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re giorni dopo questo colloquio, Raimondo andava a levar di prigione la sua Ida e la riconduceva a casa.

Egli aveva fatto per lei il deposito di ventimila lire, che un amico gli prestò, senza che egli fosse obbligato di ricorrere agli strozzini.

Nel tragitto dal Cellulare a casa essi non iscambiarono che poche parole. C’era fra loro due un’aria di disagio, una preoccupazione molesta, che li invitava al silenzio; un silenzio che confinava col broncio.

Sentivano entrambi di aver torto, ma nè l’uno nè l’altra sapevano sciogliersi da quella specie d’imbarazzo nuovo in cui si trovavano. [p. 156 modifica]

Che cosa poteva essere accaduto in quelle due anime poco tempo prima così confidenti, così tranquille, così accordate?

Nulla di più naturale!

Lei non era più come prima. Per quanto avesse tentato di resistere alla invadente simpatia che le aveva ispirato il fiero e leale Spagnuolo, ella non c’era riuscita.

La sua freddezza per Raimondo era effetto del suo carattere sincero.

Quanto al duca, fin dal giorno dell’arresto di lei aveva fatto di tutto, senza volerlo, per aumentare la freddezza nel cuore di Ida. Egli non sapeva dissimularle di soffrire moltissimo non tanto della sciagura di lei quanto del trovarsi lui stesso in una posizione così equivoca. Le aveva parlato di voler partire, le aveva parlato delle prediche di suo padre e di sua madre, venuti apposta in città per distaccarlo da lei. E si mostrava debole, perplesso, angustiato, pusillanime.

La povera Ida, pensando ch’egli era il padre del suo Vittorio, aveva pianto assai. E nella sua desolazione non si può imaginare che passi da gigante avesse fatto l’amore di Gonzalo, che l’aveva visitata altre volte e che le aveva scritto una lettera, nella quale l’ardire, la fermezza e l’amore si confondevano e [p. 157 modifica] cospiravano a rendere simpatico il nobile Spagnuolo.

Raimondo aveva capito ch’ella s’era andata sempre più intiepidendo verso di lui. Ma non si era curato di avere da lei delle spiegazioni. Anche il suo affetto aveva ricevuto una scossa mortale. La paura del ridicolo e i rispetti umani potevano su lui più che tutto.

L’amore di Raimondo per la Ida era di quei soliti che scemano dopo la vittoria e sfumano a poco a poco coll’abitudine. Della sua passione, un giorno abbastanza ardente, era accaduto ciò che accade quasi sempre nel cuore dei giovani frolli del nostro tempo; essa aveva poi ricevuto l’ultimo colpo da ciò che l’avrebbe forse fatta divampare di nuovo in un carattere forte ed ardito.

Al piccolo Vittorio egli aveva creduto sulle prime di voler un gran bene perchè era figlio della sua Ida, perchè aveva i suoi occhi e i suoi capelli d’oro.

Ma poi si accorse di essersi ingannato anche su questo punto. Tutti i pensieri che prima non gli erano passati neppure per ombra, gli facevano già ressa nell’animo. Sentiva che sarebbe venuto forse il giorno in cui avrebbe arrossito di dichiarare ch’egli era veramente suo figlio. Volere o non volere, Vittorio era [p. 158 modifica] adulterino. Si interrogava, e per scusarsi a’ propri occhi rispondeva che se fosse stato il frutto d’un legittimo amore lo avrebbe amato davvero; non voleva convenire con sè stesso di non aver cuore, e cercava i pretesti.

Giunti a casa, la Ida corse ad abbracciare il bambino, e con molte lacrime e innumerevoli baci e carezze sfogò la piena del suo animo angosciato.

Il povero bimbo guardava la madre, coi suoi occhioni spalancati e sorpresi, e faceva greppo anche lui colle labbra come se avesse compreso il dolore di lei.

Raimondo si accomiatò dicendo che sarebbe venuto a pranzo.

Mezz’ora dopo, a lei fu annunciata la visita di don Gonzalo, marchese di Turrone.

Il primo movimento dell’Ida fu di dir alla cameriera che non poteva riceverlo. Aveva paura di quell’uomo.

La sua visita, in cui sarebbe stato impossibile non venire ad una spiegazione molto intima, la spaventava. Capiva che il duca ormai le era [p. 159 modifica] divenuto perfettamente indifferente; ma il pensiero del piccolo Vittorio, innanzi tutto, e l’altro più tormentoso del processo e dei legami nuovi che l’avvincevano a Raimondo, non le permettevano di pensare a staccarsi da questo, e le imponevano di tener lontano lo Spagnuolo.

D’altra parto come chiudergli la porta in faccia, dopo tante cortesie ricevute da lui?

Gonzalo le venne incontro serio, le prese una mano, ne baciò la punta delle dita e stette in silenzio, visibilmente commosso.

Egli era vestito inappuntabilmente. Nella sua cravatta spiccava una perla nera, da dieci mila franchi. Gli abiti erano tutti capolavori del miglior sarto di Parigi.

Per altro il suo aspetto non mostrava la solita sicumera. Nell’occhio pur sempre limpido e fulgente appariva una penombra di tristezza e di umiltà.

La Ida non aveva l’animo in quel momento disposto ad esaminare tutte queste cose, ma l’insieme le fece una gradevole impressione. [p. 160 modifica]

— Si accomodi, marchese - gli disse la dorma che non era meno commossa di lui.

Nell’ambiente del salotto c’era una specie di tensione elettrica.

Si sedettero uno di contro all’altro. Lo Spagnuolo ebbe cura di voltare le spalle alla luce.

Un uomo di quarant’anni con tale precauzione agisce molto prudentemente.

Egli teneva in mano il cappello e Ida glielo lasciò, contro la sua abitudine.

— Come vi sentite? - fu la prima frase con cui Gonzalo aperse la conversazione. - Vi trovo molto pallida, povera Ida.

— Se non mi avessero annunciato il vostro nome - rispose essa - avrei detto alla cameriera che non potevo ricevere. Ho un dolor di testa orribile.

Ida stava bene, o almeno non aveva dolor di testa. Ma la sua risposta non poteva essere più felice. Così, senza pensarci, trovava modo di dire a Gonzalo tre cose: ho avuto una preferenza per voi, vi riesco più interessante, e vi prego di non farmi una corte troppo audace. [p. 161 modifica]

Il marchese gustò le prime due espressioni, e si trovò leggermente sconcertato dinanzi alla terza. Egli era venuto, come faceva sempre lui, con idee molto conquistatrici; impetuoso come don Giovanni Tenorio, egli si sentiva disposto a confermarle la passione già confessatale nella lettera, e a caderle, se faceva bisogno, ai piedi, ov’ella avesse mostrato di non volerlo ascoltare con fede.

Ma come parlare del tormento del proprio cuore ad una ammalata di emicrania?

Il loro dialogo cominciò a svolgersi per il verso ragionevole. Si parlò del processo, della sicurezza che Gonzalo nutriva di vederlo andar in fumo, delle ipotesi sullo strano mistero ond’era avvolto, di Raimondo, di Vittorio e di molte altre cose.

Ida lo ascoltava con grande interesse e rispondeva con calore alle sue domande. E sotto le parole tecniche e lontane le mille miglia dalla galanteria, essa scorgeva negli occhi di Gonzalo raggiare la luce della sua passione già confessata, e sentiva nella voce di lui il fremito dell’amore già adulto.

A poco a poco, com’era facile, il discorso piegò verso il sentimento. Le guance di Ida si erano rifatte color di rosa, e dimostravano che la emicrania era cessata. [p. 162 modifica]

Don Gonzalo si fece più ardito e le parlò della sua lettera.

Allora Ida non gli tacque nulla delle sue apprensioni, delle sue delicatezze, della sua freddezza per Raimondo, e della simpatia vivissima che provava per lui.

Ella si sentiva attirata verso quell’uomo da una forza misteriosa, e non gli dissimulava la felicità di mostrarsi perfettamente sincera, come non lo era forse mai stata in sua vita.

Aveva capito da molto tempo che Raimondo non era l’uomo fatto per lei. Ella non s’era ingannata fin dal principio, ma aveva chiusi gli occhi, forzata dalla sua posizione critica, allorchè le era stato sospeso l’invio dell’assegno mensile.

Il duca era stato, fra tutti coloro che le avevano fatte splendide offerte, il solo che per un verso o per l’altro non le fosse riuscito antipatico. Aveva rifiutato dagli altri dei tesori, per accettare da lui una vita modesta, perchè egli le si era mostrato gentiluomo sopratutto, modesto e molto educato.

Ma poi s’era accorta della sua estrema debolezza di carattere.

Ella, donna, voleva essere dominata. [p. 163 modifica]

E impossibile dir con parole la beatitudine di Gonzalo sentendola parlare così. Essa gliela leggeva negli occhi. Non c’è donna che sbagli su questo punto.

Ma quanto più intenso era quel fuoco, tanto più Ida si proponeva di non lasciarlo divampare troppo presto. E ingolfò il discorso nel laberinto delle supposizioni intorno alle cause segrete del suo arresto, assicurando il marchese che Raimondo le aveva promesso di venir a capo dell’intrigo.

— Io non so - disse Gonzalo - se il duca prenderà a cuore lo cose in modo di venir a capo di questo intrigo. Quello che io posso dirvi, Ida, si è che voi non avete bisogno di lui, dal momento che ci sono io. Io vi giuro di riuscirvi, avesse a costarmi la riputazione e la vita.

Queste erano almeno belle parole! Come queste, Raimondo non gliene aveva dette mai.

Abbassando il capo per ringraziarlo, Ida vibrò al marchese uno di quegli sguardi come le donne che amano sanno darne ad un uomo [p. 164 modifica] da cui vogliono essere amate. Poi allungò la sua manina che egli baciò passionatamente.

In un uomo del temperamento di Gonzalo, che ha nel sangue altrettanta voluttà quanto sentimento ha in cuore, un bacio sulla mano, per quanto in apparenza casto, può suscitare una formidabile tempesta.

Lo Spagnuolo non si salvò dall’irruenza del sangue. Afferrò l’altra mano di Ida e l’attirò al petto, prima che ella pensasse a opporre resistenza.

— Basta, Gonzalo! - disse Ida con voce strozzata dall’emozione - se entrasse Raimondo!

Gonzalo aperse le braccia, che tenevano stretta l’adorata fanciulla in un amplesso furente, e tentò scusarsi.

Ella non lo lasciò terminare.

— Quest’è la quinta o la sesta volta che noi ci vediamo - disse - Che cosa pensereste di me se io mi mostrassi con voi una donna a cui basta una sola dichiarazione?

In fondo questi dialoghi, questi approcci, queste difese, questi attacchi, questa strategia [p. 165 modifica] d’amore, è sempre la stessa. Non starò a descriverla più a lungo e minutamente.

Ormai si trattava fra loro di tempo e di convenienza.

Essi s’eran già detto ogni cosa colle parole, con la voce, con gli occhi, con le reticenze.

— Mi promettete, Ida - fu questa l’ultima frase importante che Gonzalo le disse prima di congedarsi - mi promettete di dire al duca che io vi amo e che il suo regno è terminato?

— Mio Dio! E Vittorio?

— Vittorio diventerà mio figlio - rispose lo Spagnuolo - Io lo adotterò.

E si lasciarono.

Don Gonzalo era raggiante: piuttosto che camminare, il suo era uno sfiorar il lastrico con una leggerezza da adolescente.

La magnifica giornata pareva accordarsi collo stato dell’animo suo. La città era gaia.

In giro c’era uno sfarfallamento insolito di donnette. Nell’atmosfera limpida si sentiva la nuova stagione dei fiori che s’avanzava. Era spiovuto da poco, dopo parecchi giorni di [p. 166 modifica] pioggia, e la gente andava per le vie, allegra e spensierata ch’era un piacere a vederla.

Il marchese trovò Raimondo al club, che stava in crocchio di gentlemen-riders combinando le corse di estate e il programma di una nuova società ippica.

La venuta di don Gonzalo fu accolta da un’acclamazione unanime. Raimondo stesso lo pregò di mettere la sua firma sotto il manifesto dei soci.

Quando quell’argomento fu esaurito, Gonzalo prese da parte il duca e si diede a tastarlo:

— Voi sapete certamente, caro Raimondo, che io sono un appassionato cultore della scienza del diritto...

— Eh, chi non lo sa, caro marchese?

— Potete dunque pensare come io non possa lasciar cadere nell’indifferenza il caso flagrante capitato alla vostra signora Evanieff, a cui ho portato or ora le mie congratulazioni per l’ottenuto piede libero.

— L’avrete trovata di assai mal umore. [p. 167 modifica]

— Infatti, aveva l’emicrania; però parlammo a lungo del suo processo, e, com’è naturale, ella pregò anche me perchè mi occupassi della sua posizione, ed io le ho promesso tutto il mio appoggio.

— Unisco io pure i miei ringraziamenti a quelli della Ida - disse il duca colla sua solita flemma inglese.

— Vi son tenuto, caro duca, ma non è questo che io volevo dirvi. Io ho forse promesso più di quello che potrò mantenere, ma ho creduto di far bene per tranquillarla.

— E che cosa le avete promesso?

— Che fra una settimana al più tardi il procuratore dichiarerà non farsi luogo a procedere.

Nel dir tutto questo, Gonzalo teneva sempre gli sguardi penetranti in quelli del duca, per vedere che effetto gli producevano le sue parole.

Raimondo non battè palpebra.

— Uhm! - fece egli, freddamente, e come se la notizia datagli dall’amico invece di fargli piacere lo disturbasse.

— Si direbbe che ci crediate poco al mio pronostico?

— Mio caro marchese - rispose Raimondo - Io ho saputo certe cose... Basta, non posso parlare...

— Temereste forse della mia discrezione? [p. 168 modifica]

— No. Ma... credete voi, per esempio, che i nostri signori pudici e procuratori del re sieno incorruttibili?

La domanda era forte e conteneva una strana insinuazione.

— Su questo punto non saprei rispondervi - disse don Gonzalo - Non bo ancora studiato abbastanza il vostro paese per poter affermare una cosa tanto grave nè per poterla escludere assolutamente. Se mi aveste domendato se io credo che in Spagna i magistrati sieno incorruttibili, vi avrei risposto di no.

— Dunque, caro amico, io penso che tutto il mondo è come la Spagna. I puritani, la gente onesta, coloro che gridano che non si deve denigrare e demolire, io li lodo e li stimo, perchè la maggior parte delle volte questo genere di accuse è indegno e falso. Anch’io credo che la maggior parte dei magistrati non si lascia corrompere; ma dico e sostengo che anche in Italia c’è modo di corrompere qualcuno. Io, per massima, odio la stampa e le metterei volentieri le manette. Pure, in questo caso, se i giornali sorgessero a gridare sulla mostruosità di questo processo alla Ida, inesplicabile senza la corruzione dei magistrati, io batterei le mani. Senza di questa mi è assolutamente impossibile spiegare i fenomeni stranissimi [p. 169 modifica] di questo inestricabile imbroglio, in cui sono spudoratamente traditi i più elementari dettami della giurisprudenza. Ne volete sentir una nuova? I giudici sanno che la Ida non ha sostanze, non ha patrimonio, non ha stabili, non ha rendite; e sanno che essa si dichiara innocente e ne dà le più chiare prove. Le hanno imposto come cauzione per la concessione del piede libero ventimila franchi. Alla levatrice, che paga qualche centinajo di lire all’anno di imposta fondiaria, e altrettante di ricchezza mobile, hanno chiesto sole diecimila lire. Non è lo stesso che dire alla Ida: Tu, povera, devi star in prigione, oppure devi vendere la tua bellezza se vuoi godere lo stesso beneficio che noi accordiamo facilmente alla rea confessa che ha danaro da spendere?

— È incredibile - sclamò lo Spagnuolo. E cavato il suo libretto di annotazioni, disse:

Permettete?

E riempì tre paginette con quelle e simili notizie, destinate a far onore immortale alla magistratura italiana, nella terra del Cid.

— Colui che volesse sostenere che nessun giudice del proprio paese è incorruttibile - osservò Gonzalo - mostrerebbe una cosa sola, di non sapere, cioè, che cosa sono gli uomini.

Chi è, per esempio, che non meriterebbe di [p. 170 modifica] essere frustato se dicesse che i Parlamenti d’Europa sono composti d’affaristi e di ladri del danaro pubblico? Eppure si può forse asserire che in nessun paese sia mai accaduto che qualche deputato abbia preso lo sbruffo, o, magari, sia stato colto a levar i portafogli dalle tasche dei paletò dei colleghi nell’anticamera del Parlamento?

— Del resto - disse il duca - io vi assicuro d’essere omai stufo e sazio di quest’avventura, che mi fa passare, in questa nostra città pettegola e curiosa, come una gran bestia. Ormai non posso più far un passo per le strade senza sentir i monelli susurrare: È qui l’amante dei capelli d’oro. Sto per chiedere il mio bravo passaporto per l’Africa. Tornerò a tempo di deporre in dibattimento, dato che lo vogliano proprio fare.

— Voi volete partire? - sclamò don Gonzalo, a cui quella notizia mise un raggio di vivissima gioja nel cuore.

— M’è pigliata una grande curiosità di visitare i paesi illustrati da Livingstone e da Stanley.

— E lascereste qui quella desolata?

— Oh! la desolata farà senza di me - disse il duca alzandosi e senza la più piccola emozione nella voce - Io ho bisogno di insegnare [p. 171 modifica] a mio padre e a mia madre che vai ancora meglio un figlio che, secondo loro, si rovini in paese, che un figlio assestato, ne’ deserti dell’Africa. Ormai, ciò che mi ha trattenuto fu la necessità di procurare la cauzione a quella disgraziata. Se no sarei forse già a Gaffa o a Tomhuctù.

Il marchese, per mostrarsi perfettamente imparziale nella questione, credè bene di metter una frase che dimostrasse il suo rincrescimento per quell’annunciata partenza.

— Sarebbe per noi una perdita - disse - Tanto più che io sono certo che fra una settimana, al più tardi, il processo sarà terminato.

— Fuor che non operi lo sbruffo! - soggiunse Raimondo - Voi non potete credere, caro duca, quale sia la frenesia di mio padre per veder rovinata, condannata, ghigliottinata quella donna, che io ho avuto il torto di amare... assai, e di render madre!

— È dunque proprio vostro padre che le muove guerra?

— Anche mia madre, se vogliamo. Ma ella è più ragionevole e mi ama in modo da non riuscire ad aver la forza di contradirmi troppo. Però, se le andranno a dire che la Ida fu condannata ai lavori forzati, darà un napoleone di mancia al messo. [p. 172 modifica]

— Ma voi forse siete troppo severo con vostra madre - disse il marchese Gonzalo, con una tentennata di testa - se la vi ama tanto, è possibile che sia per godere al sentire che la donna da voi amata è caduta in così grave disgrazia?

Il duca diede al marchese una di quelle sue occhiate smorte e lente colle quali era solito accompagnare l’ultima frase d’ogni suo discorso, e disse alzandosi:

— L’ho amata assai, ma ora la scena è un po’ mutata. Rotto fu l’incanto!

E spôrta la mano al marchese lo salutò, e se ne andò, non prima di aver promesso a vari amici, ancor presenti nella sala, che avrebbe preso parte volentieri con grande passione alle loro idee di sport, non appena fosse di ritorno dal suo viaggio nel Sudan.