Poesie edite ed inedite/L'invito. Versi sciolti di Dafni Orobiano a Lesbia Cidonia

L'invito. Versi sciolti di Dafni Orobiano a Lesbia Cidonia

../Memoria sulla vita e sugli scritti di Lorenzo Mascheroni ../Note IncludiIntestazione 21 maggio 2023 75% Da definire

L'invito. Versi sciolti di Dafni Orobiano a Lesbia Cidonia
Memoria sulla vita e sugli scritti di Lorenzo Mascheroni Note
[p. 21 modifica]

L’INVITO

VERSI SCIOLTI

DI

DAFNI OROBIANO

A

LESBIA CIDONIA

[p. 23 modifica]

A DIODORO DELFICO


ticofilo cimerio.


Perchè a Voi s’intitoli questo Libretto,

Credo che ’l senta ogni gentil persona. Primieramente ove s’oda parlar di sciolti, Voi correte tosto al pensiero, come ai mentovar che si faccia Epopeja, ecco alla mente Virgilio. Natural cosa era dunque che cercasse di volgersi a Voi quegli che con uno de’ tanti vostri titoli letterarj tien parentela. Dolce e pellegrina lusinga vi andrà per l’animo, raffigurando qui entro que’ germi, i quali deboli un giorno e [p. 24 modifica]mal sicuri, mercè la cultura vostra principalmente divennero gagliardi e fecondi; e che se già produssero presso tanti sol vane foglie, ora, siccome poche altre volte è avvenuto, tornano a rivestirsi di frutta, vie più che di fiori. Aggiugnete che modesto oltra misura l’Autore, soavissimo amico mio, non credea punto bello questo suo Poemetto, il quale fa così nobil fede che la buona poesia sostiensi in Italia anche per opera di coloro che non la professano. L’ho indotto io a darlo alla luce; e volendogli dimostrare ad evidenza che il Poemetto è bellissimo, non avrei potuto meglio farlo, che scrivendovi in fronte; Diodoro. È poi diretto a quella sì illustre Lesbia, che voi poc’anzi vi [p. 25 modifica]pigliaste in giudice, e fautrice di Lettere e di Epigrammi, da’ quali nessuno saprà raccogliere la natural pigrezza dell’età i cui voi fatte cenno; e d’onde deriva un sottile epigramma in lode vostra, senza che alcuno ve ne possa tacciar d’orgoglio. Or io tengo per fermo che questo Invito uscirà ancor più caro, offerendo subito all’occhio alcunchè di vostro. Quanto non crescon elle di pregio certe significazioni de’ nostri sentimenti, dove così abbraccino e stringano gli altrui, che parecchi compariscano un solo! E fra questi sentimenti sembrammi mescersi ancora quelli de’ due comuni amici, chiarissimi uomini l’un de’ quali intitolò già a Lesbia una sua tragedia tutta greche fattezze, [p. 26 modifica]l’Ulisse; e l’altro poesie ben degne di tali auspici, non che del cedro, le Rime del Tartarotti: chè certo amendue veggendo oggi che versi da voi si mandano colà dove pur eglino ne mandarono, e che noi alle loro affezioni e perfetti giudicj conformiamo i nostri a tal segno, n’esulteran molto, e a maraviglia terran tenore coll’animo a quest’Invito, e a questa mia lettera. Or mirate quale specie di esquisita armonia d’ingegni, di affetti, di voleri, di omaggi! Se non che duolmi che tutti si accorgeranno come venga in parte turbata, mio malgrado, da me che l’ho cerca.

Pavia 20, Aprile 1793.




[p. 27 modifica]

L’INVITO

A LESBIA.


Perchè con voce di sòavi carmi
     Ti chiama a l’alta Roma inclito Cigno,
     Spargerai tu d’obblìo dolce promessa
     Onde allegrossi la minor Pavia?
     5Pur lambe sponda memore d’impero,
     Benchè del fasto de’ trïonfi ignuda,
     Di Longobardo onor pago il Tesino:
     E le sue verdi, o Lesbia, amene rive
     Non piacquer poi quant’altre al tuo Petrarca?
     10Qui l’accogliea gentil l’alto Visconte
     Nel torrito palagio, e qui perenne
     Sta la memoria d’un suo caro pegno.
     Te quì Pallade chiama, e te le Muse,
     E l’eco che ripete il tuo bell’inno
     15Per la rapita a noi, data alla Dora,
     Come più volle Amor, bionda donzella.
     Troppo altra volta rapida seguendo
     Il tuo gran cor, che l’opere de l’arte

[p. 28 modifica]

     A contemplar ne la città di Giano,
     20E a Firenze bellissima ti trasse,
     Di leggier orma questo suol segnasti.
     Ma fra queste cadenti antiche torri
     Guidate, il sai, da la Cesarea mano
     L’attiche discipline, e di molt’oro
     25Sparse, ed altere di famosi nomi
     Parlano un suon, che attenta Europa ascolta.

Se di tua vista consolar le tante
     Brame ti piaccia, intorno a te verranno
     De la risorta Atene i chiarí ingegni;
     30E quei che a te sul margine del Brembo
     Trasse tua fama, e le comuni Muse,
     E quei che pieni del tuo nome al cielo
     Chieggon pur di vederti. Chi le sfere
     A vol trascorre, e su britanna lance
     35L’universo equilibra; e chi la prisca
     Fè degli avi a le tarde età tramanda;
     E chi de la natura alma reina
     Spiega la pompa triplice; e chi segna
     L’origin vera del conoscer nostro;
     40Chi ne’ gorghi del cor mette lo sguardo:
     E qual la sorte de le varie genti

[p. 29 modifica]

     Colora, e gli agghiacciati e gli arsi climi
     Di fior cosparge; qual per leggi frena
     Il secolo ritroso; altri per mano
     45Volge a suo senno gli elementi, e muta
     Le facce a i corpi; altri su gli egri suda
     Con argomenti che non seppe Coo.
     Tu qual gemma che brilla in cerchi d’oro,
     Segno di mille sguardi andrai fra quelli,
     50Pascendo il pellegrino amino intanto
     E i sensi de’ lor detti: essi de’ tuoi
     Dolce faranno entro il pensier raccolta.
     Molti di lor potrian teco le corde
     Trattar di Febo con maestre dita;
     55Non però il suon n’udrai; ch’essi di Palla
     Gelosa d’altre Dee qui temon l’ire.

Quanto ne l’alpe e ne le aerie rupi
     Natura metallifera nasconde;
     Quanto respira in aria, e quanto in terra,
     60E quanto guizza ne gli acquosi regni
     Ti fia schierato a l’occhio: in ricchi scrigni
     Con avveduta man l’ordin dispose
     Di tre regni le spoglie. Imita il ferro
     Crisoliti e rubin; sprizza dal sasso

[p. 30 modifica]

     65Il liquido mercurio; arde funesto
     L’arsenico; traluce a i sguardi avari
     Da la sabbia nativa il pallid’oro.

Che se ami più de l’eritréa marina
     Le tornite conchiglie, inclita Ninfa,
     70Di che vivi color, di quante forme
     Trassele il bruno pescator da l’onda!
     L’aurora forse le spruzzò de’ misti
     Raggi, e gode talora andar torcendo
     Con la rosata man lor cave spire:
     75Una del collo tuo le perle in seno
     Educò verginella; a l’altra il labbro
     De la sanguigna porpora ministro
     Splende; di questa la rugosa scorza
     Stette con l’or sù la bilancia, e vinse.
     80Altre si fero, in van dimandi come,
     Carcere, e nido in grembo al sasso; a quelle
     Qual Dea del mar d’incognite parole.
     Scrisse l’eburneo dorso? è chi di righe
     E d’intervalli sul forbito scudo
     85Sparse l’arcana musica? da un lato
     Aspre, e ferrigne giaccion molte:, e grave
     D’immane peso assai rosa da l’onde

[p. 31 modifica]

     La rauca di Triton buccina tace.
     Questo ad un tempo è pesce ed è macigno,
     90Questa è qual più la vuoi chiocciola o selce

Tempo già fu che le profonde valli,
     E ’l nubifero dorso d’Apennino
     Copriano i salsi flutti; pria che il cervo
     La foresta scorresse, e pria che l’uomo
     95Da la gran madre antica alzasse il capo.
     L’ostrica allor sù le pendici alpine
     La marmorea locò famiglia immensa:
     Il nautilo contorto a l’aure amiche
     Apri la vela, equilibrò la conca;
     100D’Africo poscia al minacciar, raccolti
     Gl’inutil remi, e chiuso al nicchio in grembo,
     Deluse il mar: scuola al nocchier futuro.
     Cresceva intanto di sue vote spoglie,
     Avanzi de la morte, il fianco al monte,
     105Quando da lungi preparato, e ascosto
     A mortal sguardo da l’eterne stelle
     Sopravvenne destin; lasciò d’Atlante,
     E di Tauro le spalle, e in minor regno
     Contrasse il mar le sue procelle, e l’ire:
     110Col verde pian l’altrice terra apparve.

[p. 32 modifica]

     Conobbe Abido il Bosforo; ebbe nome
     Adria ed Eusin; da l’elemento usato
     Deluso il pesce, e sotto l’alta arena
     Sepolto in pietra rigida si strinse:
     115Vedi che la sua preda ancora addenta.
     Queste scaglie incorrotte, e queste forme
     Ignote al nuovo mar manda dal Bolca
     L’alma del tuo Pompei patria Verona.

Son queste l’ossa che lasciar sul margo
     120Del palustre Tesin da l’alpe intatta
     Dietro a la rabbia punica discese
     Le immani afriche belve? o da quest’ossa
     Già rivestite del rigor di sasso
     Ebbe lor piè non aspettato inciampo?
     125Chè qui già forse italici elefanti
     Pascea la piaggia, e Roma ancor non era;
     Nè lidi a lidi avea imprecato ed armi
     Contrarie ad armi la deserta Dido.

Non lungi accusan la Vulcania fiamma
     130Pomici scabre, e scoloriti marmi.
     Bello è il veder lungi dal giogo ardente
     Le liquefatte viscere de l’Etna,

[p. 33 modifica]

     Lanciati sassi al ciel. Altro fu svelto
     Dal sempre acceso Stromboli; altro corse
     135Sul fianco del Vesevo onda rovente.
     O di Pompeo, o d’Ercole già colte
     Città scomparse ed obbliate, alfine
     Dopo si lunga età risorte al giorno!
     Presso i misteri d’Iside, e le danze
     140Dal negro ciel venuto a larghi rivi
     Voi questo cener sovraggiunse, in vọi
     Gli aurei lavor di pennel greco offese.

Dove voi lascio innamorati augelli,
     Sotto altro cielo, ed altro sol volanti?
     145Te risplendente del color del fuoco;
     Te ricco di corona; te di gemme
     Distinto il tergo;, e te miracol novo
     D’informe rostro, e di pennuta lingua?
     Tu col gran tratto d’ala il mar traversi;
     150Tu pur esile colibri vestito
     D’instabili color de l’etra a i campi
     Con brevissima penna osi fidarti.

Ora gli sguardi a se col fulgid’ostro
     Chiaman de l’ali, e con le macchie d’oro

[p. 34 modifica]

     155Le occhiute leggerissime farfalle
     Onor d’erbose rive; a i caldi soli
     Uscir dal carcer trasformate, e breve
     Ebbero il dono della terza vita.
     Questa suggeva il timo, e questa il croco,
     160Non altramente che da l’auree carte
     De’ tesori dircei tu cogli il fiore.
     Questa col capo folgorante l’ombre
     Rompe a l’ignudo american che in traccia
     Notturno va de l’appiattata fera.

165E voi non tacerò, voi di dolci acque
     Celeri figli, e di salati stagni:
     Te, delfin vispo, cui del vicin nembo
     Fama non dubbio accorgimento diede,
     E pietà quasi umana, e senso al canto;
     170Te che di lunga spada armato il muso
     Guizzi qual dardo, e le balene assalti;
     Te che al sol tocco di tue membra inermi,
     Di subita mirabile percossa
     L’avido pescator stendi sul lido.
     175Ardirò ancor tinta d’orrore esporre
     A i cupidi occhi tuoi diversa scena,

[p. 35 modifica]

     Lesbia gentil; turpi sembianze, e crude,
     Che disdegnò nel partorir la terra:
     Ne strane fiano a te è men gioconde
     180A te che già tratta per man dal nuovo
     Plinio tuo dolce amico, a Senna in riva
     Per li negati al volgo aditi entrasti.

Prole tra maschi incognita, rifiuto
     Del dilicato sesso, orror d’entrambi
     185Nacque costui. Qual colpa sua, qual, ira
     De l’avaro destino a lui fu madre?
     Qual infelice amore, e fiera pugna
     Strinse così l’un contro l’altro questi
     Teneri ancor nel carcere natale,
     190Che appena giunti al dì, dal comun senso
     Con due respir che s’incontraro uscendo,
     L’alma indistinta resero a le stelle?
     Costui se lunga età veder potea,
     Era Ciclope: mira il torvo ciglio
     195Unico in mezzo al volto. Un altro volto
     Questi porta sul tergo, ed era Giano.
     Or ve’ mirabil mostro! senza capo,
     Son poche lune, e senza petto uscito

[p. 36 modifica]

     Al sol, del viver suo per pochi istanti
     200Fece tremando, e palpitando fede.

Folle chi altier sen va di ferree membra
     Ebbro di gioventù! Perchè nel corso
     Precorri il cervo, e ’l lupo al bosco sfidi,
     E l’orrido cinghial vinci a la pugna
     205Già t’ergi re degli animali. Intanto
     Famiglia di viventi entro tue carni.
     Te non veggente, e sotto la robusta
     Pelle, di te lieta si pasce, e beve
     Secura il sangue tuo tra fibra, e fibra.
     210Questo di vermi popolo infinito
     Ospite rose un di viscere vive.
     E tal di lor cui non appar di capo
     Certo vestigio, qual lo vedi, lungo
     Ben trenta spanne, intier si trasse a stento
     215Dai moltiplici error labirintei.
     Qual ne le coste si forò l’albergo
     Col sordo dente, e quale al cor si pose.
     Ne sol de l’uom, ma de gli armenti al campo
     Altri seguia le torme, e mentre l’erba
     220Tondea la mite agnella, alcun di loro

[p. 37 modifica]

     Limando entro il cervel, da l’alta rupe
     Vertiginosa in rio furor la trasse.
     Tal quaggiù de l’altrui vita si nutre,
     Altre a nudrirne condannata, l’egra
     225Vita mortal, che il ciel parco dispensa.

Ecco il lento bradipo, il simo urango,
     Il ricinto armadillo, l’istrice irto,
     Il castoro architetto, il muschio alpestre,
     La crudel tigre, l’armellin di neve.
     230Ecco il lurido pipa, a cui dal tergo
     Cadder maturi al sol tepido i figli:
     L’ingordo can, che triplicati arrota
     I denti, e ’l navigante inghiotte intero.
     Torvo così dal Senegallo sbuca
     235L’ippopotàmo, e con l’informe zampa
     De l’estuosa zona occupa il lido.
     Guarda vertebre immani!, e sono avanzi:
     Si smisurata la balena rompe
     Ne la polar contrada i ghiacci irsuti!
     240E spoglia, non temer se la trisulca
     Lingua dardeggia, e se minaccia il salto

[p. 38 modifica]

     La maculata vipera, e i colubri,
     Che accesi solean infocate arene.
     Qui minor di sua fama il vol raccoglie
     245Il drago; qui il terror del Nilo stende
     Per sette, e sette braccia il sozzo corpo;
     Qui dal sonante strascino tradito
     Il crotalo implacabile, qui l’aspe;
     E tutti i mostri suoi l’Africa manda.

250Chi è costui che d’alti pensier pieno
     Tanta filosofia porta nel volto?
     È il divin Galileo, che primo infranse
     L’idolo antico, e con periglio trasse
     A la nativa libertà le menti:
     255Novi occhi pose in fronte a l’uomo, Giove
     Cinse di stelle; e fatta accusa al sole
     Di corrutibil tempra, il locò poi,
     Alto compenso, sopra immobil trono.
     L’altro che sorge a lui rimpetto, in vesta
     260Umil ravvolto, e con dimmessa fronte,
     È Cavalier, che d’infiniti campi
     Fece a la taciturna Algebra dono.
     O sommi lumi de l’Italia! il culto

[p. 39 modifica]

     Gradite de l’Orobia pastorella
     265Ch’entra fra voi, che le vivaci fronde
     Spicca dal crine, e al vostro piè le sparge.

In questa a miglior genj aperta luce
     Il linguaggio del ver Fisica parla.
     A le dimande sue confessa il peso
     270Il molle cedente aere: ma stretto
     Scoppia sdegnoso dal forato ferro,
     Avventando mortifera ferita.
     Figlio del sole il raggio settiforme
     A l’ombre in sen rotto per vetro obbliquo
     275Splende distinto ne i color de l’Iri.
     Per mille vie torna non vario in volto,
     Ne la Dollondia man docil depone
     La dipinta corona; in breve foco
     Strignesi, ed arma innumerabil punte
     280A vincer la durezza adamantina.
     Qui il simulato ciel sue rote inarca,
     L’anno divide, l’incostante luna
     In giro mena, e seco lei la terra.
     Suo circolante anello or mostra or cela
     285Il non più lontanissimo Saturno.

[p. 40 modifica]

     Adombra Giove i suoi seguaci, e segna
     Oltre Pirene, e Calpe al vigil sguardo
     Il confin d’orïente: in altra parte
     Virtù bevendo di scoprir nel bujo
     290Flutto a l’errante marinar la stella,
     Da l’amato macigno il ferro pende.
     Qui declinando per accesa canna
     O tocca da l’elettrica favilla
     Vedrai l’acqua sparir, nascer da quella
     295Gemina prole di mirabil aure:
     L’onda dar fiamma, la fiamma dar onda.

Benchè, qualor ti piaccia in nuovi aspetti
     Veder per arte trasformarsi i corpi,
     O sia che in essi ripercosso, e spinto
     300Per calli angusti, o da l’accesa chioma
     Tratto del sol per lucido cristallo
     Gli elementi distempri ardor di fiamma;
     O sia ch’umide vie tenti, e mordendo
     Con salino licor masse petrose
     305Squagli, e divelte le nascoste terre
     D’avidi umori vicendevol preda.
     Le doni, e quanto in sen la terra chiude

[p. 41 modifica]

     A suo piacer rigeneri, e distrugga
     Chimica forza: a le tue dotte brame
     310Affrettan già più man le belle prove.
     Tu verserai liquida vena in pura
     Liquida vena, e del confuso umore
     Ti resterà tra man massa concreta,
     Qual zolla donde il sole il vapor bebbe.
     315Tu mescerai purissim’onda a chiara
     Purissim’onda, e di color cilestro
     L’umor commisto appariratti, quale
     Appare il ciel dopo il soffiar di coro.
     Tingerai, Lesbia, in acqua in bruno acciaro,
     320E a l’uscir splenderà candido argento. 32O

Soffri per poco se dal torno desta
     Con innocente strepito sù gli occhi
     La simulata folgore ti guizza.
     Quindi osò l’uom condurre il fulmin vero
     325In ferrei ceppi, e disarmò le nubi.
     Ve’ che ogni corpo liquido, ogni duro
     Nasconde il pascol del balen: lo tragge
     Da le cieche latebre accorta mano,
     E l’addensa premendo, e lo tragitta,
     330L’arcana fiamma a suo voler trattando.

[p. 42 modifica]

     E se per entro a gli Epidaurii regii
     Fama già fu che di Prometeo il foco
     Che scorre a l’uom le membra, e tutte scote
     A un lieve del pensier cenno le vene,
     335Sia dal ciel tratta elettrica scintilla;
     Non tu per sogno Ascreo, l’abbi sì tosto.

Suscita or dubbio non leggier sul vero
     Felsina antica di saper maestra,
     Con sottil argomento di metalli
     340Le risentite rane interrogando.
     Tu le vedesti sù l’Orobia sponda
     Le garrule presaghe de la pioggia
     Tolte ai guadi del Brembo altro presagio
     Aprir di luce al secolo vicino.
     345Stavano tronche il collo: con sagace
     Man le immolava vittime a Minerva
     Cinte d’argentea benda i nudi fianchi
     Su l’ara del saper giovin ministro.
     Non esse a colpo di coltel crudele
     350Torcean le membra, non a molte punte:
     Già preda abbandonata da la morte
     Parèan giacer: ma se l’argentea benda
     Altra di mal distinto ignobil stagno

[p. 43 modifica]

     Da le vicine carni al lembo estremo
     355Venne a toccar, la misera vedevi
     Quasi risorta ad improvvisa vita
     Rattrarre i nervi, e con tremor frequente
     Per incognito duol divincolarsi.
     1o lessi allor nel tuo chinar del ciglio,
     360Che ten gravò: ma quella non intese
     Di qual potea pictade andar superba.
     E quindi in preda a lo stupor ti parve
     Chiaro veder quella virtù che cieca
     Passa per interposti umidi tratti
     365Dal vile stagno al ricco argento, e torna
     Da questo a quello con perenne giro.
     Tu pur al labbro le congiunte lame,
     Come ti prescrivea de’ saggi il rito,
     Lesbia, appressasti, e con sapore acuto
     370D’alti misteri t’avvisò la lingua.
     E ancor mi suona nel pensier tua voce,
     Quando al veder che per ondose vie
     L’elemento nuotava, e del convulso
     Animal galleggiante i dilicati
     375Stami del senso circolando punse;
     Chiedesti al ciel che da l’industri prove
     Venisse a l’egra umanità soccorso.

[p. 44 modifica]


Ah se così dopo il sottil lavoro
     Di vigilati carmi, orror talvolta
     380Vano di membra, il gel misto col foco,
     Ti va le vene ricercando, e abbatte
     La gentil da le Grazie ordita salma:
     Quanto d’Italia onor, Lesbia, saria
     Con l’arte nova rallegrarti il giorno!

385Da questa porta risospinta al lampo
     Dei vincitor del tempo eterni libri
     Fugge ignoranza, e dietro lei le larve
     D’error pasciute, e timide del sole.
     Opra è infinita i tanti aspetti, e i nomi
     390Ad uno ad uno annoverar. Tu questo,
     Lesbia, non isdegnar, gentil volume
     Che s’offre a te: da l’onorata sede
     Volar vorrebbe a l’alma autrice incontro.
     D’ambe le parti immobili si stanno,
     395Serbando il loco a lui, Colonna, e Stampa.
     Quel pur ti prega che non più consenta
     A l’alme rime tue, vaghe sorelle,
     Andar divise, onde odono fra ’l plauso
     Talor sonar dolce lamento: al novo

[p. 45 modifica]

     400Vedremo allor volume aureo cresciuto
     Ceder loco maggior Stampa, e Colonna.

Or de gli estinti ne le mute case
     Non ti parrà quasi calar giù viva
     Su l’esempio di lui, da la cui cetra
     405Tanta in te d’armonia parte discese?
     Scarnata ed ossea sù l’entrar s’avventa
     Del can la forma: ah non è questo il crudo
     Cerber trifauce cui placar tu deggia
     Con medicata cialda: invano mostra
     410Gli acuti denti; ei dorme un sonno eterno.
     Ossee d’intorno a lui con cento aspetti
     Stanno silvestri, e mansuete fere:
     Sta senza chioma il fier leon, sù l’orma
     Immoto è il daino; è senza polpe il bieco
     415Cinghial feroce, senza vene il lupo,
     Senza ululato, e non lo punge fame
     De le bianche ossa de l’agnel vicino.

Piaccia ora a te quest’anglico cristallo
     A’ leggiadri occhi sottoporre; ed ecco
     420Di verme vil giganteggiar le membra.
     Come in antico bosco d’alte quercie

[p. 46 modifica]

     Denso, e di pini le cognate piante
     I rami intreccian, la confusa massa
     Irta di ramuscei fende le nubi:
     425Così, ma con più bello ordin tu vedi
     Quale pel lungo de l’aperto dorso
     Va di tre mila muscoli la selva.
     Riconosci il gentil candido baco
     Cara de’ ricchi Sericani: forse
     430Di tua mano talor tu lo pascesti
     De le di Tisbe, e d’infelici amori
     Memori foglie: oggi ti mostra quanti
     Nervi affatichi allor che a te sottili
     E del seno, e del crin prepara i veli.
     435Ve’ la cornuta chiocciola ritorta,
     Cui di gemine nozze Amor fa dono:
     Mira sotto qual parte, ove si senta
     Troncar dal ferro inaspettato il capo,
     Ritiri i nodi de la cara vita:
     440Perchè qualor l’inargentate corna
     Ripigli in ciel la luna, anch’ella possa
     Uscir col nuovo capo a la campagna.
     Altri a destra minuti, altri a sinistra
     Ch’ebbero vita un di, sospesi il ventre
     445Mostrano aperto: e tanti, e di struttura

[p. 47 modifica]

     Tanto diversa li fè nascer Giove
     De’ sapienti a tormentar l’ingegno.

Nel più interno de’ regni de la morte
     Scende da l’alto la luce smarrita.
     450Esangue i nervi, e l’ossa ond’uom si forma,
     E le recise viscere (se puoi
     Sostener ferma la sparuta scena)
     Numera Anatomia del cor son queste
     Le region, che esperto ferro schiuse.
     455Non ti stupir sc l’usbergo del petto
     E l’ossa dure il muscolo carnoso
     Potè romper cozzando: sì lo sprona,
     Con tal forza l’allarga Amor tiranno.
     Osserva gl’intrigati labirinti,
     460Dove nasce il pensier; mira le celle
     De’ taciti sospir: nude le fibre
     Appajon qui del moto, e là de’ sensi
     Fide ministre, e in lungo giro erranti
     Le delicate origin de la vita:
     465Serpeggia ne le vene il falso sangue.
     arte ammirasti: ora men tristi oggetti,
     Intento il tuo guardar, l’animo cerca.

[p. 48 modifica]


Andiamo, Lesbia; pullular vedrai
     Entro tepide celle erbe salubri,
     470Dono di navi peregrine: stanno
     Le prede di più climi in pochi solchi.
     Aspettan te, chiara bellezza, i fiori
     De l’indo: avide al sen tuo voleranno
     Le morbide fragranze Americane,
     475Argomento di studio, e di diletto.
     Come verdeggia il zucchero tu vedi
     A canna arcade simile: qual pende
     Il legume d’aleppo dal suo ramo
     A coronar le mense util bevanda.
     480Qual sorga l’ananas, come la palma
     Incurvi, premio al vincitor, la fronda.
     Ah non sia chi la man ponga a la scorza
     De l’albero fallace avvelenato,
     Se non vuol ch’aspre doglie a lui prepari
     485Rossa di larghi margini la pelle.
     Questa pudica da le dita fugge;
     La solcata mammella arma di spine
     Il barbarico cacto; al sol si gira
     Clizia amorosa: sopra lor trasvola
     490L’ape ministra de l’aereo mele.

[p. 49 modifica]

     Dal calice succhiato in ceppi stretta
     La mosca in sen al foi trova la tomba.

Qui pure il sonno con pigre ali, molle
     Da l’erbe lasse conosciuto dio
     495S’aggira, e al giugner d’espero rinchiude
     Con la man fresca le stillanti bocce,
     Che aprirà ristorate il bel mattino.
     E chi potesse udir de’ verdi rami
     Le secrete parole allor che i furti
     500Dolci fa il vento sù gli aperti fiori
     De gli odorati semi, e in giro porta
     La speme de la prole a cento fronde:
     Come al marito suo parria gemente
     L’avida pianta susurrar! chè nozze
     505Han pur le piante;, e zefiro leggero
     Discorritor de l’indiche pendici
     A quei fecondi amor plaude aleggiando.

Erba gentil (nè v’è sospir di vento)
     Vedi inquieta tremolar sul gambo;
     510Non vive?, e non dirai ch’ella pur senta?
     Ricerca forse il patrio margo, e ’l rio,
     E duolsi d’abbracciar con le radici

[p. 50 modifica]

     Estrania terra sotto stelle ignote,
     E in Europea prigion bevere a stento
     515Brevi del sol per lo spiraglio i rai.
     E ancor chi sa che in suo linguaggio i germi
     Compagni, di quell’ora non avvisi
     Che il sol da noi fuggendo, a la lor patria,
     A la Spagna novella il giorno porta?
     520Noi pur noi, Lesbia, a la magione invita...

Ma che non può su gl’ingannati sensi
     Desir, che segga de la mente in cima
     Non era io teco? A te fean pur corona
     Gl’illustri amici. A te salubri piante,
     525E belve, e pesci, e augei, marmi, metalli
     Ne’ palladj ricinti iva io mostrando.
     Certo guidar tuoi passi a me parea;
     Certo udii le parole:, e tu di Brembo
     Oimè lungo la riva anco ti stai.