Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/115

vagità del destino e cominciò a piangere silen ziosamente di pianto monotono, accorato, tardo e stanco, come di chi pianga, sapendo di portare in sè fonte di lacrime viva e perenne.

Se la muraglia fosse crollata, se il cielo si fosse aperto, se tutta la campagna si fosse tra sformata in una canestra di rose e giacinti, se Germano si fosse presentato e Flock avesse sal tato intorno a lei, leccandole le mani, ella avrebbe continuato a piangere ugualmente, perchè la Flora della sua infanzia era morta ed ella faceva il la mento su quella morte; e, mentre un altro es sere, forse più completo, certo meno integro, si plasmava e si divincolava dai ceppi dello spento passato, Flora sentiva che la piccola morta avrebbe suscitato in lei eterno rimpianto e che sempre ella avrebbe frugato tra le ceneri del proprio cuore per tentare il miracolo di vedersi rivivere coi grandi occhi spalancati e fidenti, con la gioia inconsapevole e le divine ignoranze. Inu tile! Inutile! Ciò che è morto è morto! La giovanetta candida al pari di giglio, gioconda come alba di aprile e presso cui amore e morte erano passati turbinando, senza nemmeno appannare di un'ombra il levigato marmo della fronte, galleg giava adesso senza vita, simile a Ofelia, tra i fiori mietuti per giuoco nei giardini del Sogno.

Flora si alzò e, senza asciugarsi le lacrime, senza ricordarsi che era trascorsa l'ora del desi nare per il nonno, scese le scale, attraversò la sala a pianterreno, uscì dalla casa, e, girando con passo di sonnambula intorno al fabbricato, giunse presso il vascone, dove suo padre si era annegato appunto un anno prima. Era strano!

Lungo l'estate Flora non aveva mai pensato a