod quidquid in Mediolano servatur de campionibus et contrapensibus et penso servetur in Pergamo. Nessuno vorrà intendere che solo nel 1353 siasi introdotto il peso di marco milanese nella nostra città, perchè in questo caso diventerebbero inintelligibili i nostri Statuti, i quali per un secolo e mezzo continuano ad attribuire alle misure di capacità del vino l’identico peso attribuito loro già dallo Statuto del 1331: con questa disposizione non si volle che rendere più perfetta la uniformità in questo ramo così importante di commercio. Infatti le nostre marche di ferro, verificate da persone non sempre competenti, difficilmente avranno potuto sfuggire ad alterazioni abbastanza sensibili, ed a questo inconveniente si volle qui porre un argine, introducendo delle disposizioni, che risentivano delle gelose ma saggie cautele colle quali a Milano era regolato questo dilicato servizio. Ivi infatti erano tanto accuratamente conservati i pesi degli orefici, che era proibita ogni ingerenza in questo negozio a coloro, che non fossero od Abbati o Consoli di quell’arte. Stat. Mediol. 2 c. 109 (Bergomi 1694): et quod aliquis Judex et Officialis de cetero non possit nec valeat se aliqualiter intromittere de praedictis, nec ipsi de dicta schola (aurificum), Arte, seu Societate, praesentes et futuri, teneantur nec obligati sint, eorum tales Balancias, Marcos, Pondera, nec aliqua alia eorum Instrumenta, ad dictam Artem pertinentia bullari nec signare facere per aliquem Judicem, vel Officialem praesentem nec futurum, nisi prout, temporibus retroactis, observatum est circa praemissa. Cui observationi, per praesens Statutum, nullo modo intelligatur esse derogatum. Sed ipsi Abbas, et Consules soli in praedictis sint Judices et Officiales. quibus merito tale negocium tangit et tangere debet, tamquam in ipso meliusFonte/commento: Pagina:Sextarius Pergami saggio di ricerche metrologiche.djvu/256 expertis, cum sit Ars dissimilis ab aliis, et eorum pondera sint ab aliis dissimilia. Et quod aliqui alii Officiales Civitatis et Ducatus Mediolani praesentes et futuri non possint nec valeant de praedictis se intromittere, sicuti per retroacta tempora etiam consuetum fuit. La ordinanza contenuta nel nostro Statuto del 1353, che la lega dell’argento sia identica a quella usata in Milano (11 § 10: quod argentum quod de cetero laborabitur in Pergamo et districtu sit et esse debeat talis et tante bonitatis argenti et rammi, qualis et quanta est argentum quod laboratur in Mediolano), è conservata anche negli Statuti rifatti o modificati sotto la Veneta Repubblica (p. e. Stat. an. 1453, 10 § 83): anzi nello Statuto del 1453 troviamo questa esplicita ordinanza (10 § 86): quod quidquid de campionibus et contrapensibus et penso auri et argenti observatum est in civitate et burgis et suburgis Pergami hic retro observetur in Pergamo et eius districtu et episcopatu in futurum, e vedemmo che appunto i pesi dei metalli preziosi avanti quest’epoca non erano appunto che quelli usati in Milano: in tutti gli Statuti, come abbiamo già avvertito, vi ha un identico computo del peso dell’acqua del Vasine in marchi ed once, il che dimostra che, dalla prima sua introduzione, il peso di marco si mantenne in uso costante presso di noi, che non subì alterazioni di sorta, oppure subì soltanto di quelle alterazioni che sfuggono alla indagine storica (cfr. Pasi, Tariffa dei Pesi e Mis. fol. 14 v., 15 r., Venezia 1557): che infine, in tutte le posteriori tariffe di verificazione, anche in quelle che furono mano mano riformate dai nostri Consigli, il marco trova una tariffa ed un posto distinti da quelli di tutti gli altri pesi e campioni. Infatti, la tariffa dei Bollatori, che per la prima volta è data dallo Statuto del 1353 (8 § 146), si conservò inalterata in tutti gli Statuti che vennero di poi, e persino in quello del 1493. In essi per il bollo del marco sono stabiliti 12 denari, che è il doppio della tariffa di tutti gli altri pesi e misure, appunto perchè, come vedemmo qui sopra, questa incombenza era affidata ad uno speciale bollatore. Dopo il 1493 non sono a nostra notizia che due modificazioni di questa tariffa, l’una avvenuta nel 1561 in cui, stante il mutato valore delle monete, si aumentarono i diritti di bollo per ogni singolo peso e per ogni singola misura: pel marco però si mantennero i 12 denari od 1 soldo (Calvi, Effem. 1 p. 39): l’altra poi avvenuta nel 1613, in cui pel bollo di ogni marco si stabilirono 2 soldi, ossia il doppio (Calvi, ibid. p. 224).
§ 4. Il marco si divideva in otto once. Per tacere di altre testimonianze più recenti, ne abbiamo una coeva quasi alla introduzione di questo peso nella nostra città, e la quale non può lasciare dubbio di sorta. Nella convenzione monetaria fatta nel 1254 fra alcune città di Lombardia vi ha: item quod in qualibet Marcha ipsarum dictarum monetarum sint quinque quarterii et dimidium rami et non plus, et sex oncias et duo quarterii et dimidium arienti fini et puri, de quo ariento quelibet civitas habeat asazium penes se. Item quod in qualibet Marcha de Pergamo ascendant de dictis denariis quatuordecim soldi et tres denarios de denariis grossis cet (Argellati, de Monetis Ital. 5 p. 149) Questo computo, nel quale si traeva in campo la nostra marca, era fondato appunto sulla suddivisione della stessa in otto once, poichè un’oncia ed un quarto e mezzo di rame, più sei once e due quarti e mezzo compivano le otto once od un marco. — Rispetto alle suddivisioni dell’oncia, abbiamo veduto come questa convenzione del 1254 non vada oltre al quarto ed al mezzo quarto od 1/8. Lo Statuto del 1353 (11 § 25) nomina anche i denariorum penses, ed altrove abbiamo notato (Append. I § 5) che, sebbene non mai direttamente accennata nei nostri documenti, dovea sussistere tuttavia anche la più piccola frazione detta Grano. Quantunque, almeno per noi, manchino prove dirette molto antiche, nullameno deve essere stata propria anche del peso di marco introdotto fra noi la divisione dell’oncia in 24 denari e del denaro in 24 grani. In un documento milanese del 1400, col quale si ordina la fabbricazione di monete di grossi, vi ha: qui grossi sint et esse debeant de liga ad denarios decem et granos viginti, sic qu. vel teneant oncias septem et denarios sex argenti fini — pro qualibet marca mediolanensi (Repossi, Milano e la sua Zecca, p. 165). Qui le suddivisioni della marca sono chiaramente indicate. Le once però del peso di marco e del comune si mantennero sempre fra noi distinte nella pratica, come nel loro valore: una oncia di marco corrisponde assai prossimamente ad once di libbra comune 1 denari 2 grani 0,491, e così 12 once di marco corrispondono a libbre sottili 1 once 1 denari 0 grani 5,891. La Tavola III. F. darà il ragguaglio del peso di marco coi nuovi pesi del sistema decimale in base al risultato della Commissione del 1803 la quale trovò il marco corrispondere a grammi 234,9973 (Tavole di Ragg. della Rep. Ital. p. 303; Malavasi, Metrol. ital. p. 259 seg.). Ecco ora il prospetto del Marco e sue suddivisioni:
Marcus o Marcha | 1 | ||
Uncia | 8 | 1 | |
Denarius | 192 | 24 | 1 |
Granum | 4608 | 576 | 24 |