Poesie edite ed inedite/L'invito. Versi sciolti di Dafni Orobiano a Lesbia Cidonia
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L’INVITO
VERSI SCIOLTI
DI
DAFNI OROBIANO
A
LESBIA CIDONIA
A DIODORO DELFICO
ticofilo cimerio.
Perchè a Voi s’intitoli questo Libretto,
Credo che ’l senta ogni gentil persona. Primieramente ove s’oda parlar di sciolti, Voi correte tosto al pensiero, come ai mentovar che si faccia Epopeja, ecco alla mente Virgilio. Natural cosa era dunque che cercasse di volgersi a Voi quegli che con uno de’ tanti vostri titoli letterarj tien parentela. Dolce e pellegrina lusinga vi andrà per l’animo, raffigurando qui entro que’ germi, i quali deboli un giorno e mal sicuri, mercè la cultura vostra principalmente divennero gagliardi e fecondi; e che se già produssero presso tanti sol vane foglie, ora, siccome poche altre volte è avvenuto, tornano a rivestirsi di frutta, vie più che di fiori. Aggiugnete che modesto oltra misura l’Autore, soavissimo amico mio, non credea punto bello questo suo Poemetto, il quale fa così nobil fede che la buona poesia sostiensi in Italia anche per opera di coloro che non la professano. L’ho indotto io a darlo alla luce; e volendogli dimostrare ad evidenza che il Poemetto è bellissimo, non avrei potuto meglio farlo, che scrivendovi in fronte; Diodoro. È poi diretto a quella sì illustre Lesbia, che voi poc’anzi vi pigliaste in giudice, e fautrice di Lettere e di Epigrammi, da’ quali nessuno saprà raccogliere la natural pigrezza dell’età i cui voi fatte cenno; e d’onde deriva un sottile epigramma in lode vostra, senza che alcuno ve ne possa tacciar d’orgoglio. Or io tengo per fermo che questo Invito uscirà ancor più caro, offerendo subito all’occhio alcunchè di vostro. Quanto non crescon elle di pregio certe significazioni de’ nostri sentimenti, dove così abbraccino e stringano gli altrui, che parecchi compariscano un solo! E fra questi sentimenti sembrammi mescersi ancora quelli de’ due comuni amici, chiarissimi uomini l’un de’ quali intitolò già a Lesbia una sua tragedia tutta greche fattezze, l’Ulisse; e l’altro poesie ben degne di tali auspici, non che del cedro, le Rime del Tartarotti: chè certo amendue veggendo oggi che versi da voi si mandano colà dove pur eglino ne mandarono, e che noi alle loro affezioni e perfetti giudicj conformiamo i nostri a tal segno, n’esulteran molto, e a maraviglia terran tenore coll’animo a quest’Invito, e a questa mia lettera. Or mirate quale specie di esquisita armonia d’ingegni, di affetti, di voleri, di omaggi! Se non che duolmi che tutti si accorgeranno come venga in parte turbata, mio malgrado, da me che l’ho cerca.
Pavia 20, Aprile 1793.
L’INVITO
A LESBIA.
Perchè con voce di sòavi carmi
Ti chiama a l’alta Roma inclito Cigno,
Spargerai tu d’obblìo dolce promessa
Onde allegrossi la minor Pavia?
5Pur lambe sponda memore d’impero,
Benchè del fasto de’ trïonfi ignuda,
Di Longobardo onor pago il Tesino:
E le sue verdi, o Lesbia, amene rive
Non piacquer poi quant’altre al tuo Petrarca?
10Qui l’accogliea gentil l’alto Visconte
Nel torrito palagio, e qui perenne
Sta la memoria d’un suo caro pegno.
Te quì Pallade chiama, e te le Muse,
E l’eco che ripete il tuo bell’inno
15Per la rapita a noi, data alla Dora,
Come più volle Amor, bionda donzella.
Troppo altra volta rapida seguendo
Il tuo gran cor, che l’opere de l’arte
A contemplar ne la città di Giano,
20E a Firenze bellissima ti trasse,
Di leggier orma questo suol segnasti.
Ma fra queste cadenti antiche torri
Guidate, il sai, da la Cesarea mano
L’attiche discipline, e di molt’oro
25Sparse, ed altere di famosi nomi
Parlano un suon, che attenta Europa ascolta.
Se di tua vista consolar le tante
Brame ti piaccia, intorno a te verranno
De la risorta Atene i chiarí ingegni;
30E quei che a te sul margine del Brembo
Trasse tua fama, e le comuni Muse,
E quei che pieni del tuo nome al cielo
Chieggon pur di vederti. Chi le sfere
A vol trascorre, e su britanna lance
35L’universo equilibra; e chi la prisca
Fè degli avi a le tarde età tramanda;
E chi de la natura alma reina
Spiega la pompa triplice; e chi segna
L’origin vera del conoscer nostro;
40Chi ne’ gorghi del cor mette lo sguardo:
E qual la sorte de le varie genti
Colora, e gli agghiacciati e gli arsi climi
Di fior cosparge; qual per leggi frena
Il secolo ritroso; altri per mano
45Volge a suo senno gli elementi, e muta
Le facce a i corpi; altri su gli egri suda
Con argomenti che non seppe Coo.
Tu qual gemma che brilla in cerchi d’oro,
Segno di mille sguardi andrai fra quelli,
50Pascendo il pellegrino amino intanto
E i sensi de’ lor detti: essi de’ tuoi
Dolce faranno entro il pensier raccolta.
Molti di lor potrian teco le corde
Trattar di Febo con maestre dita;
55Non però il suon n’udrai; ch’essi di Palla
Gelosa d’altre Dee qui temon l’ire.
Quanto ne l’alpe e ne le aerie rupi
Natura metallifera nasconde;
Quanto respira in aria, e quanto in terra,
60E quanto guizza ne gli acquosi regni
Ti fia schierato a l’occhio: in ricchi scrigni
Con avveduta man l’ordin dispose
Di tre regni le spoglie. Imita il ferro
Crisoliti e rubin; sprizza dal sasso
65Il liquido mercurio; arde funesto
L’arsenico; traluce a i sguardi avari
Da la sabbia nativa il pallid’oro.
Che se ami più de l’eritréa marina
Le tornite conchiglie, inclita Ninfa,
70Di che vivi color, di quante forme
Trassele il bruno pescator da l’onda!
L’aurora forse le spruzzò de’ misti
Raggi, e gode talora andar torcendo
Con la rosata man lor cave spire:
75Una del collo tuo le perle in seno
Educò verginella; a l’altra il labbro
De la sanguigna porpora ministro
Splende; di questa la rugosa scorza
Stette con l’or sù la bilancia, e vinse.
80Altre si fero, in van dimandi come,
Carcere, e nido in grembo al sasso; a quelle
Qual Dea del mar d’incognite parole.
Scrisse l’eburneo dorso? è chi di righe
E d’intervalli sul forbito scudo
85Sparse l’arcana musica? da un lato
Aspre, e ferrigne giaccion molte:, e grave
D’immane peso assai rosa da l’onde
La rauca di Triton buccina tace.
Questo ad un tempo è pesce ed è macigno,
90Questa è qual più la vuoi chiocciola o selce
Tempo già fu che le profonde valli,
E ’l nubifero dorso d’Apennino
Copriano i salsi flutti; pria che il cervo
La foresta scorresse, e pria che l’uomo
95Da la gran madre antica alzasse il capo.
L’ostrica allor sù le pendici alpine
La marmorea locò famiglia immensa:
Il nautilo contorto a l’aure amiche
Apri la vela, equilibrò la conca;
100D’Africo poscia al minacciar, raccolti
Gl’inutil remi, e chiuso al nicchio in grembo,
Deluse il mar: scuola al nocchier futuro.
Cresceva intanto di sue vote spoglie,
Avanzi de la morte, il fianco al monte,
105Quando da lungi preparato, e ascosto
A mortal sguardo da l’eterne stelle
Sopravvenne destin; lasciò d’Atlante,
E di Tauro le spalle, e in minor regno
Contrasse il mar le sue procelle, e l’ire:
110Col verde pian l’altrice terra apparve.
Conobbe Abido il Bosforo; ebbe nome
Adria ed Eusin; da l’elemento usato
Deluso il pesce, e sotto l’alta arena
Sepolto in pietra rigida si strinse:
115Vedi che la sua preda ancora addenta.
Queste scaglie incorrotte, e queste forme
Ignote al nuovo mar manda dal Bolca
L’alma del tuo Pompei patria Verona.
Son queste l’ossa che lasciar sul margo
120Del palustre Tesin da l’alpe intatta
Dietro a la rabbia punica discese
Le immani afriche belve? o da quest’ossa
Già rivestite del rigor di sasso
Ebbe lor piè non aspettato inciampo?
125Chè qui già forse italici elefanti
Pascea la piaggia, e Roma ancor non era;
Nè lidi a lidi avea imprecato ed armi
Contrarie ad armi la deserta Dido.
Non lungi accusan la Vulcania fiamma
130Pomici scabre, e scoloriti marmi.
Bello è il veder lungi dal giogo ardente
Le liquefatte viscere de l’Etna,
Lanciati sassi al ciel. Altro fu svelto
Dal sempre acceso Stromboli; altro corse
135Sul fianco del Vesevo onda rovente.
O di Pompeo, o d’Ercole già colte
Città scomparse ed obbliate, alfine
Dopo si lunga età risorte al giorno!
Presso i misteri d’Iside, e le danze
140Dal negro ciel venuto a larghi rivi
Voi questo cener sovraggiunse, in vọi
Gli aurei lavor di pennel greco offese.
Dove voi lascio innamorati augelli,
Sotto altro cielo, ed altro sol volanti?
145Te risplendente del color del fuoco;
Te ricco di corona; te di gemme
Distinto il tergo;, e te miracol novo
D’informe rostro, e di pennuta lingua?
Tu col gran tratto d’ala il mar traversi;
150Tu pur esile colibri vestito
D’instabili color de l’etra a i campi
Con brevissima penna osi fidarti.
Ora gli sguardi a se col fulgid’ostro
Chiaman de l’ali, e con le macchie d’oro
155Le occhiute leggerissime farfalle
Onor d’erbose rive; a i caldi soli
Uscir dal carcer trasformate, e breve
Ebbero il dono della terza vita.
Questa suggeva il timo, e questa il croco,
160Non altramente che da l’auree carte
De’ tesori dircei tu cogli il fiore.
Questa col capo folgorante l’ombre
Rompe a l’ignudo american che in traccia
Notturno va de l’appiattata fera.
165E voi non tacerò, voi di dolci acque
Celeri figli, e di salati stagni:
Te, delfin vispo, cui del vicin nembo
Fama non dubbio accorgimento diede,
E pietà quasi umana, e senso al canto;
170Te che di lunga spada armato il muso
Guizzi qual dardo, e le balene assalti;
Te che al sol tocco di tue membra inermi,
Di subita mirabile percossa
L’avido pescator stendi sul lido.
175Ardirò ancor tinta d’orrore esporre
A i cupidi occhi tuoi diversa scena,
Lesbia gentil; turpi sembianze, e crude,
Che disdegnò nel partorir la terra:
Ne strane fiano a te è men gioconde
180A te che già tratta per man dal nuovo
Plinio tuo dolce amico, a Senna in riva
Per li negati al volgo aditi entrasti.
Prole tra maschi incognita, rifiuto
Del dilicato sesso, orror d’entrambi
185Nacque costui. Qual colpa sua, qual, ira
De l’avaro destino a lui fu madre?
Qual infelice amore, e fiera pugna
Strinse così l’un contro l’altro questi
Teneri ancor nel carcere natale,
190Che appena giunti al dì, dal comun senso
Con due respir che s’incontraro uscendo,
L’alma indistinta resero a le stelle?
Costui se lunga età veder potea,
Era Ciclope: mira il torvo ciglio
195Unico in mezzo al volto. Un altro volto
Questi porta sul tergo, ed era Giano.
Or ve’ mirabil mostro! senza capo,
Son poche lune, e senza petto uscito
Al sol, del viver suo per pochi istanti
200Fece tremando, e palpitando fede.
Folle chi altier sen va di ferree membra
Ebbro di gioventù! Perchè nel corso
Precorri il cervo, e ’l lupo al bosco sfidi,
E l’orrido cinghial vinci a la pugna
205Già t’ergi re degli animali. Intanto
Famiglia di viventi entro tue carni.
Te non veggente, e sotto la robusta
Pelle, di te lieta si pasce, e beve
Secura il sangue tuo tra fibra, e fibra.
210Questo di vermi popolo infinito
Ospite rose un di viscere vive.
E tal di lor cui non appar di capo
Certo vestigio, qual lo vedi, lungo
Ben trenta spanne, intier si trasse a stento
215Dai moltiplici error labirintei.
Qual ne le coste si forò l’albergo
Col sordo dente, e quale al cor si pose.
Ne sol de l’uom, ma de gli armenti al campo
Altri seguia le torme, e mentre l’erba
220Tondea la mite agnella, alcun di loro
Limando entro il cervel, da l’alta rupe
Vertiginosa in rio furor la trasse.
Tal quaggiù de l’altrui vita si nutre,
Altre a nudrirne condannata, l’egra
225Vita mortal, che il ciel parco dispensa.
Ecco il lento bradipo, il simo urango,
Il ricinto armadillo, l’istrice irto,
Il castoro architetto, il muschio alpestre,
La crudel tigre, l’armellin di neve.
230Ecco il lurido pipa, a cui dal tergo
Cadder maturi al sol tepido i figli:
L’ingordo can, che triplicati arrota
I denti, e ’l navigante inghiotte intero.
Torvo così dal Senegallo sbuca
235L’ippopotàmo, e con l’informe zampa
De l’estuosa zona occupa il lido.
Guarda vertebre immani!, e sono avanzi:
Si smisurata la balena rompe
Ne la polar contrada i ghiacci irsuti!
240E spoglia, non temer se la trisulca
Lingua dardeggia, e se minaccia il salto
La maculata vipera, e i colubri,
Che accesi solean infocate arene.
Qui minor di sua fama il vol raccoglie
245Il drago; qui il terror del Nilo stende
Per sette, e sette braccia il sozzo corpo;
Qui dal sonante strascino tradito
Il crotalo implacabile, qui l’aspe;
E tutti i mostri suoi l’Africa manda.
250Chi è costui che d’alti pensier pieno
Tanta filosofia porta nel volto?
È il divin Galileo, che primo infranse
L’idolo antico, e con periglio trasse
A la nativa libertà le menti:
255Novi occhi pose in fronte a l’uomo, Giove
Cinse di stelle; e fatta accusa al sole
Di corrutibil tempra, il locò poi,
Alto compenso, sopra immobil trono.
L’altro che sorge a lui rimpetto, in vesta
260Umil ravvolto, e con dimmessa fronte,
È Cavalier, che d’infiniti campi
Fece a la taciturna Algebra dono.
O sommi lumi de l’Italia! il culto
Gradite de l’Orobia pastorella
265Ch’entra fra voi, che le vivaci fronde
Spicca dal crine, e al vostro piè le sparge.
In questa a miglior genj aperta luce
Il linguaggio del ver Fisica parla.
A le dimande sue confessa il peso
270Il molle cedente aere: ma stretto
Scoppia sdegnoso dal forato ferro,
Avventando mortifera ferita.
Figlio del sole il raggio settiforme
A l’ombre in sen rotto per vetro obbliquo
275Splende distinto ne i color de l’Iri.
Per mille vie torna non vario in volto,
Ne la Dollondia man docil depone
La dipinta corona; in breve foco
Strignesi, ed arma innumerabil punte
280A vincer la durezza adamantina.
Qui il simulato ciel sue rote inarca,
L’anno divide, l’incostante luna
In giro mena, e seco lei la terra.
Suo circolante anello or mostra or cela
285Il non più lontanissimo Saturno.
Adombra Giove i suoi seguaci, e segna
Oltre Pirene, e Calpe al vigil sguardo
Il confin d’orïente: in altra parte
Virtù bevendo di scoprir nel bujo
290Flutto a l’errante marinar la stella,
Da l’amato macigno il ferro pende.
Qui declinando per accesa canna
O tocca da l’elettrica favilla
Vedrai l’acqua sparir, nascer da quella
295Gemina prole di mirabil aure:
L’onda dar fiamma, la fiamma dar onda.
Benchè, qualor ti piaccia in nuovi aspetti
Veder per arte trasformarsi i corpi,
O sia che in essi ripercosso, e spinto
300Per calli angusti, o da l’accesa chioma
Tratto del sol per lucido cristallo
Gli elementi distempri ardor di fiamma;
O sia ch’umide vie tenti, e mordendo
Con salino licor masse petrose
305Squagli, e divelte le nascoste terre
D’avidi umori vicendevol preda.
Le doni, e quanto in sen la terra chiude
A suo piacer rigeneri, e distrugga
Chimica forza: a le tue dotte brame
310Affrettan già più man le belle prove.
Tu verserai liquida vena in pura
Liquida vena, e del confuso umore
Ti resterà tra man massa concreta,
Qual zolla donde il sole il vapor bebbe.
315Tu mescerai purissim’onda a chiara
Purissim’onda, e di color cilestro
L’umor commisto appariratti, quale
Appare il ciel dopo il soffiar di coro.
Tingerai, Lesbia, in acqua in bruno acciaro,
320E a l’uscir splenderà candido argento. 32O
Soffri per poco se dal torno desta
Con innocente strepito sù gli occhi
La simulata folgore ti guizza.
Quindi osò l’uom condurre il fulmin vero
325In ferrei ceppi, e disarmò le nubi.
Ve’ che ogni corpo liquido, ogni duro
Nasconde il pascol del balen: lo tragge
Da le cieche latebre accorta mano,
E l’addensa premendo, e lo tragitta,
330L’arcana fiamma a suo voler trattando.
E se per entro a gli Epidaurii regii
Fama già fu che di Prometeo il foco
Che scorre a l’uom le membra, e tutte scote
A un lieve del pensier cenno le vene,
335Sia dal ciel tratta elettrica scintilla;
Non tu per sogno Ascreo, l’abbi sì tosto.
Suscita or dubbio non leggier sul vero
Felsina antica di saper maestra,
Con sottil argomento di metalli
340Le risentite rane interrogando.
Tu le vedesti sù l’Orobia sponda
Le garrule presaghe de la pioggia
Tolte ai guadi del Brembo altro presagio
Aprir di luce al secolo vicino.
345Stavano tronche il collo: con sagace
Man le immolava vittime a Minerva
Cinte d’argentea benda i nudi fianchi
Su l’ara del saper giovin ministro.
Non esse a colpo di coltel crudele
350Torcean le membra, non a molte punte:
Già preda abbandonata da la morte
Parèan giacer: ma se l’argentea benda
Altra di mal distinto ignobil stagno
Da le vicine carni al lembo estremo
355Venne a toccar, la misera vedevi
Quasi risorta ad improvvisa vita
Rattrarre i nervi, e con tremor frequente
Per incognito duol divincolarsi.
1o lessi allor nel tuo chinar del ciglio,
360Che ten gravò: ma quella non intese
Di qual potea pictade andar superba.
E quindi in preda a lo stupor ti parve
Chiaro veder quella virtù che cieca
Passa per interposti umidi tratti
365Dal vile stagno al ricco argento, e torna
Da questo a quello con perenne giro.
Tu pur al labbro le congiunte lame,
Come ti prescrivea de’ saggi il rito,
Lesbia, appressasti, e con sapore acuto
370D’alti misteri t’avvisò la lingua.
E ancor mi suona nel pensier tua voce,
Quando al veder che per ondose vie
L’elemento nuotava, e del convulso
Animal galleggiante i dilicati
375Stami del senso circolando punse;
Chiedesti al ciel che da l’industri prove
Venisse a l’egra umanità soccorso.
Ah se così dopo il sottil lavoro
Di vigilati carmi, orror talvolta
380Vano di membra, il gel misto col foco,
Ti va le vene ricercando, e abbatte
La gentil da le Grazie ordita salma:
Quanto d’Italia onor, Lesbia, saria
Con l’arte nova rallegrarti il giorno!
385Da questa porta risospinta al lampo
Dei vincitor del tempo eterni libri
Fugge ignoranza, e dietro lei le larve
D’error pasciute, e timide del sole.
Opra è infinita i tanti aspetti, e i nomi
390Ad uno ad uno annoverar. Tu questo,
Lesbia, non isdegnar, gentil volume
Che s’offre a te: da l’onorata sede
Volar vorrebbe a l’alma autrice incontro.
D’ambe le parti immobili si stanno,
395Serbando il loco a lui, Colonna, e Stampa.
Quel pur ti prega che non più consenta
A l’alme rime tue, vaghe sorelle,
Andar divise, onde odono fra ’l plauso
Talor sonar dolce lamento: al novo
400Vedremo allor volume aureo cresciuto
Ceder loco maggior Stampa, e Colonna.
Or de gli estinti ne le mute case
Non ti parrà quasi calar giù viva
Su l’esempio di lui, da la cui cetra
405Tanta in te d’armonia parte discese?
Scarnata ed ossea sù l’entrar s’avventa
Del can la forma: ah non è questo il crudo
Cerber trifauce cui placar tu deggia
Con medicata cialda: invano mostra
410Gli acuti denti; ei dorme un sonno eterno.
Ossee d’intorno a lui con cento aspetti
Stanno silvestri, e mansuete fere:
Sta senza chioma il fier leon, sù l’orma
Immoto è il daino; è senza polpe il bieco
415Cinghial feroce, senza vene il lupo,
Senza ululato, e non lo punge fame
De le bianche ossa de l’agnel vicino.
Piaccia ora a te quest’anglico cristallo
A’ leggiadri occhi sottoporre; ed ecco
420Di verme vil giganteggiar le membra.
Come in antico bosco d’alte quercie
Denso, e di pini le cognate piante
I rami intreccian, la confusa massa
Irta di ramuscei fende le nubi:
425Così, ma con più bello ordin tu vedi
Quale pel lungo de l’aperto dorso
Va di tre mila muscoli la selva.
Riconosci il gentil candido baco
Cara de’ ricchi Sericani: forse
430Di tua mano talor tu lo pascesti
De le di Tisbe, e d’infelici amori
Memori foglie: oggi ti mostra quanti
Nervi affatichi allor che a te sottili
E del seno, e del crin prepara i veli.
435Ve’ la cornuta chiocciola ritorta,
Cui di gemine nozze Amor fa dono:
Mira sotto qual parte, ove si senta
Troncar dal ferro inaspettato il capo,
Ritiri i nodi de la cara vita:
440Perchè qualor l’inargentate corna
Ripigli in ciel la luna, anch’ella possa
Uscir col nuovo capo a la campagna.
Altri a destra minuti, altri a sinistra
Ch’ebbero vita un di, sospesi il ventre
445Mostrano aperto: e tanti, e di struttura
Tanto diversa li fè nascer Giove
De’ sapienti a tormentar l’ingegno.
Nel più interno de’ regni de la morte
Scende da l’alto la luce smarrita.
450Esangue i nervi, e l’ossa ond’uom si forma,
E le recise viscere (se puoi
Sostener ferma la sparuta scena)
Numera Anatomia del cor son queste
Le region, che esperto ferro schiuse.
455Non ti stupir sc l’usbergo del petto
E l’ossa dure il muscolo carnoso
Potè romper cozzando: sì lo sprona,
Con tal forza l’allarga Amor tiranno.
Osserva gl’intrigati labirinti,
460Dove nasce il pensier; mira le celle
De’ taciti sospir: nude le fibre
Appajon qui del moto, e là de’ sensi
Fide ministre, e in lungo giro erranti
Le delicate origin de la vita:
465Serpeggia ne le vene il falso sangue.
arte ammirasti: ora men tristi oggetti,
Intento il tuo guardar, l’animo cerca.
Andiamo, Lesbia; pullular vedrai
Entro tepide celle erbe salubri,
470Dono di navi peregrine: stanno
Le prede di più climi in pochi solchi.
Aspettan te, chiara bellezza, i fiori
De l’indo: avide al sen tuo voleranno
Le morbide fragranze Americane,
475Argomento di studio, e di diletto.
Come verdeggia il zucchero tu vedi
A canna arcade simile: qual pende
Il legume d’aleppo dal suo ramo
A coronar le mense util bevanda.
480Qual sorga l’ananas, come la palma
Incurvi, premio al vincitor, la fronda.
Ah non sia chi la man ponga a la scorza
De l’albero fallace avvelenato,
Se non vuol ch’aspre doglie a lui prepari
485Rossa di larghi margini la pelle.
Questa pudica da le dita fugge;
La solcata mammella arma di spine
Il barbarico cacto; al sol si gira
Clizia amorosa: sopra lor trasvola
490L’ape ministra de l’aereo mele.
Dal calice succhiato in ceppi stretta
La mosca in sen al foi trova la tomba.
Qui pure il sonno con pigre ali, molle
Da l’erbe lasse conosciuto dio
495S’aggira, e al giugner d’espero rinchiude
Con la man fresca le stillanti bocce,
Che aprirà ristorate il bel mattino.
E chi potesse udir de’ verdi rami
Le secrete parole allor che i furti
500Dolci fa il vento sù gli aperti fiori
De gli odorati semi, e in giro porta
La speme de la prole a cento fronde:
Come al marito suo parria gemente
L’avida pianta susurrar! chè nozze
505Han pur le piante;, e zefiro leggero
Discorritor de l’indiche pendici
A quei fecondi amor plaude aleggiando.
Erba gentil (nè v’è sospir di vento)
Vedi inquieta tremolar sul gambo;
510Non vive?, e non dirai ch’ella pur senta?
Ricerca forse il patrio margo, e ’l rio,
E duolsi d’abbracciar con le radici
Estrania terra sotto stelle ignote,
E in Europea prigion bevere a stento
515Brevi del sol per lo spiraglio i rai.
E ancor chi sa che in suo linguaggio i germi
Compagni, di quell’ora non avvisi
Che il sol da noi fuggendo, a la lor patria,
A la Spagna novella il giorno porta?
520Noi pur noi, Lesbia, a la magione invita...
Ma che non può su gl’ingannati sensi
Desir, che segga de la mente in cima
Non era io teco? A te fean pur corona
Gl’illustri amici. A te salubri piante,
525E belve, e pesci, e augei, marmi, metalli
Ne’ palladj ricinti iva io mostrando.
Certo guidar tuoi passi a me parea;
Certo udii le parole:, e tu di Brembo
Oimè lungo la riva anco ti stai.