Roveto ardente/Parte prima/VI
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VI.
Ite, missa est — borbottò il parroco e, dopo avere aperte le braccia verso i fedeli con gesto affrettato di congedo, si allontanò, maledicendo santamente il suo gregge, tanto egli era inferocito per la notizia che il Consiglio municipale aveva negato i fondi necessari al restauro della chiesa.
Il chierichetto, di cui la faccia ottusa color terrigno faceva antitesi col candore della cotta, scivolò, barcollò, stette lì lì per cadere presso i gradini dell'altare e fu miracolo se pervenne a tenersi in bilico sulla base degli scarponi ferrati.
Il parroco gli volse un'occhiata bieca e gli lanciò una ingiuria sottovoce, scomparendo nel l'ombra cupa e fredda della sacrestia.
Per l'unica navata della chiesa si udì un rumore confuso di seggiole smosse, di voci pispigliane, di piedi striscianti nell'ultima genuflessione, poi le contadine uscirono a gruppi sul sacrato, dove i giovani si erano già sparpagliati, attendendo al riparo dei verdi ombrelloni di co tone, che le ragazze sfilassero a due, a tre, a cinque, pari a mandre di giovenche uscenti dal chiuso e sfoggiatiti con placido orgoglio l'am piezza dei fianchi e la gaia biondezza del vello.
Balbina chiuse con raccoglimento la grossa Filotea rilegata in pelle nera, si segnò devota mente a più riprese, si alzò dall'inginocchiatoio, si collocò modesta a lato di sua madre e, giunta nel fondo della navata, si fermò vicino all'acqua santiera, v'intinse le dita e, con sorriso fra ti mido e fiducioso, offerse 1' acqua benedetta alla signora Rosemberg, la quale, dopo avere ringra ziato con fare materno, si unì ai Tebaldi e uscì con essi dalla chiesa, credendo opportuno tron care ogni indugio e sancire così pubblicamente le voci, ancora vaghe, circolanti sul matrimonio fra Balbina e suo nipote.
Durante la messa la signora Rosemberg aveva osservato con attenzione la ragazza e, nel ve derla così quieta e pia, così intenta nella pre ghiera, così linda e semplice nelle vesti, così compunta nell'atteggiamento e compresa della santità del culto, la buona signora aveva pensato che il male non viene sempre per nuocere e che Balbina sarebbe stata per Germano una moglie saggia e sottomessa, attiva ed accorta, quale ella stessa aveva sempre sognato e gli aveva sempre augurato.
A maggiore esaltazione del contegno irrepren sibile di Balbina, stava il contegno irrequieto di Flora, la quale, in piedi al lato opposto della chiesa, stringeva nelle piccole mani convulse un rosario dagli acini di madreperla, e volgeva di continuo il capo verso il fondo della navata, quasi nell'attesa angosciosa di qualcheduno che non veniva.
Di solito Germano non mancava mai di do menica alla messa del mezzogiorno, nella chiesa parrocchiale; ed erano poi per i due innamorati argomento d'infiniti discorsi certi minuscoli epi sodi, di cui essi ingigantivano la portata.
Talvolta Germano si arrabbiava perchè Flora, al momento dell'elevazione, non aveva rivolto un pochino il viso dalla sua parte; talvolta era Flora che teneva il broncio a Germano, perchè, a un determinato momento, egli si era distratto e aveva guardato in alto invece di tenere lo sguardo fisso sopra di lei.
Una domenica si erano promessi a vicenda di contare mentalmente, ciascuno per proprio conto, fino a mille, durante la spiegazione dell'Evan gelo, per vedere chi di loro finisse prima. Come segnale del principio e della fine, Germano do veva stropicciare i piedi, e Flora doveva spie gazzare il fazzolettino bianco. Erano poi state ri satine, rimbrotti, ire fugaci, proteste, giuramenti, spiegazioni da non si dire, quando Germano aveva dovuto confessare che non aveva trovato la pa zienza di contare oltre il centinaio.
Ma quella domenica Germano non si era visto, e Flora, a ogni nuova e inutile interrogazione dello sguardo verso la porta, sentiva aumentare il senso di acuta desolazione, che da cinque giorni la stringeva, l'assiderava, le impediva di trovar requie e la sospingeva a vagare per la campagna a guisa di anima condannata ad aggi rarsi disperatamente per luoghi testimoni di qual che antico delitto.
Il martedì precedente Germano aveva trascorso insieme a Flora l'intiero pomeriggio, chiacchie rando con tenero abbandono di quei centomila nonnulla, onde essi decoravano, da artisti fanta siosi, il castello in aria del loro avvenire. Sul punto di separarsi, Germano aveva voluto che la fanciulla baciasse due volte Floc/c tra un occhio e l'altro, acciocché la sera, prima di coricarsi, il giovane potesse ritrovare quei baci sul muso della bestia fedele. Flora aveva acconsentito con fulgido riso di felicità, ed era rimasta alla fine stra per vedere Germano allontanarsi nel viale. Giunto alla strada maestra, Germano aveva spa rato in aria il fucile, come faceva sovente per darle in lontananza l'ultimo saluto, e Flora aveva battuto le mani con gioia infantile, mentre giun gevano a lei l'allegra voce di Germano e i la trati giulivi di Flock.
Da allora il Rosenrberg non si era più fatto vivo. Non una visita, non un'ambasciata, non una lettera. Nulla, assolutamente nulla; il silenzio mi sterioso e snervante, intorno a cui la fantasia in tesse dolorosamente la tela di ragno sottile e vi scida dai mille fili che legano il pensiero, lo attorcigliano, lo tengono sospeso, ottenebrano il bagliore delle memorie e appannano la luce rosea dei sogni; il silenzio terribile, nella cui cerchia tenebrosa l'anima smarrita brancola, ora suppo nendo smisurati i confini della oscura landa e correndo avanti avanti, senza scorgere il più fioco segno di luce, senza udire il più lieve soffio di vita; ora restringendosi in sè, senza osare di muoversi per paura di precipitare nel fondo di un abisso e dar di cozzo in qualche ostacolo irto di punte.
Durante il primo ed il secondo giorno Flora aveva formato mille progetti di vendetta. All'apparire di Germano ella si sarebbe rifugiata presso il nonno e non avrebbe aperto bocca; non avrebbe alzato ciglio, sarebbe rimasta fredda, ri gida, impassibile, senza una parola, senza una lacrima; anzi avrebbe fatto di meglio: all'apparire di Germano sarebbe corsa a chiudersi nella propria stanza e non ne sarebbe uscita a nessun costo. Ma le ore del terzo giorno erano trascorse in preda a quell'ansia febbrile che fa dare un balzo ad ogni minuto, che acuisce i sensi e li rende dolorosamente vigili a percepire 1' imper cettibile, che accende nel cuore un tale incombu stibile rogo di ambascia per cui la notizia di una catastrofe verrebbe accolta con un grido di sollievo.
Nel pomeriggio del sabato, Flora, dopo avere inutilmente camminato ore ed ore sotto la tediosa pioggia di novembre ed essersi avvicinata furtiva al cancello della villa Rosemberg, aveva incon trato il giardiniere di Germano e, quantunque abitualmente timida e schiva, aveva trovato il coraggio d'interrogarlo:
— Stanno tutti bene alla villa? — aveva chie sto, celando a stento l'orgasmo.
— Benissimo, benissimo tutti — aveva rispo sto il giardiniere senza fermarsi, giacché egli, co noscendo le simpatie del padroncino e i progetti della padrona, non voleva mettersi fra l'uscio e il muro.
Flora, ricevuta tale risposta, si era data a cor rere all'impazzata verso la casa bianca, incurante della pioggia, non sentendo la debolezza che le stroncava le gambe. Poiché Germano stava benis simo, egli certamente doveva aspettarla. Ma certo, indubbiamente doveva aspettarla! Come non ci aveva pensato prima? E si credeva così certa di essere attesa, che si era buttata tra i campi per fare più presto, incespicando, cadendo due o tre volte sulle ginocchia, inerpicandosi, graffiandosi le mani, ostinandosi a correre, quantunque il fiato le mancasse e il cuore le martellasse a colpi vio lenti.
In vista della casa bianca aveva sorriso e si era sentita investire da un soffio caldo, tale era in lei la fede di trovare Germano. Aveva per corso in due balzi il viale, si era precipitata nella sala, aveva guardato intorno a sè, accesa in volto, col respiro affannoso, le membra scosse da un tremito, sorridente, palpitante, felice, poi si era gettata di schianto sul divano e aveva rotto in singhiozzi disperati. Germano non c'era. Egli stava benissimo, tutti stavano benissimo nella villa Rosembcrg, e Germano non c'era!
La mattina della domenica un nuovo barlume di speranza l'aveva sorretta: la speranza d'incon trare Germano alla messa! Ed era andata in chiesa ed aveva veduta la nonna di Germano, F aveva veduta seria e placida come sempre; ma Germano non c'era!
Flora uscì per ultima dalla chiesa e, unita mente alla contadina che l'accompagnava, si av viò verso la casa bianca.
Oramai non isperava più niente. Camminava come in sogno, come stretta fra una doppia mu raglia fosca, che si perdeva verso le nubi e che la isolava dal resto dei viventi. Camminava in fretta, perchè le tardava di arrivare! Arrivare dove? Non sapeva. Arrivare perchè? Non sape va!... Ma la fosca muraglia si alzava, si prolungava, le si stringeva ai fianchi ed ella affrettava il passo per non rimanere schiacciata, per trarre finalmente il respiro, quando fosse entrata nella sua stanza, che si figurava ampia e libera, in pa ragone del corridoio interminabile dentro cui le pareva di sentirsi morire asfissiata.
A un certo momento, forse a metà della via maestra, quattro persone le passarono d'accanto. Flora percepì un bisbiglio di voci, ebbe l'impres sione di un gomito che l'urtasse brutalmente, e riconobbe, o credette di riconoscere Balbina, che dava il braccio alla nonna di Germano e che era seguita dai genitori. Ma forse non era la nonna di Germano quella cui Balbina dava il braccio; forse nemmeno era Balbina quella che le aveva urtato il fianco col gomito.
La giovanetta non sapeva bene! Il caos regnava dentro e fuori della sua testa. Il gruppo poteva anche essere formato di quattro contadini reduci dalla messa; poteva anche non essere alcuno, e il bisbigliar delle voci non era forse altro che il rombare sordo del sangue nelle orecchie di Flora! D'altronde che Balbina desse o non desse il braccio alla signora Rosemberg; che Germano tornasse subito o non tornasse mai, ciò poco im portava a Flora per il momento. A lei importava solo di trovarsi nella propria stanza per uscire dalla fosca, opprimente muraglia. Ma la mura glia entrò con lei nella casa bianca, si pro lungò, serpeggiando lungo le scale, forò le pareti della stanza e, quando Flora si abbandonò a se dere sulla sponda del suo letticciuolo, la mura glia le si strinse addosso ancora di più, tantoché la povera fanciulla cedette, rassegnata, alla malvagità del destino e cominciò a piangere silen ziosamente di pianto monotono, accorato, tardo e stanco, come di chi pianga, sapendo di portare in sè fonte di lacrime viva e perenne.
Se la muraglia fosse crollata, se il cielo si fosse aperto, se tutta la campagna si fosse tra sformata in una canestra di rose e giacinti, se Germano si fosse presentato e Flock avesse sal tato intorno a lei, leccandole le mani, ella avrebbe continuato a piangere ugualmente, perchè la Flora della sua infanzia era morta ed ella faceva il la mento su quella morte; e, mentre un altro es sere, forse più completo, certo meno integro, si plasmava e si divincolava dai ceppi dello spento passato, Flora sentiva che la piccola morta avrebbe suscitato in lei eterno rimpianto e che sempre ella avrebbe frugato tra le ceneri del proprio cuore per tentare il miracolo di vedersi rivivere coi grandi occhi spalancati e fidenti, con la gioia inconsapevole e le divine ignoranze. Inu tile! Inutile! Ciò che è morto è morto! La giovanetta candida al pari di giglio, gioconda come alba di aprile e presso cui amore e morte erano passati turbinando, senza nemmeno appannare di un'ombra il levigato marmo della fronte, galleg giava adesso senza vita, simile a Ofelia, tra i fiori mietuti per giuoco nei giardini del Sogno.
Flora si alzò e, senza asciugarsi le lacrime, senza ricordarsi che era trascorsa l'ora del desi nare per il nonno, scese le scale, attraversò la sala a pianterreno, uscì dalla casa, e, girando con passo di sonnambula intorno al fabbricato, giunse presso il vascone, dove suo padre si era annegato appunto un anno prima. Era strano!
Lungo l'estate Flora non aveva mai pensato a quel vascone, e, tutte le volte che aveva avuto occasione di costeggiarlo, ella aveva dovuto im porsi di ricordare, tanto quella buca ampia e profonda, ricolma di acqua, perdeva ogni signi ficato di terrore sotto il radiante azzurro del cielo e tra il verde smeraldino dei prati circo stanti.
Solo una notte, all'epoca della malattia e nel più forte della febbre, il vascone aveva assunto per lei, nel delirio, il simbolo di una minaccia subdola, e ora esso le si presentava di nuovo, nella realtà, malvagio, insidioso, simile a belva che sonnecchi, sazia di preda, nella sua tana, ma che, pnr sonnecchiando, vigili coll'occhio soc chiuso la preda ancora intatta e destinata ai pasti futuri.
Girò lo sguardo per sottrarsi al fascino, e si avvide che Balbina, la quale era sbucata dal viot tolo fangoso, le stava di fronte in atteggiamento provocatore.
·-- Che cosa vuoi da me? — Oggi non ho voglia di parlare --· disse Flora, quasi supplice, fissando con occhi sbarrati il volto pallido di Balbina.
— Neppur io ho tempo da perdere, sta tran quilla. Voglio dirti una cosa sola.
— Che cosa vuoi dirmi? — domandò Flora con aria stanca e mite.
— Voglio dirti che io mi sposo con Germano Rosemberg e che tu non devi più pensare a lui.
Flora, che stava seduta vicino al vascone, sul l'orlo dell'abbeveratoio di pietra, balzò in piedi fremendo, e si trovò a faccia a faccia con Bal bina. La notizia, scagliatale in viso così brutal mente, l'aveva rinvigorita e scossa dal torpore. — Non è vero — ella gridò, buttando indietro la testa con atto di sfida. Germano non ti può sposare, perchè non ti ama; me lo ha giu rato mille volte che gli sei insopportabile.
— Allora, se non mi ama e se gli sono in sopportabile, domandagli perchè mi aspettava ogni giorno vicino al canneto, mentre tu eri am malata --- rispose Balbina senza scomporsi, con la ièrocia tranquilla di chi, al riparo di una fe ritoia, lancia colpi contro un nemico disarmato.
— Non è vero! Mentre io ero ammalata Ger mano mi scriveva tutti i giorni, e come avrebbe potuto scrivermi, se ti avesse aspettata di na scosto?
— Germano mi aspettava ogni giorno, ti ri peto; e restavamo insieme senza che anima viva lo sapesse.
— Sei bugiarda! — gridò Flora con impeto disperato, sentendo che qualche cosa le veniva meno sotto i piedi e agitandosi per non affondare.
— Domandalo a lui se sono bugiarda, doman dalo a lui e sentirai.
— Non è vero! — Domandaglielo. — Non è vero! Non può esser vero! — Ma domandaglielo, ti dico! E' tanto sem plice domandarglielo! Flora vacillò; sedette di nuovo sull'orlo del l'abbeveratoio, s'incrociò sul petto i lembi del fazzoletto di maglia che le copriva le spalle, chinò il capo, si strinse in sè per frenare i nervi che le oscillavano, e rimase a lungo silenziosa, percorsa dal capo alle piante da brividi frequenti che le facevano guizzar le membra e le facevano urtare con frequenza i ginocchi. A poco a poco riuscì a dominarsi. Le braccia le caddero sciolte lungo la persona e il fremito da cui le membra erano scosse, si concentrò nelle mani, che si agitavano convulsa mente, aggrappandosi alle pieghe della gonna scura. Sollevò il viso e, mentre la fronte serbava intatta la sua bellezza radiosa tra il nimbo dei capelli aurati, le gote livide erano deturpate da due solchi profondi e il naso, affilatissimo, pa reva di cera sotto gli occhi immoti e attoniti, come resi fissi da un pensiero di follìa. Guardò Balbina, per raccapezzarsi, poi si alzò di nuovo faticosamente, le si avvicinò, e posandole sul braccio la mano die tremava, supplicò a bassa voce, con umile dolcezza. — Dimmi che non è vero, Balbina. Guarda come soffro! Anche Balbina si era fatta grave e più pallida. Germano Rosemberg era suo; essa lo aveva con quistato rischiando una posta terribile; eppure Flora le ispirava pietà e sentì un groppo di pianto farle nodo alla gola. Fu dunque a bassa voce anche lei ed esitante che rispose: — Io ti ho detto la verità, Flora. — Germano ti aspettava ogni giorno? — Sì, ogni giorno. — Mentre io ero ammalata? — Sì, mentre tu eri ammalata. — E Germano era innamorato di te? Balbina si coperse di rossore e rispose in modo evasivo: — Dal momento che mi aspettava! — E allora, io? Che cosa ero io per lui? Perchè m'ingannava così? Cosa gli avevo fatto io di male? — balbettava Flòra smarrita — Ma un barlume di speranza ancora le traluceva nel pensiero. Ella fisse gli occhi negli occhi di Balbina, quasi per leggerle nell'animo, e chiese con voce affannosa:
— Puoi giurarmi che questa è la verità? — Posso giurartelo — rispose Balbina, soste nendo lo sguardo della rivale.
Giuramelo sulla vita di tua madre. — Te lo giuro sulla vita di mia madre. — E tu sposi Germano? — Si, sposo Germano. — Quando? — Non so; ma credo prestissimo. — Va bene, e io posso giurarti che Germano è morto per me da questo momento — e alzata con gesto solenne la piccola mano tremante, ri petè, movendo appena le labbra livide: — Germano è morto per me da questo mo mento. Ma che Germano vivesse ancora in lei, forte e dispotico, ella se ne convinse ai. palpiti preci pitosi del cuore, allorché Flock le fu sopra con giulivi guaiti e le appoggiò sul petto il suo bel muso intelligente. — Germano è qui. Spiegati con lui una volta per sempre; domandagli se è vero quanto ti ho raccontato e ricordati del tuo giuramento --- disse Balbina, che, guidata dall-' istinto suo infallibile, comprendendo non essere prudente cimentarsi in presenza di Flora, a un confronto con Germano, non più veduto dopo la scena della confessione, si allontanò dalla parte contraria a quella di dove Flock era venuto, sicura del fatto suo, perchè Germano non avrebbe potuto negare e Flora non avrebbe potuto perdonare. Un colloquio esplicativo fra quei due era inevitabile e tanto valeva che avesse luogo subito, mentre Flora vibrava tuttavia per l'indignazione di quanto essa le aveva narrato — Perchè te ne vai, Balbina? Perchè mi lasci sola? — gridò Flora sconvolta, appena potè li berarsi dalle impetuose carezze di Flock; ma Bal bina era già scomparsa, e già il Rosemberg stava a pochi passi da lei, pallido, disfatto, con le vesti fradicie per la pioggia, il fucile a tracolla e i cal zoni inzaccherati fin oltre il ginocchio.
Da cinque giorni il Rosemberg non aveva varcato la soglia della villa, alternando le ore fra crisi di rabbia furiosa, durante le quali mi nacciava di appiccar fuoco alla casa per morirvi dentro abbrustolito, e lunghi periodi di atonia, durante cui restava supino sul letto, con le labbra serrate, le ciglia aggrottate, tutt'i lineamenti con tratti, implacabilmente chiuso in silenzio feroce, senza che le preghiere della nonna riuscissero a scuoterlo dalla sua accigliata immobilità. Il ma trimonio con Balbina appariva fatale, ineluttabile, alla coscienza sua di uomo, intellettualmente li mitato, ma onesto, e il suo dolore iroso veniva raddoppiato dal pensiero che egli solo era stato l'artefice della propria infelicità.
Quella stessa mattina, destandosi da un sonno plumbeo, aveva sentito la disperazione scatenarsi in lui più gagliarda, era uscito come un forsen nato dalla villa, aggirandosi, senza mèta, pei campi, sotto la pioggia.
Per due volte aveva irosamente richiamato Flock che si avviava verso la casa bianca; per due volte si era lasciato cadere seduto tra il fango dei solchi dissodati, non volendo cedere alla forza che lo trascinava a ricercare le tracce dell'amore perduto; ma aveva ceduto finalmente, aveva lasciato che Flock corresse per il viottolo ben cognito, ed egli stesso aveva affrettato il passo, immemore di tutto, tranne della gioia an siosa di rivederla, d'inebbriarsi nella contempla zione di quel caro viso leggiadro, dove gli occhi azzurri splendevano a guisa di due piccoli laghi aperti fra la neve, e dove, nella fossetta del mento, ogni vezzo faceva nido. Ma gli occhi adesso erano gonfi, rossi di pianto, e la fossetta si perdeva nella contrazione delle mascelle, strette fra loro spasmodicamente.
Rimasero cosi, affascinati, ciascuno inchiodato al proprio posto, quasiché le piante dei loro piedi si fossero radicate al suolo e le radici si perdes sero nelle profondità della terra.
Flora avrebbe voluto fuggire e non poteva; Germano avrebbe voluto avvicinarsi, fissarla più da presso, ascoltar le parole che vedeva tremar senza suono sopra le labbra di lei, e non po teva avanzare, non osava nemmeno protendere la mano per un gesto supplice, invocante miseri cordia.
Flock si era accucciato ai piedi di Flora e teneva beatamente alzati verso di lei gli occhi umidi e dolci, in cui brillava tenue il riflesso della sconfinata devozione.
— Perchè sei venuto? Io ho giurato di non amarti più --- queste parole formulò il pensiero di lei, ma la bocca si rifiutò di pronunziarle, e Flora, dopo avere aperte inutilmente le labbra a più riprese, cominciò a piangere di pianto che le gorgogliava timido nella gola; e Germano non capiva bene se ella piangesse o ridesse di quel suo riso infantile, che le scintillava talora nella pupilla e le moriva a sommo del petto, senza punto scomporle l'arco rosato delle labbra.
Egli si protese col busto in avanti e aguzzò lo sguardo per discernere; ma Flora teneva il viso ostinatamente chino, e il lieve mormorio della gola moriva adesso in una successione di sospiri accelerati e repressi.
— Flora! — egli mormorò con interrogazione pavida e supplice.
Flora alzò il viso, ed egli strinse le mani in atto di sgomento pietoso, tanto ella gli apparve mutata.
Flora ne imitò il gesto con le mani tremanti, ma poi contrasse le dita, torse dolorosamente le braccia e un grido le uscì dal petto, un grido in cui tutto il martirio della sua anima si com pendiava.
— Perchè? Perchè? — e le palme si disgiun sero, le braccia si aprirono e si protesero, il petto si gonfiò di singhiozzi e l'interrogazione lacerante echeggiò di nuovo nel silenzio della campagna piovigginosa.
— Perchè? Perchè? — Flora! Flora! — egli implorò, e fece per Slanciarsi verso di lei, ma lo trattenne l'espres sione di smarrimento che scorse sui lineamenti della giovanetta. — Perchè mi guardi così? Di che cosa hai paura? — e si mosse di nuovo per avvicinar sele, ma ella di nuovo indietreggiò, e la dispe razione trovò finalmente il varco della parola. — Io ti amavo, sì, ti amavo più di mia ma dre, più di mio nonno, più della memoria di mio padre, più di tutti, più di tutto — E io? E io? — gridò Germano con ac cento di prorompente passione.
Flora lo guardò un attimo con occhi accesi d'ira, poi protestò indignata:
— Ma tu sposi Balbina! Egli strinse i pugni e pestò i piedi nell'impeto della sua collera impotente. — Tu sposi Balbina. Negalo, dunque! — Si, la sposerò, dovrò sposarla; ma ti adoro — disse Germano con voce roca per 1' empito dell'emozione, che gli gonfiava il cuore fino alla gola. — E mentre io ero ammalata, tu la vedevi ogni giorno; io avevo la febbre e tu stavi vi cino a Balbina; io ero moribonda e tu ridevi con Balbina — ripeteva Flora con l'espressione di chi si trovi obbligato a constatare un fatto in credibilmente mostruoso. — E' vero; è tutto vero; ma io ti amo, ti amo! — e, non sapendo cosa dire, non sapendo cosa fare, si cacciò le mani nei capelli con gesto scomposto di follia. — Allora, se mi ami, perchè ne sposi un'al tra? — domandò Flora, giungendo di nuovo le palme e stendendole verso di lui, a implorare la spiegazione dell'enimma crudele. Germano era sul punto di narrarle tutto; il trionfo impetuoso della carne durante i meriggi canicolari; la febbre che ella stessa gli aveva ac ceso nel sangue; le insidie della campagna e della solitudine; la sua inaspettata paternità; tutto il dramma così implacabile, eppure cosi lo gico, della sua presente situazione; ma il viso di Flora splendeva, anche nel dolore, di tale imma colata purezza, gli occhi di lei, sbattuti dalle lacrime, si aprivano cosi attoniti e ignari di ogni bruttura, che Germano si ribellò al sacrilegio di profanare con le sue confessioni la casta incon sapevolezza di quella fanciulla! No, non poteva dirle, non poteva spiegarle; era fatale che l'anima di Flora rimanesse a turbinare fra queste due frasi, per lei inconciliabili: «Mi adora e ne sposa un'altra; mi adora e vedeva ogni giorno Balbina, mentre io ero ammalata.»
Spingendo i pugni chiusi dietro il dorso e pro tendendo il busto in avanti, Germano disse a denti stretti:
— Io sono maledetto! Io sono disperato! Io mi sento la forza di un leone, io potrei sradi care un albero, potrei ammazzare un bue, eppure devo guardarti piangere senza poterti consolare — e il pensiero della propria impotenza, para gonata all'esuberanza della propria forza fisica, lo sferzò di tale spasimo che egli si morse le mani, mandando un suono sordo di rabbia e dolore a guisa di bufalo incatenato.
Flora comprese che Germano soffriva anche più atrocemente di lei e dovette irrigidirsi per resistere alla tentazione di avvicinarsi a lui, di blan dirlo con parole soavi, di stringergli forte le mani, perchè smettesse di morderle a quel modo.
— Non farti male, Germano, non farti male e non lamentarti cosi! Mi uccidi! — e volendo in qualche maniera dimostrare a Germano la sua tenerezza persistente e la sua pietà, si lasciò ca dere seduta sull'orlo dell'abbeveratoio, si chinò verso Flock, cinse con le braccia il collo della bestia e ripetè fra i singhiozzi:
— Diglielo anche tu, Flock, che non si faccia male; diglielo anche tu che non mi faccia morire. Flora — implorò Germano — giurami che non mi odierai; giurami che non mi dimenti cherai.
Flora crollò il capo, mentre un sorriso d'inef fabile tristezza le sfiorava la bocca scolorita:
--- Anche se tu m'appoggiassi sul petto la canna del tuo fucile e ti vedessi pronto a far fuoco so pra di me, io non potrei odiarti. Anche se io fossi morta e giacessi nel fondo di una tomba io non potrei dimenticarti. Tu dici di amarmi e ti credo. Tu dici che devi sposare Balbina, ma che m'ami lo stesso e ti credo! Se tu mi dicessi che io non sono io, che il sole è buio e che la notte è luminosa, io ti crederei, perchè quando tu parli 10 vivo e quando non ti ascolto io muoio! Ho la mamma lontana, il babbo più lontano ancora, 11 nonno sul punto di lasciarmi, mi trovo sola, abbandonata da tutti, anche da te, eppure non vorrei cambiarmi con Balbina, no, non vorrei. Bal bina ti fa soffrire e io darei tutto il mio sangue per vederti contento. Come vuoi dunque che io possa odiarti? Come vuoi che io possa dimenti carti?
Il giovane l'ascoltava rapito. — Così parlano gli angioli del paradiso — egli pensava con un fervore religioso di tutta l'anima, ed era sul punto di prostrarsi a terra bocconi, di baciarle il lembo estremo della gonna, di annichilirsi per esaltarla, di volgerle un inno di adorazione e di grazie, quando il dottore Giani, rapido come un baleno, fu sopra alla giovanetta, la ghermì violento per un braccio e le impose con accento strozzato, tante la collera lo soffo cava: — A casa, a casa. Tu non sei la figlia di un villano arricchito e non devi perderti in chiac chiere con un farabutto!
E trascinò Flora dietro di sè a guisa di fu scello che la bufera travolga.
Quando fu all'altro lato del vascone il dottore si fermò un istante per gridare, rivolto a Ger mano:
— E tu venditi alla tua villana; tracannati le sue sporche migliaia, ma non ronzare più da que ste parti, se non vuoi che ti ricacci in gola tutte le parole bugiarde scritte nelle lettere che mi fa cevi portare a questa innocente.
Germano cacciò un urlo di dolore, pensando che Flora potrebbe crederlo capace di averla ab bandonata per la dote di Balbina.
— Vendermi io? Vendermi io? — Sì, e a buon mercato anche — ribattè il dottor Giani, reso furente dalla notizia improv visa del matrimonio del Rosemberg con la Tebaldi. Flora tentò svincolarsi dalla stretta del dottore; ma questo l'afferrò con più forza e ricominciò a correre trascinandosela dietro'. Germano aveva girato anche lui intorno al va scone e camminava come pazzo sulle orme dei fuggitivi. — Ripeta, ripeta quello che ha detto — il giovane esclamava con voce rotta dall'ansito. Il dottore si fermò di nuovo e, tenendo sem pre Flora per il braccio, si rivolse in atto di sfida verso Germano: — Non mi fai paura, bellimbusto. Se hai bi sogno di quattro schiaffi vieni a cercarli dove ti pare; ma questa poverina abbandonata da tutti — e squassava Flora con impeto — questa poverina devi lasciarla in pace, se non vuoi che corrano fucilate, invece di confetti, nel giorno del tuo matrimonio.
Il Rosemberg-, cieco d'ira e dolore, dette un balzo verso il Giani, ma Flora singhiozzava, e, in fondo all'anima, Germano era confusamente grato al dottore di assumere con tanta passione le difese della fanciulla derelitta.
Egli volse dunque le spalle, si dette a correre per il viottolo, e Flora, cogli occhi velati dalle lacrime copiose, che le scendevano giù per le gote, lo vide fuggire disperato, come portando seco il peso di una maledizione.