Quattro Milioni/X
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X.
Arrivò persino a pronunciare pubblicamente delle minacce contro suo cognato il vecchio conte e suo cugino Cesare.
Tanto che il giorno dopo fu chiamato all’ufficio di Pubblica Sicurezza a ricevere una lavata di capo dal Delegato a nome del Questore, dal quale il Rocca-Serena era andato diritto a lamentarsi.
— Ma capirà, signor Delegato, olio a un povero figliuolo come me, che è stato sempre disgraziatissimo, e che finalmente si vede assicurata la esistenza per i suoi ultimi giorni, deve far un certo senso di sapere che c’è un ricco milionario che ha quasi i piedi nella fossa e che tenta di rubargli anche que’ meschini venti franchi al giorno che gli ha lasciati sua moglie.
— Ma in che modo? - domandò il Delegato - Se le mie informazioni sono vere, come ho ragione di crederlo, giacchè vengono da una parte interessata, lei signor Stambecchi non avrebbe invece che a guadagnarci moltissimo nel caso che il testamento di sua moglie fosse dichiarato insussistente.
— Il signor Delegato sbaglia - disse Stambecchi tentennando la testa; - io sono separato da mia moglie e non avrei diritto a nulla per legge.
— Separato di fatto, ma non di diritto. C’è una bella differenza!
— Io, a dir la verità, m’intendo poco di legge; e poi sono partito da Milano e non so che cosa possa aver fatto mia moglie in linea di diritto. So però che io, mediante lo sborso da parte sua di trenta mila lire, accettai la separazione non solo, ma accettai pure la condizione di non farmi più vedere in Italia fin dopo la sua morte, in caso che fosse morta prima di me.
— Questo va benissimo - disse il Delegato - Ma può ella dire che sia uscita una sentenza del tribunale, per cui la sua separazione sia passata in giudicato?
— Io credo; - rispose Stambecchi - però non so nulla di certo, giacchè, appena intascate le mie trentamila lire, sono partito per l’America.
— Ebbene, ella s’accerti al tribunale di questa circostanza. Non le sarà difficile, indicando il tempo, di trovare nell’archivio l’incartamento della domanda in separazione.
— Ma a che scopo poi farei questa fatica?
— Ma come? Allo scopo di persuadersi che, se ciò è vero, ella non avrebbe a perdere nulla lo stesso, ancorchè suo cognato il conte Gabriele Rocca-Serena e suo nipote Vallieri intentassero causa per nullità di testamento. E allora lei, mi pare, avrebbe ragione e interesse di cessare dalle ostilità nei pubblici ritrovi.
— Ah sicuro! Io avrei la mia legittima in ogni caso.
— Ecco qua, il paragrafo parla chiaro: «il coniuge contro cui non sussista sentenza di separazione personale 'passata in giudicato, ha diritto sulle eredità dell’altro coniuge - nel caso che questo.... non lasci nè discendenti nè ascendenti - al terzo in usufrutto.»
— Il terzo di tutta la sostanza? - domandò Stambecchi, che credeva assai poco a quel caso fortunatissimo e s’era già avvezzo a contentarsi de’ suoi venti franchi al giorno.
— Il terzo della intera sostanza.
— Accidenti! Allora val la pena. Si tratta di più d’un milione!
— Nel caso poi che la sentenza fosse passata in giudicato, io l’ammonisco a cessare ugualmente dalle ingiurie e dalle minacce pubbliche, altrimenti sarò obbligato a deferirla al procuratore del re.
— Ma io infine non ho detto gran che di male, e se lei signor delegato si trovasse nei miei piedi e sapesse che un riccone, perchè tutti sanno che il conte Rocca-Serena non ha bisogno dell’eredità di sua sorella per essere milionario lo stesso....
— Non tanto! Egli è carico di famiglia e ha molte passività.
— Ma e io dunque che non ho che queste?
— Bene, insomma, queste non sono ragioni per le quali ella debba inveire contro quei suoi rispettabili parenti. La consiglio a far giudizio.
— Se avesse a cascarmi la speranza di ricevere fra poco tempo le mensilità lasciatemi mia povera moglie, non potrei fallare a darmi per morto di fame.
— Non capisco. Un uomo come lei, ancor giovine, sano, - non deve dir così. La mi promette dunque di non ripetere le scenate dell’altra sera?
— L’altra sera, se ho da dirle il vero, stavo un po’ troppo bene. M’avevano fatto bere un bicchiere di più.
— Dunque mi promette? - insistè il delegato.
— Sì, sì, glielo prometto - risposo Stambecchi - lei vedrà che non avrà più a lamentarsi di me.
Uscito di là. Stambecchi corse difilato dall’avvocato a pregarlo di andar subito in tribunale per assodare la sua posizione come separato da sua moglie.
Questi gli fece capire che se non metteva un deposito per le spese non si sarebbe mosso, e a Stambecchi toccò di lasciargli lo ultimo cinquanta lire che aveva portato dall’America.
Ma quale fu la sua esultanza, quando l’avvocato di ritorno dall’archivio gli ebbe detto che le pratiche per la separazione erano rimaste tronche dalla sua partenza, e che nessuna sentenza era passata in giudicato per forza della quale egli dovesse ritenersi legalmente diviso dalla defunta contessa Eleuteria e indegno della legittima?
— Dunque io ho diritto alla terza parte? - sclamò tripudiando Stambecchi.
— Senza dubbio!
— Vale a dire?
— Un milione e mezzo.
— Sicuro! La terza parte di quattro milioni e mezzo vuol proprio dire un milione e mezzo.
— Netto come uno specchio!
Stambecchi si diede a fare delle piroette pazze nello studio dell’avvocato.
I giovani alle sue grida di gioia accorsero e lo videro dimenar gambe e braccia come un convulsionario.
— E dunque mio nipote Dario, l’erede, che me lo dovrà restituire il mio milione e mezzo?
— Lui in nome di suo figlio erede.
— Ah! Vado subito da lui! Birbante d’un Dario! Egli tentava di rubarmi il fatto mio!
L’ho sempre detto ch’egli è un poco di buono!
E corse a casa di questo.
Ma un nuovo disinganno e una nuova angoscia lo aspettavano da capo.
Egli aveva già accettato il lascito di sua moglie, rinunciando ad ogni altro diritto o pretesa, talchè la contessa Annetta gli rise sul muso, facendogli leggere l’atto da lui firmato in casa dell’esecutore testamentario.